Tre lettere e un numero.


di Christian Lezzi_

Il tanto acclamato e continuamente citato Albert Einstein, pare abbia detto, un giorno

“Se hai una risposta semplice, a una domanda semplice, allora tutto funziona alla perfezione”

Aggiungendo

Se non lo sai spiegare in maniera semplice, non lo hai capito abbastanza bene”.

Grossolane e superficiali nullaggini!

Una premessa doverosa: non è in discussione la statura intellettuale dello scienziato, le cui epocali scoperte influenzano ancora oggi l’andamento del mondo scientifico e la vita di tutti noi, bensì la superficialità di certe sue (presunte) affermazioni, oltre che la deleteria inutilità di questa pretesa semplificazione linguistica a ogni costo.

È altrettanto evidente che, ogni citazione, eradicata dal suo contesto naturale, è di semplice strumentalizzazione e altrettanto facile da snaturare. Per questo, in discussione vi è il concetto della semplificazione, non le citazioni a se stanti, usate solo come incipit al più ampio discorso.

In questo specifico, discutiamo la presunta necessità di semplificare concetti che semplici non sono, rendendo immediati anche questioni che meritano un più ampio respiro, una riflessione approfondita, un tempo di decantazione, per essere elaborati, compresi e interpretati nella loro essenza più vera.

E qui sorge spontanea la domanda: semplificarli, per spiegarli a chi?

A qualcuno che, estraneo alla materia, non solo ben poco capirebbe della questione espressa, ma addirittura trarrebbe una deduzione semplicistica, limitata anche dalle parole semplificate e dal conseguentemente limitato pensiero, fino a rendere vuoto e inconcludente il ragionamento derivato?

Perché l’atto di semplificare il linguaggio e i concetti correlati, a ogni costo e a ogni prezzo, non solo è privo di qualsivoglia beneficio reale, ma rischia di rendere banali anche le riflessioni più importanti, trascinandole nel gorgo della superficiale velocità, di quella spasmodica voracità con cui pretendiamo di elaborare la realtà e i suoi fatti.

Parliamo di riflessioni importanti, quindi, che proprio per questa particolare natura, non possono e non devono essere prese “sotto gamba” e banalizzate, necessitando di un linguaggio complesso e articolato, fatto di termini specifici, stimolanti, di un costrutto che imponga l’attenzione viva e l’approfondimento, generando un pensiero critico davvero pensato, frutto di un percorso cognitivo che non si fermi all’uscio del dettaglio, ma che si spinga oltre, fino all’origine delle cose, percorrendo il periplo dei cerchi concentrici che dal particolare si diramano e all’universale giungono. 

E viceversa.

A cosa e a chi giova, spiegare la fisica quantistica o la filosofia, con un linguaggio adatto a un bambino di otto anni? A nessuno, forse nemmeno all’ottènne bambino in questione.

Probabilmente soddisferebbe la curiosità di un momento, rendendo ingannevolmente “potabili” quei concetti altrimenti proibitivi, banalizzando la complessità del tutto, con un discorso dozzinale che, comunque, non sarà compreso e che, inevitabilmente, lascerà il posto all’illusione di un banale nozionismo, ingannevolmente vestito d’illusoria conoscenza.

Perché le riflessioni, quelle profonde e complesse, si argomentano con concetti altrettanto profondi ed egualmente complessi e con parole dotte, non per autocelebrazione, bensì allo scopo di favorire una riflessione che sia davvero approfondita.

Perché la nostra psiche non elabori quelle informazioni in modo veloce e inconcludente, producendo inutili discussioni da bar, in cui tutto resta sulla superficie delle cose, banalizzato e svilito da un linguaggio a prova d’analfabeta funzionale che, alla fine, di bagattella in insulsaggine, nulla dice in concreto.

Ciò non significa che certi argomenti debbano restare solo tra addetti ai lavori. Lungi da noi anche il solo pensarlo. Occorre piuttosto trovare una corretta via di mezzo che motivi, chi non è avvezzo a certi ragionamenti, all’evoluzione linguistica e di pensiero, vincendo così la tentazione frettolosa e pretenziosa di una immediata comprensione, giungendovi per gradi crescenti di preparazione.

In fin dei conti parliamo della lingua che ci appartiene, che tutti i giorni usiamo, facendolo dalla notte dei tempi della nostra vita. È nostro dovere impararla al meglio delle nostre possibilità. Basterebbe dedicarsi alle giuste letture, ai profondi ragionamenti, ai giusti strumenti che non ci impongano sempre le scorciatoie e i riassunti, per far nostra anche la parte meno ordinaria di un linguaggio che, opportunamente elaborato, contribuisce alla formulazione di un pensiero superiore.

È a furia di inculcarci (e farci inculcare) una presunta necessità di rendere tutto semplice, veloce, immediato, perché vittime della fretta e degli impegni, che abbiamo perso l’abitudine di leggere e di pensare, di riflettere e comprendere, di osservare la realtà da diversi punti di vista, per non saltare inevitabilmente a sdrucciolevoli conclusioni e a superficiali, quanto fallimentari, deduzioni.

È questa l’evoluzione da auspicare, ovvero la voglia e il bisogno di migliorare, implementando il bagaglio di parole e la capacità stessa di produrre pensieri, ragionamenti e riflessioni profonde. Quelle riflessioni che, fondate sul linguaggio non banalizzato, pretendano e impongano il tempo necessario alla vera comprensione, restituendo al pensiero la dignità che merita.

Occorre allenamento, applicazione, fatica, per imparare parole nuove e concetti profondi, per rendere elastica la mente e per imparare a pensare oltre l’apparenza, arrivando al nucleo d’ogni cosa. Perché anche la forma è parte integrante della sostanza, imprescindibile per il rispetto di una complessità funzionale allo scopo che, al contempo, si erga scevra dal barocchismo decorativo senza destinazione d’uso.

E occorre curiosità, per acquisire un pensiero asimmetrico, non standardizzato, fuori dagli stereotipi e dagli schemi dominanti, che doni originalità e identità ai nostri ragionamenti.

Ci sono concetti che possono essere semplificati, perché in origine non necessitavano di complessità e altri che non devono assolutamente essere resi semplici, ancor meno banali, pena un pensiero di risulta, vuoto e inutile, che a nessuno gioverebbe.

È possibile, anzi doveroso, semplificare una comunicazione di servizio, una disposizione, persino una procedura. Ma ciò che deve generare una riflessione profonda, deve restare profondo, per dar vita all’impegno necessario a produrre un pensiero degno di questo nome.

Non possiamo essere tutti filosofi, astrofisici, medici o ingegneri. A ognuno il suo codice professionale, la sua gergalità, i propri termini tecnici che, semplificati al massimo, perderebbero natura, efficacia e potenza. Perché ci sono concetti che, per essere portati al giusto approfondimento, necessitano di una complessità stimolante e sfidante, capace di risvegliare l’intelletto sopito. 

Diversamente, produrremmo solo un’infarinatura inutile, a presunto beneficio di chi, incapace della giusta attenzione e del necessario approfondimento, non riuscirebbe a comprendere il significato di E = mc2, nemmeno se la spiegazione fosse illustrata a fumetti da un bambino di otto anni.

Eppure sono solo tre lettere e un numero. Più semplice di così?


Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano.

Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




La radice di ogni salute è nel tuo cuore.


“La Suprema Condotta è l’Assenza di Sforzo”Tilopa

di Francesca Borromeo

Sembra banale dirlo ma è vero: migliorare la nostra vita, dunque vivere meglio, nasce sempre ed esclusivamente da una nostra decisione. E questo a prescindere dal contesto ambientale e sociale in cui ci si trova. Quindi si tratta esclusivamente di prendere una decisione ed essere coerenti nel metterla in pratica. Il problema è che spesso non sappiamo bene quale decisione dobbiamo prendere.

Naturalmente non esiste una risposta unica e risolutiva a questa domanda, ma penso che esistano diversi modi di approccio, che questi siano alla portata di tutti, e che dunque noi tutti siamo in grado di migliorare la qualità della nostra vita.

Non ce ne accorgiamo, ma durante la nostra quotidianità svolgiamo la maggior parte delle nostre attività in modalità “automatica”. Si chiamano abitudini e sono trappole potentissime. Possiamo invece sostituire tutte le abitudini (sia quelle che riteniamo “buone” che quelle che riteniamo “cattive”) con azioni consapevoli.

Per fare questi piccoli cambiamenti, però, è necessario prendere una decisione.

Le parole disciplina e autodisciplina hanno assunto ormai una accezione negativa e si associano a questi termini sensazioni negative, ad una rinuncia, alla fatica, ma io penso che non sia così.

Proviamo a sostituire la parola DISCIPLINA con la parola CONSAPEVOLEZZA e riusciremo a trasformare le abitudini in azioni, lasciamoci stupire ogni volta che le pratichiamo, facciamole con attenzione con consapevolezza e soprattutto appassioniamoci, stupiamoci. Abbandoniamo l’illusione del controllo. Cosi vivremo una vita senza sforzo.

Rifugiarci nelle nostre abitudini ci da una piacevole (effimera e brevissima) sensazione di sicurezza, ma come un muscolo sempre immobile si atrofizza, così la nostra mente, senza nuovi stimoli, lentamente si spegne. Oggi si dice spesso “uscire dalla propria zona di comfort”. A me non piace molto questo modo di dire, molto abusato, e io credo fermamente che un modo ottimo per migliorare la propria vita, sia quello di prendersi dei rischi, che spesso sono solo frutto della nostra mente, ma che ci permettono di mettere la testa fuori dal recinto che ci siamo (in)consapevolmente costruiti, e comprendere che la ricerca di una sicurezza (illusoria, come tutte le cose), è in realtà una trappola pericolosa.

Ad esempio, possiamo studiare una nuova lingua, che non sia necessariamente tra quelle più usate. Perché dico questo? prima di tutto perché ti permette di tenere in allenamento la tua mente. Se studi ad esempio il cinese, che è una lingua matematica, oltre ad avere stimoli nuovi dovendo affrontare qualcosa di davvero differente, il tuo cervello ti ringrazierà. Ma questo vale in generale per qualsiasi altra lingua. Poi, ti permette di instaurare nuove relazioni, conoscere luoghi e persone nuove, e non sentirti del tutto fuori dal contesto, aprendo sicuramente nuove opportunità di lavoro o studio.

Ama incondizionatamente gli animali. Gli animali hanno la tendenza ad “educarci”, a far emergere i migliori lati della nostra natura. La semplice pratica di accarezzare un cane, ad esempio, tende a darci sollievo, a ricollegarci al nostro corpo e a calmare le nostre menti inquiete. E quando accarezziamo il cane di un’altra persona, o questa accarezza il nostro, solitamente creiamo un contatto, una comunità. 

Pratichiamo Yoga. Gli effetti di questa pratica sono innumerevoli, sia sull’aspetto fisico, sia su quello mentale. Le posizioni allineano corpo e spirito, grazie al lavoro di respirazione, e permettono di prendere consapevolezza di sé e quindi un migliore autocontrollo del proprio stato emotivo. Praticandolo regolarmente, ti sentirai in maggiore sintonia con Te stesso. 

Respira, medita. Chi pratica regolarmente la meditazione di certo già ne conosce i molteplici benefici. La meditazione aiuta a ridurre i livelli di stress, rafforza la salute mentale, offre sollievo ai dolori cronici, migliora la qualità del sonno, dona serenità, consente di acquisire una maggiore consapevolezza. Ad un livello più profondo, la meditazione è una porta verso le nostre radici, il nostro essere più intimo e profondo.

Scrivi. Ho sempre creduto che saper scrivere sia un potere enorme. Poter leggere i propri pensieri, è una forma di controllo della nostra mente che offre enormi potenziali che se sfruttati in modo costruttivo, aumentano la qualità della nostra vita. Un pensiero scritto e più potente di un pensiero che sfuma nel momento stesso in cui prende forma. Tenere una sorta di diario, nel quale appuntare una serie di pensieri, ragionamenti, programmi, da consistenza al tempo che gli hai dedicato.

Impara ad ascoltare. Questa è una enorme opportunità di crescita, spesso sottovalutata, perché saper ascoltare ti permette di imparare attraverso le esperienze degli altri. Condividere quello che fai e ciò che sei ci aiuta ad essere migliori e migliorare il mondo in cui viviamo.

Infine, goditi i momenti. Quando è stata l’ultima volta che ti sei davvero goduto un momento, il sole caldo sul viso, un paesaggio, un libro, della musica o un podcast? Se riesci a riempire questi momenti, e prenderne consapevolezza, diventeranno parte del tuo bagaglio di esperienze, e contribuiranno alla qualità della tua vita.


Francesca Borromeo

Imprenditrice solidale, pratica Yoga e meditazione da diversi anni. Attrice di Teatro, Camminatrice, Sognatrice.




Pontinia.

di Luca Bottari_

Il nome di questo paese è regale, antico, elegante, confonde ed apre ad un mondo immaginario quasi perfetto. Pontinia che guarda le sue coste lungo la strada di cui vale la pena parlare. La strada si chiama Pontina, ed il paese che si affaccia su questo ammasso multiforme di asfalto arroventato si chiama Pontinia.

Per via di una sua fallimentare propensione alla soddisfazione delle proprie curiose fissazioni e per stilare una tabella di marcia ai fini statistici, un’enorme ingegnere indiano sikh, per via di un destino maldestro piegato malamente su di una spalla troppo fedele al servizio del lavoro di raccolta nei campi, ha misurato la temperatura dell’asfalto anche nella stagione invernale. Bestie di ogni tipo spingono forte l’acceleratore sulla Pontina in barba a quegli spot televisivi così ben confezionati da ragazzi così moderni ed al contempo così simili ai vecchi pubblicitari prima maniera.

E quali sono le variabili, i risultati dell’ingombrante studio di settore dell’indiano? Il sikh ha rilevato temperature abnormi e bollenti anche con la pioggia battente. L’asfalto subisce gli stessi effetti di un uomo che si rovina la vita con un’ustione. Non ci si libera di un’ustione con qualche scarica di pioggia. La pelle se ne va via a strati,una via crucis lenta e dolorosa, poi ricresce con un ritmo ancor più blando.

Il nome del paese potrebbe evocare la presenza di una regina della Roma antica, così da dare al racconto un’aurea magica. Questa pratica del cambio del nome con la sola aggiunta di una vocale è pura mistificazione del reale, una operazione simpatia. Se c’è magia in questa strada è magia nera, voodoo. Questa porzione di purgatorio ha un balcone che affaccia sul mare un attimo prima del paradiso. La terra che prima era palude ha recitato il ruolo sia di territorio di fuga che di terra ospitante. La Pontina è una lingua di fuoco che sputa fuori disperati ingabbiati in dei rottami colorati alla ricerca di un angolo di estasi infestato dalla frescura di un miscuglio di brezze marine inquinate. Sul vetro degli abitacoli con la prua rivolta a sud, campeggiano impronte dal sapore preistorico, creature nel mezzo di una loro evoluzione comportamentale. Gabbiani sempre più spaventosi che non hanno più paura. Sul tetto delle autovetture immatricolate nell’altro secolo,rari catorci di lamiere infuocate, sorgono composizioni casuali, una sorta di giochi a raccolta puntini e schizzi dai mille significati senza significato. Non è arte povera o contemporanea, non è Pollock, quel disegno è solo un composit con una quantità ragionevole di merda di piccione di ritorno da mete tropicali.

Un soggetto del genere umano dal nome comune sta usando in modo agile e disinvolto la sua callosa mano destra per trastullare il suo piccolo membro rattrappito e sudato. Ha il muso rivolto verso la sagoma di un’altra autovettura di piccolo taglio con all’interno una creatura femminile rustica, libera, e con delle misure abbondanti. Ne ammira le estremità del corpo, si mangia i suoi piedi con gli occhi. L’eccitazione si fa corposa, il sangue affluisce anche sull’altro braccio che rigido e disattento sorregge il volante. Al braccio spuntano anche una bocca ed un naso. La strada è pericolosa e la testa del membro si trova nell’altro abitacolo. C’è una famiglia unita di carattere patriarcale tra il membro e la creatura del desiderio. Tutto ciò causa frustrazione che sommata al caldo da ordini sconnessi alla coppia frizione/acceleratore. Sono gli stati d’animo del membro e l’eccitazione confluita nel braccio destro a guidare l‘umore dell’autovettura. Si sollevano in cielo al chilometro 4 gli effetti pratici, le conseguenze degli stratagemmi di gruppo dei giovani abitanti del campo rom sotto al cartello pubblicitario che strizza l’occhio ai cellulari di nuova generazione. Sono allenati ed allineati in modo sofisticato per la sopravvivenza. L’odore del fumo prodotto da questi piccoli incendi di carattere doloso non inebria l’aria di un sapore d’estate. Trattasi piuttosto di un odore acre e malsano che ti entra in gola e ti fa imprecare e maledire qualcosa o qualcuno. Quando sei confinato in un campo Rom te ne freghi delle conseguenze delle azioni così come della memoria. Vivi nel presente e per il tuo stringato tornaconto. La somma delle tue esigenze primarie quotidiane da confinato non contempla la serenità di chi percorre la Pontina.

I senzatetto che non hanno nemmeno un campo rom dove defecare, più sporchi e più incazzati dei guerrieri di Sparta, sono saliti sul cavalcavia ed a caso hanno buttato giù verso di noi qualche pietra leggera. Quando vedi il parabrezza che si incrina e trema per l’impatto con un oggetto sconosciuto che viene dal cielo si presuppone che ci sarà qualcuno nel tuo abitacolo che se la farà nelle mutande.

La speranza di lasciarsi alle spalle un anno di declinazioni di latino alla lavagna spinge forte sulla schiena della Pontina la macchina di tre ragazze innocentemente ignare dell’imminente guasto meccanico del loro mezzo. La musica alta le fa sudare ed i loro dimenarsi che va a tempo sembra catturare l’attenzione di tutta la fila verso sud. Sono giovani ed a loro modo belle e chi le ferma? Il guasto meccanico arriverà all’altezza della ridente cittadina di Pomezia. I meccanici di Pomezia la domenica non lavorano in officina. Sono anche loro sulla Pontina con il naso che cerca e non trova l’odore del mare. I meccanici fuori servizio, davanti al triste spettacolo di un numero imprecisato di autovetture in panne, si fanno abbondanti risate denigratorie. Le ragazze, partite a razzo dalle pendici della bocca del quartiere Eur, con rossetto viola targato Roma, sulle ali dell’entusiasmo dello sfanculamento post sfiancamento della scuola, dopo ore con la perpendicolare del sole che picchia forte proprio sulla loro testolina ad aspettare il soccorso stradale, saranno più guardinghe verso la vita in generale.

Dopo un primo imbarazzo per lo scombussolamento facciale post coito notturno, un camionista sifilitico con una palla di grasso sottocutanea probabilmente di origine tumorale benigna perfettamente incastrata dietro la giugulare, si fa largo tra la gente per il suo caffè gratuito. Questo premio ristretto in un cubo di caffè è il frutto di una misera campagna di informazione e sensibilizzazione statale che nelle intenzioni iniziali aveva a cuore la sicurezza dei nostri viaggi. Questo dominatore attivo di dinosauri stradali con rimorchio ha bisogno di una doccia. Doveva tornare in famiglia ieri ma la sua prostituta preferita gli ha fottuto il cervello oltre che tutto il resto dei piani per la vita. I camion con rimorchio non devono essere in circolazione durante il fine settimana. Un modesto autotrasportatore del nuovo secolo pippa cocaina e beve caffè per star sveglio, solo così può sostenere le spese della famiglia e delle prostitute. La doccia nelle stazioni di servizio un disgraziato da settanta ore di lavoro settimanali se la fa con l’acqua del lavandino. Con un piede ferma la porta dell’entrata così la gente non può entrare, nel frattempo si tira giù le mutande e si innaffia culo ed uccello per poi terminare ai piani superiori con una spruzzata di sapone di bassa qualità sotto le ascelle. Le mutande una moglie quando torna a casa le guarda. I segni del sapone liquido hanno un peso specifico diverso dal liquido seminale.

La polizia alla vista di queste ragazze che bruciano le loro giornate sotto il sole 16 ore al giorno o fa finta di non vedere o vede ed ingoia con un po’ di dispiacere. Ingoiano pillole amare i padri di famiglia che sono ancora sensibili alla responsabilità genitoriale ed ai sintomi ed agli effetti della crudeltà della vita. Ragazze nude alla merce di sguardi compassionevoli e tristi di ragazze della loro stessa età, pezzi di carne di bambine cresciute e finite male che avevano una madre che le teneva in braccio con tenerezza per anni. Schiave a cielo aperto che vivono con l’unica funzione di esistere come approdo finale per le frustrazioni disumane di alcuni bipedi libidinosi ed incontrollabili.

I bambini attraversano questa landa affollata di speranza senza dubitare mai della bontà di quello che scorgono dal finestrino. Per loro quei signori a cui fanno ciao ciao con la manina sono delle simpatiche comparse nel loro universo senza colpe e colpevoli. Più avanti nell’esistenza gli sguardi si faranno sempre più attenti e scettici. A volte, proprio per via di quella magia nera che vive sulle coste della Pontina, i compagni di carreggiata si trasformano in delinquenti a bordo dei loro potenti e disgraziati veicoli. Questi avanzi di galera che vivono di espedienti sono sempre i primi a lanciarsi con prepotenza oltre i limiti della velocità consentita. Hanno fretta di dimostrare al mondo la loro imperizia alla guida, hanno un desiderio inconscio di correre verso la morte.In questa folle corsa si trascinano dietro le vite di innocenti ragazzi da poco maggiorenni. La vita davanti non è per tutti, ma per i molti che non incontrano sulla loro strada questi cannibali.

Il traffico è rumoroso e stordisce i pensieri già confusi di un gruppo di anziani stretti nell’abitacolo come un cartoccio di pesce fritto. Il mare è a pochi chilometri ma la viabilità è quella di Pechino nei giorni più caotici. Il fumo dato dall’asfalto fuso che evapora compromette la visibilità anche degli autisti più scrupolosi. Le autovetture costose sprofondano in enormi crateri. Borbottano ma proseguono perché estremamente fedeli ai lori padroni danarosi. Quando il buio stende la sua coperta sulla Pontina aumentano i rischi per i braccianti di colore in nero. Nessun autista si è mai fermato a prestare soccorso quando un uomo vestito di pelle nera gridava aiuto. Ogni conducente di un veicolo a quattro ruote ha un suo personale credo stradale ed un suo immaginifico dispensario di leggi per lui vigenti. Per il ferimento e l’investimento di un bracciante indiano sikh per i meno colti ed umani non ci sarà motivo di preoccuparsi perché per loro il reato di omicidio stradale o di omissione di soccorso non è applicabile a coloro che per via del colore della loro pelle si possono non vedere. Soccorrerli non è necessario perché di sicuro qualche loro amico di pari casta li trasporterà sulla canna della sua bici dalle ruote sgonfie verso la casa di qualche santone guaritore. Questi con la sola imposizione delle mani ed attraverso la somministrazione di qualche strano intruglio guarirà le gambe maciullate di quell’uomo.

Casali abbandonati e rifiuti organici di ogni genere fanno da panorama lungo il percorso. Se avvicini l’orecchio ed origli nell’abitacolo di qualche ricco intellettuale con villa sul mare, sentirai l’ipocrisia urlare forte. La politica di Ponzio Pilato unita ad un sorriso sarcastico è la farina che impasta il loro prodotto di falsità finale. Cognomi altisonanti li fanno sentire comodi nei loro abitacoli di lusso dai comandi automatici. Pensano solo a tapparsi il naso ed a pronunciare a beneficio degli amici retoriche frasi di circostanza ad effetto. In gran segreto pensano che loro voleranno sempre alti sopra il degrado di ogni tipo e maniera e che accanto a quel ricettacolo di malessere non ci vivranno mai. Quando la carreggiata si restringe si assiste ad un proliferare di spaventosi incidenti stradali. La Pontina buca alcune piccole città della provincia laziale lasciandogli ferite ovunque. I segnali stradali presenti appartengono al dopo guerra e tanta trascuratezza non solo confonde ma deprime nonostante la potenziale bellezza dei luoghi. Dal passato della zona vengano storie importanti, degne di essere ricordate in maniera diversa. Gli esercizi commerciali a conduzione famigliare, con tanto di nonna sulla sedia della cassa con cagnolino malato in braccio, si arrabattano ancora con la vendita di prodotti locali genuini e di frutti della terra mentre accanto a loro crescono dei mostri di cemento che presto inghiottiranno tutto, compreso la nonna.

A giudicare dalla disposizione geografica delle prostitute, in prossimità dei paesi più piccoli, gli sfruttatori applicano criteri meno severi di sfruttamento. Le schiave sono sedute all’ombra su di una specie di sgabello dai colori sgargianti. Le stazioni di servizio sono solite ospitare per qualche minuto ogni giorno semplici disgrazie famigliari. Non è raro vedere delle donne che apostrofano i propri figli con un linguaggio scurrile e violento solo perché hanno commesso qualche sciocchezza. Alcune ragazze tatuate e dal muso indurito dalla vita, hanno lo sguardo basso di chi ha preso di recente dei cazzotti in faccia. Non se le sono meritati in alcun modo. L’unica colpa è stata la scelta originale del proprio compagno di vita. I banchisti del caffè della stazione di servizio più gettonata della zona, hanno appena subito un ricatto dal proprietario dell’esercizio commerciale. Se non ci fossero le telecamere sputerebbero sopra ogni singolo alimento in esposizione ed in vendita. Lo stipendio serve per arrivare più in là nella vita ed a pagare qualcosa per i figli. Dove andranno se si ergeranno ad eroi sindacalisti? Non ci sarà nessun eroe in quel bar della stazione di servizio. Tutta l’umanità sulla pontina sembra cercare questa uscita di sicurezza verso il mare e verso la vita.

Alcuni la imboccano con leggerezza, altri perseverano al volante in uno stato di assuefazione del male a cavallo di questa lunga lingua di fuoco d’asfalto.


Luca Bottari.

Ho avuto la fortuna di viaggiare con mia madre hostess per non stupirmi ogni volta di come siamo tutti cittadini di un mondo diverso,disunito,ma con i stessi connotati. Conoscere lingue diverse e poter scegliere di studiare il cinema e le arti senza seguire un percorso di studi tradizionale (forse piu’utile ai fini pratici) mi ha portato verso la scrittura con naturalezza e coscienza.Vincere premi letterari non mi ha legittimato a scrivere ma mi ha fatto capire che non solo il solo a sognare.Ho collaborato con diverse riviste letterarie e di cinema per dire in piccolissima parte la mia. Ho lavorato nel hotel management e vissuto a New York per respirare un aria internazionale ma amo al contempo anche le dimensioni locali ridotte dei paesini italiani.




La nostra storia.

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di Luca Bottari_

Il vagone della Metro A, direzione Battistini, singhiozza e procede. Il passo insicuro nel suo incedere borbottante è costante, somiglia alla storia dei suoi passeggeri. Scriviamo le nostre storie ordinarie o magnifiche bucando le città con un vagone metro o attraversandole a piedi, con il muso sfatto per la pioggia di problemi che ci casca ogni giorno in testa e con gli occhi rivolti in preghiera verso lo stato Vaticano. Salvo strappi benevoli del destino ci ricorderanno al massimo i nostri nipoti. Dopo di loro l‘obliò, molti di noi non saranno mai esistiti e di conseguenze nemmeno estinti.

I ragazzi nei vagoni brontolano, sbuffano, si allungano in pachidermiche mosse di stretching nonostante la loro evidente smagliante forma fisica. Non provano a costruire la loro storia. Se non ritengono di essere in grado di incastrare quei mattoncini uno sopra l’altro si potrebbero spendere per vivere grazie al potere dell’immaginazione nella storia di qualche eroe da romanzo storico. Non intercetteranno mai in cloud il mio auspicio anche se sono costantemente connessi.

La comunicazione silenziosa ed efficace dei loro e dei nostri telefoni ha quasi soppresso il volo d‘immaginazione che ci regalava la pagina stampata. La nostra storia di vita a metà tragitto, a metà romanzo, era meno scontata perché si confondeva con il protagonista di vicende lontane che ci rendevano più leggeri ed allo stesso tempo più cupi. Il vero volo low cost era quello che intraprendevamo grazie ai nostri occhi che correvano pagina dopo pagina, ora umidi di malinconia e rabbia, ora impiastricciati di desiderio erotico. Il libro era il viatico per spaziare in terre lontane a costo zero, era il lenzuolo di Snoopy con cui consolarsi dopo le note severe di un professore severo, era un grumo di farina per impastare il pane della conoscenza.

Noi tutti peniamo, sudiamo, speriamo e ci inginocchiamo al cospetto della durezza della vita ma oggi le armi in pugno sono smussate in punta, perché un cellulare non sarà mai la spada nella roccia per nessuno di questi ragazzi. Non è facile incrociare lo sguardo di un giovane uomo attento solo a quel mondo in quella scatoletta paradossalmente perfetta.

Senza guardarci non ci riconosceremo più.


Luca Bottari.

Ho avuto la fortuna di viaggiare con mia madre hostess per non stupirmi ogni volta di come siamo tutti cittadini di un mondo diverso,disunito,ma con i stessi connotati. Conoscere lingue diverse e poter scegliere di studiare il cinema e le arti senza seguire un percorso di studi tradizionale (forse piu’utile ai fini pratici) mi ha portato verso la scrittura con naturalezza e coscienza.Vincere premi letterari non mi ha legittimato a scrivere ma mi ha fatto capire che non solo il solo a sognare.Ho collaborato con diverse riviste letterarie e di cinema per dire in piccolissima parte la mia. Ho lavorato nel hotel management e vissuto a New York per respirare un aria internazionale ma amo al contempo anche le dimensioni locali ridotte dei paesini italiani.