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Non sopporto le icone russe l’arte finto pop la transavanguardia italiana i graffiti punk inglesi …neanche l’etnica africana. (semicit. da Franco Battiato, 1982)
Prima premessa: Jean Charbonneux (1895-1969), il più famoso archeologo classico francese – che amava considerarsi “un ateniese che il fato aveva voluto far nascere in Francia affinché potesse dirigere da grande un dipartimento del Louvre” – scriveva così nel 1969:
“Se oggi è difficile, forse per la prossima generazione sarà impossibile comprendere e soprattutto sentire profondamente ciò che ha significato nell’Antichità classica, e anche per qualche grande scultore recentemente scomparso, il tipo statuario dell’uomo nudo in piedi.
Niente è stato più esaltante per un disegnatore, per un pittore, e soprattutto per uno scultore, della creazione sempre rinnovata di questo essere che guarda al mondo dalla sua statura e sfida il cielo”
Charbonneux è morto nel 1969, tre anni prima del ritrovamento dei Bronzi nel mare, al largo di Riace. Ma le sue profetiche parole riescono a descrivere – come nessun altro in seguito – lo spirito classico, umanistico e intrinsicamente greco dei due capolavori.
Seconda premessa: Johann Joachim Winckelmann (1717- 1768), archeologico e storico dell’arte tedesco, considerato (a ragione) il padre nobile del neoclassicismo, teorizzava il bello ideale attraverso la “nobile semplicità” e la “quieta grandezza” delle sculture greche. E, si pensi, il suo giudizio si basava solo sulle copie in marmo di età romana…chissà come avrebbe commentato la scoperta dei due originali bronzei, avvenuta quasi due secoli dopo la pubblicazione del suoi saggio “Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst” [Pensieri sull’imitazione delle opere greche in pittura e scultura] , dal quale riportiamo questo passo:
«La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata.»
Ebbene, Il bronzo “B” (“il vecchio”), dalla postura nobilmente rilassata e lo sguardo non focalizzato, concretizza esemplarmente il suo pensiero, molto più del bronzo “A” (“il giovane”) che, al confronto, appare più teso e pronto all’azione, con il capo ruotato, l’espressione ostile del volto e la evidente contrazione dei muscoli delle spalle e del collo.
Non a caso la datazione del “Bronzo B”, per alcuni studiosi, viene collocata intorno al 430 a.C., coincidente quindi con il termine della “Età di Pericle”, il periodo di massimo splendore di Atene, l’apogeo del mondo classico; mentre la realizzazione del “Bronzo A” per la maggior parte degli esperti, dovrebbe essere più antica di una trentina d’anni, quindi nel periodo finale del cosiddetto “stile severo” (460 a.C.).
Lo stle severo fu artisticamente dominato da Mirone di Elèutere, l’autore del Discobolo, (originale in bronzo perduto, ca. 480 a.C., qui illustrato attraverso una copia in marmo di età romana – detta “Discobolo Lancellotti”, conservata a Palazzo Massimo a Roma)
Non sono mancate, inevitabilmente, delle attribuzioni del Riace A a Mirone, ma questa tesi ci appare oggi piuttosto debole per una serie di considerazioni:
Oltre a Mirone, sono state avanzate numerose altre ipotesi (alcune diremmo fantasiose e di fatto smentite da accertamenti scientifici successivi) relative agli autori, ai personaggi rappresentati e alla collocazione dei Bronyi di Riace; le riassumiamo di seguito in forme tabellari, dividendole in due gruppi, quelle antecedenti al restauro del 1995 e quelle successive.
Ipotesi ante restauro 1995 (fonte: Wikipedia)
studioso | collocazione | personaggio A | personaggio B | scultore A | scultore B | datazione A | datazione B |
---|---|---|---|---|---|---|---|
Stucchi | Magna Grecia | Euthymos | Euthymos | Pitagora di Reggio | artista magnogreco | 470 a.C. | 425 a.C. |
Paribeni | Magna Grecia | un eroe, forse Aiace Oileo | uno stratego | artista peloponnesiaco | artista atticizzante | 460–450 a.C. | 410–400 a.C. |
Rolley | ? | eroe eponimo attico? | eroe eponimo attico | artista attico | scuola fidiaca | 460 a.C. | 430 a.C. |
Dontàs | Agorà di Atene | eroe eponimo | eroe eponimo | Mirone | Alkamenes | 450 a.C. | 450 a.C. |
Harrison | Olimpia | donario degli Achei | donario degli Achei | Onatas | Onatas | 470–460 a.C. | 470–460 a.C. |
Di Vita | Grecia | atleta oplitodromo | atleta oplitodromo | artista attico, forse Mirone | artista attico | 460 a.C. | 430 a.C. |
Holloway | Sicilia | ecista fondatore | ecista fondatore | bronzista siceliota | bronzista siceliota. | metà V secolo a.C. | metà V secolo a.C. |
Ridgway | Collocazione in epoca romana | guerriero di un poema epico | guerriero di un poema epico | scuola eclettica e classicistica | scuola eclettica e classicistica | I secolo a.C. – I secolo d.C. | I secolo a.C. – I secolo d.C. |
Ipotesi post restauro 1995 (fonte: Wikipedia)
studioso | collocazione | personaggio A | personaggio B | scultore A | scultore B | datazione A | datazione B |
---|---|---|---|---|---|---|---|
Moreno | Argo | Tideo | Anfiarao | Hageladas | Alkamenes | 450 a.C. | 440 a.C. |
Castrizio | Argo | Polinice | Eteocle | Pitagora di Reggio | Pitagora di Reggio | V secolo a.C. | V secolo a.C. |
Spatari | Bruzio ed Etruria | eroe dello Stretto | eroe del fiume Sagra | Vulca di Veio | scuola etrusca | 500 a.C. | 520 a.C. |
Brinkmann, Koch-Brinkmann | Atene, Acropoli | Eretteo | Eumolpo | Mirone? | ? | 440 a.C. | 440 a.C. |
Un docente di Scienze Motorie specializzato in Anatomia, il prof. Riccardo Partinico, ha recentemente elencato tredici motivi che smonterebbero tutte le ipotesi sopra elencate. Li riportiamo qui punto per punto, senza commenti:
Lo stesso Partinico, pur non essendo un Archeologo né uno Storico dell’Arte, si è sbilanciato con due ipotesi di individuazione dei personaggi rappresentati, realmente vissuti: Pericle e Temistocle.
“I Bronzi di Riace, custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, potrebbero rappresentare gli Ateniesi Temistocle e Pericle, politici di spicco e militari famosi per aver guidato gli eserciti alla vittoria nelle più importanti guerre nel V secolo a. C.. L’ipotesi è fondata sulla comparazione dei risultati delle analisi effettuate dal ministero per i Beni Culturali con gli studi anatomici, le deduzioni e le ricerche storiche che ho svolto sin dall’anno 2005, quando presso la Biblioteca di Reggio Calabria ho presentato le mie prime intuizioni” (cit.)
L’Istituto Centrale per il Restauro ha effettuato analisi chimiche, tecniche ed archeologiche, rilevando dati incontrovertibili. L’argilla che componeva le strutture interne delle due statue proveniva da microambienti differenti situati in un unico bacino geologico in territorio greco, tra Atene, Corinto ed Argo. Non è possibile individuare la località esatta perché l’argilla greca è molto simile per composizione di minerali. La “Statua A” è stata realizzata nel 460 a.C. e la “Statua B” nel 430 a.C., periodo storico coincidente con l’ “Età di Pericle”.
L’accertata diversità del periodo di realizzazione, delle tecniche e dei materiali adoperati per strutturare la parte interna, della composizione dei metalli, degli stili artistici e della provenienza dell’argilla, consentono di dedurre che le due statue sono state realizzate da Autori differenti e non possono far parte della stessa scena artistica.
Le perfette proporzioni dei muscoli scheletrici, le tipicità dei crani, e, soprattutto, le alterazioni scheletriche che si osservano nei corpi delle due statue e che all’epoca erano sconosciute, permettono di dedurre che esse rappresentano due persone realmente vissute di cui si è voluta raffigurare la fisionomia. Quindi, i Bronzi di Riace non possono rappresentare i personaggi mitologici -Etéocle e Polinìce, Anfiarào e Tidéo, Càstore e Pollùce, Erettéo ed Eumòlpo- individuati da altri studiosi.
Il cranio della “Statua A” è di tipo mesocefalo. Nel sistema scheletrico, normolineo, sono evidenti due dismorfismi: il progenismo mandibolare e l’iperlordosi lombare. Il primo dismorfismo, caratterizzato dall’avanzamento della mandibola, mette in risalto i denti dell’arcata superiore. Il secondo dismorfismo, determinato dalla compensazione del progenismo mandibolare, si manifesta con la riduzione della curvatura delle vertebre lombari, il bacino arretrato, i glutei sollevati e gli addominali avanzati. Il cranio dell’uomo rappresentato è ruotato a destra di circa 40 gradi e, considerato che gli arti superiori esprimono i gesti inconfondibili di chi sostiene con l’avambraccio sinistro uno scudo e con la mano destra una lancia, per deduzione, quel capo dovrebbe accogliere un elmo a completamento della classica dotazione di armi utilizzate dai militari.
Studio anatomico della Statua B
Il cranio della “Statua B” è di tipo dolicocefalo. Nel sistema scheletrico sono evidenti tre dismorfismi: la rettilineizzazione delle vertebre cervicali, la scoliosi dorso/lombare ed il varismo del 5° dito dei piedi. Il primo dismorfismo è stato causato, probabilmente, dalla forma del cranio, allungata esageratamente in senso antero/posteriore, che ha indotto le vertebre cervicali a perdere la normale curva di lordosi, ad allinearsi lungo l’asse longitudinale per far ritrovare al cranio una posizione baricentrica e compensare lo squilibrio. La scoliosi dorso/lombare, prodotta dalla rotazione di alcune vertebre attorno al proprio asse, è stata causata, probabilmente, da posture asimmetriche mantenute costantemente dal personaggio rappresentato ed, anche, per la compensazione dovuta agli altri dimorfismi evidenti in quello scheletro. Il terzo dismorfismo, il varismo del 5° dito dei piedi, dovrebbe essere di natura ereditaria, così come la struttura scheletrica del 2° dito che risulta appena più lungo dell’alluce ed è tipico del cosiddetto “piede greco”. Il capo è leggermente flesso, la postura è militare e le armi in dotazione, sono le stesse di quelle descritte per la “Statua A”.
I muscoli scheletrici dei due personaggi rappresentati dalle statue presentano differenze ipertrofiche e somatometriche che caratterizzano l’età biologica dei due soggetti. Il personaggio rappresentato dalla “Statua A” risulta essere più giovane e vigoroso di quello rappresentato dalla “Statua B”.
Il tipo di ipertrofia muscolare visibile in entrambe le statue è caratteristico della capacità condizionale denominata in fisiologia forza/resistente che si sviluppa praticando discipline di combattimento, quali la Lotta, il Pugilato ed il Pancrazio, tipiche dell’addestramento base di tutti i Guerrieri Greci. Alcuni segni caratteristici della Lotta si notano nel personaggio rappresentato dalla “Statua B”. Le orecchie sono asimmetriche. Nella cartilagine dell’orecchio destro il Trago e la parte anteriore della Fossa Scafoide risultano consumati. Nell’orecchio sinistro il Trago risulta consumato e nel Lobo, nell’Anti-Trago, nell’Anti-Elice, nell’Elice e nella Fossa Scafoide sono presenti otoematomi. La fisionomia degli arti inferiori della “Statua B”, per l’evidente ipertrofia muscolare dei glutei, degli adduttori e dei tricipiti della sura, è compatibile con chi va a cavallo.
La “Statua B” dei Bronzi di Riace rappresenta un guerriero greco con un particolare anatomico che caratterizza la sua testa, allungata esageratamente in senso antero/posteriore. Per cinquant’anni si è creduto erroneamente che quella parte allungata a dismisura fosse una porzione creata volutamente dall’Artista per far calzare l’elmo. Lo studio anatomico ha invece rilevato che quello è un vero e proprio cranio, di tipo dolicocefalo e che l’alterazione inizia con l’appiattimento dell’osso frontale a partire dal primo terzo, sopra le orbite, e si congiunge alle due ossa parietali, anch’esse appiattite ed allungate in senso antero/posteriore. Se, come avevano creduto gli studiosi la forma allungata della testa fosse stata una porzione aggiuntiva, l’osso frontale avrebbe avuto una forma regolare, così come quello della “Statua A”.
Dal punto di vista statuario, allungare una testa per far calzare un elmo è irragionevole considerato che la parte che sostiene e mantiene incastrato un elmo è il bordo che poggia sopra l’osso frontale, ai lati sopra le orecchie ed alla base dell’osso occipitale, Inoltre, sarebbe l’unico caso nella storia dell’Arte e dell’Archeologia. Dopo tali considerazioni si può affermare in termini scientifici che il personaggio rappresentato dalla “Statua B” presenta un cranio di tipo dolicocefalo, esageratamente allungato in senso antero/posteriore. Nelle fonti letterarie del V secolo a.C., l’unico personaggio di cui si fa riferimento per avere una forma particolare della testa, èPericle. Plutarco, nella sua opera “Vite Parallele”, riporta gli scritti di Erodoto e del Commediografo Cratìno che soprannominavano Pericle “Schinocefalo” per avere la testa allungata indietro come una cipolla marina. Èupoli scrive che nella testa di Pericle entravano 11 letti. Partendo da questa particolare ed unica forma del cranio rappresentata dalla “Statua B” e confrontandola con i dati chimici e scientifici rilevati con il “carbonio 14” e con i dati geografici e storici l’ipotesi prodotta dal Prof. Partinico assume molta consistenza per un insieme di indizi precisi e concordanti.
Pericle ha governato Atene dal 460 al 429 a.C. proprio nel periodo e nel territorio di realizzazione della statua; lo scultore Fidia, amico personale di Pericle,fu incaricato in quello stesso periodo, di coordinare la ristrutturazione del Partenone e degli edifici distrutti durante le guerre persiane e di realizzare statue in bronzo di divinità ed eroi ateniesi che avevano difeso ed onorato la città. Pericle fu rappresentato da Fidia mentre combatteva contro un’Amazzone, armato di scudo, lancia ed elmo, sullo scudo della statua di Athena Parthenos. Pausania, nella sua opera “Descrizione della Grecia”, elenca tra le statue viste nell’Acropoli di Atene una statua di Pericle esposta di fronte a quella di Santippo. Plutarco, nelle “Vite parallele”, scrive dell’esistenza di statue di Pericle che dovevano essere realizzate con l’elmo sul capo per nascondere la deformità della testa e di Tucidide, che, interpellato da Archidamo II, Re di Sparta, su chi fosse più bravo nella Lotta tra lui e Pericle, rispose: “Vinco io, ma Pericle, che non accetta mai di perdere, fa credere il contrario anche a quelli che hanno visto”.
La “Statua A” dei Bronzi di Riace è stata realizzata trent’anni anni prima della “Statua B”, nella stessa area geografica e rappresenta anch’essa un guerriero greco. Atene fu governata in successione da Temistocle, Cimone e Pericle. Temistocle, promotore del potenziamento militare navale di Atene fin dal 493 a.C., è stato l’eroe delle battaglie di Maratona, Capo Artemisio e Salamina, il condottiero che più di tutti ha contribuito alla vittoria della Grecia contro la Persia del Re Serse. Temistocle morì in esilio nel 459 a.C. e Pericle riabilitò la sua memoria, riconoscendolo come un eroe della causa ateniese. Le copie romane di originali del V secolo a.C. che rappresentano i volti di Pericle e Temistocle, custodite presso i Musei Vaticani, sono molto simili per fisionomia ai Bronzi di Riace”.
Azzardiamo le nostre conclusioni…
Le nostre umilissime considerazioni, partendo dalle fonti storiche:
Plinio il Vecchio stila la “top four” dei bronzisti greci, riprendendola da Senocrate di Sicione:
1) Fidia,
2) Policleto
3) Mirone;
inoltre, riferendosi all’arte di Mirone e di Pitagora, Plinio afferma a proposito della statua del Pancratiaste di quest’ultimo :
«lo superò Pitagora di Reggio in Italia col Pancratiaste dedicato a Delfi […]. Fece anche Astilo che si vede a Olimpia […]; a Siracusa fece poi uno Zoppo[1] tale che anche a chi lo guarda sembra di sentire il dolore della sua piaga […]; Pitagora fu il primo a riprodurre i tendini e le vene e il primo a trattare i capelli con maggiore diligenza degli altri, suddividendoli con precisione.»
(Plinio il Vecchio XXXIV 59)
Insomma, tra Mirone e Pitagora il livello doveva essere paragonabile se non equivalente, e il terzo posto di Mirone è probabilmente stato assegnato di misura. Vero è che Pitagora viene indicato come il primo scultore ad avere una cura minuziosa di particolari come capelli, tendini e vene; un’attenzione che è tipica dello stile severo e che non riguarda il minuto particolare fine a se stesso, ma la struttura dell’anatomia umana indagata come un tutto organico. Vero anche che i due Riace abbondano in questi particolari anatomici, ma essere il primo cronologicamente non significa essere l’unico, anzi…Inoltre, tornando a Pitagora, le caratteristiche del suo lavoro hanno permesso di attribuirgli dubitativamente moltissime opere e diversi capolavori dell’arte scultorea di passaggio tra lo stile severo e quello protoclassico. Come accaduto per Mirone, le numerose opere attribuite a Pitagora dagli antichi (Plinio e Pausania) sono soprattutto statue di atleti vincitori a Olimpia e a Delfi; ma anche eroi mitologici e effigi divine, tutte perdute e nessuna copia dei suoi lavori è stata identificata con certezza. Alcune citate dalle fonti sono in parte riconoscibili in bronzetti, altre in riproduzioni fatte su gemme, cammei, o sulle monete siciliane e italiote.
Ma le recenti tesi secondo le quali potrebbe essere l’autore di una o addirittura due Riace secondo noi non sono minimamente sostenibili (i riccioli freack del Bronzo A hanno probabilmente fuorviato i seriosi accademici); se il livello di Mirone è quello del Discobolo, e se Pitagora è gli pari o addirittura leggermente inferiore, siamo ben lontani dagli inarrivabili Riace A e B. Rimarrebbero in lizza, a questo punto, solo Fidia (per il “giovane” e Policleto (per il “vecchio”). Guarda caso, la postura di quest’ultimo è esattamente quella canonica del Doriforo.
L’Antico e i competitor moderni
Solamente Michelangelo con il suo David si avvicina all’ideale greco, ma per ragioni prospettiche “inciampa”, alterando le proporzioni perfette dei bronzi classici. Da lontano, il David è un vero “capoccione”.
Neanche Bernini, molti secoli dopo con il suo dinamico David, riesce ad arrivare al livello supremo dei due guerrieri. Fissa mirabilmente un momento, un’espressione (la sua, ahi ahi…) e una situazione: rimane troppo reale, senza raggiungere l’ideale.
In tempi più recenti, anche Rodin ci ha provato, troppo pathos, nulla da fare, il Monte Olimpo rimane troppo alto da scalare.
E allora? Winckelmann aveva ragione, da vendere, pur senza aver potuto godere dell’immenso privilegio, a noi concesso dalla Storia, di ammirare i Bronzi di Riace. E non aveva visto neanche il Pugile delle Terme, scoperto oltre un secolo dopo la sua morte, nel marzo del 1885 su un versante del Quirinale. Con il Pugile che si aggiunge ai due guerrieri, si completa il podio delle tre statue più belle di tutti i tempi e di tutti i luoghi, “by far”.
(Su questo postulato non si ammettono discussioni ;-))
La statua è stata ritrovata tra il secondo e il terzo muro di fondazione di un edificio antico, alla profondità di 6 metri sotto il livello della piattaforma. L’archeologo Rodolfo Lanciani, all’epoca segretario della Commissione Archeologica Comunale, ha lasciato una descrizione tanto vivida quanto precisa delle circostanze del ritrovamento: «Il più importante dato raccolto, mentre ero presente e seguivo la rimozione della terra nella quale il capolavoro giaceva seppellito, è che la statua non era stata gettata là, o seppellita in fretta, ma era stata nascosta e trattata con la massima cura. La figura, trovandosi in posizione seduta, era stata posta su un capitello di pietra dell’ordine dorico, come sopra uno sgabello e il fosso che era stato aperto tra le fondamenta più basse del tempio del Sole, per nascondere la statua era stato riempito con terra setacciata per salvare la superficie del bronzo da ogni possibile offesa. Sono stato presente, nella mia lunga carriera nell’attivo campo dell’archeologia, a molte scoperte; ho sperimentato una sorpresa dopo l’altra; ho talvolta e per lo più inaspettatamente, incontrato reali capolavori ma non ho mai provato un’impressione straordinaria simile a quella creata dalla vista di questo magnifico esemplare di un atleta semi-barbaro, uscente lentamente dal terreno come se si svegliasse da un lungo sonno dopo i suoi valorosi combattimenti»[3] (da Wikipedia)
Il restauro condotto tra il 1984 e il 1987 ha permesso di riconoscere nell’opera aspetti tecnici riconducibili ad ambito classico. L’opera fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa e con il metodo indiretto. La scultura è un insieme di otto segmenti. Le labbra, le ferite e le cicatrici del volto erano fuse separatamente in una lega più scura o in rame massiccio. Separatamente erano fuse anche le dita centrali dei piedi (un aspetto tecnico già riscontrato nei Bronzi di Riace) per permettere una più accurata modellazione degli spazi interdigitali. Lo stesso si dica per la calotta cranica che doveva permettere l’inserimento degli occhi policromi dall’interno. (da Wikipedia)
…segue…
I numerosi campioni stranieri di discipline come nuoto, tennis, atletica e rugby che hanno partecipato al Trofeo Settecolli, agli Internazionali, al Golden Gala o al Sei Nazioni concordano nel ritenere gli impianti sportivi del Foro Italico tra i più affascinanti al mondo. È difficile contraddirli; è un peccato che questa splendida parte di Roma, situata a valle di Ponte Milvio tra le pendici di Monte Mario e l’ansa del Tevere, non sia stata ancora esaminata con l’attenzione e la critica necessarie, nonostante siano passati oltre 90 anni dai primi progetti, continuando a subire le conseguenze della sua forte connotazione simbolica, ancora evidente.Certamente, rappresenta un’imponente testimonianza del regime fascista, che all’epoca esigeva per la gioventù le migliori strutture, oltre a “luce, aria, acqua e sapone”; tuttavia, l’ideologia non dovrebbe oscurare la qualità manifesta degli edifici originali e dell’intero complesso urbanistico, da considerarsi veri capolavori.Anni fa si discuteva spesso, talvolta impropriamente, di “impatto ambientale”, mentre oggi prevalgono altri termini come “sostenibilità” e la troppo usata “ecologia” (qui evitiamo, per rispetto nazionale, i terribili termini anglofoni corrispondenti), dimenticando quasi sempre di menzionare il primo esempio storico in architettura, quello insuperabile dei teatri e degli stadi greci: luoghi dove gli spazi dedicati agli attori o agli atleti erano scavati nel terreno, evitando così la costruzione di strutture sopraelevate per le gradinate. Questa era la sensibilità “green” dell’epoca. Era anche la cultura dell’Ellade, decisamente più sensibile e sofisticata di quella dei loro conquistatori romani: possiamo ragionevolmente ipotizzare che un cittadino di Atene, Sparta o Delfi del VII secolo a.C., proiettato nel futuro, avrebbe considerato anche il Colosseo (I sec. D.C.) un vero ecomostro.
(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)
E per finire… 😉
Ogni 2 giugno il Presidente della Repubblica, rende omaggio all’ALTARE DELLA PATRIA con la deposizione di una corona d’alloro.
L’ Altare della Patria, inaugurato il 4 giugno 1911, raccoglie, nelle sue sculture, la storia dell’unità d’Italia e i simboli della Repubblica.
Eccone alcuni:
2 gruppi scultorei in bronzo dorato rappresentano i valori degli italiani: PENSIERO e AZIONE.
4 statue in marmo botticino che simboleggiano i valori morali degli italiani e i principi ideali che rendono salda la nazione: FORZA, CONCORDIA, DIRITTO e SACRIFICIO.
14 bassorilievi di CITTÀ NOBILI italiane posti alla base della statua di Vittorio Emanuele II. Si tratta di capitali delle antiche monarchie italiane preunitarie e delle repubbliche marinare, perciò non necessariamente delle più importanti d’Italia
Queste città, considerate “madri” della Patria sono TORINO, VENEZIA, PALERMO, MANTOVA, URBINO, NAPOLI, GENOVA, MILANO, BOLOGNA, RAVENNA, PISA, AMALFI, FERRARA e FIRENZE.
16 statue nel fregio sopra il grande portico personificano le REGIONI italiane. Ogni statua si trova in corrispondenza di una colonna.
2 quadrighe: visibili da tutta Roma, simboleggiano l’UNITÀ e la LIBERTÀ.
2 iscrizioni latine poste sui frontoni dei sottostanti propilei, richiamano i due concetti cardine che informano l’intero monumento: LIBERTÀ DEI CITTADINI (“Civium Libertati”) e UNITÀ DELLA PATRIA (“Patriae Unitati”).
2 fontane dei maggiori mari italiani: a sinistra il MARE ADRIATICO e a destra il MAR TIRRENO.
Cieli sereni 🇮🇹
PG
Luoghi geometrici…non comuni!
(Interno interattivo a 360 gradi del Pantheon a Roma. Cliccando sul quadratino si ottiene lo schermo intero; trascinado il cursore del mouse ci si muove in ogni direzione )
Quadro assiomatico: l’Architettura è un linguaggio.
Postulato: L’Architettura Classica, l’arte del costruire che nel campo linguistico corrisponde all’antico Greco e al Latino, è esclusivamente quella che utilizza gli ordini architettonici Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito.
Definizione: un ordine architettonico è costituito da un insieme di sostegni e sovrastrutture, tra loro correlati, distinto da proporzioni, profili e dettagli caratteristici che lo rendono facilmente riconoscibile. I Cinque Ordini costituiscono l’equivalente delle cinque declinazioni della lingua latina e rappresentano le vere e proprie “uniformi” degli edifici classici.
In questa splendida incisione su rame di Claude Perrault (1613-1688, autore della “colonnade”, come viene chiamata la facciata est del Louvre) sono illustrati quelli che, all’epoca, venivano considerati indiscutibilmente gli ordini classici dell’Architettura: da sinistra Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito.
L’utilizzo concreto di questa gamma lo ritroviamo, peraltro, nel corso di millenni della Storia dell’Architettura e senza limitazioni geografiche di sorta: partendo in Grecia dal VI secolo a.C., proseguendo per l’intera estensione dell’Impero Romano, nelle Americhe e financo in Australia, Africa ed Asia, nell’architettura coloniale del XX secolo.
Nelle illustrazioni che seguono, abbiamo volutamente messo a confronto tre diversi esempi dell’ordine “dorico greco/arcaico” ( tutti realizzati in Italia)
Le prime due immagini a sinistra raffigurano il Tempio di Era II (o di Poseidone) a Paestum (V sec. a.C.) mentre le altre due risalgono all’inzio del XIX secolo e sono opere romane di Giuseppe Valadier: rispettivamente Villa Torlonia e la Casina del Pincio, che appunto prende il suo nome. Colonne e capitelli del Tempio sono separati da quelli delle altre costruzioni da oltre 2300 anni….epperò lo stile rimane molto simile, oltre che assolutamente riconoscibile.
Ma perché gli ordini sono proprio (e solo) cinque? All’età di Augusto, per Vitruvio (che conosceremo meglio tra qualche riga) erano limitati a tre: Dorico, Ionico e Corinzio. La gamma ampliata è stata di fatto “certificata” solo quindici secoli dopo, nel Rinascimento, da un architetto bolognese, Sebastiano Serlio (1475-1554), collaboratore di Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che a sua volta lo era di Raffaello Sanzio (1483-1520). Raffaello, ricordiamo, oltre che “divin pittore” era stato nominato dal papa Leone X “praefectus marmorum et lapidum omnium“, diventando, di fatto, il primo soprintendente archeologico e ai monumenti della storia.
In questa veste, probabilmente anche seguendo i consigli del concittadino Donato Bramante (1444-1514), il primo progettista della “nuova” Basilica di San Pietro, voluta da Giulio II e fondata nel 1506, Raffaello era stato incaricato di catalogare e ridisegnare le più importanti rovine romane al fine di ricavarne quelle “regole universali” che avevano generato “l’unica buona e vera Architettura, quella degli antichi”, che lo stesso Pontefice voleva riportare in vita per celebrare la rinascita dei fasti dell’Impero Romano, stavolta sotto la guida della Chiesa.
Oltre ai Maestri citati, ricordiamo che intorno al 1500 a Roma si trovavano anche Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo; poco prima c’erano stati anche Pinturicchio e i decoratori quattrocenteschi della Cappella Sistina: Perugino, Botticelli, Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Signorelli: tutti i grandi artisti umbri e toscani che, a loro volta, nel campo dell’Architettura avevano come punti di riferimento Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, le vere stelle polari dell’Umanesimo fiorentino e primi, veri promotori della riscoperta del classicismo nelle arti e nell’architettura dopo il Medioevo.
Cosa ha fatto il buon Serlio allora? Come Architetto, non era dotato di particolare talento; ma potendo disporre degli studi dei contemporanei o di chi lo aveva di poco preceduto, ha avuto l’enorme merito di collezionare, riordinare, sistemare e pubblicare un insieme di conoscenze preziose, frutto delle ricerche appassionate, ma dispersive, di un irripetibile gruppo di geni assoluti. Il risultato dei suoi sforzi è l’opera “I sette libri dell’Architettura”, pubblicati a partire dal 1537 in ordine irregolare ed in tempi e luoghi diversi. Improntato più ad uno spirito pratico che teorico, il suo trattato è in assoluto il primo a codificare in dettaglio i “cinque ordini”, attribuendo grande importanza alle immagini, e costituisce una pietra miliare non solo nella storia della trattatistica di architettura, ma anche nella storia della stampa.
Il frontespizio del Libro IV (il primo ad essere pubblicato nel 1537) ci dice tutto sulle convinzioni dell’autore: le regole sono “generali” e le “maniere” cinque: appunto Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito; cita gli esempi dell’Antichità “che per la maggior parte concordano con la dottrina di Vitruvio”.
Serlio, per qualificare la sua opera, non solo si richiama alle nobili vestigia romane, ma si appella anche all’autorità dottrinale di Vitruvio… e allora, chi era costui, e in cosa consisteva la sua dottrina?
La risposta è semplice: Vitruvio (in latino: Marcus Vitruvius Pollio) era “il Serlio” dell’età di Augusto. Architetto, ma soprattutto trattatista, viene tuttora considerato il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi.
Attivo nella seconda metà del I secolo a.C. è autore della Basilica di Fano e soprattutto del trattato De architectura (Sull’architettura), in 10 libri, dedicato ad Augusto che gli aveva concesso una pensione.
Scritto probabilmente tra il 29 e il 23 a.C. (periodo nel quale Augusto aveva in mente un rinnovamento generale dell’edilizia pubblica) mirava certamente a ingraziarsi l’imperatore; a cui, non a caso, Vitruvio si rivolge direttamente in ciascuna delle introduzioni preposte ad ogni libro.
Il De architectura è l’unico integro testo latino di architettura giunto fino a noi e per questo il più importante,
Testimonia gli usi e costumi dell’epoca ed è stato studiato da ogni architetto dopo la riscoperta del manoscritto, avvenuta nel XV secolo.
«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie.» |
Claude Perrault, “distillò” da questo passo del trattato la leggendaria formula della triade vitruviana, secondo la quale cui ogni buona architettura deve soddisfare tre requisiti:
Che onestamente rimangono difficilmente contestabili, anche dopo duemila anni.
(Fine episodio I. Continua…prossimo episodio: l’ordine tuscanico.)
AutoBio: “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose” (cit. “Ecce Bombo”, Nanni Moretti, 1978)
Postilla redazionale: …e tra una cosa e l’altra fotografa per FUORI!!! 😉
(e scorretela, ‘sta galleria fotografica qui sotto! Le freccette avanti e indietro appaiono appena passate il mouse sulle chiappe della statua..;-))
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Signore e signori, con questo profilo twitter abbiamo il piacere di inaugurare una rubrica con la quale, ad insindacabile giudizio della redazione, in ogni articolo vi presenteremo un profilo social, scelto adducendo motivazioni e ragioni, di volta i volta, tra le più disparate.
Nel caso di @AcsGregory, però, non abbiamo bisogno di arrampicarci troppo sugli specchi: la TL è piena zeppa di fotografie straordinarie. Le sue.
Barcelona pavillon photogallery
Less is more, diceva Mies van der Rohe. E noi lo prendiamo in (poca) parola. Tanto, ci sono le foto. E che foto! Con un focus in appendice dedicato a “Der Morgen” di Georg Kolbe, un’opera all’altezza – stratosferica – del più bel padiglione espositivo di tutti i tempi: quello tedesco all’esposizione universale di Barcellona 1929.