Maxxi
Fotogallery. Always in progress 😉
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58-52 a.C.: Giulio Cesare conquista la Gallia. Tutta? (cit.) Si, proprio tutta, con buona pace dei galli e galletti di cartone Goscinny, Uderzo, Asterix e Obelix. I limiti orientali della Gallia, e quindi del dominio di Roma, vengono fissati sul Reno. Reno che comunque viene occasionalmente passato almeno un paio di volte dalle legioni romane (grazie ad incredibili ponti allestiti in pochi giorni, descritti accuratamente dallo stesso Cesare) solo – per “convincere” i Germani, diciamo con modi un tantinello spicci – di rimanere più tranquilli nei loro villaggetti al di là del fiume, evitando di commettere scorribande in Gallia. Ecco, appunto, villaggetti. Al di là del Reno non c’erano infatti delle città, ma degli insediamenti abitativi molto più rarefatti: come Giulio Cesare aveva già notato, e come spiega ancor meglio Tacito (98 d.c.) nel suo “De origine et situ Germanorum”:
“È notorio che le popolazioni germaniche non hanno vere e proprie città e che non amano neppure case fra loro contigue. Vivono in dimore isolate e sparse, a seconda che li attragga una fonte, un campo, un bosco. Non costruiscono, come noi, villaggi con edifici vicini e addossati gli uni agli altri: ciascuno lascia uno spazio intorno alla propria casa o per precauzione contro possibili incendi o per imperizia nella costruzione.
Non impiegano pietre tagliate o mattoni: per ogni cosa si servono di legname grezzo, incuranti di assicurare un aspetto accogliente.“
Testimoniando così l’esistenza di edifici simili a quella che sarebbe poi diventata la fachwerkhaus, la casa caratteristica dei popoli germanici. Per rendere l’idea, nell’odierna Geimar-Fritzlar, in Turingia, esiste una ricostruzione di un insediamento abitativo tipico della tribù dei Catti, allora posizionati tra il Reno e il Meno al tempo di Augusto.
Come sappiamo, i programmi di Cesare che, secondo Plutarco, dopo queste escursioni dimostrative aveva in mente di rimettere le cose definitivamente a posto nella “Germania Magna” (quella oltre il Reno), furono bruscamente interrotti da Bruto e Cassio nelle ben note Idi di Marzo del 44 a.C.
A sua volta Augusto, dopo qualche anno e una volta “chiarita” nel Mediterraneo la situazione con Marco Antonio e Cleopatra, riprese il programma di Cesare nel nord Europa, spostando il confine orientale dell’Impero dal Reno all’Elba e provando ad imporre il “lifestyle” romano anche alle tribù barbariche dislocate tra questi due grandi fiumi. Fu decisamente un fallimento: il governatore Varo, avido ed ottuso, proveniente dalla Siria e abituato alle corruzioni e alle mollezze dei regni mediorentali, non capì nulla dello spirito libero, selvaggio ed indomito dei Germani che nel 9 d.c. si unirono sotto la guida di Arminio (Hermann der Cherusker) per ribellarsi a Roma, annientando tre legioni in quella che sarebbe diventata la “Clades Variana”, la disfatta di Teutoburgo. La peggiore sconfitta subita da Roma dai tempi di Annibale.
Si è giustamente detto che queste circostanze (la congiura contro Cesare, la ribellione – o il vile tradimento, a seconda del punto di vista – di Arminio) abbiano radicalmente cambiato il corso della Storia, sottolineando che se Roma ha perso la Germania, allo stesso modo la Germania perse Roma, con tutte le conseguenze del caso: tralasciando gli aspetti politici, filosofici, religiosi, culturali e linguistici che ne sarebbero conseguiti, tra Reno ed Elba non furono più costruiti edifici pubblici, terme, ponti, strade, acquedotti, fortificazioni, accampamenti, mura, città. Quindi, niente “Insulae”, nessuna “Domus”. Le abitudini dei Germani sarebbero infatti rimaste sostanzialmente quelle descritte da Cesare e Tacito ancora per diversi secoli se non millenni; ancora oggi possiamo facilmente rintracciare il DNA delle abitazioni di duemila anni fa nell’ odierna “casa a graticcio”, la fachwerkhaus.
Ehrsen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Fachwerk, in tedesco, è il termine che si usa per definire questa artigianale e plurisecolare metodologia costruttiva in cui l’edificio è sorretto da una struttura lignea portante, fatta di montanti, travi e puntelli, sapientemente assemblati tra loro. Lo scheletro a vista – che si direbbe oggi “eco-friendly” – grazie all’elasticità propria del legno riesce a resistere anche a grandi sollecitazioni di neve e vento. Le tamponature tra le travi e i pannelli (Gefach), sono di norma riempite con un graticcio o una cannicciata di rami sottili rivestita di argilla su entrambi i lati, oppure – meno frequentemente – con un impasto di ciottoli e/o laterizi.
La struttura così evidente, non diversamente da quella propria della tradizione giapponese alla quale per certi versi un poco assomiglia, assume anche una forte valenza decorativa, smentendo così l’ingeneroso giudizio estetico di Tacito (nota a sua discolpa: era abituato a ben altro stile, quello imperale di bronzi e marmi; si pensi che allora il Colosseo era nuovo di zecca…)
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Questo principio costruttivo, di uso corrente fino all’Ottocento, è stato declinato in molte variazioni e trasformazioni influenzate dalle caratteristiche storiche e geografiche delle diverse regioni tedesche (e anche francesi: già Cesare aveva scritto che le case dei Galli, dei Britanni e dei Germani si assomigliavano: la continua osmosi culturale tra le due rive del Reno ha fatto il resto),
Le case a graticcio in Germania si trovano ancora in una stupefacente varietà di forme, intrecci e decorazioni, a volte figurative, altre puramente ornamentali, tutte diverse tra loro a causa delle caratteristiche spiccatamente artigianali; anche a cercarle col lanternino, non si trovano infatti due case Fachwerk uguali tra loro.
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Il periodo di massimo splendore dell’edificio a graticcio è senz’altro quello tra il XVI e l’inizio del XVII secolo. Esiste addirittura una strada delle case a graticcio (“Fachwerkstraße”) che attraversa per 2.800 km tutta la Germania, dal nord al sud, collegando quasi 100 città tedesche, attraversando ben 6 Lander: Bassa Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia, Assia, Baden-Württemberg, Baviera. Ma, e questo per noi è davvero tanto sorprendente quanto incomprensibile, escludendo proprio la Renania settentrionale-Vestfalia, cioè proprio quella regione appena al di là del Reno, e cioè quella più direttamente interessata dalle vicende descritte da Cesare e Tacito.
Nel cuore della Nordrhein-Westfalen (questo il nome attuale del Land, in tedesco) e segnatamente nella provincia della Lippe, sono invece conservati un gran numero di edifici a graticcio, nei piccoli centri storici o dispersi tra boschi e campi: ne abbiamo quindi fotografati alcuni che si trovano fuori delle grandi rotte turistiche, nelle località di Ehrsen, Breden, Bad Salzuflen, Schotmar, Gutersloh, Bergkirchen, Hollenstein, Schwalenberg, Herford. Edifici che, non a caso, si trovano disseminati nella Selva di Teutoburgo, sì, proprio la foresta teatro della battaglia tra Germani e Romani del 9.d.C.
Al centro della quale, sulla sommità di una collina, svetta un ciclopico monumento dedicato ad Arminio, l’Asterix teutone capo della resistenza militare – e culturale – contro i Romani: in ultima analisi, è anche merito suo se le case a graticcio si sono continuate a costruire e sono arrivate fino a noi secondo la tradizione locale, quella raccontataci da Giulio Cesare e Publio Cornelio Tacito.
Architetture che ci mettono la faccia …(ta).
Mohammed bin Salman, principe ereditario dell’Arabia Saudita, ha recentemente svelato un progetto urbanistico all’avanguardia e totalmente green.
The Line, è una città a zero traffico e zero inquinamento, con abitazioni disposte lungo una linea retta di 170 chilometri. Un luogo dove non esistono né strade né macchine e tutto è raggiungibile in pochi minuti a piedi.
Il Progetto fa parte di “Neom”, l’avveniristica città del futuro che collegherà la costa del Mar Rosso con il nord-ovest dell’Arabia Saudita.
Ma perché questo Progetto è considerato innovativo?
The Line ha alla base un concetto urbanistico molto forte ed è stata progettata per layer. Tra quello pedonale in superficie e quello più profondo per il trasporto veloce, sorgerà anche un livello intermedio destinato alla logistica e altre infrastrutture.
Secondo questa logica, la città sarà organizzata per nuclei, all’interno del quale sarà possibile trovare tutti i servizi essenziali, come scuole, ospedali e uffici, oltre che aree verdi, e tutti raggiungibili facilmente senza l’ausilio di mezzi inquinanti.
I moduli urbani saranno collegati da una linea metropolitana ad alta velocità situata nel sottosuolo al livello più basso. In questa maniera The Line collegherà tutte le diverse comunità [nuclei], con il trasporto da un’estremità all’altra che non richiederà mai più di 20 minuti.
Altra caratteristica innovativa riguarderà l’esperienza di vita, che sarà completamente automatizzata e affidata all’Intelligenza Artificiale. L’IA sarà utilizzata non solo nel trasporto ma in tutta la città, dando vita a una vera e propria Cognitive City che sarà in grado di imparare continuamente i modi predittivi rendendo la vita degli abitanti più facile.
Quando si parla di Arabia Saudita i budget di spesa non sono mai un problema. Ma questa volta i numeri sono impressionanti. La costruzione di The Line e della mega città di Neom costerà più di 500 miliardi di dollari e sarà finanziata dal Saudi Public Investment Fund.
L’enorme progetto urbanistico creerà 380.000 posti di lavoro e contribuirà al PIL nazionale per oltre 39 miliardi di euro entro il 2030.
Gli sviluppatori del progetto sono ottimisti, tanto da affermare che la costruzione di The Line sarà completata entro il 2025.
FONTI VERIFICATE
Nel quarto superiore del simbolo della Marina Militare compare il Leone di San Marco, secolare simbolo della città di Venezia e della sua antica Repubblica.
Detto anche “Leone Marciano” o “Leone Alato”, è la rappresentazione simbolica dell’evangelista san Marco, raffigurato in forma di leone alato.
Altri elementi osservabili sono l’aureola, il libro e una spada tra le zampe in varie combinazioni
La simbologia del Leone di San Marco deriva dalla leggenda secondo la quale un angelo sotto forma di leone alato si presentò al Santo, naufragato in laguna, proferendo le parole: «Pax tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum» (Pace a te, Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo) preannunciandogli che in quel luogo, un giorno, il suo corpo avrebbe trovato riposo e venerazione. Il libro, associato al Vangelo, ripropone spesso le parole del leone: «PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS».
Numerose le interpretazioni simboliche riguardo alla combinazione tra spada e libro:
il solo libro aperto è ritenuto simbolo della sovranità dello Stato;
il solo libro chiuso è invece ritenuto simbolo della sovranità delegata alle pubbliche magistrature;
il libro aperto e la spada non visibile a terra è ritenuto simbolo della condizione di pace;
il libro aperto con la spada impugnata sarebbe invece simbolo della pubblica giustizia.
il libro chiuso con spada impugnata, è infine ritenuto simbolo di stato di guerra;
Altri elementi significativi, infine, il leone poggia le zampe anteriori sulla terra e quelle posteriori sull’acqua: particolare riferimento al saldo potere di Venezia sulla terra e sul mare.
Cieli sereni
🇮🇹
PG
(Interno interattivo a 360 gradi del Pantheon a Roma. Cliccando sul quadratino si ottiene lo schermo intero; trascinado il cursore del mouse ci si muove in ogni direzione )
Quadro assiomatico: l’Architettura è un linguaggio.
Postulato: L’Architettura Classica, l’arte del costruire che nel campo linguistico corrisponde all’antico Greco e al Latino, è esclusivamente quella che utilizza gli ordini architettonici Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito.
Definizione: un ordine architettonico è costituito da un insieme di sostegni e sovrastrutture, tra loro correlati, distinto da proporzioni, profili e dettagli caratteristici che lo rendono facilmente riconoscibile. I Cinque Ordini costituiscono l’equivalente delle cinque declinazioni della lingua latina e rappresentano le vere e proprie “uniformi” degli edifici classici.
In questa splendida incisione su rame di Claude Perrault (1613-1688, autore della “colonnade”, come viene chiamata la facciata est del Louvre) sono illustrati quelli che, all’epoca, venivano considerati indiscutibilmente gli ordini classici dell’Architettura: da sinistra Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito.
L’utilizzo concreto di questa gamma lo ritroviamo, peraltro, nel corso di millenni della Storia dell’Architettura e senza limitazioni geografiche di sorta: partendo in Grecia dal VI secolo a.C., proseguendo per l’intera estensione dell’Impero Romano, nelle Americhe e financo in Australia, Africa ed Asia, nell’architettura coloniale del XX secolo.
Nelle illustrazioni che seguono, abbiamo volutamente messo a confronto tre diversi esempi dell’ordine “dorico greco/arcaico” ( tutti realizzati in Italia)
Le prime due immagini a sinistra raffigurano il Tempio di Era II (o di Poseidone) a Paestum (V sec. a.C.) mentre le altre due risalgono all’inzio del XIX secolo e sono opere romane di Giuseppe Valadier: rispettivamente Villa Torlonia e la Casina del Pincio, che appunto prende il suo nome. Colonne e capitelli del Tempio sono separati da quelli delle altre costruzioni da oltre 2300 anni….epperò lo stile rimane molto simile, oltre che assolutamente riconoscibile.
Ma perché gli ordini sono proprio (e solo) cinque? All’età di Augusto, per Vitruvio (che conosceremo meglio tra qualche riga) erano limitati a tre: Dorico, Ionico e Corinzio. La gamma ampliata è stata di fatto “certificata” solo quindici secoli dopo, nel Rinascimento, da un architetto bolognese, Sebastiano Serlio (1475-1554), collaboratore di Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che a sua volta lo era di Raffaello Sanzio (1483-1520). Raffaello, ricordiamo, oltre che “divin pittore” era stato nominato dal papa Leone X “praefectus marmorum et lapidum omnium“, diventando, di fatto, il primo soprintendente archeologico e ai monumenti della storia.
In questa veste, probabilmente anche seguendo i consigli del concittadino Donato Bramante (1444-1514), il primo progettista della “nuova” Basilica di San Pietro, voluta da Giulio II e fondata nel 1506, Raffaello era stato incaricato di catalogare e ridisegnare le più importanti rovine romane al fine di ricavarne quelle “regole universali” che avevano generato “l’unica buona e vera Architettura, quella degli antichi”, che lo stesso Pontefice voleva riportare in vita per celebrare la rinascita dei fasti dell’Impero Romano, stavolta sotto la guida della Chiesa.
Oltre ai Maestri citati, ricordiamo che intorno al 1500 a Roma si trovavano anche Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo; poco prima c’erano stati anche Pinturicchio e i decoratori quattrocenteschi della Cappella Sistina: Perugino, Botticelli, Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Signorelli: tutti i grandi artisti umbri e toscani che, a loro volta, nel campo dell’Architettura avevano come punti di riferimento Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, le vere stelle polari dell’Umanesimo fiorentino e primi, veri promotori della riscoperta del classicismo nelle arti e nell’architettura dopo il Medioevo.
Cosa ha fatto il buon Serlio allora? Come Architetto, non era dotato di particolare talento; ma potendo disporre degli studi dei contemporanei o di chi lo aveva di poco preceduto, ha avuto l’enorme merito di collezionare, riordinare, sistemare e pubblicare un insieme di conoscenze preziose, frutto delle ricerche appassionate, ma dispersive, di un irripetibile gruppo di geni assoluti. Il risultato dei suoi sforzi è l’opera “I sette libri dell’Architettura”, pubblicati a partire dal 1537 in ordine irregolare ed in tempi e luoghi diversi. Improntato più ad uno spirito pratico che teorico, il suo trattato è in assoluto il primo a codificare in dettaglio i “cinque ordini”, attribuendo grande importanza alle immagini, e costituisce una pietra miliare non solo nella storia della trattatistica di architettura, ma anche nella storia della stampa.
Il frontespizio del Libro IV (il primo ad essere pubblicato nel 1537) ci dice tutto sulle convinzioni dell’autore: le regole sono “generali” e le “maniere” cinque: appunto Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito; cita gli esempi dell’Antichità “che per la maggior parte concordano con la dottrina di Vitruvio”.
Serlio, per qualificare la sua opera, non solo si richiama alle nobili vestigia romane, ma si appella anche all’autorità dottrinale di Vitruvio… e allora, chi era costui, e in cosa consisteva la sua dottrina?
La risposta è semplice: Vitruvio (in latino: Marcus Vitruvius Pollio) era “il Serlio” dell’età di Augusto. Architetto, ma soprattutto trattatista, viene tuttora considerato il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi.
Attivo nella seconda metà del I secolo a.C. è autore della Basilica di Fano e soprattutto del trattato De architectura (Sull’architettura), in 10 libri, dedicato ad Augusto che gli aveva concesso una pensione.
Scritto probabilmente tra il 29 e il 23 a.C. (periodo nel quale Augusto aveva in mente un rinnovamento generale dell’edilizia pubblica) mirava certamente a ingraziarsi l’imperatore; a cui, non a caso, Vitruvio si rivolge direttamente in ciascuna delle introduzioni preposte ad ogni libro.
Il De architectura è l’unico integro testo latino di architettura giunto fino a noi e per questo il più importante,
Testimonia gli usi e costumi dell’epoca ed è stato studiato da ogni architetto dopo la riscoperta del manoscritto, avvenuta nel XV secolo.
«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie.» |
Claude Perrault, “distillò” da questo passo del trattato la leggendaria formula della triade vitruviana, secondo la quale cui ogni buona architettura deve soddisfare tre requisiti:
Che onestamente rimangono difficilmente contestabili, anche dopo duemila anni.
(Fine episodio I. Continua…prossimo episodio: l’ordine tuscanico.)
Signore e signori, con questo profilo twitter abbiamo il piacere di inaugurare una rubrica con la quale, ad insindacabile giudizio della redazione, in ogni articolo vi presenteremo un profilo social, scelto adducendo motivazioni e ragioni, di volta i volta, tra le più disparate.
Nel caso di @AcsGregory, però, non abbiamo bisogno di arrampicarci troppo sugli specchi: la TL è piena zeppa di fotografie straordinarie. Le sue.
di Tolomeus
Cominciamo col botto, facendovi entrare virtualmente nella più bella Architettura del mondo (… e ci dispiace per le altre?.. No, non ci dispiace per nulla: non c’è storia, anzi Storia che tenga. Il Pantheon “è” l’Architettura).
E proseguiamo chiarendo subito che questo articolo vuole essere “solo” il trailer di una corposa serie nella quale parleremo di Architettura. Non aspettatevi però archistar modaioli o archistarlettes da rivista patinata; tratteremo solo di Architettura Classica, considerandola soprattutto come linguaggio. Parleremo allora di comunicazione; parleremo del greco e del latino, nelle loro versioni architettoniche. Racconteremo di capitelli, colonne, trabeazioni, ovuli e astragali; ne illustreremo la Prosa, Poesia, Grammatica, Sintassi, Eccezioni e …strafalcioni. (Maiuscole e minuscole non sono casuali) E soprattutto lasceremo la parola alle immagini, tutte originali e – necessariamente – di qualità superlativa. Già, armati di fotocamera, non si possono sfidare delle meraviglie in pietra e mattoni, corrispondenti a quelle su carta di Omero, Cicerone e Virgilio, senza esserne all’altezza. Ecco un’anteprima, e…a presto.
Sempre più spesso capita di vedere in giro per le città (piccole o grandi che siano) degli spazi pubblici riqualificati con nuovi elementi di arredo urbano che incentivano a socializzare e rilassarsi, piste ciclabili colorate, panchine e fioriere in posti normalmente usati come parcheggi o carreggiate.
E’una “tendenza” che piace sia ai cittadini, sia alle Pubbliche Amministrazione e che, sebbene forse in Italia stia prendendo piede solo ora, viene utilizzate nelle grandi metropoli mondiali già da diversi anni.
Stiamo parlando dell’Urbanismo Tattico, ovvero un processo di rigenerazione urbana a basso costo economico, ma elevato impatto sociale.
Tre sono le caratteristiche principali:
– coinvolgimento delle realtà locali, quali residenti e non delle zone interessate, associazioni, gruppi di volontariato
– basso costo delle opere
– velocità di realizzazione e reversibilità
I lavori ottenuti, che ridisegnano quindi alcune locations specifiche della città come piazze, incroci, zone di passaggio, hanno il compito di ridefinire il concetto di “mobilità” nell’epoca post Covid, elemento da non sottovalutare data anche la necessità di limitare le auto private e potenziare “Car Sharing” e “Micromobilità”(scooter, monopattini elettrici, biciclette a pedalata assistita).
Ma il loro vantaggio è soprattutto quello di far aumentare il benessere della comunità, sia per quando riguarda il senso di appartenenza, sia per promuovere una socialità “sana”, lontano per qualche ora dagli effetti del mondo digital.
Tanto entusiasmo per queste tecniche non convenzionali di riqualificazione urbana si è visto a Milano, ad esempio con il progetto “Piazze Aperte” – realizzato in collaborazione con Bloomberg Associates e con il supporto della National Association of City Transportation Officials (NACTO) e della Global Designing Cities Initiative – ha consentito ai milanesi di riappropriarsi di spazi altamente trafficati, facendo in modo che i cittadini potessero così vivere in prima persona il loro quartiere.
Talvolta, per compiere le opere, vengono anche chiamati artisti di fama internazionale del calibro di Camilla Falsini (delle più famose illustratrici italiane), che ha messo a disposizione la sua arte proprio per ridisegnare uno dei luoghi simbolo del quartiere Isola, Piazza Tito Minniti.
L’urbanismo tattico rappresenta davvero una soluzione che piace a tutti e che serve per creare empatia, collaborazione e dare origine a nuovi spazi.
Può fornire supporto ed affiancare la fase di progettazione iniziale di nuovi interventi, ma può anche essere un mezzo efficace per “sanare” e quindi riqualificare davvero alcuni spazi che, per svariati motivi, hanno via via perso la loro identità e funzione.
Questo tripudio di colori e vivacità comporta però anche delle problematiche importanti da risolvere.
Le auto non spariscono, anzi potrebbero ingorgare vie limitrofe e rendere così un incubo svolgere i normali spostamenti quotidiani, i commercianti potrebbero avere delle difficoltà nelle operazioni di carico – scarico delle merci e atti vandalici potrebbero vanificare il lavoro svolto.
Sicuramente ci vuole l‘impegno e la volontà di tutti, ma come dice Jaime Lerner – architetto, urbanista, ex sindaco di Curitiba (Brasile) “La mancanza di risorse non è più una scusa per non agire. L’idea che l’azione debba essere intrapresa solo dopo aver trovato tutte le risposte e le risorse è la ricetta per la paralisi assicurata. La pianificazione di una città è un processo che consente correzioni”.
Classe 1984.
Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.
Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.
Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.
Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.
Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.
di Redazione online
Architetto e designer d’interni iraniano, Milad Eshtiyaghi ha recentemente progettato “Mountain House“, una ardita costruzione per unità abitative situata a Quadra Island, British Columbia, Canada.
Il progetto ipotizza una monumentale “casa di montagna” che letteralmente si aggrappa ad una scogliera rocciosa. L’idea è concepita partendo dal totale rispetto della situazione naturalistica presente, mantenendo intatta la situazione degli alberi preesistenti nel sito individuato.
Per fare ciò, il progettista utilizza una serie di “scatole” impilate verticalmente o orizzontalmente. Queste file riescono ad intrecciarsi intorno agli alberi e lasciare in mezzo bellissimi e panoramici cortili. Una delle configurazioni più audaci di questo sistema è la pila verticale che forma una “C” che si affaccia dalla scogliera.
L’organizzazione e la distribuzione degli spazi sul terreno e lo sviluppo verticale risultante è un insieme di volumi che si intrecciano e che generano dei vuoti e dei pieni in elevazione ed a sbalzo.
Il design della casa è organizzato per soddisfare le esigenze di famiglie “intergenerazionali”.
La parte inferiore è chiamata “la casa del figlio” e il livello superiore “la casa del padre”.
Un “figlio” potrebbe portare il partner e i figli a vivere al livello inferiore e avere abbastanza privacy per la sua famiglia, ma anche essere, allo stesso tempo, abbastanza vicino ai suoi genitori. Un altro livello è concepito come uno spazio comune in cui il progettista include attività ricreative per la famiglia allargata.
Il progetto segna una continuità creativa dell’architetto per le costruzioni che sfidano la gravità con una drammatica struttura che induce una sensazione di precarietà e paura.
La modellazione di questo progetto viene eseguita nel software 3-D MAX 2019 e , dopo aver completato la modellazione del materiale in V-RAY 4.1 è stato sottoposto ad una operazione di post produzione in Adobe Photoshop per ottenere un risultato perfetto e un rendering iper realistico.
Per ulteriori dettagli, vi rimandiamo al sito dell’architetto
https://miladeshtiyaghi.com/Home/Building/10069
Miladeshtiyaghi è nato nel 1994 a Teheran, in Iran. Dopo il diploma di maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Architettura e consegue il Master in architettura sostenibile presso IUST (università delle scienze e della tecnologia iraniana). Dopo aver fatto esperienza in diversi studi di architettura crea il proprio studio nel 2016. Attualmente è operativo a livello internazionale.
Miladeshtiyaghi ha come riferimento culturale lo stile architettonico minimalista, verde e sostenibile.