Per sesso o per possesso.
Nessuno ci insegna ad amare. Nessuno ci impartisce quella misura precisa con cui farlo.
E nessuno ci insegna neppure a disegnare l’area dentro la quale, con un compasso, racchiudiamo cosa amiamo e chi amiamo.
La famiglia, le esperienze, la società ci insegnano come e dove amare qualcuno ma non è sempre esattamente così.
Come? Ci dicono che bisogna amare prima se stessi e poi gli altri .
Come se volersi bene o non volersene precludesse in sintesi la possibilità di essere pazzi di qualcuno o che qualcuno possa desiderarci lo stesso.
Con tutte le ossa fracassate, con tutta la carne scoperta che abbiamo, con tutto il marcio che c’è.
Dove amare qualcuno? In quello spazio che c’è tra il rispetto per se stessi e l’ossessione.
Certo perché è così facile trovare una linea di comportamento socialmente corretta quando c’è di mezzo una dipendenza. Una dipendenza da un profumo, un corpo, la semplice “presenza” di qualcuno o anche il sesso.
Come se, tra le strade di Buenos Aires, sotto le stelle (a volte) e sotto la tempesta altre, ballassimo un tristissimo tango.
Astor Piazzolla, definiva quella musica,come un emozione triste che si balla.
Sí perché nella malinconia, c’è dentro un po’ di tutto questo.
Due corpi che si sfiorano e che si lasciano andare ad una fusione completa .
Per chi come me ha sofferto di dipendenze, è veramente difficile provare un sentimento calmierato, diciamo “ un emozione misurata”.
Non mi hanno insegnato a farlo e a dir la verità non sarei nemmeno interessata.
Dentro a quell’area circolare che provo a disegnare con il compasso, moltissime volte ci giro dentro come un topo in gabbia che non riesce a trovare una via di fuga.
Mi scontro con il voler dare troppo, con il non avere freni, con il desiderio di sperimentare cose nuove, con la paura di essere assolutamente e sempre fuori luogo, con la certezza che se è vero che non ho mai imparato a scegliere cosa offrire di me so, allo stesso modo ed esattamente quanto sia importante vivere tutto.
Da piccola era molto diverso, appannato, aggrovigliato , non volevo sentire e non volevo essere vista.
Oggi da donna adulta , invece , sono dipendente da quella adrenalina che è una meravigliosa scoperta .
Ho bisogno di sentire quella scossa che mi fa sobbalzare dalla sedia, quel dolore che ti sventra e ti denuda, quel desiderio che ti fa chiedere e supplicare ancora.
Sono seduta in macchina, con il culo attaccato al sediolino, solo perché sò che tra pochi secondi spingerò l’accelleratore.
E ci saremo solo io e la potenza e la follia di questa corsa, in piena notte senza una meta.
Scrivo queste cose perché so che la fuori ci sono tantissime donne e uomini che hanno delle dipendenze, ma che credono che averne una significhi per forza di cose doversene liberare.
Ho imparato, invece, che forse la strada migliore per gestirle è quella di viverle con qualcuno che le sappia trasformare in amore.
La trasformazione è la chiave.
Forse , non aprirà tutte le porte ma sicuramente aprirà le porte di noi stessi alla ricerca della nostra essenza.
Qualunque essa sia, qualunque intensità abbia e dovunque ci stia inesorabilmente portando.
Ci vediamo lì in fondo al pozzo dove nessuno ci dirà come e quanto amare, chi e cosa, di che sesso, cultura o estrazione sociale , ossessivamente o di nascosto, per sesso o per possesso, per una vita di comodo o per una allo sbando.
Io voglio continuare a ballare il Tango con Astor Piazzolla in sottofondo.
Nota sull’autrice.
Ludovica D’Alessandro è una Office Manager and Executive Assistant.
Nata a Napoli, ha vissuto e lavorato per molti anni a Londra.
Ora vive a Milano.
Scrittrice per diletto, talento enorme e indiscutibile, è prossima alla pubblicazione della sua opera prima.