Un inverno senza fine.
di REDAZIONE FUORI
L’arrivo in Europa della variante sudafricana, indicata con il nome di Omicron, alimenta di nuovo il timore di un “inverno pandemico” senza fine, una visione tragica da film apocalittico.
Al di là di una visione pessimistica della situazione, il timore di una previsione basata su fatti e dati concreti potrebbe essere giustificata almeno riguardo la speranza di una rapida uscita da questa crisi sanitaria (ed economica, e sociale).
Stiamo entrando nel terzo anno di pandemia, e comincia a farsi strada il pensiero di una convivenza con il virus.
La domanda rischia di diventare lecita, forse anche doverosa: “e se non dovesse mai finire? se dovessimo convivere per gli anni a venire con un “inverno” senza fine “?
È una domanda che è utile farsi, perché intanto è necessario attrezzarci con modelli di pensiero che contemplino l’ipotesi peggiore, quella di un’emergenza sanitaria globale che, attraversata una soglia critica, diventa cronica.
“Stiamo attraversando un periodo temporaneo di sofferenza” ci siamo detti, ” ma non dobbiamo essere pessimisti perché nessuna notte è infinita”.
Bisogna avere la forza di superare il momento di difficoltà, rinchiuderci, pregare il dio che avevamo dimenticato, e aspettare la luce del giorno.
“Torneremo ad abbracciarci tutti”, si diceva dai balconi, tra un canto e l’altro.
Grazie al sostegno di questo archetipo della speranza umana, e dell’umana saggezza, abbiamo retto anche in parte sorretti dalla novità, al primo spaventoso lockdown, poi alla seconda ondata, poi alla terza.
L’arrivo del vaccino, al netto dei no-vax, annunciava la luce del giorno tanto attesa.
Oggi, ad inizio dicembre 2021, con la quarta ondata che già sommerge buona parte dell’Europa, forse è necessario smettere di contarle.
Forse è più utile attrezzarci per un lungo viaggio, un viaggio attraverso una stagione che non conosca più l’alternarsi d’inverno e primavera ma soltanto un autunno perenne.
Un viaggio con destinazione sconosciuta.
Farneticazioni apocalittiche in stile hollywoodiano ?
Se avessimo il coraggio di tenere lo sguardo fisso sull’abisso, potremmo accorgerci che ci siamo già abituati ad un’emergenza permanente, quella ambientale.
Da decenni viviamo tutti in un mondo le cui condizioni climatiche vanno peggiorando in maniera progressiva, costante e probabilmente incontrovertibile.
Senza rendercene conto, ci stiamo rassegnando, e adattando, a eventi metereologici estremi, estati torride, inverni cataclismatici, devastazioni.
Ci stiamo rassegnando alle crisi migratorie, con le stragi in mare, che non sono più una notizia da prima pagina.
Siamo forse in grado di reagire a questi avvenimenti che occupano ormai la nostra quotidianità?
Politicamente sappiamo che non ne siamo capaci.
Il “mezzo successo” della COP26 di Glasgow non è forse un fallimento?
Riconoscere i nostri insuccessi, come comunità, è un passo doveroso e necessario. Prendere coscienza che il modello basato sui cicli di “morte e rinascita” dell’alternarsi delle stagioni applicato alla modello di società nella quale viviamo, comporta il riconoscimento della inadeguatezza della politica convenzionale come soluzione per risolvere i problemi di una comunità che ormai va considerata come una e sola, a prescindere dalla latitudine e longitudine di dove si vive.
La pandemia, e il cambiamento climatico sono scorie tossiche della globalizzazione.
La politica, con le sue cerimonie inamidate ancora basate su procedure del secolo scorso, non sembra in grado di saperle affrontare.
Se l’emergenza sanitaria diventerà cronica, così come ormai sono quella migratoria ed ambientale, si rischia di assistere, come già sta avvenendo in fondo, a forme di potere politico che si basano sulla sospensione o addirittura cancellazione delle consuetudini democratiche.
Le leadership populiste, i partiti che si rifanno al sovranismo, troveranno terreno fertile e sapranno raccogliere consensi dalle persone ormai sfinite da una condizione di continua emergenza sociale e privata.
Prendiamo coscienza che un’epoca è finita, che un’altra è cominciata, e prepariamoci ad affrontarla con uno spirito di adattamento a livello globale, e non con la rassegnazione di miliardi di singoli individui malinconici, rabbiosi e in fondo, disperatamente soli.
Redazione Fuori.