Chiamate video e audio Arriveranno su X: Elon Musk rivela le nuove funzionalità.


di Redazione Online_

Presto sarà possibile effettuare chiamate video e audio su X (fino a poco tempo fa conosciuta come Twitter).

Le nuove funzionalità in arrivo sulla piattaforma sono state annunciate dal CEO di Twitter Inc., Elon Musk.

“Chiamate video e audio in arrivo su X: saranno disponibili su iOS, Android, Mac e PC; non sarà necessario un numero di telefono. X diventerà un efficace elenco globale di contatti”,

ha annunciato il patron di Tesla sui social media.

Inoltre, Musk ha definito questa combinazione di funzionalità ‘unica’.

Non è un segreto che la sua ambizione sia quella di trasformare la piattaforma in un’applicazione completa, che copra tutto, dall’esperienza tradizionale dei social media ai videogiochi e ai servizi finanziari.

L’annuncio di queste nuove funzionalità coincide con l’uscita della sua biografia nelle librerie, scritta da Walter Isaacson.

Nel libro si parla anche dell’acquisizione del social network e vengono rivelate alcune indiscrezioni.

Ad esempio, emerge la frase che Musk ha detto al CEO dell’epoca, Parag Agrawal, il 31 marzo 2022

‘Quello che Twitter ha bisogno è un drago che sputa fuoco’.

All’epoca, l’ipotesi di acquisto non era ancora ufficialmente sul tavolo: Musk voleva agire dall’esterno per realizzare il suo sogno, cioè creare quel X.com che aveva cercato di realizzare per decenni.

Tuttavia, in pochi giorni, le sue intenzioni sono cambiate, e con esse il destino del social network.





L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Credits_Sophie Jodoin
di Sara Balzotti_

Data di pubblicazione: 13 gennaio 2021

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa 

“L’acqua del lago non è mai dolce” ti assorbe e ti immerge nella storia… il romanzo richiama sensazioni ed episodi della propria infanzia e adolescenza, addolciti da una sottile malinconia e nostalgia per il tempo passato; anche se gli episodi personali non hanno niente a che vedere con quelli raccontati, l’intimità che si crea con il lettore richiama alla memoria tali emozioni.

È inevitabile tifare per i più fragili, commuoversi per le ingiustizie che colpiscono i protagonisti della storia e soffrire per l’anaffettività della famiglia della protagonista.

Si tifa per i più fragili, ci si commuove per le ingiustizie subite dai protagonisti e si soffre per la mancata accoglienza familiare verso i familiari della protagonista.

Gaia racconta in prima persona la sua storia: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. La sua famiglia è sorretta dalla madre, Adriana. Adriana è una donna di umili origini ma di grande carattere, volitiva e battagliera per la sua famiglia; la donna non transige sul rispetto delle cose comuni e la sua lealtà nei confronti degli altri rappresenta uno dei pochi pilastri educativi offerti ai figli.

Nella famiglia di Gaia o si accettano le regole e le condizioni dettate da Adriana o si deve andare via di casa. Le condizioni economiche sono precarie e la priorità è sopravvivere, sotto tutti i punti di vista.

Nonostante le varie difficoltà, economiche e sociali, Gaia riesce a condurre una vita piuttosto tranquilla: vive al riparo della protezione della madre, seguendone i dettami e uniformandosi al suo volere senza, all’apparenza, venirne schiacciata.

Il fratello maggiore, Mariano, è il suo riferimento.

Quando il fratello però andrà via di casa, la sua mancanza sarà forte e Gaia deciderà di crescere e di affrontare da sola gli eventi che le capiteranno.

La donna che diventerà sarà decisamente diversa dalle aspettative della madre.

In una società che corre e che si evolve in fretta le mancanze, economiche e morali, della famiglia di Gaia si faranno sentire e la ragazza farà sempre più fatica a gestire le proprie emozioni, con ripercussioni a volte importanti sui rapporti sociali.

La storia è ambientata nel paese di Anguillara Sabazia e sul Lago di Bracciano. Le dinamiche popolari ricordano equilibri che forse non torneranno più; equilibri sociali che nella frenesia odierna ci siamo dimenticati e tradizioni tramandate che affascinano e commuovono sempre.

“L’acqua del lago non è mai dolce” racconta una storia cruda e coinvolgente. La scrittura di Giulia Caminito non annoia mai e durante la lettura la curiosità per come si evolveranno gli eventi cresce pagina dopo pagina!



Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Rosa stacca la spina – Igor Nogarotto

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Effedi edizioni

Data di pubblicazione: 15 gennaio 2022

Genere: narrativa


“Rosa stacca la spina” ripercorre la storia di una grande storia d’amore fra due persone molto diverse fra loro, le cui differenze non rappresentano un limite ma una risorsa.

Questa potente storia viene bruscamente interrotta da Rosa, che lascia Igor senza spiegazioni e solo nella sua disperazione.

Igor narra in prima persona gli episodi e le emozioni nati in questo legame così intenso quando, dopo undici anni, Rosa lo contatterà di nuovo perché ricoverata in una clinica in fin di vita. Sarà arrivato il momento delle risposte così tanto desiderato dal compagno?

La storia viene ripercorsa dal narratore con delicatezza e nel profondo rispetto dei sentimenti provati reciprocamente e dell’attuale condizione dell’ex compagna. Nel romanzo non viene mai forzata la narrazione, nemmeno riguardo ai momenti di intimità della coppia, dove l’affiatamento trova pieno compimento. Del resto forzare la mano risulterebbe inopportuno perché la spontaneità e la genuinità di questo legame parlano da sole.

In un periodo della nostra vita probabilmente un amore così travolgente è stato vissuto da molti di noi e, nel caso sia finito, i motivi e le conseguenze di tale interruzione sono molto personali ma sicuramente la grandezza del dolore e l’impegno necessario per superare il “lutto” del distacco sono stati immensi. La coppia aveva provato a costruire una famiglia e sarebbe stato bello vedere se, e come, il suo legame sarebbe cambiato.

Igor Nogarotto è molto delicato nel dar voce al narratore, Igor, e la simpatia e ironia sono le seconde caratteristiche di questo romanzo così struggente.

Il punto di vista maschile è molto tenero ed è veramente dolce la lettura del rapporto fornita dall’anima perduta d’amore del narratore (Igor stesso).

È vero che l’amore, quello vero, riesce a superare ogni barriera?

P.s. l’espressione “Napoleone!” dovremo imparare un pò tutti ad usarla…!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Edenya – Laura Rizzoglio

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Youcanprint

Data di pubblicazione: 01 ottobre 2020

Genere: fantasy


Ogni tanto è proprio bello fare un viaggio nella fantasia ed “Edenya” non delude le aspettative!

La storia, fantasy, si adatta bene a tutti i tipi di lettori: adolescenti e adulti che hanno voglia di sognare un pò.

Qual è la differenza fra Arcangeli, Cherubini, Serafini, Troni? Quali sono le loro origini e come si rapportano con il mondo terrestre?

Edenya è un mondo extraterrestre che invoglia il lettore ad esplorarlo; colori stupefacenti e forme di vita sconosciute lo popolano, alimentandone il fascino. Questo straordinario mondo potrebbe davvero avvicinarsi all’idea che abbiamo del Paradiso.

Angelica, un Arcangelo, ha deciso di amare Christian, un umano, e di infrangere le leggi del suo popolo.

A quali conseguenze andranno incontro la coppia?

La storia è ben articolata e i protagonisti sono svariati ma le giovani adolescenti Clara e Anna saranno coloro che porteranno avanti gli eventi del romanzo.

Clara è sola al mondo e ha la possibilità di studiare in un prestigioso college grazie ai sussidi offerti da un protettore sconosciuto; la ragazza non riesce ad integrarsi nella scuola e a trovare l’accoglienza e la comprensione dei compagni e degli adulti. L’unica sua ancora di salvezza è rappresentata dal misterioso prof. Profsky.

Anna è una ragazza solare che da un momento all’altro irrompe nella vita di Clara; anch’essa nuova studentessa del prestigioso collegio. Anna sarà una vera scoperta per Clara!

Quali segreti nasconde Profsky? Le stranezze di Clara a che cosa si riconducono? Come si svilupperà il rapporto fra le due nuove amiche?

Ci saranno delle missioni da compiere e dei pericoli da evitare: quali sorprese dovranno affrontare le due ragazze?

Laura Rizzoglio ha dedicato questa storia fantasy a sua figlia e ai suoi fantastici quattordici anni e l’amore con la quale ha creato ed elaborato “Edenya” è tangibile e profondo.

Il ritmo della storia è sempre molto alto e il coinvolgimento è inevitabile e assicurato!

Misteri, intrighi e intrecci, suspense si alternano senza essere mai banali cosicché il lettore riesce ad immergersi nel racconto e a rimanerne legato.

Sono sempre stata affascinata dalla figura dell’angelo (ovvero dell’arcangelo) e come me credo anche tante altre persone. La loro identità è avvolta nel mistero e ancora oggi non si sa se siano realmente presenti fra noi.

Edenya saprà dare le giuste risposte?

Buon viaggio nella fantasia a tutti!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Il richiamo del dirupo – Mìcol Mei

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Il richiamo del dirupo – Mìcol Mei

Casa editrice: Miraggi Edizioni 

Data di pubblicazione: 15 luglio 2021

Genere: narrativa 


“Il richiamo del dirupo” ricostruisce le dinamiche che hanno portato al crollo del “Pallido rifugio”, edificio molto particolare costruito in stile vittoriano a picco sul mare dal proprietario Felice Hernandez.

Felice, così come la sua villa, sono molto misteriosi e chissà quali storie nascondono…

Gli abitanti del piccolo villaggio, a valle della scogliera sulla quale si erigeva “Il Pallido Rifugio”, in effetti si chiedevano come fosse stato possibile progettare una casa così fragile, all’apparenza, dal punto di vista strutturale e architettonico. 

La signora Siviero è l’unica testimone a “mettere la faccia” sulle dichiarazioni riguardanti il crollo e il lettore le sarà grato. Gli altri testimoni non hanno voluto rivelare la loro identità ma viene apprezzato il contributo offerto alla ricostruzione dei fatti.

Il Signore Felice Hernandez decidere di dare in affitto la propria villa a quattro persone che saranno accuratamente selezionate da lui stesso. Felice non offre una normale villeggiatura: l’annuncio sarà altisonante e chi si mostrerà interessato dovrà dichiarare perché è così interessato a soggiornare nella villa, alle particolari condizioni imposte da Hernandez.

Gli ospiti saranno scelti e l’impeccabile Signora Siviero sarà a capo di questa insolita comitiva, garantendo il rispetto dei voleri del proprietario.

Persone sconosciute possono trovarsi unite per svariate ragioni e quelle dei quattro protagonisti, gradualmente, vengono svelate e sono tutte riconducibili ad un disagio nel rapporto con se stessi e di conseguenza con gli altri.

Emarginazione, sfruttamento, violenza, sottomissione si riconoscono nelle storie degli ospiti, e Hernandez aveva percepito che cosa avrebbe accomunato i futuri ospiti nel Pallido Rifugio.

La selezione fatta sarà azzeccata? Gli ospiti riusciranno a conoscere Felice, così sfuggente?

Ma soprattutto: perché il Pallido Rifugio è crollato? Qualcuno sarà riuscito a salvarsi?

La disperazione, la solitudine e il dolore non hanno bisogno di tante parole per essere raccontate e in un libro dalla lunghezza piuttosto ridotta (come numero di pagine) la scrittrice racconta con schiettezza fin dove può scendere l’animo umano, trasmettendone il turbamento che ne deriva. Alla fine quando si tocca il fondo, le conseguenze sono spesso simili: emarginazione e decadimento mentale.

I colpi di scena offerti dalla storia sono interessanti e la passione di Mìcol Mei per tutte le forme culturali è tangibile. Poesia e scrittura si fondono senza scontrarsi e rafforzano l’armonia del romanzo. I riferimenti musicali aiutano a contestualizzare il racconto.

“Il richiamo del dirupo” non ha l’intenzione di richiamare emozioni piacevoli e per me non è stato facile affrontarle, nel mio percorso incessante di ricerca della serenità.

Tuttavia ho voluto leggerlo fino alla fine perché anche il buio fa parte di noi e ogni tanto è giusto affrontarlo e ricordarsi che a tutto può essere posto una fine (in un modo o nell’altro).


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Il club della solitudine – Deborah Bincoletto

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa

Persino da te stesso”

Illustrazione copertina del libro.
Particolare.

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Il club della solitudine – Deborah Bincoletto

Casa editrice: Scatole parlanti

Data di pubblicazione: 6 marzo 2021

Genere: narrativa


Vera ha trent’anni e racconta in prima persona la propria storia.

La protagonista dichiara che sia impossibile raccontare una storia vera dall’inizio, anche se nessuno lo ammette: chissà se è vero…! 

I ricordi dello scrittore sono falsati dalle esperienze che si susseguono negli anni e chi legge riporta il proprio vissuto dentro la storia raccontata. Ad ogni modo credo sia importante sentire qualcosa dentro che fa nascere un’emozione e la scrittura di Deborah con me c’è riuscita!

Chissà se “Il club della solitudine” esiste o se sia mai esistito e se i protagonisti della storia sono reali. Sicuramente è stato interessante conoscere questo luogo insolito e lasciarsi coinvolgere dalle sue dinamiche.

“Il club della solitudine” era una scuola superiore chiusa da anni a cause di molestie impartite da un professore su una giovane alunna. Agata ha trasformato questo edificio, immerso nel verde, in un luogo di confronto e di libertà di espressione dove le persone che possono accedere sono accuratamente selezionate dalla proprietaria e fondatrice del club (Agata appunto). 

Nel club i partecipanti sono liberi di esprimersi e hanno l’occasione di entrare in contatto e di scontrarsi con se stessi, senza forzature e manipolazioni. I legami che nascono fra le persone sono unici e particolari.

Agata si vede poco ma la sua presenza è tangibile ed è una persona straordinariamente equilibrata che con empatia guida questo curioso gruppo di persone che affrontano un percorso per certi versi insolito.

I partecipanti sono variegati nelle esperienze e nell’età. Ognuno inizia da solo la sua esperienza ma il contatto con gli altri è inevitabile e il legame che si crea fra le varie generazioni è così tenero che nasce il dubbio che qualcosa si sia perso, distratti dalla quotidianità sempre più individualista e digitale.

Vera, la protagonista della storia, ha un passato doloroso e non riesce ad aprirsi agli altri facilmente e a mostrare la sua vera natura; sicuramente non è l’unica a vivere queste difficoltà…!

Nel club Vera scopre qualcosa di nuovo che potrebbe stravolgere la sua vita: riuscirà a cogliere e a sfruttare a pieno le sue potenzialità? 

Come evolveranno i rapporti fra gli avventori di questa strana struttura?

Deborah scrive in modo delicato e non entra con forza nelle emozioni del lettore. All’inizio questa caratteristica potrebbe rappresentare un limite alla storia ma da un certo punto in poi ne diventa l’elemento di forza che avvolge chi legge “Il club della solitudine”, donandogli un senso di benessere e di libertà.

“Il club della solitudine” sarà un ottimo punto di partenza per chi sente delle ombre dentro di sé e non riesce ad affrontarle!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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Il cottage nei boschi del Quebec.

“Uncle Ben”_ Illustrazione di Federico Fossi [vietato riprodurre l’immagine senza autorizzazione dell’autore]

di Valeria Frascatore_

Zio Benjamin fa la sua comparsa nella mia vita piuttosto improvvisamente, come uno di quei personaggi mitologici, a metà tra l’avventuriero e il reietto, per via della scelta piuttosto incauta – se rapportata alla prudenza e al tradizionalismo di certe famiglie della sua epoca – di lasciare, da giovanissimo, il proprio Paese, l’Italia, per andare a cercare fortuna in Canada.

Beniamino, il fratello estroso della mia nonna materna, dopo il trasferimento all’estero, era diventato per tutti Benjamin e aveva preso dimora in una cittadina del Quebec dal nome impronunciabile che, sin da piccola, ho sempre puntualmente storpiato tanto da decidere di rinunciare, proprio per una forma di estremo ritegno, a citarlo.

Per me zio Benjamin stava in Quebec, Stato/Nazione del Canada. Punto e basta.

Bastava ricevere ogni tanto qualche notizia o sentirlo telefonicamente per stare a posto con la coscienza rispetto alla difficoltà generata dal nome di quel luogo di residenza franco/canadese. Chissà, forse il parentado si illudeva che tale dettaglio disincentivasse in automatico dal considerarlo parte integrante della famiglia.

A me, in fondo, stava simpatico perché era andato controcorrente rispetto ai diktat familiari.

In ogni caso, non si è mai compreso bene se, nella sua vita, fosse stata la fortuna a incontrare lui o lui ad andarle incontro: sta di fatto che, dopo essersi dedicato per una vita all’amatissimo lavoro di imprenditore edile barcamenandosi felicemente tra un sacrificio e uno sfizio, non si era legato dal punto di vista affettivo – anche se la sua fama era quella del seduttore – e, dopo il pensionamento, aveva deciso di trascorrere ogni estate (da giugno a settembre) nel cottage di sua proprietà sempre nel Quebec, in località Mont Tremblant, in riva a un lago.

Lì lo raggiunsi nel settembre di circa ventinove anni fa, in occasione di un viaggio premio, regalatomi dai miei genitori dopo la maturità, con l’obiettivo di vivere un’esperienza elettrizzante e di riposarmi in vista dell’impegno universitario che mi attendeva al rientro.

Mi era capitato altre volte di separarmi dalla famiglia per le vacanze estive:spesso raggiungevo i miei zii in Liguria anche per un mese intero, dopo la scuola, e ci ero arrivata in treno persino da sola, affidata ora a una suora, ora a qualche famigliola che, da Napoli, mia stazione di partenza, era diretta al Nord a trovare i parenti. Roba che, a pensarci col senno di poi, se dovessi far viaggiare i miei figli secondo queste stesse modalità, mi si rizzerebbero i capelli in testa, dato il livello di follia della gente che c’è in giro.

Ma la partenza per il Quebec era una cosa decisamente diversa:il primo viaggio in aereo, la prima tratta così lunga verso un Paese lontano, la prima esperienza di vacanza senza la compagnia di alcun coetaneo. Sinceramente?Avevo una strizza terribile e la cosa che più mi creava ansietà era:

E se in aeroporto, quando arrivo, mi perdo?E se zio Benjamin tarda?E se vanno smarriti i bagagli? “.

Io, degna nipote di una nonna paterna estremamente ansiosa a cui ero spesso affidata, a bordo di quel velivolo sono riuscita a dare il meglio sul piano delle contorsioni mentali…avrei potuto girare il sequel de: “L’aereo più pazzo del mondo” come protagonista assoluta. Sono convinta che le hostess mi abbiano invocata ripetutamente come la iattura più grande capitata nella loro esperienza di volo, perché le disturbavo continuamente ora con richieste di delucidazioni, ora con la manifestazione di una serie di esigenze illogiche,culminate nella preghiera di aiutarmi a trovare gli occhiali da vista che stavano al loro posto dal momento del decollo, ossia sul mio naso.

Preferisco non dilungarmi sulla composizione del bagaglio:una via di mezzo tra la partenza per “il giro del mondo in 80 giorni” e l’equipaggiamento di Madonna quando si sposta tra i vari continenti, insieme allo staff, in occasione di un nuovo tour. Dico solo che, per poco, un arto di mia madre non era rimasto anch’esso chiuso in valigia assieme ai capi d’abbigliamento, impigliato nelle cerniere a scatto del bagaglio più grande. Le pose plastiche adottate per riuscire a chiudere “a pressione” (sotto il peso del mio corpo, praticamente) quei dannati valigioni ancora le ricordo con un certo imbarazzo.

Ad ogni buon conto, nonostante le previsioni da peggior thriller di Hitchcock, l’arrivo in Canada fu trionfale: allo sbarco, recuperato tutto il mio patrimonio di vestiario e ammennicoli vari, trovai zio Benjamin ad accogliermi con un cartello indicante il mio cognome opportunamente riconvertito da Frascatore in Francescone che subito interpretai come punizione karmica per non essere mai riuscita a pronunciare il nome della sua città e, poco dopo, fui fatta accomodare su una comodissima jeep,guidata da un amico dello zio,a bordo della quale raggiungemmo il cottage.

Dopo i convenevoli iniziali – in un italiano biascicato e stentatissimo da lui e in un inglese maccheronico (il mio) con cui, senza successo, volevo fare la spaccona e dimostrare di conoscere perfettamente la lingua straniera – ci avviammo verso la nostra destinazione che distava circa tre ore dall’aeroporto.

In quel lasso di tempo, con la mia consueta caparbietà, feci innumerevoli tentativi di inserirmi nella conversazione tra zio Benjamin e l’amico Frank inanellando una serie di figuracce di cui credo ancora ridano varie generazioni di frequentatori del lago di Mont Tremblant. Sono arrivata a pensare che le tramandino addirittura,come si fa con le barzellette sui Carabinieri. Il loro era un misto di slang del luogo, americano e francesismi sparsi che mi lasciò annichilita sul sedile posteriore, chiusa in una forma di rassegnata ignoranza da cui mi sarei riscattata solo dieci anni più tardi, durante il viaggio di nozze che segnò la conoscenza con il ramo americano della famiglia di mio marito: in quella occasione scappavano tutti appena mi vedevano,perché li utilizzavo come cavie per allenare il mio inglese…con ritmi di parlantina attestatisi anche sulle quattro ore consecutive.

Inizialmente, comunque, con zio Benjamin vissi la frustrazione di non capire un accidenti della sua lingua e avevo persino difficoltà a esprimermi in italiano perché mi ero resa conto che un linguaggio forbito non sarebbe mai stato da lui compreso appieno:finimmo per adottare un compromesso, un registro tutto nostro fatto di dialetto napoletano, italiese e broccolino che avrebbe fatto storcere il naso ai puristi ma che, a noi, generava un’ilarità senza pari.

Durante il viaggio in auto, non distolsi mai lo sguardo dai panorami che, via via, si alternavano attraverso il finestrino:ero estasiata e con un’espressione carica di meraviglia dipinta in volto che i miei interlocutori trovavano piuttosto comica. Con quella bocca perennemente spalancata – in totale spregio alle raccomandazioni di mamma, all’atto della partenza, circa l’assoluta necessità di contenere il mio stupore…”..altrimenti fai la figura della piccola fiammiferaia che non conosce il mondo..”! – avrei fatto la fortuna di qualsiasi dentista!

Mi colpiva tutto:la vegetazione, a perdita d’occhio e oltremodo lussureggiante, le strade di ampio respiro perfettamente asfaltate, l’ordine e la pulizia, la manutenzione e la cura quasi maniacale dei luoghi che attraversavamo, l’opulenza sfacciata di alcuni scorci urbani, il rispetto di pochi, basilari principi del vivere civile, il crogiolo di razze e culture, la presenza discreta ma costante delle forze dell’ordine nelle vie,l’imponenza dell’edilizia.

Usciti dall’autostrada e lasciata la statale alle nostre spalle, improvvisamente imboccammo un sentiero che degradava verso il lago. Il fondo stradale era disseminato di ciottoli:si preannunciava sconnesso e non proprio agevole da percorrere, nonostante fossimo a bordo di una jeep.

Lo chalet era ancora lontano ma il panorama di cui si poteva godere cambiò di nuovo e io ebbi un tuffo al cuore perché mi parve di essere stata catapultata in uno scenario da favola.

In lontananza, si potevano distinguere nell’aria i giochi di fumo proveniente dai camini degli sparuti nuclei di case abitate della zona:sembravano residui dei fuochi d’artificio con cui si celebrano le ricorrenze speciali, tanto che immaginai una specie di comitato d’accoglienza in cielo, riservato espressamente a me. Gli alberi del bosco erano perfetti nelle loro forme e nella composizione che faceva da contorno al tragitto:uguali a quelli delle costruzioni Lego o a quelli realizzati dai maestri di arte presepiale campana che adornano i presepi natalizi.

Il fitto del bosco era tinto di marrone, giallo e arancione, come coperto da una coltre di polverina rugginosa per via dell’autunno incombente e lungo il sentiero, al passaggio della jeep su grossi cumuli di foglie secche, si udiva uno scrocchiare cadenzato che ben si accompagnava all’andatura dondolante del veicolo. Mi sembrò di veder sgattaiolare qualche scoiattolo, probabilmente infastidito dai rumori molesti del SUV, e poi intravidi un’alce, volpi, alcune marmotte.

Abbassando il finestrino mi arrivò in pieno viso, forte come una sberla, una sferzata di aria inebriante che mi stordì i sensi:zio Benjamin indicò numerosi alberi di pino bianco e pino rosso, nonché le betulle gialle e fu allora che compresi il motivo della persistenza di quei profumi boschivi che, per due settimane, avrebbero dolcemente cullato i miei risvegli.

Quando arrivammo al cottage il sole stava tramontando e, scendendo dall’auto mentre ci accingevamo a raggiungere l’interno della piccola abitazione di legno, mi voltai a guardare i colori del cielo e del bosco che si proiettavano sulla superficie del lago: c’era una commistione di sfumature tutte perfettamente in armonia tra loro, come si fosse trattato di un disegno superiore, divino. Mi ritrovai, quasi commossa, a pensare allo spettacolo di grandiosità a cui i miei genitori, consentendomi di far visita allo zio, mi avevano permesso di assistere e all’entusiasmo con cui avrebbero condiviso le mie emozioni al rientro a casa.

Fino a quel momento determinate immagini mi sembravano appartenere solo alle riviste e ai documentari:era piuttosto singolare la circostanza di considerarsi parte integrante di uno scenario naturale di una bellezza tanto disarmante.

Il cottage era una specie di palafitta sospesa sul lago:c’era un piccolo molo a cui era attraccata la barchetta che lo zio usava per andare a pescare o semplicemente per spostarsi da una riva all’altra, una piccola zona relax fornita di comodissime poltrone – quelle che fanno dimenticare i problemi di schiena e di postura scorretta – e di un alloggiamento per godere di un piccolo fuoco esterno, c’era l’immancabile zona barbecue e anche l’amaca, tesa tra due pilastri del patio della casa che confinavano con il bosco.

Presto imparai a capire le abitudini di quella dimora: il bollitore, per esempio, grande e grigio, era sempre in funzione…per il caffè, per il tè, per la tisana e anche per le numerose camomille che bevevo io quando non riuscivo a dormire a causa del jet lag. Bisognava sempre chiudere le porte di accesso al cottage anche a seguito di brevi spostamenti all’esterno, onde evitare sgraditi incontri con animali più o meno feroci, tipo gli orsi. Quando ci si allontanava da casa era d’obbligo portare con sé un k-way per proteggersi dai repentini mutamenti di temperatura o di meteo che in quei luoghi si registravano, essendo imminente l’arrivo dell’autunno.

Dormivo nel soppalco, io. La mia stanza era illuminata da un finestrone di forma rotonda che affacciava su una zona del lago un po’ appartata e scarsamente battuta dalle correnti tant’è vero che, a differenza dello zio che sapeva determinare il meteo da semplici movimenti di brezza sull’acqua, io mi svegliavo e vedevo tutto sempre abbastanza uguale. Anche se poi la verità era che, sul piano emotivo, ogni nuovo giorno era foriero di una specifica fonte di trepidazione, piacevole e inconsueta.

Trascorrevamo le giornate andando a pesca – peccato che io costringessi puntualmente zio Benjamin a ricollocare nel lago tutto il pescato perché non avevo il coraggio di mangiarlo – oppure visitando qualche località della zona; talvolta lo aiutavo nel disbrigo di piccole faccende domestiche e a fare ordine nel suo caotico magazzino pieno di oggetti stravaganti e sostanzialmente inutili all’umanità. Il cottage era sempre pieno di amici e di gente allegra, serena, festante:ci si divertiva con poco, non era decisamente un posto adatto alle persone scontrose e musone.

La sera, quando tutti rincasavano e in casa tornava a risuonare il silenzio, ci intrattenevamo accanto al fuoco a leggere o semplicemente a conversare, a raccontarci aneddoti di famiglia, a rivelarci piccoli segreti o a fare del sano gossip su qualche parente un po’ antipatico. Con lo zio si poteva parlare di tutto:durante quei giorni di vacanza ebbi modo di scoprire una persona spiritosa, a suo modo colta, curiosa e rassicurante,mai giudicante. Con lui non si correva il pericolo di essere fraintesi e non esisteva la preoccupazione di dover per forza intavolare conversazioni intellettivamente stimolanti. Se, per caso, coglieva un qualsiasi mio disagio nel fargli una confidenza, mi guardava con un sorrisetto malizioso e mi diceva: “Tutto qui????E io… che chissà cosa mi aspettavo di sentire…!Non ti preoccupare…i tuoi segreti sono al sicuro…al massimo posso andarli a raccontare a un castoro!” Poi rideva di gusto, sorseggiava la sua birra e guardava il cielo quasi a suggellare quel breve momento di condivisione e di serenità.

Chissà se, nella vita, gli era mancato un affetto stabile…chissà come sarebbe andata se avesse avuto dei figli:ci pensavo spesso quando lo osservavo muoversi nella sua tana e lo ascoltavo parlare di sé nel tentativo di percepirne gli umori, le idee, i principi. Di tutte queste cose parlava molto poco, faceva fatica, al punto che ho finito col dedurre che qualche delusione amorosa particolarmente cocente ne avesse condizionato la vita affettiva.

Ho sempre pensato, per la dedizione e la generosità con cui, durante la mia permanenza, si prendeva cura di me e delle mie esigenze, che sarebbe potuto essere un ottimo padre. Mi definisco una persona di poche pretese, abituata tanto alle comodità quanto all’essenzialità (avendo,peraltro, un breve passato da camperista) ma devo ammettere che lo zio fece di tutto, in occasione di quella vacanza, per farmi rientrare a casa più che appagata nei miei desideri e anche nell’assecondamento di qualche piccola follia.

Un giorno, mentre passeggiavamo nel bosco, gli chiesi: “Zio, pensi mai di mollare tutto e di tornare in Italia avvicinandoti a quel che resta della famiglia?…In fondo qui sei da solo e non credo che, data la distanza, il futuro ci offra moltissime altre occasioni per stare insieme”.

Lui mi guardò col solito sorriso, un po’ guascone, un po’ malinconico, e mi disse: ” Non è un discorso molto allegro ma sappi che ho già scelto il mio luogo di sepoltura su un poggetto del cimitero locale. Se rientro in Italia, devo litigare anche solo per trovare posto nella cappella di famiglia “.

Mi resi conto di aver fatto una delle mie solite gaffe e mi scusai, ma lui mi rifilò un pizzicotto affettuoso sulla guancia e mi spiegò che oramai considerava il Canada come suo paese d’origine:era andato via molto presto da casa e non aveva conservato legami di alcun genere né coltivava particolari interessi che potessero legarlo al nostro Paese.

Notai che si rabbuiava sempre quando gli si parlava del suo passato in Italia:anche in questo caso la mia convinzione era che ci fosse qualche episodio, a me oscuro, che lo avesse indotto a decidere di cambiare radicalmente vita. Essendo una persona piuttosto discreta, non ho mai affrontato l’argomento, in quei giorni.

Durante le due settimane trascorse a Mont Tremblant decisi di procurarmi dei ferri per lavorare a maglia e, con della lana procurata da una vicina di casa dello zio, gli confezionai di nascosto un paio di guanti. Ero fresca di apprendistato con mia nonna, sua sorella, ma sapevo solo lavorare il dritto, il rovescio e il rasato:realizzai dei guanti molto originali – per non dire orripilanti – che a me facevano tanto ridere perché erano la fotografia esatta della mia imbranataggine nel lavorare a maglia. Però, siccome erano fatti col cuore, sortirono un effetto insperato.

Quando glieli donai, il giorno prima del mio rientro in Italia, cominciò, con l’entusiasmo di un bambino e gli occhi semi lucidi, a girarseli tra le mani come se gli avessero affidato in custodia delle pepite d’oro. Li indossò definendoli bellissimi e mi abbracciò promettendomi che li avrebbe portati sempre con sé.

Tutto si poteva dire di zio Benjamin, fuorchè che non fosse un uomo di parola. E lo è stato, fino alla fine.

Poco dopo la sua dipartita, ho ricevuto una lettera di Frank, il suo amico più caro…quello che lo aveva accompagnato a prelevarmi in aeroporto.

In merito alle sue ultime volontà, mi ha raccontato che zio Benjamin aveva chiesto espressamente che i guanti che avevo confezionato lo seguissero nel suo ultimo viaggio insieme a un altro paio di oggetti a cui era particolarmente legato. Frank aveva personalmente provveduto in questo senso.

Ho appreso – e ciò mi conforta – che lo zio si è allontanato serenamente e senza sofferenze…nella discrezione, così come aveva sempre vissuto.

Non so se riuscirò mai a far ritorno a Mont Tremblant:di certo tante cose saranno cambiate da quel mio fatidico viaggio, ma sono sicura che il suo spirito aleggia sulle acque del lago e il caratteristico fruscio dei suoi passi – che avrei saputo riconoscere anche a occhi chiusi per tutte le volte che, precedendolo durante le escursioni nella vegetazione canadese, lo ascoltavo raggiungermi – risuona ancora tra gli alberi del bosco.

Di quella vacanza tanto spensierata e avventurosa ricordo ogni dettaglio. Colori, sapori, profumi che associo a precise sensazioni tattili e a lunghi sospiri, soprattutto quando rivivo dentro di me le emozioni di allora.

In un particolare momento della nostra tipica giornata canadese, nell’ora del crepuscolo, lo zio era solito invitarmi a raggiungerlo sul pontile perché, per effetto di una serie di magici fenomeni di dislivello termico, dalla superficie del lago si sollevavano nuvole di vapore talmente fitte da investirci completamente,  condizionandoci la visuale.

Poi, improvvisamente, questa coltre impenetrabile di nebbia si dileguava e, sul lago, tutto tornava terso e limpido. Una sensazione di pace profonda precedeva di poco il calar della notte e noi,allora, accendevamo il fuoco nell’apposito alloggiamento e ci preparavamo alle nostre chiacchierate.

“Fai in modo che questo meccanismo di alleggerimento accompagni sempre i tuoi pensieri “ – mi disse una volta.

“L’annebbiamento dura poco:la nitidezza vince sempre. E il fuoco è un segnale preciso di risveglio. Questi luoghi me lo dimostrano ogni giorno!”

Era come dedicarsi a un rituale. Era il “nostro” rituale. E io no, non l’ho dimenticato.

La nitidezza dei pensieri…caro zio…quanto avevi ragione!

Quando penso all’autenticità di questa tua analogia, mi ci rispecchio pienamente, ti penso e sorrido con una smorfia un po’ guascona, un po’ malinconica:la tua.

Quella che mi salva sempre un attimo prima di fare una fesseria…però questo al castoro,ti prego, non glielo raccontare!


Valeria Frascatore_

Ho 47 anni. Coniugata, due figli. Sono un ex avvocato civilista, da sempre appassionata di scrittura. Sono autodidatta, non avendo mai seguito alcun corso specifico sulla materia. Il mio interesse é assolutamente innato, complici – forse – il piacere per le letture, la curiosità e la particolare proprietà di linguaggio che,sin dall’infanzia, hanno caratterizzato il mio percorso di vita. Ho da poco pubblicato il mio primo romanzo breve dal titolo:Il social-consiglio in outfit da Bianconiglio. Per me è assolutamente terapeutico alimentare la passione per tutto ciò che riguarda il mondo della scrittura. Trovo affascinante l’arte della parola (scritta e parlata) e la considero una chiave di comunicazione fondamentale di cui non bisognerebbe mai perdere di vista il significato, profondo e speciale. Credo fortemente nell’impatto emotivo dello scrivere che mi consente di mettermi in ascolto di me stessa e relazionarmi con gli altri in una modalità che ha davvero un non so che di magico.




Leggi, Pensa, Cammina.

Photo by Vadim Stein

di Jacopo Ciardi

E’ un po’ come un oratore che dal pulpito predica bene ma razzola male. Eppure, è così: spesso raccomando i miei figli di leggere almeno dieci  pagine al giorno di un libro, sapendo che migliorerà, e di molto, la loro vita, eppure i miei libri sul comodino spesso li devo spolverare o smettere di appoggiarci sopra la tazzina del caffè.

Ciò nonostante è innegabile: leggere libri è una delle abitudini più importanti per migliorare la propria vita.

Certo, scriverlo qui su un magazine online, denota un apparente conflitto di interessi, eppure mi sento di poter dire che è questa “abitudine” una tra i migliori modi per poter cambiare la propria vita in meglio.

Non parlo di leggere solo libri di crescita personale, cosa che in passato ho fatto in abbondanza, ma di spaziare su tutto lo scibile della letteratura: esplorare autori che non hai mai letto, generi ed argomenti che non hai mai approfondito, biografie o classici che sono immortali e che ti possono insegnare cose sorprendenti ed attuali.

Le migliori idee, i maggiori stimoli, spesso non provengono forse dall’applicare in situazioni quotidiane concetti noti da sempre?

Prova a farti questa domanda e rispondi senza mentire a te stesso: “quanti libri leggo in un mese?” , “Quanti giornali compro in edicola? 

Se vuoi davvero cambiare e migliorare le tue capacità dialettiche e le relazioni con le persone, devi permettere alla lettura di entrare nelle tue routine quotidiane.

Ho visto che i miei figli, ma sono sicuro che succeda a tutti i ragazzi adolescenti, sono ossessionati dal dover riempire ogni istante della loro vita. Sono certo che non hanno mai preso un quarto d’ora del loro tempo per riflettere o meditare.

Succede anche a te? A volte siamo presi dai nostri impegni ed effettivamente non ci accorgiamo che le giornate passano, e magari giriamo a vuoto e la sera ci rendiamo conto che abbiamo perso solo tempo. E se invece provassimo a prenderci un quarto d’ora ogni sera, o ogni mattina prima di iniziare la giornata per stare in silenzio, al buio, e provare a riflettere e indirizzare i nostri pensieri in senso costruttivo? Non è necessario, per meditare, seguire corsi specifici o trovare improbabili guru su Youtube, ma puoi iniziare creando momenti di “vuoto”, magari con una musica di sottofondo, e cercare di convogliare i tuoi pensieri all’interno di uno “scaffale mentale” e metterli in ordine.

Se devo dire qual’è una delle migliori cose da fare, tra queste direi sicuramente “camminare”. Ciò che apprezzo in questa pratica non sono tanto gli effetti sul mio corpo, quanto quelli sulla mia mente.

Quando cammini costantemente, metti in circolo una serie di benefici che aumentano la tua produttività ,la tua concentrazione e che influiscono in senso generale sul tuo benessere e sulla tua alimentazione.

David Le Breton, antropologo e sociologo francese, ha scritto molti libri sul camminare e sui “viandanti” moderni. Secondo Le Breton camminare è un modo di aprirsi al mondo: camminando è possibile viaggiare, conoscere posti nuovi, incontrare persone e guardare le cose con occhi diversi. 

Ammetto che non sono un fissato della dieta. Non rinuncerò mai ad un piatto di pasta o ad una buona pizza. Eppure, se riusciamo ad introdurre piccoli miglioramenti al nostro modo di mangiare, sono sicuro che potremmo presto notare dei grandi cambiamenti e benefici per la nostra salute.

Attraverso una corretta alimentazione è possibile prevenire molte malattie croniche come l’ipertensione arteriosa, le malattie metaboliche e dell’apparato circolatorio, il diabete e alcune forme tumorali. Grazie ad una sana alimentazione, inoltre, è possibile proteggere l’organismo fortificando in prima battuta il sistema immunitario.

Non vado oltre perché non sono un dietologo nè un medico, e anzi ti consiglio di rivolgerti ad un esperto per evitare di affidarti alle tante idiozie che si leggono in rete su questo tema, e che possono portare a problemi gravissimi.


Jacopo Ciardi

Product Manager in diverse Palestre romane e da oltre 10 anni Personal Trainer.

Un passato da atleta agonista nel calcio e nel basket, pratico da diversi anni Calisthenics.

Amo tutti gli sport, specialmente outdoor, e cerco di trasmetterlo e condividerlo con la mia famiglia.

Lettore accanito, divoratore di romanzi e classici, orgogliosamente assente dai Social Media.




Per voce tua – Daniela Montanari

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Illustrazione di Anna La Tati Cervetto


Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Per voce tua – Daniela Montanari

Casa editrice: Phasar Edizioni

Data di pubblicazione: 25 marzo 2021

Genere: narrativa 


Quando Daniela mi ha contattato per presentarmi il suo libro, ammetto che per me non è stato facile accettare.

Per voce tua” affronta il delicato tema dell’aborto e, fino ad adesso, il solo pensiero mi faceva provare un dolore insopportabile.

Mi chiamo Anna e ho abortito“.

Anna è madre, ormai, di un uomo, e circa venti anni fa ha interrotto la sua seconda gravidanza. Da quel momento la sua vita è cambiata e ha dovuto far ricorso a vari metodi per fronteggiare i sentimenti legati alle conseguenze della sua scelta nonostante sia riuscita a crescere il figlio nel migliore dei modi e sia diventata una professionista affermata nel suo lavoro. Qualcosa non la fa stare bene, la donna non riesce a dare un nome al suo stato di malessere ed ella sente di non meritare più niente.

Gli strumenti utilizzati dalla protagonista per cercare la pace in se stessa possono essere interessanti anche se calati in altri contesti di crescita personale.

Anna combatte e non si arrende e mentre lotta per una pace interiore non si dimentica di tutte le donne che si sono trovate, o che si stanno trovando, a vivere la stessa esperienza. È proprio l’altruismo di Anna a lanciare il forte messaggio che una donna deve rispettarsi sempre, anche quando decide di interrompere la propria gravidanza.

Per voce tua” è un libro scritto da una donna per le donne: è una carezza all’anima di chi sta vivendo, o ha vissuto, il lutto legato all’aborto.

Dopo aver letto “Per voce tua” e aver vissuto la delicatezza con la quale Daniela Montanari affronta questo delicato tema è chiaro quanto questo argomento sia tutt’oggi ricoperto da un velo di ipocrisia.

L’aborto è concesso dalla legge ma chi supporta colei che ne fa ricorso? Soprattutto quando non ci sono patologie a carico del feto o quando la gravidanza è sorta a seguito di violenza?

Dopo aver letto il libro, risulta chiaro che una donna ricorre all’aborto perché non ha altra scelta, e se prima veniva spontaneo muovere delle critiche, seppur velate, da ora in avanti verrà soltanto istintivo provare una forte vicinanza a chi ha fatto questa scelta e anche i bambini mai nati, fisicamente, saranno ugualmente figli delle loro madri e di tutte quelle persone che le supportano. L’amore non deve avere confini e anche in situazioni così estreme deve trovare la forza di manifestarsi.

Alla fine del libro la scrittrice persevera con la propria generosità e lusinga il lettore con un regalo che conferma la completezza di questa donna piena d’amore per se stessa e per gli altri.


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




L’amore quando c’era – Chiara Gamberale

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Illustrazione di Anna La Tati Cervetto
Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Mondadori 

Data di pubblicazione: 05 maggio 2020

Genere: narrativa 


L ‘amore quando c’era racconta momenti di vita di coppia che in un modo o nell’altro abbiamo vissuto tutti, dietro ai quali si nascondono dinamiche legate ad un rapporto con noi stessi non del tutto risolto o a traumi ancora sanguinanti.

Amanda è single e non riesce a instaurare rapporti di coppia duraturi; qualcosa la rende inquieta e non riesce a darsi le giuste risposte.

Un giorno la donna propone un tema sulla felicità ai suoi alunni; i lavori che le vengono restituiti le fanno scattare qualcosa che la obbligano a guardarsi dentro alla ricerca di quello che non riesce a farla stare bene.

Almeno una volta è successo a tutti noi; nei momenti in cui ci sentiamo fragili, e un pò soli, ci guardiamo indietro alla ricerca della persona che abbiamo amato e con la quale non abbiamo più rapporti. 

Dopo tanti anni impulsivamente Amanda decide di mandare una mail al suo ex fidanzato, Tommaso, con il quale aveva vissuto una storia d’amore molto intensa ma che aveva lasciato all’improvviso, senza motivazioni evidenti.

Amanda gli scrive per inviargli le sue condoglianze per la perdita del padre.

Inizia così uno scambio di corrispondenza virtuale, all’inizio dai toni formali dove l’uomo apprezza il pensiero della ex e pone la conversazione su un tono distaccato.

Entrambi si ricordano l’affetto provato reciprocamente; Amanda è cosciente del dolore causato a Tommaso quando lo lasciò improvvisamente.

Tommaso è sposato e ha due bambini: una vita all’apparenza perfetta.

È proprio l’affetto che li ha legati a far aumentare la confidenza delle conversazioni; il mezzo informatico, senza contatto umano, rende più semplice lasciarsi andare a confidenze, momenti di riflessione e ricordi di una passione vissuta.

Piano piano la vita familiare e coniugale di Tommaso non si presenta più così soddisfacente e completa.

Perché i figli mettono così in difficoltà i coniugi?

I due protagonisti resisteranno alla tentazione di rivedersi?

Armanda riuscirà a trovare la sua serenità?

I temi affrontati Chiara Gamberale non sono nuovi e risultano già dibattuti sotto tanti punti di vista; leggerli fa sempre comunque riflettere e ci fa buttare un occhio sullo stato della nostra quotidianità…!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

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