La Valigia.
Guardo la valigia.
Non sono mai stata brava a organizzare gli spazi. I pieni e i vuoti, soprattutto. Amo le cose fatte alla rinfusa.
Ci sto dentro, nel groviglio: occuparmi della matassa dei pensieri è il mio catalogo di viaggio da spulciare.
Consapevolezza di un andare che resti e restituisca il senso dello spostamento dal proprio baricentro.
Intendo provarci.
Sperimentare.
Parto, sì. Perché il pensiero ha bisogno di estensione verso la chiarezza, come il passo si allunga naturalmente in direzione di spazi ampi. E sgombri.
Libertà da ingombri. Dicono sia un obiettivo eleggibile per chi vuole scrivere una storia che non obbedisca a logiche precostituite.
Non riesco a pensarmi confinata in un’idea lineare: cammino a zig-zag per il mondo e vivo di equilibrismi appesi a un filo di voce.
Il megafono lo lascio agli specialisti del rumore. Preferisco che sia un serrato bisbiglio a preannunciare il mio arrivo.
Quante volte, sull’orlo del baratro, gridare e ridere a precipizio mi ha salvato la vita, permettendomi di silenziare il frastuono delle allusioni insensate.
Ho imparato ad amarlo, il silenzio. Riempiendolo di tremiti e di vibrazioni che mi arrivano forti, quando mi capitano sfioramenti di pelle. Di quelli che producono energie indefinibili con il metro umano.
Io spezzo i discorsi con le mani quando non riesco a prendere a morsi la durezza della vita, interrompo la catena dell’ovvio e mi perdo alla ricerca di curiosi indizi, disseminati tra gli scomparti.
Sto mezza aperta e mezza chiusa, abbarbicata a una cerniera rotta da cui sbucano sbuffi e saluti.
Il bagaglio è ancora lì. Sbilenco, più di sempre.
Ostaggio di chiaroscuri, nel livido ombreggiare di una tenda scossa dal vento che ne camuffa le pieghe: pronta per affrontare il cammino io non lo sono stata mai.
Ma arriva un momento in cui rispondere a un’esigenza diventa imperativo categorico, è vera e propria terapia per l’anima. Aria buona per rinfocolare il cervello.
Coltivo il desiderio di capi leggeri, di indossare morbidamente le inquietudini. Me le lascio scivolare addosso senza imporre alcuna destinazione: seta per il cuore, velluto per la mente, broccato per il corpo.
Rotola dal comodino una biglia di vetro colorato. Si strazia su e giù per il pavimento, inciampando in me e nella mia indecisione. È alla deriva, in un mare di destinazioni possibili.
Ne osservo il moto convulso e ascolto il fruscio che genera il suo sfregamento sul parquet. Mi imbambolo mentre pesco dai cassetti e frugo alla ricerca di frammenti, di ricordi da trascinare via.
Mi chino a raccogliere la biglia e la faccio ruotare sul palmo della mano: il rumore è diverso. Sono cambiati i pensieri. Io non sono più io.
Mi frugo nelle tasche piene di ipotesi ardite: so che sarò altro da me, al rientro. Un percorso mi aspetta mentre rifletto su come aspettarlo.
Non temo il vicolo cieco, lungo il quale si cammina a passo d’uomo: mi fa più paura l’autostrada della bestialità dalla vista perfetta, tripla chance di corsia dove se non sorpassi e vai a velocità costante, rischi di bruciare il motore o di rimanere asfaltato.
Penso che se dovesse ospitarmi un treno, lo spingerò via dal binario morto, se sarà un aereo volerà anche con un’ala sola e a piedi camminerò con una scarpa sì e una no: un viaggio viaggia da sé, anche così.
Non serve pianificare, serve volere fortemente uno slittamento di asticella in alto. Una lieve traslazione di parabola verso un esito dai contorni più definiti.
Ho deciso che i tabù sono fatti per essere infranti e anche noi siamo fatti per disintegrarci tra amori folli e legami ruvidi, figli di bagagli semi disfatti.
Stropicciati, ci sparpagliamo nell’aria quando il vento vuole disperderci e ci ricomponiamo magicamente come puzzle perfetti quando, placato il suo impeto, finalmente la natura si riposa.
Nella mia valigia ho chiuso il disagio della fissità di uno schema, un’educazione fredda e rigida come il marmo di questo pavimento che, ormai, ondeggia sotto i miei piedi portandomi dritta al mare, tra flutti e spruzzi da cui ho capito che è inutile ripararsi.
Mi mancherà tutto di questi luoghi, mi mancherà chi mi ha fatto compagnia abitandoli con me, mi mancherà la me che li ha vissuti col desiderio di renderli animati e parlanti. I luoghi siamo noi, permeati di luce e di emozioni vive e vere, che li attraversiamo rendendoli indimenticabili per la mente e per l’anima.
Sto fissando la valigia. La guardo prendere forma e plasmarsi, rinnovata nel turgore. Il tessuto è finalmente teso, senza grinze e pieghe: tutto ha una collocazione e anche i pieni fanno pace coi vuoti.
Ho scoperto che non ho un biglietto. Ho solo un invito a raggiungere il molo. E un disegno. Raffigura una imbarcazione a vela, candida come il cielo, quando si addensa di nuvole che precedono la tempesta. Ha un timone di legno, imponente e lucido. Dicono che la barca sia affidata a una donna esperta ma volubile che non ama i tentennamenti. Chi decide di salpare non ha modo di cambiare idea. Si affida. Come, a volte, capita anche nella vita.
Mi sono affidata tanto nella vita. Ho assecondato, ho accontentato ed elargito senza mai tenere niente per me. Il mio cuore lo sa e ha pagato più volte dazio per questo.
Ora basta. Ora c’è una nave che salpa. E io ho la valigia giusta per questo viaggio. E sono la donna giusta per affrontarlo con la consapevolezza della fruttuosità e dell’arricchimento che da tale esperienza mi deriverà.
Porto con me un taccuino, una penna e il mio pc. Poche cose che significano tanto, tutto per me.
Parto per un viaggio lungo come il mio bisogno di ritrovarmi, dentro e fuori.
Ne parlerò, ne scriverò, lo racconterò senza filtri.
E so che sarà bellissimo.
Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.