Il mito della Torre rivisto attraverso le opere di Celestino Russo

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https://www.exibart.com/evento-arte/celestino-russo-babel

di Massimo Biecher

Il testo che segue è stato scritto a seguito della visita della galleria d’arte di Lorenzo Vatalaro sita in zona Brera Milano che esponeva delle opere dell’artista Celestino Russo.
Le emozioni in noi evocate sono poi passate attraverso al setaccio del metodo che abbiamo sviluppato per ri-analizzare i miti dell’antica Grecia.

Il risultato della nostra riflessione intorno al significato simbolico del mito della torre è riassunto nel seguente scritto.

Introduzione

Il mito che ha a che fare con le torri è un mito antichissimo e a noi, che apparteniamo alla cultura occidentale, richiamano in primis le torri campanarie.
Il simbolismo ad esse collegato rimanda al desiderio dell’uomo, o per lo meno di alcuni di essi, a voler ri-collegare il cielo con la terra. Ricordiamo che il sostantivo religione, deriva dal verbo latino religere, dove “re” è un prefisso che significa la ripetizione di un’azione e dal verbo ”lĭgo, lĭgas, ligavi, ligatum, lĭgāre” che vuol dire “legare”, “unire”, “congiungere”, “riunire”.
La torre più famosa di tutte è la torre di Babele che però nei secoli è stata associata all’arroganza dell’uomo, il quale, invece di mettersi in contatto con il creatore, cerca di porsi al suo stesso livello.
Le opere di Celestino Russo pur rifacendosi a questi concetti, suscitano anche altre immagini interiori.
Abbiamo pertanto deciso di osservare queste opere con gli occhi del cuore così come ci invitava a fare il Michelangelo Buonarroti (1475-1564) che nel verso 49 delle Rime:

« Amor, la tuo beltà non è mortale: nessun volto fra noi è che pareggi, l’immagine del cor, che ‘nfiammi e reggi, con altro foco e muovi con altr’ale ».

alludeva ad un particolare tipo di percezione il quale, non arrestandosi all’aspetto esteriore e formale delle cose e delle persone, giunge, tramite il cuore inteso come organo psicologico preposto al riconoscimento delle emozioni, alla cosiddetta φύσις – physys, ovvero alla natura intrinseca, alla qualità innata o all’essenza particolare presente all’interno di ciascuna di esse.

Sarebbero le forme esteriori che scatenano associazioni libere di idee le quali a loro volta, rimandano ad altre immagini per analogia o per sympatheia συμπάθεια (da “σύν” – assieme, con e da πάθος – “sofferenza”, “patimento”, “passione” ma soprattutto “esperienza”, “emozione”, “ciò che si prova”) suscitando altre sensazioni.

alludeva ad un particolare tipo di percezione il quale, non arrestandosi all’aspetto esteriore e formale delle cose e delle persone, giunge, tramite il cuore inteso come organo psicologico preposto al riconoscimento delle emozioni, alla cosiddetta φύσις – physys, ovvero alla natura intrinseca, alla qualità innata o all’essenza particolare presente all’interno di ciascuna di esse.

Sarebbero le forme esteriori che scatenano associazioni libere di idee le quali a loro volta, rimandano ad altre immagini per analogia o per sympatheia συμπάθεια (da “σύν” – assieme, con e da πάθος – “sofferenza”, “patimento”, “passione” ma soprattutto “esperienza”, “emozione”, “ciò che si prova”) suscitando altre sensazioni.

Premessa all’analisi

Prima di analizzare le opere di Celestino Russo sentiamo il bisogno di soffermarci sul significato della torre in sé. Che cosa è la torre? Quali immagini suscita ? A cosa rimanda per similitudine e corrispondenza ?
Come abbiamo accennato nell’introduzione, la torre è qualcosa che avvicina, è una sorta di ponte verticale che ha l’ambizione di collegare non tanto terre o nazioni diverse ma mondi o dimensioni diverse.

Ma quali mondi in particolare ?
Per scoprire ciò, anche in questo caso, abbiamo deciso di applicare lo stesso metodo di indagine che adoperiamo per la pubblicazione degli articoli che hanno per protagonisti i miti dell’antica Grecia nei quali, invece di soffermarci sulle vicende che afferivano ad una religione politeista ormai estinta, in accordo con il modello della psicologia archetipica di James Hillman vi troviamo la metafora del mondo della psyche, delle emozioni e dei sentimenti rappresentati per mezzo di storie che ricordano più i sogni notturni che descrizioni di eventi dotati di senso compiuto.
Per comprendere gli archetipi incarnati dalla torre siamo partiti con la ricerca etimologica del sostantivo come veniva pronunciato in greco antico per vedere successivamente se esso fosse in grado di evocare da un punto di vista immaginale negli antichi e a noi ai giorni nostri, a livello inconscio, particolari significati.

Etimologia del sostantivo torre
La parola «torre» in greco antico si scriveva πύργος – pyrgos che derivava dal verbo πυργόω – pyrgoo che significa “munire di torri”, “fortificare”, ma anche “ingrandire”, “esagerare” ed addirittura “magnificare” ed “esaltare”, ma anche “essere altero”.
Da questi primi indizi è più facile comprendere perché alla torre venga associata l’arroganza di chi cerca di elevarsi, esaltarsi, di chi esagera.
Ma tra i significati che rinveniamo nei vocabolari consultati, abbiamo trovato anche “andare a testa alta”, “alzarsi in piedi” e “raddrizzarsi”.

Questi ultimi due in particolare, non suggeriscono a nostro avviso tanto la sfacciataggine di un superbo, quanto piuttosto sembrano riferirsi a colui che conscio di sé, dei propri pregi e difetti, affronta la vita “a testa alta“. Interessante anche il fatto che la preposizione περί – peri, significa “rotatoria”, “rotondo” e “tondeggiante” e “smussato” che rimandano proprio alla forma delle torri del Russo.


Non siamo in grado di affermarlo con certezza, ma è possibile che l’artista scolpendo e dando forma alle sue creazioni possa essersi lasciato inconsciamente guidare dal significato intrinseco del termine, dall’essenza che sta dietro alla torre in sé.
In altre parole avrebbe praticato quella che per gli antichi greci era la τέχνη – tekné, ovvero l’arte, l’abilità di rappresentare sia l’oggetto che la sostanza andando al di là di ciò che è visibile agli occhi.

Originalità delle rappresentazioni di Celestino Russo

Che cosa ha attratto in particolare la nostra curiosità ?
Il fatto che oltre ad esservi delle torri che puntano verso l’alto, ve ne sono alcune che sembrano spingersi verso il basso. Il che ci ha portati ad immaginare un cammino in discesa, verso le profondità dell’anima, dove è possibile fare conoscenza profonda di noi stessi.
Inoltre i pezzi forgiati dall’interno ci fanno pensare al cammino sempre lento e tortuoso che il ricercatore di sé deve compiere quando va alla ricerca del proprio contenuto rimosso, senza sapere cosa troverà e quanto in fondo si spingerà nella sua ricerca.

Così come alcune sculture che appaiono incomplete, che ci ricordano chi inizia il proprio cammino, in questo caso in salita, e poi, per tutta una serie di motivi, lo interrompe.

A questo punto mossi dallo spirito che aleggia in uno dei motti dello scrittore Saint-Exupéry ossia, « l’essenziale è invisibile agli occhi », ci siamo domandati, non tanto se questo fosse l’intendimento dell’artista, quanto invece, in base ai nostri studi riguardo ai μθοι – mithoi rivisti in chiave psicoanalitica, quale altro significato si celasse dietro alle due categorie di torri. In altre parole, quali sarebbero i significati psicologici che questi simboli incarnerebbero al di là delle più facili e scontate attribuzioni ?

In base agli studi compiuti, derivati dall’analisi di alcune opere artistiche rinascimentali che si erano ispirate alla teologia orfica, che ricordiamo era una forma di religiosità monoteista andata perduta e che circolava tra filosofi e ceti abbienti dell’antica Grecia, nonché dalla rilettura che abbiamo condotto a riguardo del mito di Orfeo ed Euridice, siamo giunti alle seguenti associazioni.

Le torri che salgono


Le torri che sembrano elevarsi incarnerebbero l’archetipo di quel ponte tra mondi, quello che Marsilio Ficino definì l’Anima Mundi.

«L’Anima [mundi] – ψυχή, si può chiamare il centro della Natura, l’intermediaria di tutte le cose, la catena del mondo, il volto del tutto, il nodo e la “copula mundi».
Tratto da: «Theologia platonica», III, 2, traduzione di Nicola Abbagnano di Marsilio Ficino (1433-1499)

È grazie al Rinascimento che l’Anima cessa di possedere unicamente un significato spirituale e diventa il sinonimo di quella che oggi chiamiamo psyche, termine coniato dal teologo ed umanista Philipp Melanchton che fu amico e consigliere personale di Martin Lutero, ovvero quelle facoltà della mente che riguardano il mondo delle emozioni dei sentimenti.

È tipico di questo periodo, la ri-traduzione dei testi dell’antica Grecia, dove la ricerca dei significati dei lemmi all’interno dei vocabolari non avviene più pensando di avere a che fare con storie mitologiche che riguardavano protagonisti leggendari appartenenti ad una religione politeista, bensì con racconti metaforici il cui scopo era di rivolgersi al cuore di ciascuno di noi, ovvero al nostro lato emozionale.
Ma anche la scoperta di nuovi testi antichi che si credevano perduti, portati con sé da intellettuali e uomini

appartenenti alla chiesa ortodossa che parteciparono al concilio di Ferrara Firenze del 1438 1449, il quale riuscì a ricucire temporaneamente lo scisma avvenuto tra la Chiesa occidentale e la Chiesa ortodossa avvenuta nel 1054.

Fatte queste premesse, l’Anima Mundi, secondo il modello dei filosofi neoplatonici che partecipavano alle sessioni di studio che si tenevano presso l’Accademia Neoplatonica di Careggi (FI), andrebbe immaginata come una sorta di contenitore di quegli archetipi che per Platone ed il suo erede Plotino sarebbero a fondamento della creazione sensibile, dove ci sono i prototipi di tutte le anime particolari o individuali e con le quali essa rimane in costante collegamento.

Ma anche gli archetipi di quelle immagini che popolano il mondo interiore dell’uomo e che sarebbero la causa di emozioni e sentimenti primitivi, intensi e profondi, impersonati, all’interno del pantheon degli dei, dalle figure dei Titani.

Ecco che secondo questa chiave di lettura, l’uomo che è proteso verso l’alto non è più l’uomo che con arroganza vuole porsi a livello del creatore (secondo la teogonia orfica infatti l’Uno creatore è ineffabile ed inconoscibile, pertanto il peccato di hybris in questo contesto non è contemplato), bensì è colui che vuole comprendere, per dirla similmente al filosofo neoplatonico Damascio (450 – 532), i principi primi, quelli che gli permettono di comprendere il Tutto, di distinguere la singolarità nella pluralità, di comprendere le leggi che regolano l’animo umano e che quindi influenzano anche la propria.

Marsilio Ficino (1433-1499) ritratto in un affresco del Ghirlandaio che si trova all’interno della chiesa di Santa Maria Novella immagine tratta da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Marsilio_Ficino_-_Angel_Appearing_to_Zacharias_(detail).jpg

Le torri che scendono verso il basso


Le torri che scendono invece, richiamano in noi il racconto del mito di Orfeo ed Euridice, quando il figlio di Eagro e Calliope si reca nell’Ade alla ricerca della propria amata, morta appena dopo il matrimonio.
Notoriamente l’Ade, similmente al Tartaro, viene liquidato, a nostro avviso in maniera semplicistica, come il regno delle tenebre e della morte.

Come, perché e quando entrambi i termini abbiano smarrito il loro significato originario, non è dato sapere, ma se vogliamo interpretare i racconti mitologici in chiave psicologica, dobbiamo andare prima di tutto in cerca del significato che presumibilmente essi evocavano tra gli antichi.

Usiamo anche in questo caso il verbo evocare perché, i sostantivi, gli aggettivi ed i verbi del greco antico, non erano solamente dei segni, e quindi non seguivano le rigide regole della semiotica moderna, bensì impersonando dei simboli, erano metafore che rimandavano ad altri significati, soprattutto all’ambito dell’anima/psyche.
Pertanto, secondo il vocabolario Liddel-Scott-Jones, Ἀίδης – aides/Ade, è composto dalla particella α – alfa privativa, un elemento che indica la negazione di quanto espresso dal sostantivo successivo, e dal verbo δεν.

δεν – ideìn a sua volta, è l’infinito del verbo εδον – eidon, che significa “vedere”, “scorgere”, “guardare”, “osservare”, “considerare”, ma anche, “percepire”, “provare”, “sentire (emozioni)”, “guardare in direzione di ..” e “vedere mentalmente”.
Pertanto a livello di immagine mentale, l’Ade veniva percepito dagli antichi come uno spazio dove «non-si-vede», dove vi è l’«impossibilità a guardare», in quanto non vi è ancora non è arrivata la Luce, in altre parole, dove secondo la psicoanalisi moderna alberga il materiale inconscio e rimosso.
È da qui che nascono quelle sensazioni fastidiose ed inspiegabili, quel brusio di sottofondo interiore, quelle sensazione di disagio inspiegabili che fintantoché restano sottotraccia ci condizionano, ci inducono in comportamenti solo apparentemente irrazionali ma che in realtà hanno una loro logica ed assumono un loro senso compiuto solo se contestualizzati all’interno delle leggi che guidano la psyché.
Stiamo parlando di un luogo destinato a restare oscuro fino a quando non saremo in grado di rendere conscio il materiale psichico inconscio.
La torre che scende pertanto, incarnerebbe il lavoro di conoscenza di sé, quello che viene fatto quando riflettiamo perché determinate esperienze evocano in noi certi stati d’animo piuttosto che altri oppure, quando ci rivolgiamo ad un esperto per affrontare un percorso personale di tipo psicoanalitico.

Conclusione

Non siamo in grado di immaginare se questi fossero per davvero gli intenti dell’autore, magari solamente in forma inconscia appunto, oppure di colui che le ha commissionate, ma quella che qui abbiamo esposto è la nostra personale sensazione, la trasposizione di quello che queste opere hanno saputo far risuonare dentro di noi.

Riteniamo inoltre che dal punto di osservazione da cui abbiamo effettuato questa indagine, che queste sculture possano altresì definirsi neo-rinascimentali nel senso che ciascuna di esse non è soltanto la concretizzazione di immagini che appartengono al mondo interiore dell’artista, ma che contengono anche riferimenti al mondo della psiche.

Esattamente com’era intesa l’arte del periodo che va all’incirca dal 1450 fino a tutto il 1500.
Perché quando un’opera artistica, rimanda a significati che fanno riferimento al mondo psiche, al mondo delle emozioni e dei sentimenti, essa ci indica la strada verso quella conoscenza che gli antichi chiamavano la γνθι σαυτόν – gnōthi saytón, in altre parole, la conoscenza di sé.


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https://books.openedition.org OpenEdition è una piattaforma online di libri per le scienze umane e sociali. Più della metà sono ad accesso libero.
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https://www.hellenicgods.org/


Massimo Biecher

Appassionato fin da ragazzo di fisica nucleare, elettronica e computer, entrato nel mondo del lavoro scopre che la sfera emozionale è importante tanto quanto quella razionale.

Ricoprendo all’interno delle aziende ruoli di sempre maggior responsabilità, osserva che per avere successo, oltre ad investire in ricerca e sviluppo ed in strumenti di marketing innovativi, le organizzazioni non possono prescindere dal fatto che le emozioni giochino un ruolo determinante tra i fattori critici di successo.

Grazie ai libri del Prof. Giampiero Quaglino, viene a conoscenza delle più moderne teorie sulla leadership ed in particolare quelle del docente dell’Insead, Manfred Kets de Vries, con cui condivide la visione secondo la quale non esistono modelli di leadership vincenti, ma solo relazioni efficaci tra gli individui.

Nel 2014 la rivista “Nuova Atletica”, organo ufficiale della Federazione Italiana Di Atletica Leggera, gli commissiona una serie di contributi sulla leadership per allenatori professionisti, coerente con le teorie che quotidianamente cerca di mettere in pratica sul lavoro.

Appassionato anche di filosofia, va alla ricerca instancabile di un modello che metta al centro l’individuo e ne rispetti l’unicità ma che al contempo, sia riconducibile a dei principi da cui cui tutto “principia”, convinto che la cultura e la superspecializzazione della scienza e della tecnologia moderna, conduca ad un inevitabile frammentazione dell’Io.

Ritiene di aver trovato ciò che cercava, riscoprendo la filosofia platonica e di Plotino e nella rilettura dei miti greci attraverso le lenti della psicologia archetipica introdotta dallo psicoanalista junghiano James Hillmann assieme ad i contributi dei filosofi E. Casey, L. Corman e dell’antropologo J.P. Vernant.

Pubblica con cadenza mensile sul magazine “karmanews.it” articoli che reinterpretano i miti dell’antica Grecia in chiave psicoanalitica, ritenendoli una metafora dei travagli dell’anima che, mediante l’uso di immagini e di racconti fantastici, si rivolgono direttamente al cuore e quindi all’inconscio.

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