Chiamate video e audio Arriveranno su X: Elon Musk rivela le nuove funzionalità.


di Redazione Online_

Presto sarà possibile effettuare chiamate video e audio su X (fino a poco tempo fa conosciuta come Twitter).

Le nuove funzionalità in arrivo sulla piattaforma sono state annunciate dal CEO di Twitter Inc., Elon Musk.

“Chiamate video e audio in arrivo su X: saranno disponibili su iOS, Android, Mac e PC; non sarà necessario un numero di telefono. X diventerà un efficace elenco globale di contatti”,

ha annunciato il patron di Tesla sui social media.

Inoltre, Musk ha definito questa combinazione di funzionalità ‘unica’.

Non è un segreto che la sua ambizione sia quella di trasformare la piattaforma in un’applicazione completa, che copra tutto, dall’esperienza tradizionale dei social media ai videogiochi e ai servizi finanziari.

L’annuncio di queste nuove funzionalità coincide con l’uscita della sua biografia nelle librerie, scritta da Walter Isaacson.

Nel libro si parla anche dell’acquisizione del social network e vengono rivelate alcune indiscrezioni.

Ad esempio, emerge la frase che Musk ha detto al CEO dell’epoca, Parag Agrawal, il 31 marzo 2022

‘Quello che Twitter ha bisogno è un drago che sputa fuoco’.

All’epoca, l’ipotesi di acquisto non era ancora ufficialmente sul tavolo: Musk voleva agire dall’esterno per realizzare il suo sogno, cioè creare quel X.com che aveva cercato di realizzare per decenni.

Tuttavia, in pochi giorni, le sue intenzioni sono cambiate, e con esse il destino del social network.





Ottimizza il Tuo Profilo su LinkedIn con ChatGPT per Massimizzare le Opportunità Professionali”


di redazione online_

Nel mondo digitale di oggi, la prima impressione è fondamentale, soprattutto quando si tratta del tuo profilo LinkedIn.

Con soli pochi istanti a disposizione per catturare l’attenzione di chi visita il tuo profilo, è essenziale che esso sia solido e coinvolgente.

Ma sappiamo tutti quanto lavoro possa richiedere, vero? Ecco dove entra in gioco ChatGPT. Questo strumento di intelligenza artificiale (IA) ti è probabilmente già noto grazie a menzioni da amici, media e social media. Sebbene le migliorie nell’ambito dell’IA, in particolare con ChatGPT, siano incredibilmente affascinanti, molte persone possono ancora sentirsi incerte riguardo a cosa sia esattamente, se sia sicuro da utilizzare e se possa davvero essere utile.

Non preoccuparti, siamo qui per darti una mano! In questo articolo, esploreremo dettagliatamente ChatGPT, valutando se sia adatto per te come professionista e come puoi sfruttarlo al meglio (e sì, puoi usarlo per LinkedIn!).

Vantaggi di ChatGPT per LinkedIn e la Tua Carriera

Se sei un professionista in un’azienda, tu o la tua azienda state probabilmente considerando le potenziali applicazioni di ChatGPT per semplificare le operazioni quotidiane.

Questa tecnologia può automatizzare molte attività noiose in modo rapido ed accurato, rendendo le tue giornate più efficienti.

Se lavori nel settore delle connessioni professionali, ci sono molteplici modi in cui puoi sfruttare ChatGPT senza sforzi eccessivi. Ad esempio, potresti risparmiare tempo utilizzandolo nella ricerca di lavoro per scrivere obiettivi nel tuo curriculum, sintetizzare un riepilogo professionale, o redigere testi per il tuo portfolio o sito web.

Potresti addirittura contare su ChatGPT per aiutarti a comporre la tua lettera di presentazione o per prepararti per un colloquio. In questo modo, potresti dedicare meno tempo a compiti ripetitivi e lunghe descrizioni, e invece focalizzarti su attività più strategiche.

LinkedIn: Il Terreno di Gioco Perfetto per ChatGPT

Con oltre 875 milioni di profili professionali, LinkedIn offre un’enorme opportunità di connessione e di sviluppo delle tue prospettive future. Tutto, dalla ricerca di lavoro alla costruzione del tuo brand personale, è alla portata grazie a questa piattaforma. E se hai già esperienza con LinkedIn, probabilmente hai notato quanto possa essere impegnativo mantenere un profilo ottimizzato e aggiornato nel tempo.

Proprio qui, ChatGPT può darti una mano.

LinkedIn rappresenta la scelta perfetta per prendere confidenza con ChatGPT come professionista. È facilmente accessibile ed è efficacissimo per ottenere risultati positivi. Puoi sperimentare senza dover chiedere revisioni ad altri, sia che si tratti di revisori aziendali, colleghi o esperti tecnici.

Come Utilizzare ChatGPT su LinkedIn Ecco alcune modalità concrete per utilizzare ChatGPT per migliorare il tuo profilo LinkedIn:

  1. Sintetizzare la Sezione “About me”: Utilizza ChatGPT per creare una bozza della sezione “About me” utilizzando il contenuto del tuo curriculum. Dopo aver ricevuto la risposta, personalizzala per renderla autentica e coerente con la tua personalità.
  2. Evidenziare i Tuoi Successi: Richiedi a ChatGPT di scrivere i successi relativi al tuo curriculum, ad esempio quelli di un Senior Marketing Manager. Personalizza i risultati ottenuti e trasferiscili nel tuo profilo LinkedIn.
  3. Creare un Titolo Coinvolgente: Chiedi a ChatGPT di creare un titolo per il tuo profilo LinkedIn. Puoi anche specificare uno stile di scrittura o termini chiave da includere. L’obiettivo è catturare l’attenzione dei visitatori con un breve, ma efficace, titolo.
  4. Messaggi di LinkedIn: Utilizza ChatGPT per scrivere messaggi di follow-up o di ringraziamento a nuove connessioni. Personalizza il contenuto generato per assicurarti che rispecchi te stesso e i tuoi obiettivi.

Assicurati che il Tuo Profilo Sia Ottimizzato Prima di applicare le modifiche suggerite da ChatGPT al tuo profilo LinkedIn, ti consigliamo di utilizzare lo strumento gratuito LinkedIn Profile Review. Questo strumento ti fornirà feedback personalizzati sul tuo profilo e suggerimenti su come migliorarlo ulteriormente. Una volta identificate le aree che necessitano di miglioramenti, puoi sfruttare ChatGPT per ottimizzare il tuo profilo in modo mirato.

Conclusione: sfruttaa le Opportunità con ChatGPT Avere un profilo LinkedIn ottimizzato può aprire porte a nuove opportunità e connessioni. E con gli strumenti giusti a disposizione, puoi fare tutto questo in modo più efficiente ed efficace. Sia che tu sia un professionista alla ricerca di nuove sfide o che desideri migliorare la tua presenza online, ChatGPT è davvero molto utile.

Nota: Mentre ChatGPT offre notevoli vantaggi, è importante ricordare che è ancora una tecnologia in evoluzione. Assicurati di rivedere e personalizzare il contenuto generato per garantire che rispecchi te stesso e le tue intenzioni. Consulta sempre l’informativa sulla privacy dell’azienda per comprendere come i dati vengono utilizzati.

Lettura Consigliata Se vuoi approfondire l’argomento, ti consigliamo di dare un’occhiata agli articoli che trovi facilmente in rete su ChatGPT e su come utilizzarlo al meglio per migliorare la tua presenza professionale online.




Il potere del ‘no’: Come dire di no può migliorare la produttività e il successo.


di Redazione Online_

Imparare  a dire di no è un potente strumento per migliorare la produttività e concentrarsi su ciò che conta davvero nella vita e nel proprio lavoro.

Non solo è una competenza essenziale, ma diventa ancor più importante man mano che il successo e le responsabilità aumentano.

“Non c’è riunione più veloce di quella che non si tiene affatto”

Questa frase rende bene l’idea.

Ma ciò non vuol dire che non dovreste mai partecipare a una riunione, ma la verità è che diciamo di sì a molte cose che in realtà non vogliamo fare (non è forse vero che ci sono molte riunioni che non devono essere tenute?).

Ecco di seguito una sintesi dei punti chiave del ragionamento:

  1. Il trucco definitivo per aumentare la produttività è dire di no. Non fare qualcosa sarà sempre più veloce che farla.
  2. Molte volte diciamo di sì a cose che non vogliamo fare solo per evitare di sembrare scortesi o poco disponibili.
  3. Dire di no è un’abilità importante da sviluppare, poiché ci permette di risparmiare tempo e concentrarci su ciò che è veramente significativo per i nostri obiettivi.
  4. Il no è una decisione, mentre il sì è una responsabilità. Quando dici di no, mantieni la libertà di scegliere come utilizzare il tuo tempo in futuro.
  5. Anche se può essere difficile dire di no a persone care o colleghi, è importante imparare a farlo in modo gentile e diretto.
  6. Steve Jobs è un esempio di come dire di no sia cruciale per mantenere il focus e raggiungere il successo. “La gente pensa che concentrarsi significhi dire sì alla cosa su cui ci si deve concentrare. Ma non è affatto così. Significa dire no a centinaia di altre buone idee che ci sono. Bisogna scegliere con attenzione”.
  7. Dire di no è una strategia che può essere utile in qualsiasi fase della carriera, e con il tempo, diventa ancora più importante per proteggere il tuo tempo e concentrarti sulle opportunità migliori.
  8. Per migliorare la tua capacità di dire di no, chiediti se un’opportunità ti entusiasma abbastanza da abbandonare ciò che stai facendo al momento. 
  9. Eliminare le cose che non sono importanti è più utile dell’ottimizzare le attività. Un “no” ben detto può essere più potente di un “sì”.
  10. Con il tempo, devi aumentare il livello di rigore nei confronti delle opportunità, dire di no anche a cose che un tempo consideravi valide, per fare spazio a opportunità ancora migliori.

Questo articolo è dedicato ad una mia cara amica di Palermo, incapace di dire “No”, soprattutto a se stessa.

ADL




La leadership è una questione di scelta.


di Giovanna Marrai_

La leadership è un’abilità complessa che richiede una varietà di competenze. È l’abilità di guidare e motivare gli altri verso un obiettivo comune. I leader sono in grado di ispirare gli altri, prendere decisioni difficili e creare un ambiente positivo in cui le persone possono lavorare al meglio.

Esistono molti stili di leadership diversi. Alcuni leader sono più autoritari, mentre altri sono più democratici. Non esiste un unico stile di leadership migliore, poiché il migliore stile dipenderà dalla situazione specifica.

Ecco alcuni dei tratti più importanti di un buon leader:

  • Visione: i leader hanno una visione chiara del futuro e sono in grado di comunicarla agli altri.
  • Motivazione: i leader sono in grado di motivare gli altri a raggiungere gli obiettivi comuni.
  • Decisione: i leader sono in grado di prendere decisioni difficili anche quando non sono popolari.
  • Comunicazione: i leader sono in grado di comunicare in modo chiaro ed efficace con gli altri.
  • Costruttore di relazioni: i leader sono in grado di costruire relazioni forti con gli altri.
  • Flessibile: i leader sono in grado di adattarsi a situazioni in continua evoluzione.

Se vuoi diventare un leader, è importante sviluppare queste competenze. Ci sono molti modi per farlo, ad esempio attraverso la formazione, la pratica e l’esperienza.

Ecco alcuni suggerimenti per diventare un leader:

  • Sviluppa una forte visione: cosa vuoi ottenere? Cosa vuoi cambiare? Una volta che hai una forte visione, sarai in grado di motivarti e motivare gli altri a raggiungerla.
  • Sii un modello per gli altri: i leader sono un esempio per gli altri. Assicurati di comportarti in modo coerente con i tuoi valori e le tue convinzioni.
  • Sii un ascoltatore attivo: i leader sono in grado di ascoltare gli altri e comprendere i loro punti di vista. Questo è importante per costruire relazioni e creare consenso.
  • Sii inclusivo: i leader sono in grado di coinvolgere tutti, indipendentemente da background o esperienze. Questo è importante per creare un ambiente positivo in cui tutti si sentano apprezzati e valorizzati.
  • Sii coraggioso: i leader sono in grado di prendere decisioni difficili anche quando non sono popolari. Questo è importante per raggiungere gli obiettivi comuni.

La leadership è una sfida, ma è anche un’opportunità. I leader hanno la possibilità di cambiare il mondo e di avere un impatto positivo sulla vita degli altri. Se hai la passione per la leadership, non esitare a sviluppare le tue competenze e diventare un leader.


  • Giovanna Marrai  è una consulente di leadership che lavora con aziende di tutte le dimensioni per sviluppare e migliorare le loro capacità di leadership. È un’esperta di diversi stili di leadership, e aiuta i suoi clienti a trovare lo stile che funziona meglio per loro.



“L’Equilibrio delle Azioni: come le nostre scelte definiscono il nostro futuro”


di Alessia Montalto_

Il Karma è una legge universale in cui ogni azione ha una reazione corrispondente.

Newton lo sapeva bene quando disse: “ad ogni azione corrisponde anche una reazione uguale o contraria.”

Secondo questa logica, le azioni umane generano energia positiva o negativa, che poi ritorna alla fonte di partenza.

Le azioni negative, purtroppo, hanno un impatto maggiore e richiedono maggiori sforzi per essere bilanciate da azioni positive.

Il concetto di Karma, presente anche nella filosofia indiana, implica che ogni nostro comportamento o pensiero ha delle conseguenze e contribuisce a creare equilibrio o disequilibrio nelle nostre vite.

Il ciclo delle rinascite, noto come Samsara, è una manifestazione di questo processo di riequilibrio.

Per agire secondo il principio del Karma, dobbiamo agire spontaneamente e empaticamente verso gli altri, senza misurare in modo egoistico gli effetti delle nostre azioni.

Questo ci permette di bilanciare continuamente il nostro karma e vivere in uno stato di grazia, orientato verso gratificazioni interiori ed umane, anziché seguire logiche competitive e materialistiche.

Riflettiamo sulla nostra sensibilità verso gli altri, evitando azioni negative e cercando di contribuire positivamente alla nostra vita e quella delle persone con le quali condividiamo il nostro tempo.

Solo così possiamo creare un’energia benefica e influenzare positivamente il nostro destino.




“Barbie di Greta Gerwig: Un Manifesto Femminista Con Sfumature di Rosa”


di Redazione Online_

Barbie di Greta Gerwig è finalmente arrivato al cinema a partire dal 20 luglio, colorando il mondo di rosa e suscitando grande interesse, meme e una vasta campagna pubblicitaria.

Ora, vale la pena affrontare questa osannata pellicola dopo tutta questa attesa?

Se siete appassionati della celebre bambola, probabilmente sì. Tuttavia, se vi aspettate una commedia spensierata e divertente, potreste rimanere delusi, forse anche un po’ arrabbiati.

La sceneggiatura, creata da Greta Gerwig e Noah Baumbach, moglie e marito, è piena di amore per i dettagli, generando situazioni paradossali e battute perfette per diventare virali.

Gli attori, sia i protagonisti Margot Robbie (Barbie) e Ryan Gosling (Ken), sia i comprimari come Allan (interpretato da Michael Cera) e Gloria (interpretata da America Ferrera), offrono delle interpretazioni magistrali.

Tuttavia, ciò che potrebbe essere problematico è la satira sociale che permea l’intero film. Scherzando si può dire tutto, anche la verità, ma nutriamo qualche dubbio sul fatto che il mondo sarebbe migliore senza gli uomini.

Questa fragilità sottostante permea l’intera narrazione.

Barbie è un film in cui gli uomini sono rappresentati come i villain, non perché commettano azioni malvagie oggettivamente, ma semplicemente perché sono uomini. Nel “perfetto” mondo di Barbieland, tutti i Ken (chiamati tutti con lo stesso nome, ovvero Ken) sono considerati degli imbecilli buoni a nulla.

All’inizio, questa rappresentazione può risultare divertente, ma a lungo andare diventa stancante.

Mentre Barbie ricopre ruoli come presidente, medico, netturbina, astronauta e vincitrice di un Premio Nobel, Ken si riduce alla semplice definizione di “spiaggia”, credendo persino che sia un lavoro. Ken è solo muscoli, birra e risse, non sa fare altro. Non ha nemmeno una casa, o se l’ha, nessuno ha mai pensato a dove possa abitare. È praticamente insignificante.

D’altro canto, tra le Barbie, il supporto reciproco è sempre al massimo livello.

Fatta eccezione per Barbie Stramba, che ha perso la sua bellezza a causa di un passato difficile, e Barbie incinta, considerata una sorta di paria da tutte a causa della sua pancia.

Quando la bravissima Margot Robbie, nei panni di Barbie Stereotipo, si trova a fronteggiare una crisi di nervi insospettabile nonostante la sua vita apparentemente perfetta, è costretta a fare un viaggio nel mondo reale insieme a Ken, che la corteggia da sempre e lei tratta con nonchalance e sorrisi sublimi.

Nel mondo reale, entrambi si confrontano con il patriarcato. Questa esperienza è una pessima notizia per lei, ma per lui è un risveglio dell’anima, finalmente capisce di poter essere qualcosa di più, o addirittura di poter comandare.

Con l’aiuto di due donne umane, una madre e sua figlia, Barbie torna nel suo universo con un forte mal di testa e si trova costretta ad affrontare il temibile “patriarcato”.

Ne scaturisce una guerra tra maschi e femmine, in cui i primi sono rappresentati come stupidi e le seconde come estremamente intelligenti, per natura. Non c’è animosità né rivalità tra le donne, che siano bambole o umane, si sostengono sempre a vicenda.

Non vedremo mai attriti tra Barbie veterinaria e Barbie surfista californiana, perché il vero nemico è l’uomo.

Il messaggio del film, al di là della trama, sembra essere: aspirate a essere “donne ordinarie, felici di arrivare a fine giornata, possibilmente da sole e senza la zavorra di un Ken tra i piedi”.

Barbie va oltre l’esagerazione tipica della satira e promuove la grande, grandissima solitudine come unico modello di vita vincente.

Questa solitudine estrema, quasi aggressiva, mira a sopprimere qualsiasi relazione sentimentale in nome di un bene più grande: combattere il patriarcato.

E per farlo, bisogna combattere contro tutti gli uomini, illuderli, ingannarli e considerarli poco più che accessori decorativi, spesso fastidiosi e pacchiani, poiché, anche se non se ne rendono conto, sono solo degli inutili imbecilli.

Sia Barbie che Ken cercano il proprio posto nel mondo, uno scopo che li faccia sentire completi. Sarebbe stato bello, e anche utile, se entrambi si fossero aiutati a comprendere quale potesse essere la loro strada, partendo dalla stessa situazione iniziale: entrambi sono bambole, non umani.

Invece, Ken è condannato e Barbie è eletta regina, per nascita.

Barbie rappresenta un manifesto femminista distorto, con l’aggiunta di glitter, battute e canzoncine catchy.

Se cercate di spegnere il cervello per due ore, allora Barbie è sicuramente il film adatto a voi.

Che il “pinkwashing” vi accompagni lieve.




Parole o immagini? L’eterna tenzone!

di Christian Lezzi_

Se siano più importanti le parole, o le immagini, è un quesito che infiamma le discussioni e anima le speculazioni filosofiche, fin dalla notte dei tempi. La domanda è semplice, quasi banale nella sua linearità. Ciò che è complicato è cogitare una risposta che sia possibile argomentare, sostenere, difendere, perché sia accettabile oltre la mera elaborazione soggettiva del concetto.

Nel novero dei sistemi rappresentazionali dell’umana psiche (di cui non tratteremo in questa sede) si dice spesso che l’uomo – inteso come specie, non come genere sessuale, con buona pace del politically correct che tutto incattivisce e complica – sia prevalentemente visuale, elaborando i concetti per associazione d’immagini, prima ancora che per parole e pensieri. Vero, ma solo in parte e solo in funzione stringente del contesto e del proprio stato d’animo (a seconda quindi del metaprogramma in uso in un determinato momento, ma nemmeno di questo parleremo in questa sede). Ne consegue il detto “Un’immagine vale più di mille parole”. Un motto popolare che non spiega in funzione di cosa e secondo chi, ma soprattutto perché, ciò dovrebbe essere accettato come postulato di verità.

Con il termine metaprogramma ci si riferisce ad un filtro mentale che determina una risposta ad uno stimolo di tipo automatico e abitudinario. I metaprogrammi sono programmi dei programmi, o come direbbe Bandler sono mappe delle mappe.

Messa in questi termini, la questione sembra complicata, nella sua complessa struttura e nell’analisi di un concetto interrogativo che, proprio come la vita stessa, non è mai del tutto facile. In realtà è più semplice di quanto apparentemente appaia.

Quindi, potere alle parole o alle immagini?

Personalmente ho sempre liquidato la questione con un ragionamento che, seppur tra mille e uno tentativi di contro-argomentazione, resta in linea di massima inattaccabile, almeno a rigor di logica. Penso infatti, da sempre, che siano più importanti le parole, se davvero d’importanza vogliamo parlare, in un’ipotetica gerarchia valoriale che le vede avverse alle immagini. Laddove le parole possono far scaturire, nella nostra fantasia potenzialmente infinita, altrettanto infinite immagini, queste ultime possono, per evidenti motivi, far scaturire, a loro volta, un numero finito di parole. Perché se la fantasia è infinita, il linguaggio è finito, nel senso che ai vocaboli che lo compongono, può essere attribuita una dimensione numerica. Quindi, le parole possono essere contate, le immagini fantastiche no.

Di conseguenza, ciò che può evocare l’infinito ha, indiscutibilmente, più valore e potenza di ciò che evoca qualcosa di numericamente finito e quantificabile.

E’ proprio come quando leggiamo un libro e la scena viene dipinta dalla nostra fantasia, evocata dalla sequenza di parole lette. Al contrario, guardando il film tratto da quella stessa storia, la potenza immaginifica è di molto inferiore, nonostante la musica, le luci e gli effetti speciali. Perché è immagine, fantasia non proprietaria, imposta e non elaborata. Nulla a confronto dell’infinita nostra fantasia, quando a darle vita sono le descrizioni fatte di parole.

Gioco, set, partita!

Ma proviamo a guardare la questione da un’altra angolazione, decisamente più interessante, a rischio di andare fuori tema. Nel novero delle parole – più importanti delle immagini, come appena argomentato e dimostrato – può l’ordine, con le quali sono esse espresse, cambiare il risultato di ciò che comunichiamo?

Secondo la proprietà commutativa (una delle più usate in aritmetica) al mutare dell’ordine dei fattori, nelle addizioni e nelle moltiplicazioni, il risultato resta invariato. Ma accade lo stesso con le parole e con le immagini, che inevitabilmente esse evocano? Davvero mutando l’ordine delle parole e dei concetti espressi, il risultato resta identico?

Giorni fa leggevo un’interessante intervista rilasciata dall’artista Maurizio Cattelan (quello del dito medio in piazza degli affari a Milano) nella quale l’artista rispondeva, alla classica e un po’ banale domanda “come siamo messi a rapporti interpersonali?”, con un altrettanto banale e scontato, quasi abitudinario “pochi ma buoni”. Ed ecco che, la magia delle sfumature tra le parole prende forma, nel momento esatto in cui l’artista rigira all’intervistatore, per pura cortesia (immagino), la stessa domanda, ottenendo in risposta un ben più interessante “buoni ma pochi”.

MAURIZIO CATTELAN_ L.O.V.E._Piazza Affari_Milano_ Immagine presa dal web_tanks to MILANO TODAY

Certo, il concetto, al lettore frettoloso e superficiale appare lo stesso, perfettamente identico, soprattutto se applichiamo la proprietà commutativa, trasferendola dall’aritmetica alle parole, cambiandone quindi l’ordine, ma lasciando invariato il significato.

Ne siamo proprio sicuri? Siamo davvero certi che “pochi ma buoni” sia lo stesso identico concetto espresso dal suo opposto “buoni ma pochi”?

Probabilmente si, o forse no… ogni argomentazione è valida e gode di uguale dignità, se ci fermiamo al mero significato letterale delle parole che delineano in concetto. Ma, andiamo oltre, superiamo la superficie e tagliamo la tela (ricordando Lucio Fontana), superando il limite spaziale del supporto, in una dimensione metafisica alternativa, che conferisca un corpus nuovo al concetto espresso e che, grazie all’ordine delle parole, ne muti il significato trasmesso e percepito.


Lucio Fontana_Concetto spaziale_Attesa_1965

È una questione di assetto mentale, di punto d’osservazione, di prospettiva. 

Il risultato, distillato dal concetto espresso, muta la sua sostanza a seconda dell’attenzione, del focus direbbero oltre oceano, che poniamo alla prima o alla seconda parola, se sia il “poco” al centro della nostra attenzione, quindi prioritario espressivamente parlando, o se al centro ci finisca il “buono”, illuminato all’improvviso dalle luci della ribalta. Perché loro, le parole, dipendono dal contesto nel quale sono espresse, da esso attingono forma, sostanza, colore e peso, quel peso che, astratta la parola dal contesto, diventa non quantificabile e, spesso, irrilevante.

Definire i propri rapporti interpersonali “Pochi, ma buoni” conferisce un peso e una sostanza, una tangibilità al concetto di scarsità, relegando a quello di qualità un ruolo secondario d’illusoria consolazione. Una rassegnazione che, in forma lapidaria, chiude la questione, non avendo altro da aggiungere al concetto che, per sua stessa struttura, esclude sviluppi narrativi.

Definirli, per contro “buoni, ma pochi”, pone al contrario l’accento sulla qualità dei rapporti, definendoli buoni prima d’ogni altra accezione. Solo in seconda analisi, a titolo quasi autocritico, in un impeto di desiderio d’allargare questa cerchia relazionale, essi vengono definiti “pochi”, lasciando cadere così ogni rassegnata o consolatoria connotazione d’immobilità, per muovere l’istinto umano di socializzazione.

Perché definirsi “poveri ma felici”, per godere di un altro esempio, è un concetto lontano anni luce dal suo omologo “felici ma poveri”, apparentemente uguali, ma intimamente diversi, opposti, antagonisti.

Pirandello ha scritto: “Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”.

Spesso attribuiamo troppo peso alle parole, un peso che non è proprio, o specifico, bensì relativo, dedotto dal quel contesto, all’interno del quale, la parola viene espressa, da cui attinge significato, oggettivo o soggettivo ch’esso sia. Un peso che, a livello percettivo (quasi fosse il gusto nell’assaporare quei concetti) varia a seconda dell’ordine con il quale, questi sapori, vengono inseriti nel gusto finale.

Allo stesso modo conferiamo un significato tutto nostro alle immagini, rendendole soggettive, attribuendo loro una volgarità che, senza la corretta analisi del contesto espressivo, è solo nella nostra testa. Come nel caso del dito di Cattelan, appunto. Anche un gigantesco dito medio di marmo, seppur volgare in apparenza, una volta contestualizzato, assume ben altro, alto e nobile significato. 

Ci fermiamo alla parola, o alla singola immagine, senza analizzare il quadro d’insieme e la scena nella sua interezza. Ma non degniamo d’importanza le sfumature che mutano lo scenario e donano valenza alla frase, al concetto, al pensiero e alle parole, alla potenza pittorico-espressiva che esse veicolano, tra luci e ombre, tra fantasia e realtà.

E in fatto di sfumature e dettagli, le parole ne sanno una più del diavolo e delle infinite immagini che possono evocare.


Note sull’autore_

Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano. Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




Il mito della Torre rivisto attraverso le opere di Celestino Russo

https://www.exibart.com/evento-arte/celestino-russo-babel

di Massimo Biecher

Il testo che segue è stato scritto a seguito della visita della galleria d’arte di Lorenzo Vatalaro sita in zona Brera Milano che esponeva delle opere dell’artista Celestino Russo.
Le emozioni in noi evocate sono poi passate attraverso al setaccio del metodo che abbiamo sviluppato per ri-analizzare i miti dell’antica Grecia.

Il risultato della nostra riflessione intorno al significato simbolico del mito della torre è riassunto nel seguente scritto.

Introduzione

Il mito che ha a che fare con le torri è un mito antichissimo e a noi, che apparteniamo alla cultura occidentale, richiamano in primis le torri campanarie.
Il simbolismo ad esse collegato rimanda al desiderio dell’uomo, o per lo meno di alcuni di essi, a voler ri-collegare il cielo con la terra. Ricordiamo che il sostantivo religione, deriva dal verbo latino religere, dove “re” è un prefisso che significa la ripetizione di un’azione e dal verbo ”lĭgo, lĭgas, ligavi, ligatum, lĭgāre” che vuol dire “legare”, “unire”, “congiungere”, “riunire”.
La torre più famosa di tutte è la torre di Babele che però nei secoli è stata associata all’arroganza dell’uomo, il quale, invece di mettersi in contatto con il creatore, cerca di porsi al suo stesso livello.
Le opere di Celestino Russo pur rifacendosi a questi concetti, suscitano anche altre immagini interiori.
Abbiamo pertanto deciso di osservare queste opere con gli occhi del cuore così come ci invitava a fare il Michelangelo Buonarroti (1475-1564) che nel verso 49 delle Rime:

« Amor, la tuo beltà non è mortale: nessun volto fra noi è che pareggi, l’immagine del cor, che ‘nfiammi e reggi, con altro foco e muovi con altr’ale ».

alludeva ad un particolare tipo di percezione il quale, non arrestandosi all’aspetto esteriore e formale delle cose e delle persone, giunge, tramite il cuore inteso come organo psicologico preposto al riconoscimento delle emozioni, alla cosiddetta φύσις – physys, ovvero alla natura intrinseca, alla qualità innata o all’essenza particolare presente all’interno di ciascuna di esse.

Sarebbero le forme esteriori che scatenano associazioni libere di idee le quali a loro volta, rimandano ad altre immagini per analogia o per sympatheia συμπάθεια (da “σύν” – assieme, con e da πάθος – “sofferenza”, “patimento”, “passione” ma soprattutto “esperienza”, “emozione”, “ciò che si prova”) suscitando altre sensazioni.

alludeva ad un particolare tipo di percezione il quale, non arrestandosi all’aspetto esteriore e formale delle cose e delle persone, giunge, tramite il cuore inteso come organo psicologico preposto al riconoscimento delle emozioni, alla cosiddetta φύσις – physys, ovvero alla natura intrinseca, alla qualità innata o all’essenza particolare presente all’interno di ciascuna di esse.

Sarebbero le forme esteriori che scatenano associazioni libere di idee le quali a loro volta, rimandano ad altre immagini per analogia o per sympatheia συμπάθεια (da “σύν” – assieme, con e da πάθος – “sofferenza”, “patimento”, “passione” ma soprattutto “esperienza”, “emozione”, “ciò che si prova”) suscitando altre sensazioni.

Premessa all’analisi

Prima di analizzare le opere di Celestino Russo sentiamo il bisogno di soffermarci sul significato della torre in sé. Che cosa è la torre? Quali immagini suscita ? A cosa rimanda per similitudine e corrispondenza ?
Come abbiamo accennato nell’introduzione, la torre è qualcosa che avvicina, è una sorta di ponte verticale che ha l’ambizione di collegare non tanto terre o nazioni diverse ma mondi o dimensioni diverse.

Ma quali mondi in particolare ?
Per scoprire ciò, anche in questo caso, abbiamo deciso di applicare lo stesso metodo di indagine che adoperiamo per la pubblicazione degli articoli che hanno per protagonisti i miti dell’antica Grecia nei quali, invece di soffermarci sulle vicende che afferivano ad una religione politeista ormai estinta, in accordo con il modello della psicologia archetipica di James Hillman vi troviamo la metafora del mondo della psyche, delle emozioni e dei sentimenti rappresentati per mezzo di storie che ricordano più i sogni notturni che descrizioni di eventi dotati di senso compiuto.
Per comprendere gli archetipi incarnati dalla torre siamo partiti con la ricerca etimologica del sostantivo come veniva pronunciato in greco antico per vedere successivamente se esso fosse in grado di evocare da un punto di vista immaginale negli antichi e a noi ai giorni nostri, a livello inconscio, particolari significati.

Etimologia del sostantivo torre
La parola «torre» in greco antico si scriveva πύργος – pyrgos che derivava dal verbo πυργόω – pyrgoo che significa “munire di torri”, “fortificare”, ma anche “ingrandire”, “esagerare” ed addirittura “magnificare” ed “esaltare”, ma anche “essere altero”.
Da questi primi indizi è più facile comprendere perché alla torre venga associata l’arroganza di chi cerca di elevarsi, esaltarsi, di chi esagera.
Ma tra i significati che rinveniamo nei vocabolari consultati, abbiamo trovato anche “andare a testa alta”, “alzarsi in piedi” e “raddrizzarsi”.

Questi ultimi due in particolare, non suggeriscono a nostro avviso tanto la sfacciataggine di un superbo, quanto piuttosto sembrano riferirsi a colui che conscio di sé, dei propri pregi e difetti, affronta la vita “a testa alta“. Interessante anche il fatto che la preposizione περί – peri, significa “rotatoria”, “rotondo” e “tondeggiante” e “smussato” che rimandano proprio alla forma delle torri del Russo.


Non siamo in grado di affermarlo con certezza, ma è possibile che l’artista scolpendo e dando forma alle sue creazioni possa essersi lasciato inconsciamente guidare dal significato intrinseco del termine, dall’essenza che sta dietro alla torre in sé.
In altre parole avrebbe praticato quella che per gli antichi greci era la τέχνη – tekné, ovvero l’arte, l’abilità di rappresentare sia l’oggetto che la sostanza andando al di là di ciò che è visibile agli occhi.

Originalità delle rappresentazioni di Celestino Russo

Che cosa ha attratto in particolare la nostra curiosità ?
Il fatto che oltre ad esservi delle torri che puntano verso l’alto, ve ne sono alcune che sembrano spingersi verso il basso. Il che ci ha portati ad immaginare un cammino in discesa, verso le profondità dell’anima, dove è possibile fare conoscenza profonda di noi stessi.
Inoltre i pezzi forgiati dall’interno ci fanno pensare al cammino sempre lento e tortuoso che il ricercatore di sé deve compiere quando va alla ricerca del proprio contenuto rimosso, senza sapere cosa troverà e quanto in fondo si spingerà nella sua ricerca.

Così come alcune sculture che appaiono incomplete, che ci ricordano chi inizia il proprio cammino, in questo caso in salita, e poi, per tutta una serie di motivi, lo interrompe.

A questo punto mossi dallo spirito che aleggia in uno dei motti dello scrittore Saint-Exupéry ossia, « l’essenziale è invisibile agli occhi », ci siamo domandati, non tanto se questo fosse l’intendimento dell’artista, quanto invece, in base ai nostri studi riguardo ai μθοι – mithoi rivisti in chiave psicoanalitica, quale altro significato si celasse dietro alle due categorie di torri. In altre parole, quali sarebbero i significati psicologici che questi simboli incarnerebbero al di là delle più facili e scontate attribuzioni ?

In base agli studi compiuti, derivati dall’analisi di alcune opere artistiche rinascimentali che si erano ispirate alla teologia orfica, che ricordiamo era una forma di religiosità monoteista andata perduta e che circolava tra filosofi e ceti abbienti dell’antica Grecia, nonché dalla rilettura che abbiamo condotto a riguardo del mito di Orfeo ed Euridice, siamo giunti alle seguenti associazioni.

Le torri che salgono


Le torri che sembrano elevarsi incarnerebbero l’archetipo di quel ponte tra mondi, quello che Marsilio Ficino definì l’Anima Mundi.

«L’Anima [mundi] – ψυχή, si può chiamare il centro della Natura, l’intermediaria di tutte le cose, la catena del mondo, il volto del tutto, il nodo e la “copula mundi».
Tratto da: «Theologia platonica», III, 2, traduzione di Nicola Abbagnano di Marsilio Ficino (1433-1499)

È grazie al Rinascimento che l’Anima cessa di possedere unicamente un significato spirituale e diventa il sinonimo di quella che oggi chiamiamo psyche, termine coniato dal teologo ed umanista Philipp Melanchton che fu amico e consigliere personale di Martin Lutero, ovvero quelle facoltà della mente che riguardano il mondo delle emozioni dei sentimenti.

È tipico di questo periodo, la ri-traduzione dei testi dell’antica Grecia, dove la ricerca dei significati dei lemmi all’interno dei vocabolari non avviene più pensando di avere a che fare con storie mitologiche che riguardavano protagonisti leggendari appartenenti ad una religione politeista, bensì con racconti metaforici il cui scopo era di rivolgersi al cuore di ciascuno di noi, ovvero al nostro lato emozionale.
Ma anche la scoperta di nuovi testi antichi che si credevano perduti, portati con sé da intellettuali e uomini

appartenenti alla chiesa ortodossa che parteciparono al concilio di Ferrara Firenze del 1438 1449, il quale riuscì a ricucire temporaneamente lo scisma avvenuto tra la Chiesa occidentale e la Chiesa ortodossa avvenuta nel 1054.

Fatte queste premesse, l’Anima Mundi, secondo il modello dei filosofi neoplatonici che partecipavano alle sessioni di studio che si tenevano presso l’Accademia Neoplatonica di Careggi (FI), andrebbe immaginata come una sorta di contenitore di quegli archetipi che per Platone ed il suo erede Plotino sarebbero a fondamento della creazione sensibile, dove ci sono i prototipi di tutte le anime particolari o individuali e con le quali essa rimane in costante collegamento.

Ma anche gli archetipi di quelle immagini che popolano il mondo interiore dell’uomo e che sarebbero la causa di emozioni e sentimenti primitivi, intensi e profondi, impersonati, all’interno del pantheon degli dei, dalle figure dei Titani.

Ecco che secondo questa chiave di lettura, l’uomo che è proteso verso l’alto non è più l’uomo che con arroganza vuole porsi a livello del creatore (secondo la teogonia orfica infatti l’Uno creatore è ineffabile ed inconoscibile, pertanto il peccato di hybris in questo contesto non è contemplato), bensì è colui che vuole comprendere, per dirla similmente al filosofo neoplatonico Damascio (450 – 532), i principi primi, quelli che gli permettono di comprendere il Tutto, di distinguere la singolarità nella pluralità, di comprendere le leggi che regolano l’animo umano e che quindi influenzano anche la propria.

Marsilio Ficino (1433-1499) ritratto in un affresco del Ghirlandaio che si trova all’interno della chiesa di Santa Maria Novella immagine tratta da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Marsilio_Ficino_-_Angel_Appearing_to_Zacharias_(detail).jpg

Le torri che scendono verso il basso


Le torri che scendono invece, richiamano in noi il racconto del mito di Orfeo ed Euridice, quando il figlio di Eagro e Calliope si reca nell’Ade alla ricerca della propria amata, morta appena dopo il matrimonio.
Notoriamente l’Ade, similmente al Tartaro, viene liquidato, a nostro avviso in maniera semplicistica, come il regno delle tenebre e della morte.

Come, perché e quando entrambi i termini abbiano smarrito il loro significato originario, non è dato sapere, ma se vogliamo interpretare i racconti mitologici in chiave psicologica, dobbiamo andare prima di tutto in cerca del significato che presumibilmente essi evocavano tra gli antichi.

Usiamo anche in questo caso il verbo evocare perché, i sostantivi, gli aggettivi ed i verbi del greco antico, non erano solamente dei segni, e quindi non seguivano le rigide regole della semiotica moderna, bensì impersonando dei simboli, erano metafore che rimandavano ad altri significati, soprattutto all’ambito dell’anima/psyche.
Pertanto, secondo il vocabolario Liddel-Scott-Jones, Ἀίδης – aides/Ade, è composto dalla particella α – alfa privativa, un elemento che indica la negazione di quanto espresso dal sostantivo successivo, e dal verbo δεν.

δεν – ideìn a sua volta, è l’infinito del verbo εδον – eidon, che significa “vedere”, “scorgere”, “guardare”, “osservare”, “considerare”, ma anche, “percepire”, “provare”, “sentire (emozioni)”, “guardare in direzione di ..” e “vedere mentalmente”.
Pertanto a livello di immagine mentale, l’Ade veniva percepito dagli antichi come uno spazio dove «non-si-vede», dove vi è l’«impossibilità a guardare», in quanto non vi è ancora non è arrivata la Luce, in altre parole, dove secondo la psicoanalisi moderna alberga il materiale inconscio e rimosso.
È da qui che nascono quelle sensazioni fastidiose ed inspiegabili, quel brusio di sottofondo interiore, quelle sensazione di disagio inspiegabili che fintantoché restano sottotraccia ci condizionano, ci inducono in comportamenti solo apparentemente irrazionali ma che in realtà hanno una loro logica ed assumono un loro senso compiuto solo se contestualizzati all’interno delle leggi che guidano la psyché.
Stiamo parlando di un luogo destinato a restare oscuro fino a quando non saremo in grado di rendere conscio il materiale psichico inconscio.
La torre che scende pertanto, incarnerebbe il lavoro di conoscenza di sé, quello che viene fatto quando riflettiamo perché determinate esperienze evocano in noi certi stati d’animo piuttosto che altri oppure, quando ci rivolgiamo ad un esperto per affrontare un percorso personale di tipo psicoanalitico.

Conclusione

Non siamo in grado di immaginare se questi fossero per davvero gli intenti dell’autore, magari solamente in forma inconscia appunto, oppure di colui che le ha commissionate, ma quella che qui abbiamo esposto è la nostra personale sensazione, la trasposizione di quello che queste opere hanno saputo far risuonare dentro di noi.

Riteniamo inoltre che dal punto di osservazione da cui abbiamo effettuato questa indagine, che queste sculture possano altresì definirsi neo-rinascimentali nel senso che ciascuna di esse non è soltanto la concretizzazione di immagini che appartengono al mondo interiore dell’artista, ma che contengono anche riferimenti al mondo della psiche.

Esattamente com’era intesa l’arte del periodo che va all’incirca dal 1450 fino a tutto il 1500.
Perché quando un’opera artistica, rimanda a significati che fanno riferimento al mondo psiche, al mondo delle emozioni e dei sentimenti, essa ci indica la strada verso quella conoscenza che gli antichi chiamavano la γνθι σαυτόν – gnōthi saytón, in altre parole, la conoscenza di sé.


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Massimo Biecher

Appassionato fin da ragazzo di fisica nucleare, elettronica e computer, entrato nel mondo del lavoro scopre che la sfera emozionale è importante tanto quanto quella razionale.

Ricoprendo all’interno delle aziende ruoli di sempre maggior responsabilità, osserva che per avere successo, oltre ad investire in ricerca e sviluppo ed in strumenti di marketing innovativi, le organizzazioni non possono prescindere dal fatto che le emozioni giochino un ruolo determinante tra i fattori critici di successo.

Grazie ai libri del Prof. Giampiero Quaglino, viene a conoscenza delle più moderne teorie sulla leadership ed in particolare quelle del docente dell’Insead, Manfred Kets de Vries, con cui condivide la visione secondo la quale non esistono modelli di leadership vincenti, ma solo relazioni efficaci tra gli individui.

Nel 2014 la rivista “Nuova Atletica”, organo ufficiale della Federazione Italiana Di Atletica Leggera, gli commissiona una serie di contributi sulla leadership per allenatori professionisti, coerente con le teorie che quotidianamente cerca di mettere in pratica sul lavoro.

Appassionato anche di filosofia, va alla ricerca instancabile di un modello che metta al centro l’individuo e ne rispetti l’unicità ma che al contempo, sia riconducibile a dei principi da cui cui tutto “principia”, convinto che la cultura e la superspecializzazione della scienza e della tecnologia moderna, conduca ad un inevitabile frammentazione dell’Io.

Ritiene di aver trovato ciò che cercava, riscoprendo la filosofia platonica e di Plotino e nella rilettura dei miti greci attraverso le lenti della psicologia archetipica introdotta dallo psicoanalista junghiano James Hillmann assieme ad i contributi dei filosofi E. Casey, L. Corman e dell’antropologo J.P. Vernant.

Pubblica con cadenza mensile sul magazine “karmanews.it” articoli che reinterpretano i miti dell’antica Grecia in chiave psicoanalitica, ritenendoli una metafora dei travagli dell’anima che, mediante l’uso di immagini e di racconti fantastici, si rivolgono direttamente al cuore e quindi all’inconscio.




Perché oggi dilagano le teorie “complottiste”?

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di Redazione Fuori Online

Ci sono molte ragioni per cui le teorie del complotto stanno diventando sempre più diffuse in molti paesi del mondo.

Alcune di queste ragioni includono:

Diffusione delle informazioni: Grazie alle tecnologie digitali e ai social media, le informazioni possono essere condivise rapidamente e facilmente. Questo può portare alla diffusione di teorie del complotto e false informazioni, spesso senza alcuna verifica o verifica dei fatti.

Diffidenza verso le istituzioni: In molte parti del mondo, le persone hanno perso la fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali. Questa diffidenza può portare le persone a cercare spiegazioni alternative per gli eventi, spesso abbracciando teorie del complotto.

Incertezza e paura: In periodi di incertezza e paura, come ad esempio durante una pandemia o una crisi economica, le persone possono cercare di trovare spiegazioni semplici per i problemi complessi. Le teorie del complotto offrono una spiegazione semplice, anche se spesso inaffidabile, per gli eventi.

Credenze personali e ideologie: Le persone possono essere influenzate dalle loro credenze personali e dalle loro ideologie politiche o religiose, spesso cercando di adattare gli eventi alla loro visione del mondo. In alcuni casi, questo può portare all’accettazione di teorie del complotto.

Tuttavia, è importante ricordare che le teorie del complotto non sono supportate da prove concrete e spesso danneggiano la società e la fiducia nelle istituzioni.

È importante mantenere un atteggiamento critico nei confronti delle informazioni e delle fonti, cercando sempre di verificare la loro affidabilità prima di accettarle.




Green Deal

Immagine generata dal sistema di AI DALL-E in base a delle Key Words estrapolate dall’articolo.

di Redazione Fuori Online

Nel settembre del 2021, il governo britannico ha annunciato piani ambiziosi per eliminare la vendita di auto a benzina e diesel entro il 2030 e l’eliminazione completa delle vendite di veicoli a combustione interna entro il 2035. L’obiettivo è quello di ridurre le emissioni di gas serra e la dipendenza dal petrolio, e promuovere l’adozione di veicoli a zero emissioni.

Sebbene l’adozione di auto a zero emissioni abbia chiaramente benefici ambientali, ci sono anche preoccupazioni riguardo alle conseguenze per l’occupazione. Il passaggio a veicoli elettrici potrebbe avere un impatto significativo sull’industria automobilistica e sui lavoratori che dipendono da essa.

Ad esempio, si prevede che la produzione di motori a combustione interna e parti correlate diminuirà drasticamente con l’aumento della domanda di auto elettriche. Questo potrebbe comportare la chiusura di alcune fabbriche, la riduzione dei posti di lavoro e la necessità di riqualificare i lavoratori per altri settori.

Tuttavia, ci sono anche opportunità di lavoro associate all’adozione di auto elettriche. La produzione di veicoli elettrici richiederà ancora la lavorazione di materiali, la progettazione e la costruzione di veicoli, l’installazione di infrastrutture di ricarica e la manutenzione e riparazione di veicoli elettrici. Inoltre, la tecnologia dell’auto elettrica richiederà nuove competenze e specializzazioni, come l’elettronica, la programmazione e la gestione delle batterie.

Per attenuare gli impatti negativi sul lavoro, è importante che i governi e le imprese agiscano prontamente per garantire che i lavoratori dell’industria automobilistica siano adeguatamente formati e qualificati per il futuro dell’industria. I governi dovrebbero anche considerare politiche di sostegno, come incentivi fiscali, sovvenzioni per la riqualificazione, programmi di formazione professionale e trasferimenti di competenze, per aiutare i lavoratori a far fronte alla transizione verso l’elettrificazione dei veicoli.

In definitiva, l’adozione di auto a zero emissioni rappresenta una sfida e un’opportunità per l’industria automobilistica e per l’occupazione. Tuttavia, con la giusta strategia e il sostegno adeguato, si può fare in modo che la transizione sia una vittoria per l’ambiente e per i lavoratori.