Pontinia.
Il nome di questo paese è regale, antico, elegante, confonde ed apre ad un mondo immaginario quasi perfetto. Pontinia che guarda le sue coste lungo la strada di cui vale la pena parlare. La strada si chiama Pontina, ed il paese che si affaccia su questo ammasso multiforme di asfalto arroventato si chiama Pontinia.
Per via di una sua fallimentare propensione alla soddisfazione delle proprie curiose fissazioni e per stilare una tabella di marcia ai fini statistici, un’enorme ingegnere indiano sikh, per via di un destino maldestro piegato malamente su di una spalla troppo fedele al servizio del lavoro di raccolta nei campi, ha misurato la temperatura dell’asfalto anche nella stagione invernale. Bestie di ogni tipo spingono forte l’acceleratore sulla Pontina in barba a quegli spot televisivi così ben confezionati da ragazzi così moderni ed al contempo così simili ai vecchi pubblicitari prima maniera.
E quali sono le variabili, i risultati dell’ingombrante studio di settore dell’indiano? Il sikh ha rilevato temperature abnormi e bollenti anche con la pioggia battente. L’asfalto subisce gli stessi effetti di un uomo che si rovina la vita con un’ustione. Non ci si libera di un’ustione con qualche scarica di pioggia. La pelle se ne va via a strati,una via crucis lenta e dolorosa, poi ricresce con un ritmo ancor più blando.
Il nome del paese potrebbe evocare la presenza di una regina della Roma antica, così da dare al racconto un’aurea magica. Questa pratica del cambio del nome con la sola aggiunta di una vocale è pura mistificazione del reale, una operazione simpatia. Se c’è magia in questa strada è magia nera, voodoo. Questa porzione di purgatorio ha un balcone che affaccia sul mare un attimo prima del paradiso. La terra che prima era palude ha recitato il ruolo sia di territorio di fuga che di terra ospitante. La Pontina è una lingua di fuoco che sputa fuori disperati ingabbiati in dei rottami colorati alla ricerca di un angolo di estasi infestato dalla frescura di un miscuglio di brezze marine inquinate. Sul vetro degli abitacoli con la prua rivolta a sud, campeggiano impronte dal sapore preistorico, creature nel mezzo di una loro evoluzione comportamentale. Gabbiani sempre più spaventosi che non hanno più paura. Sul tetto delle autovetture immatricolate nell’altro secolo,rari catorci di lamiere infuocate, sorgono composizioni casuali, una sorta di giochi a raccolta puntini e schizzi dai mille significati senza significato. Non è arte povera o contemporanea, non è Pollock, quel disegno è solo un composit con una quantità ragionevole di merda di piccione di ritorno da mete tropicali.
Un soggetto del genere umano dal nome comune sta usando in modo agile e disinvolto la sua callosa mano destra per trastullare il suo piccolo membro rattrappito e sudato. Ha il muso rivolto verso la sagoma di un’altra autovettura di piccolo taglio con all’interno una creatura femminile rustica, libera, e con delle misure abbondanti. Ne ammira le estremità del corpo, si mangia i suoi piedi con gli occhi. L’eccitazione si fa corposa, il sangue affluisce anche sull’altro braccio che rigido e disattento sorregge il volante. Al braccio spuntano anche una bocca ed un naso. La strada è pericolosa e la testa del membro si trova nell’altro abitacolo. C’è una famiglia unita di carattere patriarcale tra il membro e la creatura del desiderio. Tutto ciò causa frustrazione che sommata al caldo da ordini sconnessi alla coppia frizione/acceleratore. Sono gli stati d’animo del membro e l’eccitazione confluita nel braccio destro a guidare l‘umore dell’autovettura. Si sollevano in cielo al chilometro 4 gli effetti pratici, le conseguenze degli stratagemmi di gruppo dei giovani abitanti del campo rom sotto al cartello pubblicitario che strizza l’occhio ai cellulari di nuova generazione. Sono allenati ed allineati in modo sofisticato per la sopravvivenza. L’odore del fumo prodotto da questi piccoli incendi di carattere doloso non inebria l’aria di un sapore d’estate. Trattasi piuttosto di un odore acre e malsano che ti entra in gola e ti fa imprecare e maledire qualcosa o qualcuno. Quando sei confinato in un campo Rom te ne freghi delle conseguenze delle azioni così come della memoria. Vivi nel presente e per il tuo stringato tornaconto. La somma delle tue esigenze primarie quotidiane da confinato non contempla la serenità di chi percorre la Pontina.
I senzatetto che non hanno nemmeno un campo rom dove defecare, più sporchi e più incazzati dei guerrieri di Sparta, sono saliti sul cavalcavia ed a caso hanno buttato giù verso di noi qualche pietra leggera. Quando vedi il parabrezza che si incrina e trema per l’impatto con un oggetto sconosciuto che viene dal cielo si presuppone che ci sarà qualcuno nel tuo abitacolo che se la farà nelle mutande.
La speranza di lasciarsi alle spalle un anno di declinazioni di latino alla lavagna spinge forte sulla schiena della Pontina la macchina di tre ragazze innocentemente ignare dell’imminente guasto meccanico del loro mezzo. La musica alta le fa sudare ed i loro dimenarsi che va a tempo sembra catturare l’attenzione di tutta la fila verso sud. Sono giovani ed a loro modo belle e chi le ferma? Il guasto meccanico arriverà all’altezza della ridente cittadina di Pomezia. I meccanici di Pomezia la domenica non lavorano in officina. Sono anche loro sulla Pontina con il naso che cerca e non trova l’odore del mare. I meccanici fuori servizio, davanti al triste spettacolo di un numero imprecisato di autovetture in panne, si fanno abbondanti risate denigratorie. Le ragazze, partite a razzo dalle pendici della bocca del quartiere Eur, con rossetto viola targato Roma, sulle ali dell’entusiasmo dello sfanculamento post sfiancamento della scuola, dopo ore con la perpendicolare del sole che picchia forte proprio sulla loro testolina ad aspettare il soccorso stradale, saranno più guardinghe verso la vita in generale.
Dopo un primo imbarazzo per lo scombussolamento facciale post coito notturno, un camionista sifilitico con una palla di grasso sottocutanea probabilmente di origine tumorale benigna perfettamente incastrata dietro la giugulare, si fa largo tra la gente per il suo caffè gratuito. Questo premio ristretto in un cubo di caffè è il frutto di una misera campagna di informazione e sensibilizzazione statale che nelle intenzioni iniziali aveva a cuore la sicurezza dei nostri viaggi. Questo dominatore attivo di dinosauri stradali con rimorchio ha bisogno di una doccia. Doveva tornare in famiglia ieri ma la sua prostituta preferita gli ha fottuto il cervello oltre che tutto il resto dei piani per la vita. I camion con rimorchio non devono essere in circolazione durante il fine settimana. Un modesto autotrasportatore del nuovo secolo pippa cocaina e beve caffè per star sveglio, solo così può sostenere le spese della famiglia e delle prostitute. La doccia nelle stazioni di servizio un disgraziato da settanta ore di lavoro settimanali se la fa con l’acqua del lavandino. Con un piede ferma la porta dell’entrata così la gente non può entrare, nel frattempo si tira giù le mutande e si innaffia culo ed uccello per poi terminare ai piani superiori con una spruzzata di sapone di bassa qualità sotto le ascelle. Le mutande una moglie quando torna a casa le guarda. I segni del sapone liquido hanno un peso specifico diverso dal liquido seminale.
La polizia alla vista di queste ragazze che bruciano le loro giornate sotto il sole 16 ore al giorno o fa finta di non vedere o vede ed ingoia con un po’ di dispiacere. Ingoiano pillole amare i padri di famiglia che sono ancora sensibili alla responsabilità genitoriale ed ai sintomi ed agli effetti della crudeltà della vita. Ragazze nude alla merce di sguardi compassionevoli e tristi di ragazze della loro stessa età, pezzi di carne di bambine cresciute e finite male che avevano una madre che le teneva in braccio con tenerezza per anni. Schiave a cielo aperto che vivono con l’unica funzione di esistere come approdo finale per le frustrazioni disumane di alcuni bipedi libidinosi ed incontrollabili.
I bambini attraversano questa landa affollata di speranza senza dubitare mai della bontà di quello che scorgono dal finestrino. Per loro quei signori a cui fanno ciao ciao con la manina sono delle simpatiche comparse nel loro universo senza colpe e colpevoli. Più avanti nell’esistenza gli sguardi si faranno sempre più attenti e scettici. A volte, proprio per via di quella magia nera che vive sulle coste della Pontina, i compagni di carreggiata si trasformano in delinquenti a bordo dei loro potenti e disgraziati veicoli. Questi avanzi di galera che vivono di espedienti sono sempre i primi a lanciarsi con prepotenza oltre i limiti della velocità consentita. Hanno fretta di dimostrare al mondo la loro imperizia alla guida, hanno un desiderio inconscio di correre verso la morte.In questa folle corsa si trascinano dietro le vite di innocenti ragazzi da poco maggiorenni. La vita davanti non è per tutti, ma per i molti che non incontrano sulla loro strada questi cannibali.
Il traffico è rumoroso e stordisce i pensieri già confusi di un gruppo di anziani stretti nell’abitacolo come un cartoccio di pesce fritto. Il mare è a pochi chilometri ma la viabilità è quella di Pechino nei giorni più caotici. Il fumo dato dall’asfalto fuso che evapora compromette la visibilità anche degli autisti più scrupolosi. Le autovetture costose sprofondano in enormi crateri. Borbottano ma proseguono perché estremamente fedeli ai lori padroni danarosi. Quando il buio stende la sua coperta sulla Pontina aumentano i rischi per i braccianti di colore in nero. Nessun autista si è mai fermato a prestare soccorso quando un uomo vestito di pelle nera gridava aiuto. Ogni conducente di un veicolo a quattro ruote ha un suo personale credo stradale ed un suo immaginifico dispensario di leggi per lui vigenti. Per il ferimento e l’investimento di un bracciante indiano sikh per i meno colti ed umani non ci sarà motivo di preoccuparsi perché per loro il reato di omicidio stradale o di omissione di soccorso non è applicabile a coloro che per via del colore della loro pelle si possono non vedere. Soccorrerli non è necessario perché di sicuro qualche loro amico di pari casta li trasporterà sulla canna della sua bici dalle ruote sgonfie verso la casa di qualche santone guaritore. Questi con la sola imposizione delle mani ed attraverso la somministrazione di qualche strano intruglio guarirà le gambe maciullate di quell’uomo.
Casali abbandonati e rifiuti organici di ogni genere fanno da panorama lungo il percorso. Se avvicini l’orecchio ed origli nell’abitacolo di qualche ricco intellettuale con villa sul mare, sentirai l’ipocrisia urlare forte. La politica di Ponzio Pilato unita ad un sorriso sarcastico è la farina che impasta il loro prodotto di falsità finale. Cognomi altisonanti li fanno sentire comodi nei loro abitacoli di lusso dai comandi automatici. Pensano solo a tapparsi il naso ed a pronunciare a beneficio degli amici retoriche frasi di circostanza ad effetto. In gran segreto pensano che loro voleranno sempre alti sopra il degrado di ogni tipo e maniera e che accanto a quel ricettacolo di malessere non ci vivranno mai. Quando la carreggiata si restringe si assiste ad un proliferare di spaventosi incidenti stradali. La Pontina buca alcune piccole città della provincia laziale lasciandogli ferite ovunque. I segnali stradali presenti appartengono al dopo guerra e tanta trascuratezza non solo confonde ma deprime nonostante la potenziale bellezza dei luoghi. Dal passato della zona vengano storie importanti, degne di essere ricordate in maniera diversa. Gli esercizi commerciali a conduzione famigliare, con tanto di nonna sulla sedia della cassa con cagnolino malato in braccio, si arrabattano ancora con la vendita di prodotti locali genuini e di frutti della terra mentre accanto a loro crescono dei mostri di cemento che presto inghiottiranno tutto, compreso la nonna.
A giudicare dalla disposizione geografica delle prostitute, in prossimità dei paesi più piccoli, gli sfruttatori applicano criteri meno severi di sfruttamento. Le schiave sono sedute all’ombra su di una specie di sgabello dai colori sgargianti. Le stazioni di servizio sono solite ospitare per qualche minuto ogni giorno semplici disgrazie famigliari. Non è raro vedere delle donne che apostrofano i propri figli con un linguaggio scurrile e violento solo perché hanno commesso qualche sciocchezza. Alcune ragazze tatuate e dal muso indurito dalla vita, hanno lo sguardo basso di chi ha preso di recente dei cazzotti in faccia. Non se le sono meritati in alcun modo. L’unica colpa è stata la scelta originale del proprio compagno di vita. I banchisti del caffè della stazione di servizio più gettonata della zona, hanno appena subito un ricatto dal proprietario dell’esercizio commerciale. Se non ci fossero le telecamere sputerebbero sopra ogni singolo alimento in esposizione ed in vendita. Lo stipendio serve per arrivare più in là nella vita ed a pagare qualcosa per i figli. Dove andranno se si ergeranno ad eroi sindacalisti? Non ci sarà nessun eroe in quel bar della stazione di servizio. Tutta l’umanità sulla pontina sembra cercare questa uscita di sicurezza verso il mare e verso la vita.
Alcuni la imboccano con leggerezza, altri perseverano al volante in uno stato di assuefazione del male a cavallo di questa lunga lingua di fuoco d’asfalto.
Ho avuto la fortuna di viaggiare con mia madre hostess per non stupirmi ogni volta di come siamo tutti cittadini di un mondo diverso,disunito,ma con i stessi connotati. Conoscere lingue diverse e poter scegliere di studiare il cinema e le arti senza seguire un percorso di studi tradizionale (forse piu’utile ai fini pratici) mi ha portato verso la scrittura con naturalezza e coscienza.Vincere premi letterari non mi ha legittimato a scrivere ma mi ha fatto capire che non solo il solo a sognare.Ho collaborato con diverse riviste letterarie e di cinema per dire in piccolissima parte la mia. Ho lavorato nel hotel management e vissuto a New York per respirare un aria internazionale ma amo al contempo anche le dimensioni locali ridotte dei paesini italiani.