Da qualche giorno il Vespucci si trova in navigazione dentro la fascia tropicale a cavallo dell’Equatore, così chiamata perchè delimitata, a Nord, dal TROPICO DEL CANCRO e a Sud dal Tropico del Capricorno.
Cosa è il Tropico del Cancro?
Il tropico del Cancro è il parallelo più settentrionale in cui il Sole culmina allo zenitun solo giorno all’anno (nel solstizio di giugno). Al Tropico del Capricorno lo stesso avviene nel solstizio di dicembre. Nei punti della Terra che invece si trovano all’interno di questa fascia, il fenomeno avviene in due date, che variano a seconda della latitudine. Tutto ciò è dovuto alla rivoluzione della Terra in orbita intorno al Sole e all’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre (23° 27′): al mezzogiorno solare (passaggio in meridiano) il sole si presenta esattamente sulla verticale (come si dice “a picco!”) non producendo alcuna ombra! Questo è avvenuto sul Vespucci mercoledì scorso 26 luglio in latitudine 19° 25′ N. Il Vespucci attraverserà di nuovo il Tropico del Cancro, ma da Sud a Nord, nel giugno del 2024 (!) e poi ancora 4 volte durante questo giro del mondo: ma non è detto che in quei giorni avrà ancora il Sole esattamente “a picco”.
Cieli sereni PG
13 luglio 2023 – “Non plus ultra” – Nave Vespucci ha attraversato lo Stretto di Gibilterra, il punto nel quale il Mar Mediterraneo incontra l’Oceano Atlantico.
Questo stretto è anche noto, simbolicamente, come Colonne d’Ercole. Il mito vuole che sia stato il semidio Ercole a porre due Colonne ai lati dello stretto, tra i promontori di Calpe (Spagna) e di Abila (Africa). Gli antichi Greci credevano che le Colonne fossero un limite invalicabile oltre cui non era più possibile andare, aldilà del quale il pericolo e l’ignoto avrebbero condannato ogni essere umano alla fine dei tempi. Secondo la leggenda, Ercole si sarebbe spinto proprio fino alle pendici dei monti Calpe e Abila: creò le due colonne e vi impresse sopra l’iconica incisione: “NON PLUS ULTRA”.
Le Colonne d’Ercole colpirono la fantasia e l’estro di moltissimi scrittori e artisti. Secondo Platone, aldilà delle colonne si trovava il mitico e ricco regno di Atlantide. Dante, invece, fa intravedere ad Ulisse, oltre quei confini, il monte del Purgatorio, prima di venire colpito dalla vendetta divina che fa sprofondare la sua nave.
Adesso Gibilterra è un territorio d’oltremare del Regno Unito 🇬🇧 e deve il suo nome alla corruzione del toponimo arabo Jabal Ţāriq (جبل طارق, Monte di Tariq), in omaggio a Tariq ibn Ziyad, il condottiero berbero che conquistò la Spagna nel 711.
CURIOSITÀ La bandiera di Gibilterra riproduce lo stemma del territorio concesso dai Re Cattolici di Spagna nel 1502, con il castello che rappresenta la rocca e la chiave, che allude alla sua posizione strategica di “Porta del Mediterraneo”.
Cieli sereni 🇬🇮 PG
(We are not) California dreamin’…
…che Mediterraneo sia!
Scopello (Italy)
Scopello (Italy)
Poros (Greece)
Poros (Greece)
Amorgos (Greece)
Amorgos (Greece)
Fregene (Italy)
Amorgos (Greece)
Amorgos (Greece)
Ischia (Italy)
Rome. Over the top.
Architectural emergencies in the eternal city…pics by Giancarlo & Gregory 😉
Wings of Rome
Angels and more wings in the Caput Mundi. Continuous updates, from here to eternity
Oggi si festeggia il Natale di Roma che, secondo la leggenda, sarebbe stata fondata da Romolo il 21 aprile del 753 avanti Cristo.
Da questa data in poi derivava la cronologia romana, definita con la locuzione latina Ab Urbe condita, ovvero “dalla fondazione della Città”, che contava gli anni a partire da tale presunta fondazione.
CURIOSITÀ Molti siti e testate annunciano la data di oggi come il 2776° compleanno di Roma perchè vengono sommati, istintivamente, il numero degli anni “a. C.” con quelli “d. C.” ottenendo, appunto (753 + 2023) 2776.
IN REALTÀ LA CITTÀ ETERNA COMPIE QUEST’ANNO 2775 ANNI !!
L’operazione corretta da fare è:
(753 + 2023) – 1 = 2775 anni !
La sottrazione di un anno è dovuta al semplice fatto che… NON ESISTE L’ ANNO 0 (“zero”)!: in altre parole tra il 21 aprile dell’ 1 a. C. e il 21 aprile dell’ 1 d. C. trascorse un solo anno e NON DUE!
Cieli sereni e Buon Natale Roma! PG
PERCHÈ FEBBRAIO HA 28 GIORNI?
Il comandante Bitta più volte si è posto questa domanda alla quale spesso ha sentito rispondere …“è sempre stato così”.
VEDIAMO LA STORIA Per gli antichi Romani, al tempo di Romolo, gli anni duravano 10 mesi, e venivano definiti per cadenzare le stagioni in relazione al raccolto: l’inverno, infatti, era un periodo di circa 60 giorni SENZA mesi! Il secondo re di Roma, Numa Pompilio, nel VIII secolo a.C., decise che il calendario sarebbe dovuto essere più accurato, allineandolosi ai 12 cicli lunari di un anno: il nuovo anno doveva quindi essere formato da 355 giorni e, per rispettare questo valore, il nuovo re introdusse i due mesi di gennaio e febbraio. Ma come si arrivò a determinare “per difetto” quest’ultimo mese? I romani ritenevano che i numeri pari portassero sfortuna; non a caso, ogni mese aveva un numero dispari di giorni (si alternavano tra 29 e 31), ma per arrivare ai 355 giorni, un mese avrebbe dovuto essere per forza di un numero pari di giorni e così fu scelto proprio febbraio. Non a caso, il secondo mese dell’anno era riconosciuto come un periodo sfortunato. Secondo alcuni esperti, febbraio si sarebbe guadagnato questa nomea a causa dei riti funebri officiati durante questo lasso di tempo e l’ipotesi è avvalorata dalla somiglianza tra il termine febbraio e la parola sabina februare, che significa “purificare”.
CURIOSITÀ Perché, ogni quattro anni, febbraio è composto da 29 giorni?
Fu introdotto nel calendario promulgato da Giulio Cesare che entró in vigore nel 45 a.C. e che prevedeva degli anni di 365 giorni e uno di 366 giorni ogni quattro. Si trattò di una scelta fatta per rimanere allineati al calendario astronomico, considerando che, dai calcoli, risultava che un anno in realtà non dura esattamente 365 giorni ma 365 giorni e 6 ore: così il giorno in più inserito ogni 4 anni serviva proprio a compensare quelle 6 ore di “disavanzo” di ogni anno (6×4 = 24h = 1 giorno). Nel 1582 Papa Gregorio XIII, con l’introduzione del calendario gregoriano, (anno calcolato di 365 giorni 5 ore 49 minuti e 6 secondi) corresse ulteriormente il tiro eliminando tre anni bisestili ogni 400, sempre all’inizio del secolo. La regola, da allora, divenne questa: un anno è bisestile se il suo numero è divisibile per 4, con l’eccezione degli anni secolari (divisibili per 100) che non siano divisibili per 400. Ciò significa, ad esempio, che nel 2100 il 29 febbraio non ci sarà così come non c’è stato nel 1900. Il prossimo anno, il 2024, sarà bisestile.
Cieli sereni PG
I villaggi di Asterix, quello vero.
Breden, (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
58-52 a.C.: Giulio Cesare conquista la Gallia. Tutta? (cit.) Si, proprio tutta, con buona pace dei galli e galletti di cartone Goscinny, Uderzo, Asterix e Obelix. I limiti orientali della Gallia, e quindi del dominio di Roma, vengono fissati sul Reno. Reno che comunque viene occasionalmente passato almeno un paio di volte dalle legioni romane (grazie ad incredibili ponti allestiti in pochi giorni, descritti accuratamente dallo stesso Cesare) solo – per “convincere” i Germani, diciamo con modi un tantinello spicci – di rimanere più tranquilli nei loro villaggetti al di là del fiume, evitando di commettere scorribande in Gallia. Ecco, appunto, villaggetti. Al di là del Reno non c’erano infatti delle città, ma degli insediamenti abitativi molto più rarefatti: come Giulio Cesare aveva già notato, e come spiega ancor meglio Tacito (98 d.c.) nel suo “De origine et situ Germanorum”:
“È notorio che le popolazioni germaniche non hanno vere e proprie città e che non amano neppure case fra loro contigue. Vivono in dimore isolate e sparse, a seconda che li attragga una fonte, un campo, un bosco. Non costruiscono, come noi, villaggi con edifici vicini e addossati gli uni agli altri: ciascuno lascia uno spazio intorno alla propria casa o per precauzione contro possibili incendi o per imperizia nella costruzione. Non impiegano pietre tagliate o mattoni: per ogni cosa si servono di legname grezzo, incuranti di assicurare un aspetto accogliente.“
Ehrsen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Testimoniando così l’esistenza di edifici simili a quella che sarebbe poi diventata la fachwerkhaus, la casa caratteristica dei popoli germanici. Per rendere l’idea, nell’odierna Geimar-Fritzlar, in Turingia, esiste una ricostruzione di un insediamento abitativo tipico della tribù dei Catti, allora posizionati tra il Reno e il Meno al tempo di Augusto.
Come sappiamo, i programmi di Cesare che, secondo Plutarco, dopo queste escursioni dimostrative aveva in mente di rimettere le cose definitivamente a posto nella “Germania Magna” (quella oltre il Reno), furono bruscamente interrotti da Bruto e Cassio nelle ben note Idi di Marzo del 44 a.C.
A sua volta Augusto, dopo qualche anno e una volta “chiarita” nel Mediterraneo la situazione con Marco Antonio e Cleopatra, riprese il programma di Cesare nel nord Europa, spostando il confine orientale dell’Impero dal Reno all’Elba e provando ad imporre il “lifestyle” romano anche alle tribù barbariche dislocate tra questi due grandi fiumi. Fu decisamente un fallimento: il governatore Varo, avido ed ottuso, proveniente dalla Siria e abituato alle corruzioni e alle mollezze dei regni mediorentali, non capì nulla dello spirito libero, selvaggio ed indomito dei Germani che nel 9 d.c. si unirono sotto la guida di Arminio (Hermann der Cherusker) per ribellarsi a Roma, annientando tre legioni in quella che sarebbe diventata la “Clades Variana”, la disfatta di Teutoburgo. La peggiore sconfitta subita da Roma dai tempi di Annibale.
Si è giustamente detto che queste circostanze (la congiura contro Cesare, la ribellione – o il vile tradimento, a seconda del punto di vista – di Arminio) abbiano radicalmente cambiato il corso della Storia, sottolineando che se Roma ha perso la Germania, allo stesso modo la Germania perse Roma, con tutte le conseguenze del caso: tralasciando gli aspetti politici, filosofici, religiosi, culturali e linguistici che ne sarebbero conseguiti, tra Reno ed Elba non furono più costruiti edifici pubblici, terme, ponti, strade, acquedotti, fortificazioni, accampamenti, mura, città. Quindi, niente “Insulae”, nessuna “Domus”. Le abitudini dei Germani sarebbero infatti rimaste sostanzialmente quelle descritte da Cesare e Tacito ancora per diversi secoli se non millenni; ancora oggi possiamo facilmente rintracciare il DNA delle abitazioni di duemila anni fa nell’ odierna “casa a graticcio”, la fachwerkhaus.
Gutersloh, (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Ehrsen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Fachwerk, in tedesco, è il termine che si usa per definire questa artigianale e plurisecolare metodologia costruttiva in cui l’edificio è sorretto da una struttura lignea portante, fatta di montanti, travi e puntelli, sapientemente assemblati tra loro. Lo scheletro a vista – che si direbbe oggi “eco-friendly” – grazie all’elasticità propria del legno riesce a resistere anche a grandi sollecitazioni di neve e vento. Le tamponature tra le travi e i pannelli (Gefach), sono di norma riempite con un graticcio o una cannicciata di rami sottili rivestita di argilla su entrambi i lati, oppure – meno frequentemente – con un impasto di ciottoli e/o laterizi.
Presso Hollenstein (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
La struttura così evidente, non diversamente da quella propria della tradizione giapponese alla quale per certi versi un poco assomiglia, assume anche una forte valenza decorativa, smentendo così l’ingeneroso giudizio estetico di Tacito (nota a sua discolpa: era abituato a ben altro stile, quello imperale di bronzi e marmi; si pensi che allora il Colosseo era nuovo di zecca…)
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Questo principio costruttivo, di uso corrente fino all’Ottocento, è stato declinato in molte variazioni e trasformazioni influenzate dalle caratteristiche storiche e geografiche delle diverse regioni tedesche (e anche francesi: già Cesare aveva scritto che le case dei Galli, dei Britanni e dei Germani si assomigliavano: la continua osmosi culturale tra le due rive del Reno ha fatto il resto),
Gutersloh, (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Le case a graticcio in Germania si trovano ancora in una stupefacente varietà di forme, intrecci e decorazioni, a volte figurative, altre puramente ornamentali, tutte diverse tra loro a causa delle caratteristiche spiccatamente artigianali; anche a cercarle col lanternino, non si trovano infatti due case Fachwerk uguali tra loro.
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, DeutschlandBad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Schwalenberg, (Lippe) Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bergkirchen, (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Bad Salzuflen (Lippe), Nordrhein-Westfalen, Deutschland
Il periodo di massimo splendore dell’edificio a graticcio è senz’altro quello tra il XVI e l’inizio del XVII secolo. Esiste addirittura una strada delle case a graticcio (“Fachwerkstraße”) che attraversa per 2.800 km tutta la Germania, dal nord al sud, collegando quasi 100 città tedesche, attraversando ben 6 Lander: Bassa Sassonia, Sassonia-Anhalt, Turingia, Assia, Baden-Württemberg, Baviera. Ma, e questo per noi è davvero tanto sorprendente quanto incomprensibile, escludendo proprio la Renania settentrionale-Vestfalia, cioè proprio quella regione appena al di là del Reno, e cioè quella più direttamente interessata dalle vicende descritte da Cesare e Tacito.
Nel cuore della Nordrhein-Westfalen (questo il nome attuale del Land, in tedesco) e segnatamente nella provincia della Lippe, sono invece conservati un gran numero di edifici a graticcio, nei piccoli centri storici o dispersi tra boschi e campi: ne abbiamo quindi fotografati alcuni che si trovano fuori delle grandi rotte turistiche, nelle località di Ehrsen, Breden, Bad Salzuflen, Schotmar, Gutersloh, Bergkirchen, Hollenstein, Schwalenberg, Herford. Edifici che, non a caso, si trovano disseminati nella Selva di Teutoburgo, sì, proprio la foresta teatro della battaglia tra Germani e Romani del 9.d.C.
Al centro della quale, sulla sommità di una collina, svetta un ciclopico monumento dedicato ad Arminio, l’Asterix teutone capo della resistenza militare – e culturale – contro i Romani: in ultima analisi, è anche merito suo se le case a graticcio si sono continuate a costruire e sono arrivate fino a noi secondo la tradizione locale, quella raccontataci da Giulio Cesare e Publio Cornelio Tacito.
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Winckelmann aveva ragione…(e Charbonneux con lui ;-))
Non sopporto le icone russe l’arte finto pop la transavanguardia italiana i graffiti punk inglesi …neanche l’etnica africana. (semicit. da Franco Battiato, 1982)
Prima premessa: Jean Charbonneux (1895-1969), il più famoso archeologo classico francese – che amava considerarsi “un ateniese che il fato aveva voluto far nascere in Francia affinché potesse dirigere da grande un dipartimento del Louvre” – scriveva così nel 1969:
“Se oggi è difficile, forse per la prossima generazione sarà impossibile comprendere e soprattutto sentire profondamente ciò che ha significato nell’Antichità classica, e anche per qualche grande scultore recentemente scomparso, il tipo statuario dell’uomo nudo in piedi.
Niente è stato più esaltante per un disegnatore, per un pittore, e soprattutto per uno scultore, della creazione sempre rinnovata di questo essere che guarda al mondo dalla sua statura e sfida il cielo”
Charbonneux è morto nel 1969, tre anni prima del ritrovamento dei Bronzi nel mare, al largo di Riace. Ma le sue profetiche parole riescono a descrivere – come nessun altro in seguito – lo spirito classico, umanistico e intrinsicamente greco dei due capolavori.
Seconda premessa: Johann Joachim Winckelmann (1717- 1768), archeologico e storico dell’arte tedesco, considerato (a ragione) il padre nobile del neoclassicismo, teorizzava il bello ideale attraverso la “nobilesemplicità” e la “quietagrandezza” delle sculture greche. E, si pensi, il suo giudizio si basava solo sulle copie in marmo di età romana…chissà come avrebbe commentato la scoperta dei due originali bronzei, avvenuta quasi due secoli dopo la pubblicazione del suoi saggio “Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst” [Pensieri sull’imitazione delle opere greche in pittura e scultura] , dal quale riportiamo questo passo:
«La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come la profondità del mare che resta sempre immobile per quanto agitata ne sia la superficie, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata.»
Ebbene, Il bronzo “B” (“il vecchio”), dalla postura nobilmente rilassata e lo sguardo non focalizzato, concretizza esemplarmente il suo pensiero, molto più del bronzo “A” (“il giovane”) che, al confronto, appare più teso e pronto all’azione, con il capo ruotato, l’espressione ostile del volto e la evidente contrazione dei muscoli delle spalle e del collo.
Non a caso la datazione del “Bronzo B”, per alcuni studiosi, viene collocata intorno al 430 a.C., coincidente quindi con il termine della “Età di Pericle”, il periodo di massimo splendore di Atene, l’apogeo del mondo classico; mentre la realizzazione del “Bronzo A” per la maggior parte degli esperti, dovrebbe essere più antica di una trentina d’anni, quindi nel periodo finale del cosiddetto “stile severo” (460 a.C.).
Lo stle severo fu artisticamente dominato da Mirone di Elèutere, l’autore del Discobolo, (originale in bronzo perduto, ca. 480 a.C., qui illustrato attraverso una copia in marmo di età romana – detta “Discobolo Lancellotti”, conservata a Palazzo Massimo a Roma)
Non sono mancate, inevitabilmente, delle attribuzioni del Riace A a Mirone, ma questa tesi ci appare oggi piuttosto debole per una serie di considerazioni:
il Discobolo rimane lontano dall’equilibrio pacato, perfetto, “classico”,del Riace “B”, ma non ha neanche raggiunto la naturalezza attiva del Bronzo “A”, nei confronti del quale appare in posa mimica, enfatizzata. Il Discobolo evoca teatralmente l’idea di movimento, ma ancora non lo rappresenta dinamicamente. La persistenza del preclassicismo si rivela dalla costruzione della figura, ancora più vicina al rilievo che alla statuaria a tutto tondo, e all’immobilità calligrafica della muscolatura della parte frontale del torso (quella posteriore non è altrettanto definita).
Questa sua ricerca mirata dell’atteggiamento “istantaneo” riscontrabile chiaramente anche nel suo gruppo di Atena e Marsia, si ricollega agli analoghi tentativi fatti in questo senso fin dall’estremo arcaismo, (si vedano i frontoni di Egina) per fissare la vita nell’opera d’arte, cogliendola, ma anche arrestandola, nel momento topico del movimento.
I Bronzi di Riace, al pari del Doriforo di Policleto, presentano già la soluzione formale più strettamente “classica” utilizzata per vitalizzare le statue, che resterà valida per tutta l’antichità, verrà ripresa nel Rinascimento ad opera di Donatello (David, 1430; Michelangelo, (David, 1501-4) Cellini (Perseo, 1546) e che consiste nel rappresentare la possibilità di movimento anziché il movimento stesso, attraverso una figura ferma ma non rigida, grazie a ritmi rigorosi e al bilanciamento ponderato delle parti del corpo. La possibilità di movimento infonde davvero un soffio vitale alla statua, mentre rappresentare in una azione accentuata ne pone in evidenza la effettiva ed artificiosa staticità.
Se ci fidiamo del giudizio estetico di Cicerone (…vogliamo fidarci…), che ricorda Mirone come capace di eseguire opere “non ancora vicinissime alla verità; nondimeno non si esiterà a dichiararle belle; quelle di Policleto sono ancora più belle e già veramente perfette, secondo la mia opinione” , considerando le stupende fattezze anatomiche del “giovane” Bronzo “A”, l’attribuzione a Mirone dovrebbe essere esclusa a priori.
Plinio e Pausania ricordano Mirone per le statue degli atleti vittoriosi ai giochi olimpici e altre rappresentazioni (“Atene e Marsia”, “la Vacca”) ma non lo menzionano mai per uno o più guerrieri, e Riace A guerriero lo è, senza alcun dubbio.
Oltre a Mirone, sono state avanzate numerose altre ipotesi (alcune diremmo fantasiose e di fatto smentite da accertamenti scientifici successivi) relative agli autori, ai personaggi rappresentati e alla collocazione dei Bronyi di Riace; le riassumiamo di seguito in forme tabellari, dividendole in due gruppi, quelle antecedenti al restauro del 1995 e quelle successive.
Un docente di Scienze Motorie specializzato in Anatomia, il prof. Riccardo Partinico, ha recentemente elencato tredici motivi che smonterebbero tutte le ipotesi sopra elencate. Li riportiamo qui punto per punto, senza commenti:
“Le due statue sono state realizzate a metà del V sec. a.C., lo stile artistico le colloca a distanza di trent’anni l’una dall’altra, la statua A nel 460 a.C. e la statua B nel 430 a.C.. Gli esami con il C14 sono stati svolti dal CEDAD di Unisalento diretto dal prof. Calcagnile.
l’argilla estratta dall’interno delle due statue non proviene solo da Argo, ma da due ambienti diversi situati in un vasto bacino idrogeologico compreso tra Atene, Corinto ed Argo. Anche l’argilla contenuta nel braccio destro della “Statua B”, riparato nei secoli successivi al V sec. a.C. proviene dalla Grecia e non da Roma come ha riferito, erroneamente, il giornalista Paolo Di Giannantonio a Radio Vaticana lo scorso 12 aprile (2024, ndr). Il prof. Ludovico Rebaudo durante la Conferenza internazionale svoltasi a Reggio Calabria nel 2022 ha spiegato a tutti i presenti, compreso l’attuale direttore e lo studioso interessato, che le terre estratte dalle due statue non sono identiche e provengono da due luoghi completamente diversi, quella della “Statua A” è ricca di inclusi e quella della “Statua B” è composta di una matrice argillosa fine e con pochi quarzi.
L’Istituto Centrale per il Restauro ha accertato che la percentuale dei metalli utilizzati per comporre il bronzo e lo spessore medio della lamina delle due statue sono diversi, 8,5 mm nella “Statua A” e 7,5 mm nella “Statua B”.
La tecnica manuale per assemblare la parte interna con le lamelle di argilla, i peli di animali, i bastoncini in legno, i chiodi a testa quadrata e le strutture di ferro di forma quadrata è stata materialmente svolta da artisti diversi che hanno anche lasciato le impronte digitali impresse nell’argilla.
Il noto restauratore dei Bronzi di Riace, Nuccio Schepis, assieme alla collega Paola Donati, ha accertato che gli occhi in calcite sono stati incastonati in maniera differente, nella “Statua A” sono stati bloccati con alcune graffette, nella “Statua B”, l’unico occhio risulta essere stato bloccato con un incastro piramidale.
Lo stile artistico delle due statue è diverso, la “Statua A” in stile “Severo” caratteristico del periodo 480/450 a.C., la “Statua B” in stile “Classico”, successivo all’anno 450 a.C..
Nel periodo di realizzazione delle due statue, precisamente nell’Età di Pericle 460/429 a.C., né Tebe, né Argo, avevano soldi da spendere per realizzare costosissime statue in bronzo, in particolare quelle di due personaggi mitologici fratricidi di cui uno era il traditore di Tebe al quale, nel racconto mitologico, veniva anche negata la sepoltura da parte dello zio Creonte, Re di Tebe.
A metà del V sec. a.C. Atene custodiva i contributi versati dalle città componenti la Lega di Delo (478 a.C. / 404 a.C.), e poteva investire nella ristrutturazione del territorio devastato dai persiani durante le guerre svolte dal 490 al 480 a.C. e nella realizzazione del patrimonio artistico e storico, infatti, Pericle in quel periodo fece realizzare da Fidia numerose statue per onorare dei ed eroi delle guerre vinte contro i persiani. Intorno al 460 a.C. Fidia realizzò la statua di Atena Pròmachos (“che combatte in prima linea”), nel 450 a.C. la statua di Apollo Parnòpios (“sterminatore di cavallette”), nel 448 a.C. la statua di Atena Lémnia (detta “La Bella”, per l’isola di Lemno), nel 438 a.C. la statua crisoelefantina di Athena Parthénos (“la vergine”, alta circa 12 metri), nel 432 a.C. la statua di Zeus Olimpio (anche questa alta circa 12 metri). Altre statue in bronzo di statisti e di militari che avevano combattuto per difendere Atene -mi riferisco a Santippo, Milziade, Temistocle, Cilone, Pericle ed altri eroi- furono descritte da Pausania, Tucidide, Plutarco e da altri A8 antichi.
I tenoni di cui erano fornite le due statue, quattro tenoni la “Statua B” ed un tenone la “Statua A” provengono dalle miniere di Laurion, vicinissime ad Atene e distanti circa 200 km da Argo, città dove si vuole ad ogni costo collocare le due statue.
I due Reperti 12801 e 12802 sono stati denominati sin dal 1981 dagli Archeologi che li hanno analizzati il “Giovane” ed il “Vecchio” perché risulta palese la differenza d’età.
Lo studio anatomico effettuato sulle due statue mette in evidenza numerose alterazioni scheletriche, la perfetta somatometria dei muscoli ed il corretto posizionamento delle vene delle mani e dei piedi che esprimono “vitalità”. Nella “Statua A” è presente il progenismo mandibolare ed l’iperlordosi lombare; nella “Statua B” si nota il cranio dolicocefalo, la rettilineizzazione delle vertebre cervicali, la scoliosi dorso-lombare, il varismo del quinto dito dei piedi e l’appiattimento ed allargamento della volta plantare. Tali dismorfismi e particolari anatomici confermano che le due statue rappresentano soggetti realmente vissuti e non personaggi mitologici che sarebbero, invece, stati rappresentati senza alterazioni scheletriche.
Eteocle e Polinice erano fratelli gemelli, ecco perchè era nata la disputa su chi doveva comandare Tebe. Infatti, nel racconto mitologico di Eschilo, Creonte assunse il comando di Tebe fino a quando Eteocle e Polinice non avrebbero raggiunto la maggiore età. Maggiore età che fu raggiunta contemporaneamente dai due fratelli, al punto che si dovette sorteggiare il primo dei fratelli che avrebbe assunto il comando di Tebe.
Le due statue non presentano alcuna somiglianza, né fisica, né fisionomica, sono due soggetti completamente diversi, non esprimono alcuna comunicazione corporea, sono corpi scollegati dal punto di vista posturale, mimico e gestuale. La postura e la gestualità delle due statue sono identiche, sono quelle di un militare in posizione di riposo, dotato di armi dell’epoca, che non esprime alcuna azione, né di attacco, né di difesa. Sui vasi della stessa epoca, vedi per esempio il combattimento mitologico tra Ettore ed Achille o quello tra Achille e Pentesilea, è espressa la dinamicità dell’azione aggressiva, nei racconti di Omero nell’Iliade, libro XXIII riguardo i lottatori, è espressa dinamicità: “Nel mezzo della lizza entrambi accinti presentarsi, e stringendosi a vicenda colle man forti s’afferrar, siccome due travi, che valente architettore congegna insieme a sostenere d’eccelso edificio il colmigno, agli urti invitto degli aquiloni. Allo stirar de’ validi polsi intrecciati scricchiolar si sentono le spalle, il sudor gronda, e spessi appaiono pe’ larghi dossi e per le coste i lividi rosseggianti di sangue”. Nei Bronzi di Riace, che dovevano rappresentare due fratelli fratricidi in uno scontro all’ultimo sangue, il nulla, statici nella stessa postura. Uno con la smorfia e l’altro impassibile guarda, imperturbabile, avanti verso il basso”.
Lo stesso Partinico, pur non essendo un Archeologo né uno Storico dell’Arte, si è sbilanciato con due ipotesi di individuazione dei personaggi rappresentati, realmente vissuti: Pericle e Temistocle.
L’ipotesi dettagliata del prof. Partinico
“I Bronzi di Riace, custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, potrebbero rappresentare gli Ateniesi Temistocle e Pericle, politici di spicco e militari famosi per aver guidato gli eserciti alla vittoria nelle più importanti guerre nel V secolo a. C.. L’ipotesi è fondata sulla comparazione dei risultati delle analisi effettuate dal ministero per i Beni Culturali con gli studi anatomici, le deduzioni e le ricerche storiche che ho svolto sin dall’anno 2005, quando presso la Biblioteca di Reggio Calabria ho presentato le mie prime intuizioni” (cit.)
Luogo e data di realizzazione
L’Istituto Centrale per il Restauro ha effettuato analisi chimiche, tecniche ed archeologiche, rilevando dati incontrovertibili. L’argilla che componeva le strutture interne delle due statue proveniva da microambienti differenti situati in un unico bacino geologico in territorio greco, tra Atene, Corinto ed Argo. Non è possibile individuare la località esatta perché l’argilla greca è molto simile per composizione di minerali. La “Statua A” è stata realizzata nel 460 a.C. e la “Statua B” nel 430 a.C., periodo storico coincidente con l’ “Età di Pericle”.
Autori
L’accertata diversità del periodo di realizzazione, delle tecniche e dei materiali adoperati per strutturare la parte interna, della composizione dei metalli, degli stili artistici e della provenienza dell’argilla, consentono di dedurre che le due statue sono state realizzate da Autori differenti e non possono far parte della stessa scena artistica.
Deduzioni
Le perfette proporzioni dei muscoli scheletrici, le tipicità dei crani, e, soprattutto, le alterazioni scheletriche che si osservano nei corpi delle due statue e che all’epoca erano sconosciute, permettono di dedurre che esse rappresentano due persone realmente vissute di cui si è voluta raffigurare la fisionomia. Quindi, i Bronzi di Riace non possono rappresentare i personaggi mitologici -Etéocle e Polinìce, Anfiarào e Tidéo, Càstore e Pollùce, Erettéo ed Eumòlpo- individuati da altri studiosi.
Studio anatomico della Statua A
Il cranio della “Statua A” è di tipo mesocefalo. Nel sistema scheletrico, normolineo, sono evidenti due dismorfismi: il progenismo mandibolare e l’iperlordosi lombare. Il primo dismorfismo, caratterizzato dall’avanzamento della mandibola, mette in risalto i denti dell’arcata superiore. Il secondo dismorfismo, determinato dalla compensazione del progenismo mandibolare, si manifesta con la riduzione della curvatura delle vertebre lombari, il bacino arretrato, i glutei sollevati e gli addominali avanzati. Il cranio dell’uomo rappresentato è ruotato a destra di circa 40 gradi e, considerato che gli arti superiori esprimono i gesti inconfondibili di chi sostiene con l’avambraccio sinistro uno scudo e con la mano destra una lancia, per deduzione, quel capo dovrebbe accogliere un elmo a completamento della classica dotazione di armi utilizzate dai militari.
Studio anatomico della Statua B
Il cranio della “Statua B” è di tipo dolicocefalo. Nel sistema scheletrico sono evidenti tre dismorfismi: la rettilineizzazione delle vertebre cervicali, la scoliosi dorso/lombare ed il varismo del 5° dito dei piedi. Il primo dismorfismo è stato causato, probabilmente, dalla forma del cranio, allungata esageratamente in senso antero/posteriore, che ha indotto le vertebre cervicali a perdere la normale curva di lordosi, ad allinearsi lungo l’asse longitudinale per far ritrovare al cranio una posizione baricentrica e compensare lo squilibrio. La scoliosi dorso/lombare, prodotta dalla rotazione di alcune vertebre attorno al proprio asse, è stata causata, probabilmente, da posture asimmetriche mantenute costantemente dal personaggio rappresentato ed, anche, per la compensazione dovuta agli altri dimorfismi evidenti in quello scheletro. Il terzo dismorfismo, il varismo del 5° dito dei piedi, dovrebbe essere di natura ereditaria, così come la struttura scheletrica del 2° dito che risulta appena più lungo dell’alluce ed è tipico del cosiddetto “piede greco”. Il capo è leggermente flesso, la postura è militare e le armi in dotazione, sono le stesse di quelle descritte per la “Statua A”.
I muscoli
I muscoli scheletrici dei due personaggi rappresentati dalle statue presentano differenze ipertrofiche e somatometriche che caratterizzano l’età biologica dei due soggetti. Il personaggio rappresentato dalla “Statua A” risulta essere più giovane e vigoroso di quello rappresentato dalla “Statua B”.
Il tipo di ipertrofia muscolare visibile in entrambe le statue è caratteristico della capacità condizionale denominata in fisiologia forza/resistente che si sviluppa praticando discipline di combattimento, quali la Lotta, il Pugilato ed il Pancrazio, tipiche dell’addestramento base di tutti i Guerrieri Greci. Alcuni segni caratteristici della Lotta si notano nel personaggio rappresentato dalla “Statua B”. Le orecchie sono asimmetriche. Nella cartilagine dell’orecchio destro il Trago e la parte anteriore della Fossa Scafoide risultano consumati. Nell’orecchio sinistro il Trago risulta consumato e nel Lobo, nell’Anti-Trago, nell’Anti-Elice, nell’Elice e nella Fossa Scafoide sono presenti otoematomi. La fisionomia degli arti inferiori della “Statua B”, per l’evidente ipertrofia muscolare dei glutei, degli adduttori e dei tricipiti della sura, è compatibile con chi va a cavallo.
Pericle
La “Statua B” dei Bronzi di Riace rappresenta un guerriero greco con un particolare anatomico che caratterizza la sua testa, allungata esageratamente in senso antero/posteriore. Per cinquant’anni si è creduto erroneamente che quella parte allungata a dismisura fosse una porzione creata volutamente dall’Artista per far calzare l’elmo. Lo studio anatomico ha invece rilevato che quello è un vero e proprio cranio, di tipo dolicocefalo e che l’alterazione inizia con l’appiattimento dell’osso frontale a partire dal primo terzo, sopra le orbite, e si congiunge alle due ossa parietali, anch’esse appiattite ed allungate in senso antero/posteriore. Se, come avevano creduto gli studiosi la forma allungata della testa fosse stata una porzione aggiuntiva, l’osso frontale avrebbe avuto una forma regolare, così come quello della “Statua A”.
Dal punto di vista statuario, allungare una testa per far calzare un elmo è irragionevole considerato che la parte che sostiene e mantiene incastrato un elmo è il bordo che poggia sopra l’osso frontale, ai lati sopra le orecchie ed alla base dell’osso occipitale, Inoltre, sarebbe l’unico caso nella storia dell’Arte e dell’Archeologia. Dopo tali considerazioni si può affermare in termini scientifici che il personaggio rappresentato dalla “Statua B” presenta un cranio di tipo dolicocefalo, esageratamente allungato in senso antero/posteriore. Nelle fonti letterarie del V secolo a.C., l’unico personaggio di cui si fa riferimento per avere una forma particolare della testa, èPericle. Plutarco, nella sua opera “Vite Parallele”, riporta gli scritti di Erodoto e del Commediografo Cratìno che soprannominavano Pericle “Schinocefalo” per avere la testa allungata indietro come una cipolla marina. Èupoli scrive che nella testa di Pericle entravano 11 letti. Partendo da questa particolare ed unica forma del cranio rappresentata dalla “Statua B” e confrontandola con i dati chimici e scientifici rilevati con il “carbonio 14” e con i dati geografici e storici l’ipotesi prodotta dal Prof. Partinico assume molta consistenza per un insieme di indizi precisi e concordanti.
Pericle ha governato Atene dal 460 al 429 a.C. proprio nel periodo e nel territorio di realizzazione della statua; lo scultore Fidia, amico personale di Pericle,fu incaricato in quello stesso periodo, di coordinare la ristrutturazione del Partenone e degli edifici distrutti durante le guerre persiane e di realizzare statue in bronzo di divinità ed eroi ateniesi che avevano difeso ed onorato la città. Pericle fu rappresentato da Fidia mentre combatteva contro un’Amazzone, armato di scudo, lancia ed elmo, sullo scudo della statua di Athena Parthenos. Pausania, nella sua opera “Descrizione della Grecia”, elenca tra le statue viste nell’Acropoli di Atene una statua di Pericle esposta di fronte a quella di Santippo. Plutarco, nelle “Vite parallele”, scrive dell’esistenza di statue di Pericle che dovevano essere realizzate con l’elmo sul capo per nascondere la deformità della testa e di Tucidide, che, interpellato da Archidamo II, Re di Sparta, su chi fosse più bravo nella Lotta tra lui e Pericle, rispose: “Vinco io, ma Pericle, che non accetta mai di perdere, fa credere il contrario anche a quelli che hanno visto”.
Temistocle
La “Statua A” dei Bronzi di Riace è stata realizzata trent’anni anni prima della “Statua B”, nella stessa area geografica e rappresenta anch’essa un guerriero greco. Atene fu governata in successione da Temistocle, Cimone e Pericle. Temistocle, promotore del potenziamento militare navale di Atene fin dal 493 a.C., è stato l’eroe delle battaglie di Maratona, Capo Artemisio e Salamina, il condottiero che più di tutti ha contribuito alla vittoria della Grecia contro la Persia del Re Serse. Temistocle morì in esilio nel 459 a.C. e Pericle riabilitò la sua memoria, riconoscendolo come un eroe della causa ateniese. Le copie romane di originali del V secolo a.C. che rappresentano i volti di Pericle e Temistocle, custodite presso i Musei Vaticani, sono molto simili per fisionomia ai Bronzi di Riace”.
Azzardiamo le nostre conclusioni…
Le nostre umilissime considerazioni, partendo dalle fonti storiche:
inoltre, riferendosi all’arte di Mirone e di Pitagora, Plinio afferma a proposito della statua del Pancratiaste di quest’ultimo :
«lo superò Pitagora di Reggio in Italia col Pancratiaste dedicato a Delfi […]. Fece anche Astilo che si vede a Olimpia […]; a Siracusa fece poi uno Zoppo[1] tale che anche a chi lo guarda sembra di sentire il dolore della sua piaga […]; Pitagora fu il primo a riprodurre i tendini e le vene e il primo a trattare i capelli con maggiore diligenza degli altri, suddividendoli con precisione.»
(Plinio il Vecchio XXXIV 59)
Insomma, tra Mirone e Pitagora il livello doveva essere paragonabile se non equivalente, e il terzo posto di Mirone è probabilmente stato assegnato di misura. Vero è che Pitagora viene indicato come il primo scultore ad avere una cura minuziosa di particolari come capelli, tendini e vene; un’attenzione che è tipica dello stile severo e che non riguarda il minuto particolare fine a se stesso, ma la struttura dell’anatomia umana indagata come un tutto organico. Vero anche che i due Riace abbondano in questi particolari anatomici, ma essere il primo cronologicamente non significa essere l’unico, anzi…Inoltre, tornando a Pitagora, le caratteristiche del suo lavoro hanno permesso di attribuirgli dubitativamente moltissime opere e diversi capolavori dell’arte scultorea di passaggio tra lo stile severo e quello protoclassico. Come accaduto per Mirone, le numerose opere attribuite a Pitagora dagli antichi (Plinio e Pausania) sono soprattutto statue di atleti vincitori a Olimpia e a Delfi; ma anche eroi mitologici e effigi divine, tutte perdute e nessuna copia dei suoi lavori è stata identificata con certezza. Alcune citate dalle fonti sono in parte riconoscibili in bronzetti, altre in riproduzioni fatte su gemme, cammei, o sulle monete siciliane e italiote.
Ma le recenti tesi secondo le quali potrebbe essere l’autore di una o addirittura due Riace secondo noi non sono minimamente sostenibili (i riccioli freack del Bronzo A hanno probabilmente fuorviato i seriosi accademici); se il livello di Mirone è quello del Discobolo, e se Pitagora è gli pari o addirittura leggermente inferiore, siamo ben lontani dagli inarrivabili Riace A e B. Rimarrebbero in lizza, a questo punto, solo Fidia (per il “giovane” e Policleto (per il “vecchio”). Guarda caso, la postura di quest’ultimo è esattamente quella canonica del Doriforo.
L’Antico e i competitor moderni
Solamente Michelangelo con il suo David si avvicina all’ideale greco, ma per ragioni prospettiche “inciampa”, alterando le proporzioni perfette dei bronzi classici. Da lontano, il David è un vero “capoccione”.
Neanche Bernini, molti secoli dopo con il suo dinamico David, riesce ad arrivare al livello supremo dei due guerrieri. Fissa mirabilmente un momento, un’espressione (la sua, ahi ahi…) e una situazione: rimane troppo reale, senza raggiungere l’ideale.
In tempi più recenti, anche Rodin ci ha provato, troppo pathos, nulla da fare, il Monte Olimpo rimane troppo alto da scalare.
E allora? Winckelmann aveva ragione, da vendere, pur senza aver potuto godere dell’immenso privilegio, a noi concesso dalla Storia, di ammirare i Bronzi di Riace. E non aveva visto neanche il Pugile delle Terme, scoperto oltre un secolo dopo la sua morte, nel marzo del 1885 su un versante del Quirinale. Con il Pugile che si aggiunge ai due guerrieri, si completa il podio delle tre statue più belle di tutti i tempi e di tutti i luoghi, “by far”.
(Su questo postulato non si ammettono discussioni ;-))
La statua è stata ritrovata tra il secondo e il terzo muro di fondazione di un edificio antico, alla profondità di 6 metri sotto il livello della piattaforma. L’archeologo Rodolfo Lanciani, all’epoca segretario della Commissione Archeologica Comunale, ha lasciato una descrizione tanto vivida quanto precisa delle circostanze del ritrovamento: «Il più importante dato raccolto, mentre ero presente e seguivo la rimozione della terra nella quale il capolavoro giaceva seppellito, è che la statua non era stata gettata là, o seppellita in fretta, ma era stata nascosta e trattata con la massima cura. La figura, trovandosi in posizione seduta, era stata posta su un capitello di pietra dell’ordine dorico, come sopra uno sgabello e il fosso che era stato aperto tra le fondamenta più basse del tempio del Sole, per nascondere la statua era stato riempito con terra setacciata per salvare la superficie del bronzo da ogni possibile offesa. Sono stato presente, nella mia lunga carriera nell’attivo campo dell’archeologia, a molte scoperte; ho sperimentato una sorpresa dopo l’altra; ho talvolta e per lo più inaspettatamente, incontrato reali capolavori ma non ho mai provato un’impressione straordinaria simile a quella creata dalla vista di questo magnifico esemplare di un atleta semi-barbaro, uscente lentamente dal terreno come se si svegliasse da un lungo sonno dopo i suoi valorosi combattimenti»[3] (da Wikipedia)
Il restauro condotto tra il 1984 e il 1987 ha permesso di riconoscere nell’opera aspetti tecnici riconducibili ad ambito classico. L’opera fu realizzata con la tecnica della fusione a cera persa e con il metodo indiretto. La scultura è un insieme di otto segmenti. Le labbra, le ferite e le cicatrici del volto erano fuse separatamente in una lega più scura o in rame massiccio. Separatamente erano fuse anche le dita centrali dei piedi (un aspetto tecnico già riscontrato nei Bronzi di Riace) per permettere una più accurata modellazione degli spazi interdigitali. Lo stesso si dica per la calotta cranica che doveva permettere l’inserimento degli occhi policromi dall’interno. (da Wikipedia)