ARTE e DESIGN nei “luoghi della memoria”

Foto ©Mario Barbieri

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Cimiteri – “dormitori” nell’etimologia dal greco: [koimeterion] luogo dove si va a dormire  – sono certamente anche “luoghi della memoria”, memoria per chi ritrova un caro estinto, un figlio, una moglie, una madre, ma anche memoria di un tempo terreno ormai andato, non solo per chi lì “riposa”, ma anche di un tempo storico e artistico ormai irrimediabilmente passato.

Lo sono in particolare i cosiddetti “cimiteri monumentali”, storici, talvolta enormi di altrettanto grandi città, dove ritrovare, ma anche ammirare, tombe che risalgono ai primi del ‘900, se non ad anni antecedenti.

Perché ammirare? Perché troviamo tombe e opere scultoree (arte funeraria) realizzate con rara maestria, per quello che al tempo era un vero e proprio mestiere che dava lavoro a molti “maestri” e “discepoli”, garzoni di bottega che lavoravano in veri e propri “atelier”.

Scultori del Cimitero del Verano | Scultori del Cimitero di Staglieno | Scultori della Certosa di Bologna)

Maestria di bozzetti, modelli e poi sculture, che purtroppo è andata perduta nel tempo, per un cambio di paradigma, di mentalità, della legge della domanda e dell’offerta, in un tempo il nostro, certamente molto standardizzato e appiattito anche nell’arte funeraria.

Un tempo quello andato, in cui per una famiglia generalmente benestante (questo va detto), era importante lasciare un segno imperituro della vita e delle opere del “caro estinto”.
Segno anche di uno “status sociale”, non scevro di una certa ostentazione. Lo si comprende non solo dalla sontuosità di certe tombe, ma anche dagli epitaffi, talvolta mini-biografie che ancora oggi decantano le “opere buone” di chi ci ha lasciato, ma al contempo sono, vorrebbero essere, segno dell’amore, della stima, della gratitudine, di chi è rimasto a piangere il lutto.

Non di meno sono segno di un afflato verso la “vita oltre la vita”, la speranza, la fede, il fato, Dio e i suoi Angeli. Sono opere intrise di tristezza, di dolore, ma anche di certezze, di speranza, di misticismo.

Se ci si sofferma sull’inevitabile incuria, sul deposito della polvere quasi indelebile che crea sulle figure un effetto “al negativo”, come una luce che sembra partire dal basso, più che dall’alto, ci si rende conto ancor di più del tempo trascorso e che ormai morti sono anche coloro che questi morti hanno sepolto…. eppure quel “monumento” è lì, a richiamare la nostra attenzione su una vita di cui nulla conosciamo tranne ciò che l’epitaffio riporta e sulla bellezza e la simbologia di quell’opera di maestria.

Sono luoghi, incredibili, densi di un silenzio avvolgente, di una sacra pace, di una straniante solitudine, affascinanti per chi come me, ama la fotografia, e già prima luogo di “studio”, quando frequentando il Liceo Artistico, ci si spostava presso un cimitero vicino, per avere più “materiale” da ritrarre che non fossero solo gli ormai logori soggetti della gipsoteca dell’istituto.

Questo, o perlomeno anche questo, è l’affascinante Cimitero Monumentale di Staglieno , presso Genova, alla cui visita vi invito e le cui foto da me scattate (solo alcune), qui vi propongo.
Struggente, la sezione delle tombe dei fanciulli morti in tenera età, anch’esse decorate da piccole sculture.

Altro articolo: https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/2012/11/01/il-design-per-il-caro-estinto/


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




La funzione rassicurante del Bello

di Orietta Paolucci

Monologo del Marzocco sull’albero di Penone.

(Ovvero, la funzione rassicurante del Bello)

Copia del Marzocco di Donatello. Firenze, Piazza della Signoria.

“Non so nemmeno io da quanto sono qui.

Certo da tanto tempo, ma francamente non potrei dirlo con certezza.

So che una volta eravamo in tanti, e ce n’erano di veri, di leoni intendo, in un serraglio. 

Erano un omaggio al re di stirpe scozzese, governatore di Firenze.

Non so cosa sia la rabbia, l’ho vista forse in faccia a gente che duellava in piazza, oppure si ribellava al potere.

Non so cosa sia la gioia.

Probabilmente l’ho vista nelle espressioni di centinaia di persone che si riempiono il cuore della bellezza di questa piazza, unica al mondo. Le sue forme, la sua architettura, le sue statue. Lo stesso David, accanto a me.

Magari la gioia è quell’espressione che percepisco nei loro occhi.

Ho visto milioni di persone passeggiare, con interesse, con meraviglia, con indifferenza.

Ma non ho mai visto una cosa simile a ciò che mi è stato piantato di fronte: un albero secco, con dei tubi incastrati tra i rami avvizziti.

Non ho ben capito cosa sia la disperazione, l’ho vista poche volte, ma questo albero così rinsecchito, senza foglie, morto, mi colpisce.

L’albero a Piazza della Signoria, Firenze

Nel profondo. 

Non mi spiego il perché.

L’albero mi ha fatto provare una nuova sensazione, una differente sfumatura di dolore: quella che ho visto in faccia alle centinaia di persone che hanno manifestato in piazza, recentemente.

Magari sono rimasti senza lavoro, senza fiducia… o senza speranza.

Questo l’ho capito, di gente in piazza (a parte quella che manifestava) ce n’è davvero di meno. Non so cosa sia successo, ma quest’abete, che troneggia di fronte a me con la sua maestosa afflizione, è come se racchiudesse il dolore che aleggia tutt’attorno.

Sono solo un leone, ma ho pensato che è davvero facile creare cose belle che si lascino ammirare; molto più difficile colpire allo stomaco, alle viscere, con un qualcosa che bello non è affatto.

Vuoi vedere che questo abete avvizzito è più coraggioso del David?”

L’albero di Penone è un’installazione voluta dal Comune di Firenze per rappresentare la metafora del Paradiso Dantesco, cioè “L’albero che vive de la cima/e frutta sempre e mai non perde foglia” (vv. 29/30, Canto XVIII, Paradiso, Divina Commedia). 

“L’Abete in Piazza della Signoria – dice Penone – indica lo sviluppo del pensiero che è simile alla spirale di crescita del vegetale”. 

Potrei continuare citando mille auliche elucubrazioni; sta di fatto che l’installazione è davvero (consentitemi), brutta e antiestetica, e per questo estremamente coraggiosa. 

L’albero di Penone in Piazza della Signoria a Firenze

L’arte contemporanea di Penone non può fare altrimenti, in una piazza esteticamente perfetta, che porre un elemento “disturbante”.

E quest’albero, con i suoi tubi, lo è davvero. 

Implacabile, non lascia nulla alla fantasia, al sentimento.  È secco, diretto, ed affonda nel più profondo del nostro Io, scuotendolo e risvegliandolo dal torpore indotto dall’armonia rinascimentale di Firenze. 

Questa profonda “rottura” del disegno architettonico non è mai stata più visceralmente contemporanea. La bellezza anestetizza, la bellezza è giusta (secondo numerose filosofie estetiche), ma ora non possiamo permetterci svaghi, né celebrazioni del bello.

I leader del 2021 dovranno affrontare il futuro con precisione chirurgica e visione etica, senza concedersi confortanti rassicurazioni. 

“L’arte non è uno specchio su cui riflettere il mondo, ma un martello con cui scolpirlo”. (Bertold Brecht)

Da vedere. Da riflettere. Da discutere.

Orietta Paolucci

Il Marzocco originale di Donatello. 1419-20. Firenze, Museo del Bargello.



Renzo Nissim: tra de Pisis, Lucio Battisti, Renzo Arbore e la Scuola Romana.

Renzo Nissim, Cupola di Santa Maria del Fiore, 1991. Olio su tavola.

Chiunque si interessi anche superficialmente di pittura, conosce certamente il nome di Filippo de Pisis, nome d’arte di Luigi Tibertelli (1896 – 1956). Ma anche i conoscitori più appassionati difficilmente sanno che Renzo Nissim (1907 – 1997) può considerarsi con cognizione di causa il suo ultimo, e talvolta degno, epigono. Anche nell’ecletticità: il ferrarese Filippo, laureato in lettere, è stato scrittore, poeta, critico d’arte e pittore; Il fiorentino Renzo, avvocato, musicista, giornalista radiofonico e televisivo, conduttore, commediografo….e pittore.

Nissim, per sua stessa ammissione, considerava De Pisis come il principale Maestro di riferimento: certo, cercando di distanziarsi dal suo stile (…non sempre ci è riuscito) ma, pur con risultati altalenanti, l’impronta del grande ferrarese è evidente.

Renzo Nissim, Cupola di San Pietro in Vaticano, 1992. Olio su tavola.

I due si erano anche conosciuti personalmente, quando Renzo acquistò delle opere direttamente dal Maestro: episodio raccontato dallo stesso Nissim nella sua interessante, divertente e consigliabilissima autobiografia “In cerca del domani: un’avventura autobiografica”, nella quale si narrano le peripezie di un giovane avvocato fiorentino, radiato dall’albo a seguito delle leggi razziali e costretto ad emigrare negli Stati Uniti, dove venne a contatto con molti artisti per poi diventare un commentatore radiofonico per varie emittenti, tra le quali “Voice of America”. Tornato in Italia alla fine dei ’50, proseguì in patria la sua carriera radiofonica e di musicista, oltre che come autore e conduttore di programmi musicali.

Renzo Nissim, Fori, 1993. Olio su tela.

Riguardo questo aspetto, tanto per far capire meglio il personaggio, vi proponiamo un siparietto televisivo del 1969. Il programma era “Speciale per voi”, condotto da Renzo Arbore. Renzo Nissim, schietto “comme d’habitude”, non le manda a dire, proprio “in faccia”, nientemeno che a… Lucio Battisti! In quell’occasione, ferocemente criticato per la sua voce.. 😉

Ma qui ci interessa soprattutto il Renzo Nissim pittore. Oltre a De Pisis, facile rintracciare anche l’influenza di Orfeo Tamburi (nella sua prima fase romana), Scipione e Mafai. Insomma, della Scuola Romana.

Renzo Nissim, Basilica della Salute, 1992. Olio su tavola.

Non tutta la produzione di Nissim può considerarsi memorabile; ma le vedute dei primi ’90 (quando l’autore era già oltre gli 80 anni) sono certamente meritevoli di una certa attenzione; e soprattutto tra le opere di questo periodo abbiamo scelto quelle da pubblicare, insieme a quelle degli “esordi” …da ultracinquantenne!

Renzo Nissim, San Pietro in Vaticano, 1993. Olio su tela.
Renzo Nissim, Bacino di San Marco, 1992. Olio su tavola.

Renzo Nissim, Cupola di Santa Maria del Fiore, tecnica mista su carta, 1958.




Amleto Cataldi, lo scultore dannato / bannato.

Nel giugno 1909 fu indetto un concorso pubblico per la decorazione scultorea delle pile e delle testate di un ponte dedicato a Vittorio Emanuele II , a rappresentare “Le virtù del re”, che sarebbe stato inaugurato in occasione dell’Esposizione Universale del 1911, anno del cinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Un ponte intitolato al primo Re d’Italia, costruito per una occasione eccezionale di rilevanza mondiale, quindi. Ma la commissione non si fece condizionare dalla giovane età e dalla mancanza di notorietà del giovane autore. Complimenti quindi alla Commissione, per aver individuato un talento di tale portata. E complimenti, naturalmente, al nostro Amleto, che realizzò una vittoria alata in bronzo (l’unica con le braccia abbassate, tuttora “in situ”.

La sua attività è stata un susseguirsi ininterrotto di successi; commesse – pubbliche e private – esposizioni, biennali, fontane,
monumenti, decorazioni per edifici istituzionali sempre più prestigiosi, fino ad arrivare al coronamento dello Stadio
Nazionale di Marcello Piacentini con quattro gruppi di atleti in bronzo, davvero formidabili nella loro possente plasticità, anticipatrice di Botero.

Subito dopo questi magnifici lavori, Amleto incontrò la morte in età relativamente giovane e non sappiamo cos’altro avrebbe
potuto produrre; di certo la scultura allora perse un vero maestro, sul quale sarebbe lecito rintracciare qualche notizia in
più nei Musei e nelle pubblicazioni di Storia dell’Arte. Purtroppo, tranne qualche sporadica eccezione, non è affatto così:
tanto famoso in vita quanto oscurato post-mortem. “Colpevole” di aver attraversato splendidamente il periodo liberty, quello
ancor più elegante della secessione romana e quello dell’arte di regime; “colpevole” di essere sempre rimasto un artista
figurativo, disdegnando astrattismo e avanguardie di qualsiasi colore; “colpevole” – e questo, per certi critici da schieramento, è
il vero efferato delitto – di essere stato un vero classicista, focalizzando la sua ricerca sulla bellezza del corpo umano,
espressa con grazia femminile o potenza virile… fidatevi dei vostri stessi occhi, la nostra galleria fotografica parla forte e chiaro.

(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)

Aggiornamento (gennaio 2024)

I nostri accorati appelli sul recupero della figura di Cataldi sembrano non essere gli unici: il 23 ottobre 2023 si è svolta una giornata di studi “Cataldi classico alla Sapienza”. Di seguito i video documentari

…e un “bonus” :

Aggiornamento (11 gennaio 2024)