Il divano rosso

Intervista a Marina Ruberto

In redazione avevamo deciso di ripercorrere la Belle Epoque della Pubblicità e delle Agenzie della Milano da bere, attraverso le interviste ai protagonisti (vedi anche quelle ad Anna La tati Cervetto e Fabiola Maria Bertinotti).

L’idea era quella di confrontare, attraverso i racconti di chi ha vissuto in pieno quel periodo, la realtà attuale di un settore che è stato totalmente stravolto (come quasi tutti) dai nuovi strumenti delle nuove generazioni.

Il progetto ha poi preso tutt’altra piega, per un motivo tanto banale quanto profondo.

Dietro quei Professionisti ci sono le Persone, che hanno cose molto più interessanti da raccontare.

E quindi da ascoltare.

Alla fine, indicavamo la Luna, ma guardavamo il dito.

Marina Ruberto è un punto di riferimento del Copywriting e della scrittura.

Le abbiamo fatto la corte a lungo e, non senza difficoltà, siamo alla fine riusciti a vincere la sua riluttanza.

“Fermarsi a ricordare, di questi tempi, ha parecchie controindicazioni. Ma visto che ci tenete tanto…” ci dice .

E con questo preambolo la strada è già in salita.

Cos’è la scrittura per te, oltre che uno strumento di lavoro?  

“Ce l’hai un paio d’ore?… Cos’è, per una persona, ciò che fa tutti i giorni, da un numero di anni ormai imbarazzante? Io non me lo chiedo manco più. So che mi alzo la mattina pensando a “quello che dovrò scrivere”. Non c’è differenza tra lavoro o scrittura volontaria. In modi diversi. Per scopi diversi. Su varie piattaforme, è sempre “quello che devo scrivere”.

Passione? Bisogno? Responsabilità? Pagnotta? Vita? Droga, anche un po’.

Perché la scrittura è possessiva. Non lascia spazio a molto altro. Al massimo io mi concedo di cambiare tastiera, to’.  Passando a quella del pianoforte come una sorta di prosieguo ideale o di stacco totale. Dipende.”

A noi interessa conoscere le persone più che il loro lavoro. In realtà è così che scardiniamo il cassetto che ognuno di noi tiene gelosamente chiuso.

C’è stato un “inizio” del tuo percorso? O c’è un filo conduttore?

“Mi è sempre piaciuto scrivere storie. In quinta elementare le maestre applaudivano al fatto che tramutassi i loro ingessati termini, in storie. Di fantasia pura o di vita reinterpretata. Ho scritto il primo racconto fantasy a 22 anni. Si chiamava “la civetta”. Qualche giorno fa, un amico mi ha detto che i miei post su Linkedin (di cui parleremo), sono brani di vita. Piccole storie, di fatto. Introspettive o meno, sempre lì si torna: alla narrazione”

Quanto è vero il detto “Non puoi scrivere se non leggi”?

“Molto. Io leggevo sempre. Dovunque. Sotto la scrivania dello studio di papà. Sul divano rosso del salotto di Merlino. A letto, sotto le lenzuola, fino a notte fonda. Mia madre mi rimproverava che non dormivo abbastanza.

Qualcuno ha sostenuto (e non ricordo mai chi) che bisognerebbe scrivere una riga per ogni libro letto. Una volta era quasi la mia proporzione. Ora non più, purtroppo.

Eppure, ci dicevi, che hai fatto studi scientifici. Potevi prendere un’altra strada del tutto diversa, potevi essere altrove.

“Vero. Ho fatto il liceo Scientifico. Perdendomi del tutto il greco, ahimè. Però poi ho frequentato l’Istituto Europeo di Design, dove una grande copy dei tempi puntò il dito su di me, [ancora lo ricordo, quel giorno]: “tu devi scrivere”. Mi sentii prima una formica, poi una leonessa.  Così, mentre facevo colloqui per entrare in agenzia di pubblicità, lavoravo in una piccola casa editrice a pagamento. Leggevo i libri altrui e li commentavo. Oppure li raddrizzavo, a seconda. Più o meno quello che fa una editor.”

La gavetta, quello che oggi chiamano “stage”, o lavoro a costo zero.

“Ci rimasi qualche mese. Mi offrirono anche uno stipendio. Ma ero vittima del sacro fuoco della pubblicità.  Quando mi chiamarono in J.W.Thompson, non ci pensai un secondo.”

Una delle più importanti agenzie di comunicazione del Mondo, che oggi si chiama WPP. Un salto al centro della “Comunicazione con la C maiuscola”.

“Esatto, è lì che sono diventata una copywriter. Una gavetta ben pagata, direi. Non come succede oggi. Dopo una decina d’anni e varie agenzie (l’ultima la Mc Cann Erickson), ho scoperto che mi stava tutto stretto. Ricordo che dopo un aperitivo con un grande dell’ADV di allora (luminoso e generoso essere accogliente; lo ringrazierò per l’eternità) mi convinsi a mettermi alla prova. Free lance. Cane sciolto.  Anche adesso. Mai rientrata se non parzialmente, in agenzia. A contratto. Ho avuto anche ruoli di supervisione che mi hanno arricchita professionalmente e umanamente, ma non mi sono mai fermata. Magari è una patologia, chi lo sa. “

È bello veder crescere i nuovi talenti. Poter insegnare loro qualcosa, vederli diventare professionisti…

“È bello, sì. Un giovane copy, musicista, compose un brano per me: “Waltz for Guru”. Già: i miei mi chiamavano così. Che scemi.

Insegnai anche due anni in Accademia di Comunicazione. Scrittura creativa. Non era ancora di moda, allora. Me ne andai perché gli studenti mi venivano a chiedere cose di cui non volevo prendermi la responsabilità. Troppo. Troppo.”

Una motivazione che meriterebbe approfondimenti, ma sulla quale glissiamo. Poi dopo la parentesi dell’insegnamento…?

“Ho sempre affiancato varie attività. Accanto al quotidiano lavoro di copywriting, ho ricominciato a scrivere con parole mie. Un manuale scherzoso, dei racconti brevi… Ho vinto anche qualche premio, del tutto inutile in qualunque termine.

I premi letterari sono ben fatti e ben organizzati quando li vinci. Quando non li vinci sono mal fatti, male organizzati, inutili, insopportabili.

Devi essere inserita, accreditata dove conta, e fare Public Relations. Io non ho mai conosciuto nessuno. Non ho mai avuto il piacere di confrontarmi con altri autori. I premi che ho vinto o a cui ho partecipato, si sono rivelati inutili proprio dal punto di vista delle relazioni. Tranne in un caso che riguarda comunque la sfera dell’amicizia e non del lavoro. L’editoria è un mondo a parte. Forse andrebbe riformato, come la scuola.

Ad ogni modo, tra qualche mese pubblicherò un libro di racconti “a tema” con una casa editrice che ha una vision molto diversa dalle altre. Promuove il concetto di “rete” tra gli autori, e tra autori e associazioni. Direi che somiglia più a un “social tematico” che non a una casa editrice. Mi piace come impostazione, ma per il momento non ho ancora partecipato alle attività. Il tempo è tiranno”.

L’impressione è che tu scriva per puro piacere personale, una sorta di soddisfazione fine a sè stessa. Scrivere per rileggerti come se ti specchiassi nello stagno in una sorta di contemplazione.

È come se volessi metterti in contatto con te stessa, e la scrittura ti permettesse di relazionarti all’altra te. E comprenderla meglio.

“Ah sì?… Mi sembra una spiegazione quasi stucchevole. Sicuramente scontata. Non metto in dubbio che ci sia una componente di narcisismo nello scrivere, ma come dicevo poc’anzi, per me è più vicino all’incapacità di fare altro. A una sorta di dipendenza che può essere galvanizzante, liberatoria oppure doverosa e noiosissima. Ma che non ho mai messo in discussione.

Quanto alla relazione con le tante me stessa (perché due sole, scusa eh?) sarà sempre complicata. Come per quasi tutti gli esseri pensanti. Tenere il diario dei miei labirinti interiori, non mi ha mai indicato l’uscita. Magari a qualcuno sì, ma a me no.

Sembra una vita a capitoli, la prima da copywriter, la seconda da scrittrice..

“Mica è finita qui. Qualche anno fa ho incontrato una terza anima: quella di redattrice/biografa. E per un’agenzia editoriale, ho scritto le bio(e l’ambiente storico) di alcuni filosofi. I volumi si vendevano insieme al Corriere della sera, nella collana Grandangolo. Mi pagavano mezzo euro per un lavoro pazzesco da topo da biblioteca. Oramai avevo fatto amicizia con la bibliotecaria di una sperduta propaggine di cultura in pieno far west milanese: il Giambellino. Dopo un anno e mezzo di fame e durissimo lavoro, sono tornata al “profit”.

Ce n’è anche una quarta, scommetto…

“Claro. Del tutto casualmente (sul “caso”, torneremo dopo), è capitato che degli amici mi presentassero un giovane cantautore italo/svizzero che aveva bisogno dei testi per il suo sito. Ma da cosa nasce cosa e abbiamo cominciato a scrivere alcune canzoni. Insieme. Durante telefonate/fiume che mi hanno insegnato il mestiere più divertente della terra: quello di song writer. Parole e musica: le due cose che amo di più. A cui mi sono applicata più a lungo e che devono danzare insieme, in una canzone. Sembrerebbe la quadratura del cerchio, no?

Si dice “se non sei online non esisti “. Quanto sei presente sui social, e quanto per tua scelta piuttosto che per “esigenze professionali”?

“Naturalmente non poteva mancarmi un’esperienza di scrittura su alcuni blog.

Poi, lo scorso anno, in pieno lockdown, come quasi tutti, ho cominciato a pubblicare i miei post su Linkedin. Non avrei mai detto che la cosa mi sarebbe piaciuta. E che commentare, leggere, interagire con tante altre persone, avrebbe potuto diventare quasi un lavoro. Eppure è andata così. Ho fatto amicizia con diverse persone con cui mi sento abbastanza regolarmente anche fuori dalla piattaforma.”

Sembra un’esperienza formativa, nonché costruttiva, anche in funzione lavoro.

“Direi una sorta di allenamento al confronto, allo scambio. Che può fermarsi alla piattaforma, o tramutarsi in progettualità o addirittura concretizzarsi in collaborazione. Come sempre, dipende da tante varianti. Professionali e umane.”

La domanda, come si dice, sorge spontanea. Sembrerebbe ormai matura una scelta professionale che si avvicini al giornalismo; sicuramente non mancano le basi e le capacità di raccontare in maniera coinvolgente. Il talento è chiaro, inconfutabile.

“La vita è fatta di circostanze concomitanti. Qualcuno le chiama fortuna, altri  caso, karma o  Universo. Sta di fatto che a un certo punto è arrivato Fuori. La tua è una domanda corretta, perché da quando ho cominciato a scrivere sul magazine è emersa una sorprendente passione per la ricerca, l’intervista e l’indagine; tutte attività che ho svolto marginalmente nelle altre “vite professionali” e che penso dovrebbero convergere in quella di una giornalista. Ovviamente non potrò fregiarmi di un titolo, iniziando un percorso di abilitazione adesso. Ma diciamo che potrebbe essere un’altra strada da percorrere liberamente. Un altro modo di scrivere. Il settimo, mi pare. E il 7 è un numero pieno di significati.”

Una vita piena di esperienze e soddisfazioni professionali. Cosa ti manca di più oggi?

“Raramente mi guardo indietro. La nostalgia non è uno stato d’animo che provo frequentemente. Ma questo tempo infinito e doloroso, ha sparigliato molte carte.

Così spesso mi capita di pensare al divano rosso; quello dove, da ragazzina, mi allungavo per ore a leggere. Divorata dai libri. Posseduta dalle storie. Senz’altro desiderio che quello di lasciarmi portare via dalle parole altrui.  E percorrere strade lontane. Diverse. Ma con i miei colori.

Ecco.”