L’invisibilità dell’acqua pulita.
Quale che sia l’argomento di discussione, quando l’oggetto del contendere si barcamena tra bene e male (nel senso più ampio possibile), la risultante dell’analisi è sempre una questione di percentuali. E come in ogni ricetta che si rispetti, quelle statistiche diventano la rappresentazione grafica, il ritratto immediato di qualcosa che, in quel contesto specifico, non va.
Che sia un malcostume, una propensione al reato, una particolare inclinazione alla violenza, la tendenza all’assenteismo o qualsivoglia altra accezione comportamentale negativa, proveniente quindi dal lato oscuro dell’animo umano, è sempre una questione di numeri e statistiche, riguardando solo una parte del tutto (la categoria) e mai il tutto senza eccezioni.
Se non altro perché, la generalizzazione, è sbagliata in partenza, disconoscendo, o non prendendo in esame, tutte le variabili e le infinite sfumature, quelle luci e ombre e quei colori in chiaroscuro che ci rendono unici e irripetibili.
Ma quando si parla di percentuali di nefandezza, attribuibili ai membri di una determinata categoria, sia essa professionale, etnica, ideologica, sessuale o religiosa, ecco che l’oggettività del dato statistico, lascia il posto alla percezione soggettiva che, sviluppata dalla nostra mente (ognuno per sua coscienza e cultura) assume i contorni – errati, mi ripeto – di una caratteristica pregiudizievolmente insita in ogni appartenente alla categoria, come se l’atto stesso di farne parte, ne garantisca il contagio, la permeazione del negativo all’interno di un ecosistema individuale altrimenti puro.
E volendolo anche ammettere, questo ecosistema individuale altrimenti puro, la questione delle percentuali torna in auge sottolineando, dati fattuali alla mano, come si tratti, sempre e comunque, di una esigua minoranza a cozzare con l’onestà intellettuale, il rispetto per la legge e il senso del dovere, insito (esso sì) nella maggior parte dei suoi simili.
Dei colleghi, ad esempio.
È sempre una esigua minoranza, quella degli insegnanti fannulloni e ignoranti, degli impiegati pubblici assenteisti e svogliati, dei medici che prescrivono tonnellate di farmaci per lucro personale, degli africani che spacciano o dei rumeni che rubano. Perfino dei politici che prendono le mazzette, considerati la totalità dell’emiciclo o delle amministrazioni locali, ma che, in realtà, sono sempre una piccola percentuale dell’organico. Anche degli italiani mafiosi, che dalle generalizzazioni nessuno si salva.
L’acqua pulita è trasparente per definizione. Ed è quella singola chiazza di petrolio, a saltare agli occhi, nonostante l’immensa differenza quantitativa. È sempre e solo un’infima percentuale del tutto, a volersi scomodare con le statistiche che, fredde e imparziali, disegnano una realtà ben diversa da quella percepita, fatta di evidenze dimostrabili, al contrario della percezione che punta il dito contro il singolo, per additare una collettività intera.
Ma è proprio nella percezione, il problema più grave. È a causa del nostro intimo sentore, ben pasciuto al punto di divenir convinzione o verità assoluta, la prova provata, la pistola fumante, il dato incontrovertibile che assurge al poco nobile ruolo della vox populi. Fino a divenir leggenda, anche se riguarda due soggetti su ventimila.
È la mela marcia a far scartare la cassa intera.
Eccolo il problema. Perché l’acqua pulita si dà per scontata come le mele buone, ce la si aspetta, la si pretende, al punto che nemmeno la si nota più. Un bicchiere d’acqua pulita è pieno di un liquido invisibile, perché spesso la pulizia, anche quella intellettuale, come l’onestà, è invisibile agli occhi, sommersa dai luoghi comuni, spesso tendenziosi e faziosi, al culmine della loro sterile ignoranza.
Ma proviamo a mettere una goccia d’olio in quel bicchiere di acqua pulita, fresca e trasparente ed ecco che, come per un nefasto incantesimo, quel bicchiere perde tutte le sue qualità, al punto da essere scartato. Una goccia d’olio in un intero bicchiere d’acqua è una parte quasi infinitesimale del tutto, eppure, come nel caso del singolo che pecca, ha la capacità di sporcare ciò che tocca, di renderlo sgradevole, solo in funzione di una comune appartenenza.
Non è la categoria a implicare caratteristiche buone o cattive, bensì il singolo, che il bene e il male si porterebbe dietro (e dentro) anche cambiando categoria o lavoro.
Ed ecco che quindi non esiste la categoria degli assenteisti, o dei politici corrotti. Esistono solo dei singoli, che sarebbero assenteisti e corrotti anche in contesti ben diversi. Perché il problema non è nella categoria, nell’etnia, nella preferenza sessuale, ideologica o religiosa, bensì nella società civile che, in parte marcia come i corrotti additati, pare aver smarrito il lume della retta via, in un sistema che permette determinate nefandezze e nell’accessibilità al malcostume.
Ma non è una rondine a far primavera. Nemmeno uno stormo.
L’occasione fa l’uomo… uomo! Che ladro, eventualmente, lo era già, ben prima di cogliere la mela del peccato. E tanto la società civile, quanto il sistema (inteso come organizzazione e amministrazione) è fatto di singoli, gli stessi singoli che sarebbero una goccia d’olio nel bicchiere, sia esso d’acqua, di birra o di vino.
Perché la nostra mente generalizza per difesa, per sentirsi migliore in questo mondo di ladri (come canterebbe Venditti) omettendo come lo sporco connoti il singolo, identificandolo con fermezza univoca, mai l’intera categoria. Ed è la somma dei singoli a creare gli stereotipi e le cattive abitudini che, nel sentir di popolo, tutto tritano nello stesso calderone, senza più cogliere il bello e il pulito presente in ogni cosa. Anche nella parte sana di una categoria, quella che salta meno agli occhi, ma che rappresenta la più grande maggioranza.
Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale.
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano.
Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.