La seconda vita.
un racconto di Cristiana Caserta_
Ho sempre cominciato a leggere l’odissea dal quinto libro. Quando Odisseo, che è stato per molti anni fermo sull’isola di Ogigia, al centro dell’oceano, infelice sposo della dea Calipso, può finalmente prendere il largo per tornarsene a casa sua.
Odisseo è già stato per mare, ovviamente. Ha vagato per anni, di isola in isola, ma stavolta è tutto diverso.
È la volta ‘buona’.
Lo capiamo subito.
È la sua seconda volta. Seconda vita. Seconda opportunità.
La seconda vita è quando stacchiamo alcuni fatti dal continuum del passato e li cominciamo a vedere come una partita che si è svolta. L’abbiamo persa. Era un gioco di cui non conoscevamo le regole, neanche sapevamo di giocare una partita!
Incontriamo una persona, rispondiamo a un messaggio, accettiamo un invito… siamo come gli ubriachi: non possiamo sapere che sviluppo avranno quei semplici gesti. Così Odisseo, ogni volta sbarca su un’isola – che può fare? Ha sete e fame – gli viene incontro qualcuno: è un cannibale? Una maga? Lo catturerà? Lo avvelenerà? Lo accoglierà con delicatezza?
Non può saperlo. Non possiamo. Procediamo a tentoni. Facciamo amicizia, cambiamo lavoro, lèggiamo un libro; ma non distinguiamo un giorno dal precedente, non sappiamo che cosa stiamo iniziando: abbiamo appena conosciuto il nostro migliore amico o la persona che ci distruggerà, il lavoro della vita o l’esperienza più atroce che mai consoceremo?
La prima vita è quella dell’esposizione, della nudità, del fallimento in agguato…
Ma impercettibilmente impariamo, giorno dopo giorno, isola dopo isola, e quando abbiamo un po’ di tempo cominciamo a vedere i fili invisibili che legano le cose fatte, i dettagli che ci sfuggivano, il disegno si svela e … ha senso!
A quel punto vorremmo rigiocare la partita! Stavolta sceglieremmo con cura il campo, anticiperemmo le mosse dell’avversario, risparmieremmo le forze per quegli ultimi minuti concitati, entreremmo sulle gambe dell’attaccante che segnerà a porta vuota (meglio un rosso che un goal allo scadere)
E però non è possibile.
Quante vite abbiamo?
Tante.
Quella fatta di ciò che ci è capitato, e quella che abbiamo plasmato secondo un’idea che ci siamo inventati di ciò che siamo, che vogliamo. La seconda vita inizia quando scegliamo, quando distinguiamo nel flusso degli accadimenti uni spazio per la scelta.
La decima isola per Odisseo è quella giusta, perché non ha più niente: non navi, non compagni, nemmeno vestiti. Ha solo le sue capacità: la sua intelligenza e la sua parola fluente.
Quando Odisseo parlava, ci dice Omero, tutti stavano in silenzio, meravigliati, e le sue parole erano come fiocchi di neve che scendono dal cielo e ricoprono ogni cosa.
Immagine straordinaria! E che dobbiamo rivivere con lo sguardo mediterraneo e la pelle temprata dal sole e dal sale di chi vive in mare.
Ma anche senza quelle straordinarie capacità, quando una vita si presenta come storia e distinguiamo un tema, un inizio, uno sviluppo di fatti, un senso… questa è già la seconda vita, in cui la prima appare ormai come ritaglio, la sua casualità riscattata, il suo tempo riguadagnato, la sua oscurità chiarificata.
Possiamo ormai, come Odisseo alla corte dei Feaci, dire chi siamo. Qual è la nostra casa. La nostra anima gemella. Non quelle che la sorte o il caso ci hanno assegnato, ma quelle scelte, strappate alle contingenze, desiderate con ardore in tutti i porti e in tutti i mari solcati, nell’ora “che – dice Dante – volge al disìo ai navicanti ‘ntenerisce il core”.
Scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.