Sogno di un’ ombra, l’uomo.

Anna La Tati Cervetto_ Double_tecnica mista.

un racconto di Cristiana Caserta_

“Avevo sempre pensato” – dico al mio amico Vittorio davanti ad un Drambuieche a quest’età sarei stata una persona tranquilla, saggia, pacata…”

“Invece?”

Mi entusiasmo, mi incazzo, sbaglio, mi deprimo come quando…….”

Penso a una me stessa più giovane – a venti, a trenta, a quaranta – e finisco sempre col trovare una persona con la testa sulle spalle. Responsabile, alla fine dei conti. Quindi ‘sta cosa dell’entusiasmarsi, incazzarsi, sbagliare è recente…

È perplesso, lo vedo. Guarda dritto davanti a sé, oltre la ringhiera che separa il nostro tavolino dal mare della spiaggia di Mondello, dove, anche se è sera e se l’estate sta finendo, alcuni ragazzi fanno il bagno ridendo e rincorrendosi.

Che sbagli avrai mai fatto?” 

Mi chiede sorridendo, curioso. Glieli racconto. 

Ego te absolvo…”

Mi dice, facendo una faccia seria e contrita, da vecchio confessore. Rido. 

“A te? che ti affligge?”

Non sono certo di volere insegnare, di essere adatto…”

“Sei più che adatto!”

Sono certa di questo. Siamo stati colleghi per alcuni anni: i ragazzi lo adorano; adorano la sua emotività, il fatto che si commuova declamando certi versi, la sua severità, la sua capacità di leggere dentro di loro, capirne i turbamenti. 

“Ma…tutta la vita? Senza avere mai fatto altro?”

Pare sgomento. Una fila interminabile di anni sempre uguali gli passa davanti agli occhi e gli annebbia lo sguardo. Conosco l’ansia di sentirsi intrappolati, anzitempo. Il desiderio senza oggetto. 

Non dico niente. I pensieri notturni sono così: devono ingigantirsi, allargarsi e gonfiarsi come le nuvole di pioggia nera, diventare tragici fino a consolidarsi in qualche irrevocabile decisione di cambiamento; per poi dissolversi, di mattina, davanti al caffè, quando la realtà consueta appare così compatta e solida che sembra impossibile anche cambiarne anche solo un dettaglio.

“Che vorresti fare?”

Non lo so…” – sospira – “Vorrei passare un periodo di studio da qualche parte. In Francia o in Grecia”.

Si scola il suo cocktail e fa cenno alla cameriera di portarne un altro, per entrambi. 

“Se vai in Grecia, prendi una casa con un letto per me, ti vengo a trovare. C’è la Scuola Archeologica Italiana, ad Atene.”

Atene…”

Guardo i nostri cocktail. Le nostre uscite sono quasi sempre così: bere qualcosa e parlare.

“Ma poi dobbiamo trovare un bar, una taverna…”

“Potremmo studiare di mattina, vagare per l’acropoli di pomeriggio, ubriacarci di Retsina di sera…

L’idea mi piace. Troppo. Il mio sguardo si perde sull’orizzonte, appena rischiarato dalla luna, sulla linea del mare nero, oltre i merli e i fregi liberty del Charleston, che pare senza peso, poggiato sull’acqua a pochi metri da noi. 

E sarebbe facile se vogliamo, prendere un traghetto dal Pireo e passare qualche giorno sulle isole.

A declamare versi…”

Con i piedi nudi nell’acqua…

“Possiamo farlo anche qui, volendo…”

Dopo cinque minuti, abbiamo i piedi nell’acqua tiepida. Il nostro mare non deve essere troppo diverso dal mar Egeo. 

Un lampo lontanissimo illumina l’orizzonte. Parliamo un altro po’ – di amori, di libri, di progetti, del deludere sé stessi – passeggiando sul bagnasciuga e guardando la tempesta avvicinarsi. 

Prof!”

All’improvviso, uno dei ragazzi che fanno il bagno si stacca dagli altri, gocciolante, e ci viene incontro ridendo. È Fulvio, un nostro comune alunno di qualche anno fa. Gli facciamo festa: ci baciamo e ci abbracciamo. Cerca di spiegare ai suoi amici, abbastanza increduli, che noi – con lo sguardo trasognato e i piedi nudi – siamo stati suoi prof… prof veri! di quelli che interrogano e spiegano! Severi! Si ricorda di alcune lezioni. Le enumera:

Machiavelli, che la sera si cambiava vestito per leggere i classici; Petrarca, che cercava la scorciatoia per salire sul monte Ventoso; poi mi ricordo di Tasso … che voleva seguire le regole, ma non ci riusciva, voleva e non voleva… e finì in manicomio!”

Ridiamo della sua foga. Penso a quante cose ha un professore con cui affascinare i suoi alunni. Parliamo dell’estate, di viaggi, di progetti per l’autunno. Gli chiediamo che cosa fa, in che facoltà si è iscritto. Ingegneria gestionale, ci risponde. Gli piace? vogliamo sapere. Sì, gli piace, ma non ne è certo.  

“Prof, si ricorda della lezione sul tetrafarmaco di Epicuro? Quella sulla felicità? O dell’arte di amare di Ovidio?” – si ferma a riflettere, il suo viso si incupisce per la concentrazione. Cerca le parole, ma non le trova – “se tutti i prof fossero stati come voi…”

Ci salutiamo, con altri baci, abbracci e raccomandazioni. Fra poco piove, meglio asciugarsi e rimettersi le scarpe. 

Il mio amico Vittorio è rimasto silenzioso. Capisco il suo dilemma. Mi pento del cinismo con cui ho declassato a ‘notturni’ i suoi pensieri. Mi ricordo che fu del tutto ‘diurna’ la mia decisione di lasciare l’insegnamento. Non ho consigli da dargli, purtroppo. 

Ma, se c’è un senso dell’insegnare, – penso – forse è in incontri come questo, nel ricordarsi di quell’ora di lezione, nel sapere che ci sono – oltre alle cose utili, che servono – anche quelle meravigliosamente ‘inutili’, come i versi di Ovidio, o di Saffo. Mi ricordo di una cosa: “Qual è il verso che ti sei tatuato sul braccio?”

“Skias onar, sogno di un’ ombra”.

“mi ricordavo che c’era anche anthropos, uomo…”

nel verso di Pindaro, sì, sul mio braccio no”.


Skias onar anthropos, “sogno di un’ombra, l’uomo”

(Pindaro)


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; 

scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.




Angeli e Alchimia.

“Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa.

Persino da te stesso”

Copertina Alessandra Carriere
Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Angeli e Alchimia – Barbara De Maestri

Casa Editrice: Independently Published

Anno di pubblicazione: 2019


Ho avuto la fortuna di conoscere Barbara De Maestri tramite Instagram ed è stata sintonia a “prima vista”. Barbara è empatica e va oltre lo strato superficiale della quotidianità.

Da cosa sono regolamentati i nostri comportamenti e i nostri pensieri? 

Che cosa c’è dietro quello che noi crediamo essere la realtà?

“Angeli e alchimia” è un viaggio nel mondo dell’alchimia con alcuni spunti di esoterismo e fantasy.

Ancora oggi i misteri della pietra filosofale affascinano gli appassionati in materia ma chissà che non si tratti solo di qualcosa di intangibile e che quello che rappresenta non sia qualcosa di diverso.. con uno studio approfondito di noi stessi e delle leggi della natura tutti noi potremmo ottenerla?

Estelle, Marcus, Dylan, Samuel e Lucas sono compagni di classe e ognuno di essi sembra avere qualcosa di speciale. Il prof. Hopp ne sembra convinto.. quali misteri e quali progetti ha in serbo per i giovani ragazzi?

La coscienza collettiva e le sorti dell’umanità sembrerebbero a rischio a causa di un personaggio oscuro e ambiguo arrivato in città, Milano (dove inizia la storia è dov’è in parte ambientata).

In modo misterioso i cinque compagni di avventura vengono portati a Mont Saint-Michel, luogo cruciale alchemico dove gli eventi si svilupperanno a ritmo sempre più serrato e quando tutto sembra essere arrivato a conclusione, il lettore viene lasciato a bocca aperta!

La storia personale dei cinque protagonisti e i loro rapporti familiari impattano profondamente sulla qualità delle loro vite e forse per loro è arrivato il momento di fare i conti con se stessi. 

“Angeli e Alchimia” è anche lo spunto di riflessione sull’amore eterno e sul reale rapporto delle anime delle persone: namasté!

La scrittura di Barbara è ricca di amore.

La ringrazio per il regalo che ha fatto a noi lettori con questo libro, ricco di emozioni, suspense e spunti di riflessione importanti!

Copertina Alessandra Carriere

Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

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La nostra storia.

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di Luca Bottari_

Il vagone della Metro A, direzione Battistini, singhiozza e procede. Il passo insicuro nel suo incedere borbottante è costante, somiglia alla storia dei suoi passeggeri. Scriviamo le nostre storie ordinarie o magnifiche bucando le città con un vagone metro o attraversandole a piedi, con il muso sfatto per la pioggia di problemi che ci casca ogni giorno in testa e con gli occhi rivolti in preghiera verso lo stato Vaticano. Salvo strappi benevoli del destino ci ricorderanno al massimo i nostri nipoti. Dopo di loro l‘obliò, molti di noi non saranno mai esistiti e di conseguenze nemmeno estinti.

I ragazzi nei vagoni brontolano, sbuffano, si allungano in pachidermiche mosse di stretching nonostante la loro evidente smagliante forma fisica. Non provano a costruire la loro storia. Se non ritengono di essere in grado di incastrare quei mattoncini uno sopra l’altro si potrebbero spendere per vivere grazie al potere dell’immaginazione nella storia di qualche eroe da romanzo storico. Non intercetteranno mai in cloud il mio auspicio anche se sono costantemente connessi.

La comunicazione silenziosa ed efficace dei loro e dei nostri telefoni ha quasi soppresso il volo d‘immaginazione che ci regalava la pagina stampata. La nostra storia di vita a metà tragitto, a metà romanzo, era meno scontata perché si confondeva con il protagonista di vicende lontane che ci rendevano più leggeri ed allo stesso tempo più cupi. Il vero volo low cost era quello che intraprendevamo grazie ai nostri occhi che correvano pagina dopo pagina, ora umidi di malinconia e rabbia, ora impiastricciati di desiderio erotico. Il libro era il viatico per spaziare in terre lontane a costo zero, era il lenzuolo di Snoopy con cui consolarsi dopo le note severe di un professore severo, era un grumo di farina per impastare il pane della conoscenza.

Noi tutti peniamo, sudiamo, speriamo e ci inginocchiamo al cospetto della durezza della vita ma oggi le armi in pugno sono smussate in punta, perché un cellulare non sarà mai la spada nella roccia per nessuno di questi ragazzi. Non è facile incrociare lo sguardo di un giovane uomo attento solo a quel mondo in quella scatoletta paradossalmente perfetta.

Senza guardarci non ci riconosceremo più.


Luca Bottari.

Ho avuto la fortuna di viaggiare con mia madre hostess per non stupirmi ogni volta di come siamo tutti cittadini di un mondo diverso,disunito,ma con i stessi connotati. Conoscere lingue diverse e poter scegliere di studiare il cinema e le arti senza seguire un percorso di studi tradizionale (forse piu’utile ai fini pratici) mi ha portato verso la scrittura con naturalezza e coscienza.Vincere premi letterari non mi ha legittimato a scrivere ma mi ha fatto capire che non solo il solo a sognare.Ho collaborato con diverse riviste letterarie e di cinema per dire in piccolissima parte la mia. Ho lavorato nel hotel management e vissuto a New York per respirare un aria internazionale ma amo al contempo anche le dimensioni locali ridotte dei paesini italiani.




In attesa di sapere.

Edward Hopper, I nottambuli, 1942, olio su tela, cm 76.2X144. Chicago, The Art Institute of Chicago, Friends of American Art Collection

di Cristiana Caserta_

Un bar illuminato. Dentro: due uomini, una donna vestita di rosso, un barista. Fuori, una città vuota e buia.

[l’uomo col cappello]

La sera era umida. L’umidità sembrava trasudare dagli angoli bui delle strade, dove l’aria era quasi solida. Maleodorante. Si calò la falda del cappello sulla fronte e affrettò il passo per sfuggire a quegli angoli tetri, a quel buio malsano. 

Un bar inondava di luce gialla la strada. 

Entrò, di malavoglia. Suo malgrado, quasi. 

Non voglio tornare a casa.

Il pensiero gli attraversò rapido la mente, così veloce che non ebbe tempo si scacciarlo e restò sgomento, come colpito da una pallonata con un pugno di ragazzini insolenti e spavaldi intorno,ad aspettare una sua reazione. E quei ragazzini erano i suoi pensieri. Insolenti. 

Li scacciò via.

Andò a sedersi nel posto più lontano possibile dall’unico altro cliente del bar, così da non sentirne la solitudine. O da non fargli sentire la sua. 

Ordinò un caffè. 

Non gli importava se non avrebbe dormito, la notte. Amava casa sua, di notte. Quando gli altri dormivano.

[la donna vestita di rosso]

Alzò lo sguardo, e fuori dalla finestra era già buio.  Era sera ed era digiuna. Fece scivolare il libro per terra, gli occhi le facevano male, si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura del naso.  La lettura la prendeva. Ma, a volte, doveva smettere di leggere: c’era qualcosa – una frase, un pensiero, un parola – che si faceva strada nella sua testa, ma come sfocata, inafferrabile. La sentiva precipitare dentro di sé, girare a vuoto, vorticare, fino a trovare un altro pensiero, una parola – gemella – che l’avrebbe illuminata.

Doveva fare altro mentre questo accadeva. 

Uscì.

L’aria umida della sera la sorprese. Attraversò la strada deserta e si vide riflessa nella vetrata del bar. Oltre la sua immagine, dentro, c’erano due uomini. Andava spesso in quel bar. Quasi ogni giorno, in realtà. Sedeva sempre allo stesso posto, da cui poteva vedere le finestre del palazzo di fronte. 

Le piaceva guardare dentro le case, dalle finestre. Le piacevano le case.

Un uomo col cappello era seduto al suo posto e beveva un caffè. Gli si sedette accanto e ordinò un panino e un caffè. Voleva stare sveglia. Finire il libro. Fermare il maëlstrom della sua testa. Avrebbe dormito poi.

[l’uomo col cappello]

La vide arrivare , una macchia rossa, guardare la sua immagine riflessa nella vetrata, sistemarsi i capelli. Entra – pensò. E contemporaneamente: non entrare. Cercò riparo dall’assurdità dei suoi pensieri nella parete di fronte. Nelle bottiglie di liquore ordinatamente allineate. Non la guardò entrare, ma intuì di averla accanto perché emanava un profumo leggero: limone, forse. Il barista gli sorrise e gli chiese se volesse altro; fece cenno di no con la testa. Poi sorrise anche a lei e scambiarono qualche parola; poi lei sembrò immergersi in qualche pensiero, come se cercasse di mettere a fuoco qualcosa.Note di un jazz invasero la stanza. Si innervosì. Rimpianse la calma e il silenzio di prima, prima che lei entrasse. Lei sarebbe uscita, il barista avrebbe sicuramente spento la radio e smesso di sorridere, sarebbe tornato il silenzio, ma sarebbe stato diverso. Un silenzio diverso. E lei sarebbe sparita nella notte, chissà dove. Ignara. 

Quel pensiero lo incupì. 

Meglio andarsene. Prima che tutto ciò accadesse. 

[l’uomo di spalle]

… ci sono scrittori che sanno scrivere solo di una cosa, ossessionati; e pittori che sanno dipingere solo una cosa: cattedrali, ninfee, mani. Leonardo era un pittore di mani. L’ultima cena. Le mani di Gesù. Come quelle di un direttore d’orchestra. Che cosa sono i gesti di un direttore d’orchestra?

Se lo era sempre chiesto… 

Le mani di quei due seduti di fronte. Le guardava da un bel po’. Si sfioravano. Lei aveva divorato il suo panino e ora si guardava intorno come stupita di essere in un bar. Come se vedesse per la prima volta il barista e l’uomo col cappello accanto a lei. L’uomo era nervoso, invece. Si spostò impercettibilmente verso di lei, incerto se iniziare una conversazione o alzarsi. Lei lo guardò e gli chiese qualcosa, indicando un punto oltre i vetri, dall’altra parte della strada. 

[il barista]

Certi uomini sono misteri che è meglio non voler indagare. Abissi

Come quell’uomo che beveva il caffè. Gli chiese se volesse qualcos’altro. Ne aveva visti tanti da dietro il bancone di quel bar… Ma lei gli avrebbe parlato, si capiva. C’era quell’audacia, quella spavalderia…Sorrise. 

Accese la radio. La musica scacciò via la sua tristezza. 

Secondo lei chi ci abita in quella casa? “-  indicò una finestra spalancata, sul palazzo di fronte, dall’altro lato della strada. 

foto di Valeria Simonetti_“Notte”_riproduzione vietata senza autorizzazione scritta.

Lui seguì con lo sguardo il gesto di lei, oltre il suo braccio, oltre la mano nel buio verde.

” Uno scrittore? 

Già! Domanda idiota. Si vedono i libri.Lei legge?

Sì.”

“Lei scrive?

Un po’.Cosa legge?“”

Saggi, biografie, di scienziati specialmente 

“Lei cosa scrive?”

Niente di così intelligente…

L’intelligenza è sopravvalutata

Perché? Io ho una sconfinata ammirazione per le persone intelligenti”

Lei fece una smorfia e si fermò un secondo a pensare. Poi si adombrò.

Non sono quasi mai felici

Lei è felice?

Sì.

Nessuno risponde “sì” a questa domanda. Non sta bene.

E perché la fa, allora?

Per trovare l’eccezione, forse.

L’ha trovata.


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale




Il valore affettivo – Nicoletta Verna

“Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa.

Persino da te stesso”

Illustrazione Federico Fossi_ vietata la riproduzione senza consenso scritto

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Il valore affettivo – Nicoletta Verna

Casa editrice: Einaudi – Stile libero BIG

Anno di pubblicazione: 2021

Genere: narrativa


“Il valore affettivo” è il romanzo di esordio di questa strepitosa scrittrice, che ha ottenuto la Menzione Speciale della Giuria alla XXXIII edizione del Premio Italo Calvino.

La perdita di un familiare può causare ferite profonde e vuoti incolmabili..

Gli eventi che coinvolgono la vita di Bianca entrano dentro, lasciano attoniti e rimandano un forte senso di impotenza.

Bianca, con la sua famiglia, vive una vita serena, tranquilla nelle vicissitudini quotidiane, fino alla morte improvvisa della sorella, Stella. Bianca ha sette anni quando avviene la disgrazia.

Stella aveva un ruolo centrale nella famiglia e soltanto la sua perdita improvvisa lo rende reale.

Qual è stata la causa dell’incidente? Nessuno lo sa. Bianca porta dentro un grande macigno, fino a quando..

Della perdita della figlia la madre è quella che, all’apparenza, ne risente di più e la protagonista dovrà fare i conti con la nuova realtà che si viene a creare.

Come vivrà e come gestirà i rapporti con la madre?

Nonostante il difficile equilibrio ricreato dopo la morte della sorella, Bianca riesce a farsi una vita. Conosce Carlo, famosissimo e stimato cardiochirurgo, e ne diventa la compagna fortemente amata e voluta. 

Tutto sembra molto sereno, all’apparenza, fino al momento in cui la coppia dovrà affrontare determinate scelte e situazioni.. 

L’amore che Bianca prova per Carlo non è del tutto “disinteressato”. Che cos’è che la attrae di più, in realtà? Che ruolo vede nel compagno?

Di fronte ad eventi terribilmente dolorosi ognuno di noi tira su le proprie barricate.. quella di Bianca è particolare e rischia di travolgerla. Riuscirà la protagonista a gestirla? 

Bianca riesce a restituire all’esterno un’immagine di sé molto diversa da quello che realmente prova e vive.

I pensieri di Bianca legano e travolgono il lettore. Le sue angosce diventano reali e forniscono numerosi spunti di riflessione.

La scrittura di Nicoletta Verna incanta e lascia con il fiato sospeso, in attesa di scoprire l’evoluzione degli eventi, del tutto inattesi. 

Romanzo strepitoso: da leggere!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




Che sfiorarsi sia una fine e un inizio.


di Cristiana Caserta_

Oggi ho dimenticato di mettere nella borsa del mare auricolari, libri… (ho portato solo una Settimana Enigmistica, ma sono andata dritta al Bartezzaghi, l’ho finito e l’ho posato) .

Non ho niente da fare…. 

Fra un bagno e l’altro osservo le persone sotto gli ombrelloni vicini.

Le coppie mi attirano.

La mia preferita è quella accanto a me. Non giovanissimi, lui fisico da Steve Jobs, occhiale rotondo occhi azzurri sguardo serio, lei alta bionda super fumatrice. Non parlano tanto, forse si sono già detti tutte le cose importanti. Forse lui ha già rinunciato a farla fumare di meno e lei ha trovato altri pensieri da coltivare mentre lui è assorto. È un tipo assorto, lui. Si capisce. 

Se parlano, parlano a bassa voce. Lui legge, mi pare di aver visto ” Il gabbiano Johnatan Livingstone“. Non ne deve essere entusiasta…

Lei prende il sole, quieta. Con atermica, atarassica, stoica tranquillità.

Non hanno un pensiero, apparentemente. Non guardano telefono nè orologio, non sprecano un gesto, non si danno pena del clima inclemente.

Un po’ li invidio. In un’altra vita vorrei essere così. Essere parte di una coppia così (sarei lui, probabilmente)

C’è una coppia molto più giovane. Di sicuro non sono palermitani. Sono bianchissimi. Abbastanza tatuati. Hanno il telefono perennemente fra le mani, tutto – teli da mare, zaini, libri – dall’aspetto molto tecnico. Sguardi acuti, curiosi, un po’ critici. Sono certa che mentre fanno il bagno pensano ad altre cento cose, compresa la loro evidente difficoltà a rilassarsi. 

Un po’ distante c’è una coppia diversissima. Asincrona: lei legge, lui nuota; lei nuota, lui chiacchiera con amici; lei chiacchiera con i piedi in acqua, lui nuota. Quando si incrociano, parlano. Cose concrete: organizzazione di cena, mi pare. Squieti. Ma coordinati: hanno obiettivi, cose da fare, metodi da applicare, ordine da mantenere, tempi – intuisco – da rispettare. A turno, aggiustano il telo da mare, appaiano le infradito sotto il lettino, ripongono con cura ogni oggetto che prendono o usano. 

Si somigliano, anche. Scuri, asciutti, attivi. Non riesco a immaginarli dirsi cose intime, no. L’attivismo è nemico giurato dell’interiorità. Le capacità di attenzione sono limitate, secondo me: o le scarpe o i pensieri. 

Non potrei neanche in una seconda o terza vita essere parte di una coppia così. 

Mi accorgo di essermi sdraiata sugli occhiali… e che tutto intorno a me è disordinato. Anche il mio Bartezzaghi è disordinato, pieno di cancellature e riscritture. 

Un uccello plana sulla piscina, beve e torna su. Un po’ a fatica, ha le ali bagnate. Lo seguo con lo sguardo. Vorrei fotografarlo..

Anche le coppie vorrei fotografare. 

Mi ricordano un po’ le coppie di Hopper, il pittore dei nottambuli. Coppie molto fuori dal canone romantico, lontano da quello a cui pensiamo solitamente quando immaginiamo una coppia: passione, complicità, abbracci, sorrisi, sguardi.  

In Hopper non si guardano; ognuno assorto nella sua occupazione. 

Eppure a me, come tutta la pittura di Hopper, non comunicano solitudine…

Quella dei nottambuli la amo particolarmente. Cerco di ricostruirle il quadro mentalmente…

Non si guardano, questo me lo ricordo, eppure le loro dita si sfiorano. La faccia di lui … non si vede, nascosta dalla falda del cappello; anzi no, controllo: è impassibile, guarda severo e spigoloso dritto davanti a sè; ma il suo corpo è leggermente obliquo rispetto al bancone del bar, il braccio che lo separerebbe da lei è rimosso; il suo corpo – una massa di ombra densa e scura – è come aperto alla luce che lei emana, dal rosso della sua maglia, dal castano dei suoi  capelli. 

(No, non è la luce gialla che viene dall’alto, è una luce sua, di lei; sì, sono sicura che lei è vestita di rosso, non voglio controllare)

Potrebbe anche essere – ho sempre pensato guardandoli – che le loro solitudini stiano per incontrarsi… che le loro mani – i colori dei loro corpi – ne sappiano di più dei loro occhi, così distanti. 

Che sfiorarsi sia una fine e un inizio. Che ancora fra loro tutte le parole siano da dire e la città, così verde e tetra intorno, così geometrica e vuota, sia in attesa di sapere. 


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale




Vi regalo un format.

Immagine grafica_ Mario Barbieri.

di Mario Barbieri_

Le Olimpiadi di Tokyo si sono concluse, sappiamo tutti com’è andata, siamo tutti giustamente euforici e grati, per le vittorie degli Atleti che rappresentavano la nostra Italia.

Sono già stati spesi e versati “fiumi di inchiostro”per lo più “digitale”, sul valore e i valori, sui significati, sulle metafore, soprattutto in questo Tempo. Non assenti critiche o lamentazioni, ma tutto sommato passate in secondo piano.
Anche tanto è stato scritto, sulle storie e magari gli aneddoti, di questo o quell’ atleta, inevitabilmente, ma non giustamente, rispettando personaggi “più popolari” o mediaticamente appetibili e discipline popolari più di altre, ma credo non abbastanza e temo come si usa dire, si “spegneranno i riflettori” con la stessa velocità con cui si è spenta la mitica fiamma su quel braciere.

Quindi care TV, private o meno, che ci inondate di storie e storielle, non tutte poi così importanti e di spessore, tali da giustificare ore di trasmissione o che qualcuno che abbia un minimo d’altro da fare, debba rimandare per stare davanti ad un qualsivoglia schermo.
Che ci sciorinate tra cuoricini e lacrime, carrambate (mitica Raffaella) e comparsate, apparizioni di ectoplasmi – tali credo siano – che si sono agitati nell’ultima casa di un qualche fratello o misteriosa isola ipoteticamente sperduta in lontano atollo. Che ci svelate verità nascoste del VIP del momento, che sinceramente potevano rimanere ancora nascoste sino alla fine dei giorni, perché non mettete su una belle trasmissione, un “format” di guarda caso 40 puntate, che ci racconti del prima e se vogliamo anche un po’ del dopo, della storia, le fatiche, i sacrifici, le rinunce, le attese, le delusioni, ma evidentemente anche i sogni, le soddisfazioni e le prospettive, di questi Atleti, di queste donne e uomini, che hanno scelto un percorso certamente non semplice, in discipline – e sottolineo #discipline – tutte esigenti, totalizzanti, ma certamente esaltanti che regalano a noi “atleti solo per partecipazione” tante emozioni e a Loro anche medaglie e riconoscimenti (ma “uno su mille ce la fa”), gloria magari fugace, ricchezze penso poche, ma una dimensione, una ragione, una crescita, un’umanità che, senza farne degli eroi (certamente Christian Lezzi sarebbe d’accordo), possono diventare un riferimento, uno stimolo, un (buon) esempio per “adulti e bambini”, certamente per tanti giovani la cui unica aspirazione è talvolta solo aumentare il numero dei “followers”, non importa come purché sia.
Dove porta invece una #passione, laddove “al cuor non si comanda”, ma quel cuore, quella passione, comanda ed educa mente e corpo sino a diventare uno splendido tutt’uno.

Magari potremo anche raccontare di chi “nell’ombra”, ma quella buona, umile che non chiede la ribalta, questi Atleti, ha aiutato, educato, sostenuto, tecnicamente formato. Penso alle Famiglie e agli Allenatori e perché no anche ai cosiddetti “sponsor” che negli sport cosiddetti “minori”, non lo sono a fine di lucro.

Insomma, raccontiamo le loro storie, non lasciamo che si rispolverino solo alla prossima Olimpiade se per età e risultati potranno di nuovo esserci.
Sarebbe davvero un grande spreco!


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




Alice in W-land

Spiaggia Tirrenica. Ultimo giorno di vacanza al mare. Pomeriggio inoltrato, ma fa ancora molto caldo. Assorta, annoiata, rannicchiata sulla panchina davanti alla piccola piscina d’acqua salata dello stabilimento, la schiena poggiata al muretto arroventato, mento e mani intrecciate che poggiano sulle ginocchia, Alice fissa i guizzi di luce dipinti dal sole sulla superficie e pensa ad altro.. “Uffa, domani devo tornare in città,  non c’è più nessun amico con cui giocare, neanche il maestro che quest’estate proprio qui mi ha insegnato a nuotare – vabbè, certo, ancora con i braccioli, ma prima o poi li toglierai, mi dice sempre….

Già, Marco, il giovane, abbronzato e sempre sorridente animatore del villaggio vacanze, con le sue magliette colorate dalle scritte che non si capiscono, i suoi telefonini a ciondolo perennemente accesi e i suoi occhiali da sole che non si era mai tolto… era appena partito, anche lui – e quel che è peggio – portandosi via tutto il campionario di oggetti colorati che lo aiutano nel lavoro e tanto divertivano adulti e bambini: gonfiabili,  tubi, tavolette di ogni forma e dimensione, isole galleggianti con le palme, materassini e canotti…di tutto, di più…

Quando li usava tutti insieme, l’acqua quasi non si vedeva più ” Per un istante, ma solo per un istante, per la durata del passaggio di questi suoi pensieri, Alice sorride, alza leggermente la testa e mette a fuoco l’orizzonte: “Oggi il mare è proprio piatto! Non vedo un’onda. Piatto come la piscina, in acqua non c’è nessuno…e che silenzio!

Silenzio?…Marco si era portato via anche la radiolona che usava per la ginnastica in acqua. “Però sento il cri-cri delle cicale in pineta”. Poi  riabbassa la testa, spegne un po’ il sorriso e si fa riassorbire dal gioco dei riflessi sull’acqua – anche da quelli sul mare, stavolta – e dalla  sua piccola e tenera malinconia.

Signorina, posso aiutarla? Andiamo, cosa c’è che non va? Mi creda, sono tanti anni che sto qui e non ho mai visto un’acqua così bella e calma come in questo momento….

In effetti Alice non è proprio sola mentre aspetta la sua mamma per fare insieme l’ultimo bagno di stagione . Ma quel signore maturo, che non si allontana mai dalla piscina e che, scherzando, durante tutta le vacanze l’ha sempre trattata “da grande” dandole del lei, nel conteggio non era stato considerato: perché, per lei, lui fa ormai parte del paesaggio: tutti i santi giorni sotto l’ombrellone rosso, con la barba bianca e maglietta rossa, e quella scritta assistente bagnanti….

 Finalmente capisco quella scritta, in fondo l’anno prossimo andrò in seconda elementare” considera tra sé e sé e subito dopo, questa volta ad alta voce: “Ciao, è vero, mi sto annoiando un po’, vorrei nuotare ma non ho i braccioli e tutti gli altri giochi sono spariti….quindi non saprei proprio come fare

“In piscina, per giocare, nulla meglio dell’acqua, signorina! Non ha bisogno di altro, mi creda! …L’importante è che non sia fredda, e deve essere ben trasparente. Io sono qui anche per questo; ma soprattutto sono qui per permettere a tutti di giocare in acqua, e con l’acqua, in sicurezza e libertà. Perché, quando si ha a che fare con qualcosa che ancora non si conosce troppo bene, bisogna essere sempre assistiti – non sorvegliati né diretti, assistiti, per questo mi chiamano assistente – da una persona esperta e soprattutto fidata come me. Anch’io sono stato bambino, e questo mio lavoro mi aiuta a non dimenticarlo, mai, signorina Alice: e allora, mi ascolti: i giochi più emozionanti sono quelli dove si sperimentano nuove situazioni, dove succede qualcosa di inaspettato…come scoprire un nuovo sentiero tra gli alberi, o mescolare in tanti modi dei colori a tempera per vedere cosa ne esce; oppure, provare per la prima volta a cuocere una crostata. Sono solo tre esempi ma ce ne sarebbero infiniti. In tutti e tre i casi c’è bisogno di questi assistenti per non combinare pasticci: senza di loro ci si potrebbe perdere nel bosco, si potrebbe imbrattare la casa o far bruciare la torta. Ma attenzione: devono assistere agli esperimenti, intervenire in caso di bisogno, non dirigere le operazioni! Altrimenti, sarebbe forse più facile ma molto meno emozionante…cosa rimarrebbe della sua soddisfazione, signorina Alice, se, per preparare una torta la sua mamma le dicesse esattamente quali ingredienti utilizzare, in quale quantità ed ordine, per quanto tempo cuocerla e a quale temperatura? Certamente uscirebbe dal forno un ottimo prodotto, ma assolutamente uguale a quelli che ha già assaggiato. E dove andrebbe a finire il divertimento, la sorpresa? Invece accade proprio così quando c’è troppa fretta…quando si stabilisce che un gusto conosciuto è più importante di quello della scoperta, la velocità è più importante del gioco e della soddisfazione. E della fantasia.”

Quindi, posso inventare dei giochi in acqua proprio come faccio a casa o in giardino? Ma come è possibile se non ci sono i giocattoli?  Oggi la piscina è vuota, c’è solo l’acqua…”

“L’acqua è la migliore compagna di giochi che si possa desiderare…accoglie i nostri corpi senza sforzo. Si adatta a noi subito e alla perfezione. Mai stata scomoda in acqua? Non credo. E poi, quando la si conosce bene, ci permette di galleggiare come le boe o di affondare come dei sassi, di ondulare tra la superficie e la profondità come i delfini, o di scivolare in tutte le direzioni come le foche. E fare le capriole avanti ed indietro, rannicchiarsi, stiracchiarsi, avvitarsi…le possibilità sono infinite, ma bisogna scoprirle da soli, altrimenti addio divertimento”

E come posso conoscerla meglio questa mia magica nuova amica, signor assistente?”

“Proprio come con le altre amiche: frequentandola spesso, giocando e sperimentando in libertà, ma mi raccomando…sempre con l’assistenza di persone esperte. E non si stupisca, signorina Alice, ma l’emozione sarà doppia: conoscerà l’acqua grazie al gioco, e grazie all’acqua conoscerà un po’ di più sé stessa”.

Boe, sassi, delfini e foche…Alice cerca di visualizzare sé stessa in magica trasformazione. Non aveva mai provato a galleggiare senza braccioli, ad affondare… non ci aveva mai nemmeno pensato, figuriamoci! E si guarda le mani – ma non vede le pinne; e si guarda i piedi – ma non vede la coda. “E come potrò fare?” Intanto, stacca la schiena dal muretto, si alza dalla panchina va a sedersi sul bordo della piccola vasca. Immerge un piede, poi l’altro. E poi le gambe, fino alle ginocchia. E bagna anche le mani, per essere sicura che l’acqua non sia fredda. Non lo è. Cerca – e ritrova subito – i riflessi del sole che aveva abbandonato un minuto prima, ma stavolta l’attenzione si sposta sull’aspetto dell’acqua: uno specchio, un po’ riflettente “…quante lentiggini mi sono venute quest’estate” – un po’ trasparente “…non mi ero mai accorta di quei bei disegni sul fondo”. Stelle, cavallucci marini, pesci e polipetti, composti da piccole tessere di mosaico colorate, aspettano il tuffo di Alice. Sarà anche per questo ma oggi l’acqua non sembra poi più così alta.

 “Oggi fai il bagno da sola?” Alice, nuovamente assorta ma certo non più annoiata, non si accorge dell’arrivo di sua madre e quasi sussulta nell’udirne la voce.

Sai mamma, il signor assistente mi ha raccontato delle cose bellissime ma un po’ strane.

Vediamo se riesco ad indovinare: ti ha detto che la piscina è un luogo pieno di sorprese e che in acqua puoi imitare le balene, le meduse e le stelle marine

Anche le balene? Veramente aveva detto foche e delfini, ma hai quasi indovinato. come fai a saperlo? Sei magica anche tu, come l’acqua?

Alice, ti devo confidare un segreto: da quando avevo la tua età, il signor assistente, come lo chiami tu, mi ha lasciato esplorare questa piscina tutte le volte che volevo. Quei polipetti blu c’erano già, lo sai? E in tutti questi anni mi ha anche raccontato delle bellissime storie di mare…piene di tutti questi animali… ma me le ha raccontate tutte a metà, ….solo l’inizio, però….chissà perché….

Ho capito! Adesso so perché ha fatto così, per lasciarti il divertimento di scoprire, o di inventare, la fine di ogni storia da sola! ” E la mamma, il signor assistente, gli occhi e le lentiggini partecipano tutti insieme al sorriso di Alice, finalmente liberato dai suoi malinconici pensieri.

Splash! La mamma è in acqua, con le braccia tese verso di lei. Alla sua portata. Le sorride, la chiama. “Alice!” …e i braccioli? …e le tavolette? …e i galleggianti?  “Forza, Alice, ci sono io, tuffati!” Alice fa i suoi bravi conticini…”Se mi slancio abbastanza, però, arrivo direttamente tra le sue braccia….” Si guarda intorno, c’è anche il signor assistente che la osserva, sorridendo  anche lui. E che sembra proprio aspettare il suo tuffo. La mamma sembra ancora più vicina…

Splash! Non lo era!..o si è spostata? “Comunque adesso, mamma, ti sto abbracciando lo stesso, anche se sono completamente bagnata…” Alice si sente sorpresa, ma sicura. La mamma ride di cuore, e lei si sente ancor più sicura. “Brava Alice, questo è stato il tuo primo, vero, tuffo della tua vita! Complimenti! Hai visto? L’acqua ti ha portato subito da me

E’ vero, qualcosa mi ha tirato su, la mamma mi ha abbracciato dopo…l’acqua è veramente magica…e poi è stato divertente! “Dai, riprova!” La mamma la riporta sul bordo. “Splash! Splash! Splash! Un tuffo, poi un altro, e un altro ancora…con la mamma che, ogni volta si allontana di un passo dal bordo. “Tanto ci arrivo lo stesso…”. Alice, sempre più sicura, sente ogni volta un po’di più che non ha bisogno di null’altro oltre che di sé stessa per tornare a galla. E’ l’acqua stessa a sostenerla, non i braccioli. Una bella sorpresa!. Dopo ogni tuffo, più va a fondo, più forte sente la spinta verso l’alto. Anzi, quando dopo una “bomba” –  come quelle che piacciono tanto ai ragazzi grandi quando si raccolgono in volo per fare gli schizzi dappertutto –  riesce a rimanere ferma in quella posizione,  rannicchiata proprio come quando siede sulla panchina abbracciandosi le ginocchia, sente che non c’è proprio bisogno di far nulla per riemergere. Basta saper aspettare…per sentirsi come un palloncino che “vola” verso l’alto dal fondo della piccola vasca. Un palloncino che si può gonfiare e sgonfiare a piacere – dipende da cosa si vuol fare. Per salutare il polipetto dipinto sul fondo, sgonfio. Per rimbalzare sull’acqua, gonfio. Che meravigliose scoperte!…

Basta aspettare, e capire cosa succede. Perché, in acqua, qualcosa succede sempre ogni volta che si cambia, anche solo un pochino, la forma del proprio corpo o si aumenta o si diminuisce la quantità d’aria nei polmoni. In acqua non si può nasconder nulla, è veramente trasparente”. Ad Alice, improvvisamente, tornano in mente quelle parole che il signor assistente disse a Marco, l’istruttore con gli occhiali da sole, i ciondoli ed i galleggianti, il primo giorno del corso di nuoto. Ma che da Marco non sentì mai ripetere, né a lei né agli altri bambini, forse perché il volume della radiolona era sempre un po’ troppo alto…

 “E’ proprio vero, il signor assistente aveva ragione:  l’acqua è la migliore compagna di giochi che si possa desiderare”.  Presa dall’entusiasmo di queste “sue”, sperimentate, considerazioni, Alice continua a giocare senza freni : mentre scivola a pelo d’acqua, incrocia le gambe e “sente” la coda, allunga le braccia in avanti e “sente” le pinne. E piega la testa in avanti per andare giù come un delfino, e la ruota a destra e sinistra per avvitarsi come una foca. Apre le braccia per galleggiare come una stella, e poi si allunga per scivolare come un’anguilla.  

La signorina è diventata una vera nuotatrice, complimenti! Ma adesso, la prego, esca dall’acqua, perche sua madre l’aspetta in cabina già da un bel po’ di tempo…..e poi, ormai, dobbiamo chiudere lo stablimento

Alice esce dall’acqua e si guarda intorno: il sole, un disco rosso fuoco, sta per tuffarsi – anche lui! -in mare; le ombre si sono allungate a dismisura; gli ombrelloni sono stati portati via da un trattore sbuffante – e la mamma, lì in fondo, già vestita, la sta chiamando a gesti dall’ultima cabina rimasta aperta. A vigilare su di lei è rimasto solo il signor assistente con il suo largo sorriso.

Come?  Mamma è uscita dall’acqua e io non me ne sono accorta? Ma quanto tempo è passato?

“Signorina, sono quasi due ore che la ammiro, sembra una sirenetta, ma è ora di uscire”. Il signor assistente, mentre le parla, sorride come mai l’aveva visto sorridere durante tutta l’estate. E sarà per la barba bianca, perché la paragona ad una sirenetta,  per l’euforia delle libertà acquatiche appena conquistate, o per  la magica atmosfera del tramonto…. sarà per tutto questo, ma per Alice, in quel momento, il signor assistente assomiglia tanto Nettuno, sì, proprio quello del film, il Re dei mari.

*****

In città. Primo giorno di scuola, in seconda elementare. Attiva, allegra, seduta al primo banco in attesa dell’inizio della lezione d’inglese, le mani che sostengono le guance rosee, Alice osserva con attenzione  i movimenti della Maestra, che, davanti alla lavagna con il gessetto in mano, parlando alla classe sembra rivolgersi direttamente a lei: “Allora, bentornati! Spero abbiate passato delle belle vacanze! Ma spero anche che non abbiate dimenticato le nostre letture in classe. Vi ricordate le ultime parole in inglese che abbiamo cominciato ad imparare l’anno scorso? Quelle tratte dal libro Alice nel paese delle meraviglie? Alice, tu che ti chiami come la piccola protagonista, dovresti ricordare bene il titolo del libro in inglese. Ti aiuto… Alice in… la parola comincia con la w…

Alice risponde immediatamente: “Si, mi ricordo…. Alice in waterland

E la maestra, sorridendo: “Alice, wonderland! water significa acqua, non meraviglia

Ma non è la stessa cosa, maestra?

*****

Giancarlo De Leo

www.aquawareness.eu




Il senso del dovere: una forma di rispetto?

Anna Cervetto [ annalatati_sketch]_Piovra_Orange Series

di Christian Lezzi_

Tutti noi abbiamo guardato (forse anche più volte) le varie trasposizioni televisive delle umane vicende di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninni Cassarà, Boris Giuliano e tutte le altre vittime di quella immonda vigliaccheria che, genericamente, chiamiamo mafia. Film (o telefilm) che, a volte bene, altre molto male, puntano l’occhio indagatore sulle vicende del diretto interessato, sul suo lavoro, tra luci e ombre, sulle vittorie professionali e le umane sconfitte, su ciò che lo ha portato alla morte e, a volte, come nel caso di Falcone, anche al pubblico linciaggio (guitto mediatico, Falcon Crest, il giudice abbronzato, l’amico dei socialisti… ce le ricordiamo queste infamie, lanciate al suo cospetto da buona parte dei “giornalisti” italiani?).

Si parla solo di rimbalzo, spesso come se fosse una componente secondaria, il poco importante contorno al piatto di portata, della loro famiglia, delle persone ugualmente importanti che, del personaggio principale, hanno condiviso ansie e dolori, gioie e paura, percorsi di vita e, a volte, di morte.

Per quanto sia stato da poco l’anniversario della morte di Falcone (23 maggio) e appena passato quello di  Borsellino (19 luglio), e per quanto non sia mai abbastanza lontano nella memoria l’estremo loro sacrificio (29 anni) non è dei protagonisti del Pool antimafia e del maxiprocesso di Palermo, che voglio parlare. Non di mafie ma di rispetto e, per una volta, voglio dare luce e voce a chi, silenziosamente, ha rischiato e sofferto, pur di restare al fianco dei protagonisti di queste brutte storie di sopruso e inumana violenza. Mogli, figli, in primis, travolti dal pericolo che, dal loro congiunto, come un cancro, si è esteso fino a loro. Famiglie intere stravolte dal cambiamento delle abitudini, dovuto alle minacce e alla non-vita sotto scorta, tra canne di pistola e luci blu. Qualunque cosa, ogni sacrificio, pur di restare accanto alla persona amata che, non per eroismo (e di questo abbiamo già parlato qui  ) bensì per un altissimo senso del dovere e dello Stato, hanno deciso di giocare il proprio ruolo fino alle estreme conseguenze, fino a quel sacrificio, di cui avrebbero fatto volentieri a meno, che era parte del gioco.

“Io accetto, ho sempre accettato, più che il rischio le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o financo, vorrei dire, dalla certezza, che tutto questo può costarci caro.”

(Paolo Borsellino, a proposito di senso del dovere).

Ed è proprio di senso del dovere, inteso come forma di rispetto per le altre persone coinvolte dalle nostre scelte e dalle nostre azioni, che desidero parlare. E voglio farlo riportando alla memoria di tutti noi, un episodio di vita quotidiana, di desiderio di normalità e di ritorno alla vita, che comunque di rispetto e di senso del dovere, nobilmente si ammanta. Quella percezione di un dovere che non è un obbligo, bensì una scelta, libera, sofferta, ragionata, ma voluta e difesa perché sfida l’inevitabile, che ci fa alzare in piedi e dire “Presente“, quando la situazione lo richiede. Senza eroismi. Solo perché è giusto così.

Oggi voglio parlare di loro, anzi, di una di loro, in particolare. Tra i tanti, diretti congiunti dei troppi caduti per mafia, voglio ricordare l’integrità morale e la forza d’animo di Lucia Borsellino, senza per questo sminuire il sacrificio e l’abnegazione dei suoi fratelli minori Fiammetta (la piccola di casa) e Manfredi, il secondo nato. E nemmeno privando di memoria il sacrificio e la disponibilità di Agnese, madre e moglie esemplare che mai, nemmeno per un istante, vacillò nel suo appoggio al giudice, ben consapevole del rischio e anzi, cosciente della certezza di quanto, prima o poi, soprattutto dopo lo scempio di Capaci, sarebbe accaduto anche a suo marito.

Ma io voglio ricordare Lucia, perché all’epoca dei fatti era solo una ragazza di 23 anni, magra e delicata, forse troppo sensibile per sopportare senza piega la scorta, la paura, l’esilio forzato all’Asinara, le corse nella claustrofobica auto blindata e quel telefono che, in casa Borsellino, seminava il terrore a ogni squillo.

Lucia, che tra mille disagi interiori, dovuti non solo alla situazione contingente, ma anche all’età fragile di per sé, al suo diventare donna, giorno dopo giorno, al bisogno negato (per forza di cose) di libertà e indipendenza, alla necessità di essere serena e di non aver paura, che seppe, nonostante tutto e malgrado tutti, farsi interprete di un’educazione morale eccellente (grazie a papà Paolo e a mamma Agnese) e di un altrettanto eccellente senso del rispetto e del dovere che mai fu solo parole o sterile proclama.

Lucia Borsellino, nel mio immaginario incarna il senso del dovere e del rispetto quanto (e forse più) del suo indimenticato genitore. Quel dovere così sintetizzato dall’insegnamento del Dalai Lama “Segui sempre le tre R: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni”. Perché, in estrema sintesi, il rispetto è anche una forma di responsabilità, quando la responsabilità diventa un dovere.

“Segui sempre le tre R: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni”.

DALAI LAMA

Fu Lucia a voler vedere e a ricomporre i resti martoriati del padre, nella camera mortuaria, nel tentativo di restituirgli quella dignità che la bestialità del tritolo aveva cancellata, distruggendo il suo corpo e quel sorriso che mai dimenticheremo.

Un atto di coraggio, quello di Lucia, che preannuncia l’essenza della donna che sarà, ricca di valori e di forza etica, di senso del dovere, della capacità di dire “ci penso io”, anche quando si trattava di avvolgere di dolorosa pietà (per quanto possibile) i resti del suo povero papà, morto da poche ore.

A tutti noi capita di rinviare un impegno, un appuntamento, solo perché piove, perché siamo stanchi, perché siamo pigri, perché abbiamo altro da fare o perché, tutto sommato, di quell’impegno ci importa poco, togliendo de facto il rispetto alle persone da esso coinvolte. Ma Lucia no, lei ha risposto “Presente“, anche nel momento probabilmente più duro e cupo della sua vita. Un “Presente” che, nelle sue sfumature, aveva la voce di Paolo, artefice di quell’educazione e della trasmissione di cotanto senso civico.

Ed è proprio frutto di quella educazione, di quella formazione genitoriale, di quella percezione del dovere, se Lucia, pochi giorni dopo i tristi fatti di via D’Amelio, con i resti carbonizzati del padre ancora negli occhi (temo per sempre nella mente) decide di onorare l’impegno di un appello universitario, nonostante le validissime giustificazioni che poteva addurre e alle quali nessuno avrebbe potuto obiettare, presentandosi alla commissione e sostenendo un esame universitario, tra lo stupore di professori e studenti presenti..

Perché rispettare i propri impegni, la parola presa, farsi carico dei doveri assunti, è un atto di rispetto, forse il più alto e nobile che l’essere umano possa esprimere e tributare. E Lucia Borsellino, grazie anche all’esempio di Paolo, ne è stata insuperabile interprete, rispettando la memoria di suo padre, le aspettative della sua famiglia, il lavoro dei docenti e la sua stessa dignità.

Oriana Fallaci ha scritto e non a caso: “Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per sé stessi, per la propria dignità”. Quella dignità che Paolo Borsellino, come tutte le altre vittime di mafia, ha rispettando, pagando con la vita il suo inarrestabile senso del dovere. 

“Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per sé stessi, per la propria dignità”.

ORIANA FALLACI

Ma Lucia, sua figlia, ci ha dimostrato che di senso del dovere non si muore soltanto. Di senso del dovere si vive, ci si migliora, ci si allontana dalla bestia (come direbbe Immanuel Kant) dando forma alla propria esistenza, alla propria umanità, alle proprie scelte, perché il senso del dovere è, tutto sommato, l’espressione più immediata e tangibile del rispetto che tributiamo agli altri (coinvolti dalle nostre scelte) e a noi stessi, di quelle scelte artefici e protagonisti, nel bene e nel male.

Grazie Lucia. Il tuo esempio ci ha resi persone migliori.


Note sull’Autore_

Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano. Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




Fra la sella e la terra c’è la grazia di Dio.

Giulia Gellini_ Equino [2009]_tecnica mista.

Ilaria Corsi _

Amare i cavalli vuol dire capirli, sentirli, sognarli. 

Quando avevo dieci anni, un libro di cui ricordo bene la copertina ancora oggi, parlava di una storia ambientata in USA. Natalie, una giovane ragazza, obbligata a trasferirsi in una piccola cittadina rurale, iniziava un’amicizia particolare con il cavallo della fattoria accanto.

Li divideva uno steccato, ma il rapporto, e questo mi colpì molto, era davvero particolare, quasi fosse un vero e proprio amico per lei, al quale confidare le sue emozioni e turbamenti adolescenziali.

Natalie era una ragazza di città in tutto e per tutto. Adorava giocare, ridere con i suoi amici durante le feste di quartiere e fare viaggi nel negozio di fumetti locale per prendere l’ultima copia della sua serie di graphic novel preferita. Quando la mamma le disse di andare a vivere in campagna, fu inevitabile avere una crisi profonda che la portò ad isolarsi. Chi avrebbe mai voluto vivere nel mezzo di Nowheresville? Ma abituarsi alla sua nuova vita di provincia fu meno traumatico grazie al bellissimo cavallo, Ghost. 

Nowheresville fa parte di una serie di libri scritti da diversi autori che mettono in evidenza le relazioni uniche tra le ragazze e i loro cavalli.

Questo libro in qualche modo mi ha segnato ed ha influenzato la mia vita negli anni della adolescenza e della mia prima maturità.

Dunque, fin da piccola, ho sentito un amore smisurato verso questo animale. Crescendo questa mia passione non si è mai spenta e anzi,  è sempre stata un fuoco che anno dopo anno si è alimentato sempre di più. L’arrivo di Contigo un meraviglioso cavallo baio dal cuore d’oro, ha segnato l’inizio della mia esperienza e delle prime gare, le prime sconfitte ma anche le prime vittorie.  Grazie a lui ho capito cosa significa prendersi cura di un animale che conta solo su di te ed insieme a lui mi sentivo sicura, nulla poteva separarci. Tutte le storie hanno una fine, e la perdita di Contigo, è stato il mio primo enorme dolore.

Galopin JB un irrequieto, meraviglioso cavallo morello di 4 anni, ha in parte colmato il vuoto nel quale mi stavo perdendo. Con lui mi sono messa davvero in gioco, siamo cresciuti insieme ci siamo qualificati per gare importanti e le abbiamo anche vinte.



I cavalli sono animali empatici dai grandi occhioni, prendersi cura di loro richiede sacrificio, senso del dovere, amore, passione e non bisogna averne paura. 

Accarezzarlo, alimentarlo e cavalcarlo sono azioni che mi hanno portato negli anni un profondo stato di benessere psicofisico

Sono tutti capaci di inforcare una bicicletta e pedalare, ma in questo caso si tratta di lavorare in sintonia con un animale in quanto essere vivente con un suo pensiero e le sue giornate no, come tutti noi del resto.

L’ippoterapia ha origini empiriche antiche perché il cavallo, con le sue straordinarie doti di sensibilità, di adattamento, di intelligenza è ritenuto, da sempre, e non a torto, “straordinaria medicina”. 
L’uso dell’equitazione a scopo terapeutico ha avuto inizio già nell’opera di Ippocrate di Coo (460-370 a.C.), che consigliava lunghe cavalcate per combattere l’ansia e l’insonnia.

I benefici dell’ippoterapia dipendono in buona parte dalle caratteristiche fisiche e comportamentali del cavallo e, a differenza di altre terapie che utilizzano animali di piccola taglia, l’equitazione prevede una strategia di trattamento che riesce a trasferire integralmente al paziente, le sollecitazioni prodotte dal movimento tridimensionale del cavallo.

Il parallelismo tra la tridimensionalità del cammino umano e l’andatura del cavallo dà la possibilità a soggetti che non hanno mai camminato o che camminano con schemi motori scorretti, di trovarsi in una situazione paragonabile ad una deambulazione corretta e fisiologica, sperimentandone quindi gli effetti concatenati a livello del bacino, del tronco, e in generale degli arti superiori.

Questa Attività generalmente è programmata ed inserita all’interno di un più ampio progetto riabilitativo, e viene svolta da una serie di figure professionali come i medici specialisti, i terapisti della riabilitazione, gli istruttori di equitazione, gli operatori sociosanitari e gli assistenti volontari specificatamente preparati, motivo per cui viene praticata in un numero limitato di Centri Ippici in possesso di tutti i requisiti necessari.

Un altro beneficio è riscontrabile sulla reattività del sistema nervoso simpatico.

Paralisi cerebrali infantili, forme spastiche, deficit motori derivanti da traumi, sono tutte patologie che possono essere curate anche in sella. 

Il disciplinare tecnico è molto articolato e varia a seconda delle esigenze specifiche. Di fatto il paziente può salire sul cavallo da solo o con un accompagnatore, il cosiddetto maternage

Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Public Health da studiosi della Tokyo University of Agriculture il cervello dei bambini che vanno a cavallo avrebbe una reattività maggiore, in quanto le vibrazioni prodotte durante la cavalcata, risultano particolarmente efficaci nell’attivare tale sistema.

Per avallare questa tesi è stato condotto un esperimento nel quale un gruppo di 106 bambini di età compresa tra i 10 e i 12 anni, è stato sottoposto ad alcuni test prima e dopo aver cavalcato per 10 minuti su un pony e aver camminato a piedi per 10 minuti. Nel primo test ai bambini, dopo aver visionato per 200 millisecondi dei quadrati di colore rosso, giallo o blu su uno schermo, veniva richiesto di premere velocemente un tasto qualora sullo schermo fosse comparso il quadrato giallo o blu, e di astenersi invece con la comparsa del quadrato rosso. In questo test di tipo comportamentale è stata riscontrata la differenza più rilevante: 25 bambini su 54 (46,3%) hanno migliorato infatti il proprio punteggio dopo la cavalcata, dopo la passeggiata invece, soltanto il 26,9% è riuscito a migliorarsi.

Il secondo test, invece, consisteva nell’eseguire 30 addizioni tra numeri ad una sola cifra in rapida successione. In questo caso non ci sono state differenze rilevanti in termini di risultato, ma si è registrato che per il 72,2% dei bambini che erano stati a cavallo, la velocità di completamento del test era notevolmente migliorata. 

Ma perché il cavallo ha questo enorme potenziale? 

Io credo che tra uomo e cavallo si crea una connessione, una relazione che amplifica la capacità degli animali di trasmettere e stimolare emozioni. Loro hanno una spiccata vocazione sociale e chiunque abbia preso le redini in mano sa come il cavallo sia estremamente reattivo agli stimoli.

Cavalcare implica una sintonia con un’altra creatura, esperienza che tornerà poi molto utile anche fuori dal maneggio, ed associabile ad un potente antistress.

A questo si aggiunge anche l’attività effettuata a terra, il cosiddetto grooming, cioè il prendersi cura dell’animale attraverso la pulizia e la cura del suo mantello. 

Un’attività ad alto contatto che facilita la nascita di un rapporto emozionale tra cavallo e paziente. 

Il piacere e l’emozione nell’eseguire questi gesti di cura, aiutano a sviluppare competenze relazionali e amplificano anche i risultati motori ottenuti in sella.

Io ci ho messo del tempo per farmi accettare da questi esseri meravigliosi, e non ho  alcun dubbio che senza di loro, non sarei la donna che oggi sono.

Per ulteriori informazioni:

https://www.fise.it/


Nota sull’autore_

Ilaria Corsi, classe 1998, Laureata in Design della Comunicazione allo IED, ex campionessa giovanile di equitazione, categorie salto ad ostacoli e dressage, da sempre una sognatrice con una voglia indomabile di scoprire il mondo e lasciare un segno. Innamorata della creatività, del mondo degli eventi, con il sogno nel cassetto di riuscire un giorno a farsi “posto fra i grandi”. Espansiva, affettuosa, chiacchierona, solare, con la voglia di “spaccare il mondo”, sempre di corsa. Affascinata dalle persone che non hanno paura a dire la propria opinione che non si nascondono “dietro a un dito”, che non si fermano davanti a un “no” che si oppongono agli stereotipi e dell’opinione comune superficiale. Amante degli animali sostiene che “grazie a loro possiamo superare ogni nostra paura più grande, bisognerebbe parlare di più di come gli animali aiutino noi esseri umani a superare le nostre paure”.