La melanzana di David

Incontro David (David D’Amore) dopo qualche anno che non ci si vedeva.

Oggi capisco che quella che sembrava una forma di contestazione formale era una visione del futuro.

Ricordiamo brevemente i vecchi tempi e ci proiettiamo sull’oggi. Anzi, verso il domani.

D. Il nudo continua ad essere al centro delle tue opere. Perché la scelta dominante e quasi ossessiva di figure, diciamo, svestite? 
R.Credo che rappresentando il corpo si possa lavorare sulla mente. Il corpo come mezzo per scavare nel profondo a patto che il profondo esista. Il richiamo del corpo è sempre irresistibile, i tramonti possono essere stupendi, una notte stellata può essere molto romantica, ma vuoi mettere un bel paio di chiappe? 

D.  La tua produzione artistica è enorme. Disegni, incisioni, dipinti, fotografie, musica. Da cosa nasce l’esigenza di creare così tanto materiale? 
R.  Per uno che non sa fare niente l’arte era l’unico mezzo per passare il tempo. In genere le idee più brillanti mi vengono quando, in sella al mio motorino, percorro le strade di campagna in cerca di una grotta in cui infilarmi per qualche ora. 

D.  Sembra quasi che tu voglia, nei tuoi lavori, confermare una sorta di nichilismo dell’essere umano, enfatizzando  l’inutilità della ripetitività.

R.   Non sono un misantropo, in me, purtroppo, è più presente il vizio della filantropia.  

D.  Non credi che la misantropia sia una sorta di ispirazione per un Artista? Eppure  l’arte dovrebbe essere fruita dalla gente, da un pubblico. Non è un controsenso?
R.  Siamo esseri fallibili e soprattutto volubili. A causa delle nostre altalenanti vicende quotidiane  un giorno siamo fieri filantropi e il giorno dopo siamo misantropi convinti. In genere negli artisti subentra la misantropia quando si è incompresi o sottovalutati.

D.  Tu utilizzi il corpo come un contenitore, un oggetto, e lo associ sempre ad oggetti esterni a lui, come se volessi mettere in risalto la incomunicabilità delle due realtà. Questo genera una sensazione di violenza estetica, blasfema, ma con un obiettivo poetico.

R.  Sono un pessimo esempio per le nuove generazioni, lo ammetto. Nella prossima vita giuro che dipingerò solo prati in fiore e fotograferò esclusivamente località sciistiche con annessi impianti di risalita. Il termine che hai coniato, ”blasfemia poetica”, mi piace, potrebbe essere il titolo della mia prossima fotografia.

D.  Ho visto che spesso nelle tue opere compare l’immagine di una melanzana, o cucita o dipinta. Perché hai scelto proprio quell’ortaggio? 

R.  Ho scelto la melanzana per motivi estetici, non filosofici o esoterici. I riflessi sul corpo liscio di una melanzana sono fantastici da dipingere e anche da fotografare. Una mia foto del 1998, intitolata “Dissidente”, rappresenta una melanzana con un profondo taglio ricucito chirurgicamente. 

D.  Ti sei sentito o ti senti influenzato da alcuni artisti, da alcuni autori, anche letterari, nel tuo modo di produrre?
R.  L’espressionismo nordico mi ha molto attratto, ma troppe sono le cose che mi affascinano, potrei fare un elenco infinito di pittori, musicisti, registi, scrittori e fotografi importanti per la mia crescita artistica. Tra i pittori al momento ammiro il Guariento e Dierick  Bouts.  

D. Esiste un modus operandi di procedere per costruire e dare vita alle tue opere?
R.  Durante il giorno ho delle vere e proprie visioni ad occhi apertiSubito corro nel mio studio, ricreo la scena che ho visto e la fotografo. La foto rappresenta una sorta di appunto sul quale posso poi lavorare di nuovo per migliorarla.

D.Che rapporto hai con le tue opere una volta create?”   

 R.Il  rapporto con le mie opere è difficile, a volte arrivo a odiarle.   

D.  Credi nell’uomo?
R.  Ci vorrebbero cento vite per tentare di decifrare la natura umana. Io di vita ne ho solo una e cerco di dedicarla a cose più elementari e piacevoli. 

D.  C’è qualcosa che non hai ancora fatto e che ti piacerebbe fare? 
R.  Mi piacerebbe essere un artista ricco e famoso, possibilmente senza vocazione, che dipinge, suona o fotografa solo per il mercato

D.  L’amore è sopravvalutato? 
R.  Si, come tutti i vizi e le perversioni. 

D.  La morte è qualcosa di liberatorio? 
R.  Se tutto va bene, a noi umani ci attende l’inferno.

https://davidamore.weebly.com/




BO it! – Bologna, creativi a raccolta

(di Annalisa Rosati)

Logo e locandina della seconda edizione del Concorso

Il 2020 è stato per tutti un anno di forte rottura rispetto alla quotidianità e alle consuetudini a cui eravamo abituati: istruzione, lavoro, interessi, progetti, relazioni e affetti, tutti aspetti fondamentali delle nostre vite che sono stati di colpo interrotti e fermamente messi in discussione. Insomma, un game changer come si direbbe nell’universo nerd. Al loro posto, però, di abitudini ne sono nate altre, come fare il pane in casa o collegarsi con gli altri via device. E insieme alle abitudini abbiamo esplorato anche nuovi interessi: il bistrattato jogging, le passeggiate nella natura, i giochi da tavolo.

E’ sulla base di questo assunto che BO it! – Immaginando Bologna ha lanciato il tema per la sua seconda edizione: una call for artist per ripensare e – letteralmente – ridisegnare l’immagine di una città partendo da uno dei suoi simboli.

Nato proprio a Bologna nel 2018, BO it! è il concorso internazionale di illustrazione che mira a valorizzare la città di Bologna attraverso un’interpretazione artistica e creativa delle icone che la identificano, quali monumenti e altri simboli: Bologna descritta da chi la abita, da chi la immagina, da chi la scopre come turista e da chi ci arriva come migrante.

Dopo il successo della prima edizione, che ha visto la partecipazione di oltre 300 opere da tutto il mondo, la seconda edizione vede come protagonista i portici di Bologna: sagoma che rende omaggio alla candidatura come patrimonio dell’umanità UNESCO della città e che viene proposta ai creativi per la loro interpretazione artistica.

dettaglio della sagoma – traccia del concorso BO it!

“Bologna è sempre stata all’avanguardia e aperta alle innovazioni: una realtà che ha sempre raccolto prontamente gli stimoli, accolto e tradotto i cambiamenti in atto nella società” dichiara il direttivo di BO it! “Le tante difficoltà conseguenti alla pandemia in atto ci obbligano a ripensare il nostro modo di vivere la quotidianità, il lavoro e il rapporto con la città e la comunità. In questo scenario, le associazioni coinvolte nel progetto hanno scelto di rappresentare la nuova sagoma del 2021 come un unico grande abbraccio all’intera città: i portici di Bologna. È un invito a condividere le emozioni vissute durante il lockdown e le speranze e i desideri per la ripartenza.”

Il bando internazionale, che si chiuderà il 28 marzo 2021, è rivolto a tutti senza limiti di età; ed è possibile partecipare in modo individuale o collettivo. Una giuria qualificata selezionerà le 30 opere finaliste, che saranno esposte al pubblico in una mostra urbana realizzata in concomitanza con la Bologna Children’s Book Fair – Fiera del Libro per Ragazzi (14-17 giugno 2021). Tra le novità di questa edizione, i tre premi che saranno assegnati ai tre vincitori: Primo Premio “Città di Bologna” del valore di 1.200€, il Secondo Premio “Città dei Portici” del valore di 600€ e il Terzo Premio con un kit tecnico offerto da Maimeri.

Il progetto è accompagnato da un percorso di masterclass e laboratori, sia on-line che in presenza nel rispetto delle linee guida anti-covid19, volti a promuovere l’inclusività e la partecipazione di giovani creativi non professionisti e persone con bisogni particolari, come migranti o persone con disabilità.

“BO it!” è un’iniziativa culturale promossa dalle associazioni Il Civico 32 e MenoPerMeno, con il contributo della Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna e COOP Adriatica, promossa e sostenuta da Comune di Bologna, Bologna Welcome, Fiera del Libro per Ragazzi, Maimeri, Galleria Millenium, CotaBo, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Bologna, Cooperativa Nazareno e Autori di Immagini.

La seconda edizione del concorso, avviato con il Patrocinio del Comune di Bologna, rientra tra le iniziative per la Candidatura UNESCO dei Portici di Bologna.

CONTATTI:

boitcontest@gmail.com

www.bo-it.org




MCG 360° – Quizz’arte VR


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Ve lo diamo noi l’editoriale…;-) per il primo articolo del nostro magazine, nessuna retorica! Apriamo invece col botto: una retrospettiva al quadrato (…retrospettiva di una retrospettiva…) con distorsione spaziotemporale e quadruplo punto di vista sincrono: una mostra in VR su un artista molto noto (non diciamo quale, dovrete scoprirlo voi stessi, altrimenti vi annoiate), al tempo allestita in una Galleria d’Arte che purtroppo non troviamo, o forse non esiste più.

Era il 2011, più due lustri fa. Ma noi allora già sapevamo di essere avanti di almeno una decina d’anni, sapevamo che sarebbero state rilasciate delle piattaforme ad hoc per ospitarla e che soprattutto sarebbe comparso “Fuori”…!

A voi il risultato. Per ora senza commenti. Anzi, uno: Alberto Angela “ce spiccia casa”.

(su smartphone e tablet si consiglia la visione orizzontale)

La visita in galleria si compone di diversi punti di vista leggermente differenti, ognuno corrispondente ad una finestra sullo schermo, per cercare di avvicinare il più possibile l’esperienza virtuale a quella reale.

Scegliete quelli che più vi aggradano (anche tutti, ma uno per volta). Cliccando il quadratino si ottiene lo schermo intero…

Lasciateci i commenti e soprattutto cercate di individuare l’Artista. la prima lettrice / il primo lettore che risolve il quiz “vince” la possibilità di pubblicare un articolo a piacere su FUORI. (…se gli va, eh…)




Creativa per Caso: Anna La Tati Cervetto

Era da tempo che volevo incontrare Anna La Tati Cervetto.

Avevo scoperto i suoi disegni su Linkedin prima, e poi mi sono messo a seguire il suo profilo su Instagram.

Ho provato a contattarla e lei si è subito dimostrata una persona aperta e solare, il tipo di persona che in una telefonata riesce a darti l’impressione di conoscerla da sempre.

Una telefonata che ha aperto un mondo tutto da scoprire.

Abbiamo concordato una intervista via zoom come siamo abituati a fare in questo periodo della nostra vita, ripromettendoci di incontrarci appena sarà possibile.

Una intervista non è bastata, andrebbero fatte più puntate per raccontare la storia di Anna. Non è detto che non succederà in futuro.

Parte il video e quasi senza salutarci, mi dice subito una cosa che sarà il filo conduttore di tutta la chiacchierata.

“Sono una Creativa per Caso!”

Oggi si parla spesso di legge di attrazione che governa la nostra vita.

Tutto ciò che accade nella nostra vita e in generale nel mondo, ha un preciso senso ed è la conseguenza di una o più cause.

E le cause le creiamo noi.

Chiedo ad Anna se si senta responsabile di ciò che lei è oggi.

Naturalmente si. Ma non sottovaluto l’influenza che l’Universo ha nei miei confronti. Ho iniziato a lavorare come grafico, quando studiavo medicina veterinaria all’università. Potevo essere una veterinaria, ma forse il Caso ha deciso diversamente, strano no?

E invece?

E invece negli anni novanta sono stata l’assistente di importanti Art Director e questo mi ha consentito di ingentilire, migliorare, affinare e raffinare le mie capacità e competenze tecniche ed artistiche.

Parliamo di una realtà che forse non esiste più. Immagino Agenzie dove si disegnava a mano e i bozzetti erano materici e si presentavano di persona..

Infatti. Erano i tempi della Milano da Bere, le Agenzie di comunicazione famose dove facevi nottata. Ma fine anni 90 il Web e le sue grandi possibilità espressive, mi hanno letteralmente affascinata. Anzi. Irresistibilmente affascinata. Così, sono diventata Web Designer.

Possiamo dire che quella è stata la svolta?

Possiamo dire che così ho iniziato a disegnare. E l’ho fatto, pescando in quel pozzo di creativa interiorità di pensieri, affetti e aspirazioni che, domina, governa e guida la mia intera esistenza.

Il disegno come esperienza terapeutica, dove quello che si riesce a tirare fuori da se stessi è una creatività che magari esiste da sempre, ma sopisce nel profondo dell’Anima?

Esatto. Disegnare per me è scoprire e accedere a quella parte di me stessa che resta nell’ombra. Attingere, senza giudizio , al giardino delle meraviglie nascoste. Ciò che nutre la mia creatività è una curiosità inesauribile, inesausta e rinnovabile che di recente – mi ha portato ad esplorare più a fondo, il mondo delle illustrazioni e della colorazione digitale.

Ci sono particolari tecniche che usa?

Amo le tecniche miste, i collage, le sovrapposizioni, i colori e le materie che si miscelano, si scontrano e parlano.

Una sperimentazione continua, possiamo dire così?

Si, esattamente. In tutte le mie espressioni, dagli impaginati al crochet, l’aspetto più interessante per me è la sperimentazione. Lasciarmi condurre laddove parlano i colori e le forme.

Molti dei suoi lavori fanno riferimento al filone ucronico, o almeno figurativamente ipotizzano come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima. E’ un “caso”?

No! Frequento con passione lo stile Steam Punk perché mi riconosco nella spinta esploratrice della tecnologia anacronistica, nelle macchine fantastiche che ti aprono possibilità infinite.
Una simbologia potente, capace di creare ogni progresso e meraviglia.

Alcuni elementi grafici sono ricorrenti per contenuti e forme. Una sua opera è riconoscibilissima.

Amo le composizioni estreme, fatte di geometrie e forme libere.
Le cerco, le studio e le applico anche nei miei disegni… disegni che parlano di donne e mondi liberi, alle volte oscuri, in cui cercare risposte e liberazione da pensieri bisbetici che vogliono – e devono –
essere ascoltati.

Che tecnica usa?

Tutti i miei lavori sono realizzati usando Procreate, Fresco e Photoshop per la colorazione e rifinitura dei bozzetti.  Sketches realizzati normalmente a matita, ma spesso anche e direttamente utilizzando Fresco o Procreate per i quali ho personalizzato pennelli basati su mie matite e inchiostri.

Tutti i lavori di Anna sono bellissimi. Li intravedo alle sue spalle, più o meno visibili, alcuni li riconosco per averli visti postati sul suo profilo.

Mi piacerebbe averne uno originale in regalo. Non ho il coraggio di chiederlo ma immagino di riceverlo con una dedica e la sua firma, che è anche il suo Logo..

Ah, dimenticavo. Il mio Logo nasce dall’ inchiostro impertinente, che si è rovesciato su un foglio. Anche questo, è successo – ancora una volta – per Caso.

… un segno dell’universo? Ma il caso, poi, esiste?

https://annalatati.myportfolio.com/welcome-guy




I bambini non si toccano

Ci siamo imbattuti per puro caso in questa intervista, ci siamo incuriositi, abbiamo letto il libro (disponibile anche su Amazon in formato kindle)

Che dire? Non tradisce le attese, si vede che l’autore Stefano Montalto in questa opera prima (ben maturata, lui non sembra certo di primo pelo) ne ha passate abbastanza – sui campi da Rugby e pure “fuori” – da poterne raccontare almeno una parte in maniera romanzata.

Intervista a Stefano Montalto, autore di “I bambini non si toccano”

Ah, vorremmo aggiungere che (al di là di quanto asserito dallo stesso scrittore durante l’intervista) i protagonisti di questo romanzo di avventure mozzafiato in giro per il mondo – Paul e Abu Bakr, l’uno italo-scozzese e l’altro nigeriano, “uomini veri” senza macchia e senza paura – vengono comunque messi in secondo piano dal risalto dei personaggi femminili Sarah e Brigid, dipinte a metà tra Beatrice (sì, quella di Dante) e Lara Croft (no, qui Dante non c’entra).

Si legge, appunto tra le righe ma neanche tanto, che a Stefano le Donne piacciono. E molto.

E come secondo noi (anche) alle Donne piacerà il libro.

Firmato: le redattrici di “Fuori” 😉

(anteprima disponibile su Amazon.it)

https://www.stefano-montalto.com/




Coreterno, ep. 1

“La vita è una luce ammiccante nel buio”

Comincerei con una frase di Hayao Miyazaki per riassumere l’intervista con Francilla Ronchi e Michelangelo Brancato.
Credevo di andare ad intervistare due ragazzi che producevano candele decorate, ma quando sono entrato nel loro Castello, ho capito che si trattava di filosofia di vita materializzata in oggetti.

Francilla Ronchi e Michelangelo Brancato, romani che discendono “da famiglie di alchimisti, incisori, santi, ribelli e poeti”, mi hanno insegnato, in un’ora di confronto, che una candela non è solo una candela.
Una candela e il fuoco che ne scaturisce sono due elementi che veicolano un potere.
Potrei andare oltre e dire che rappresentano la dualità della vita: la candela il bene, le preghiere; e il fuoco il male, il demone che ognuno di noi ha dentro.
La candela come archetipo di un qualcosa che illumina le tenebre dunque, un mezzo che in un certo senso ci avvicina al sovrannaturale.
Eppure, andando via a fine intervista, riflettevo che le loro candele sono fatte per non essere accese, e il paradosso è proprio questo.
Una candela spenta potrebbe non avere senso, eppure le loro perdono significato non appena la fiammella si accende.
Un fornaio farebbe mai un pane che non deve essere mangiato?
Mi hanno parlato di New York dove hanno vissuto e torneranno a vivere a fine pandemia, eppure Roma rimane il punto di partenza da cui tutto ha inizio, perché qui si sono conosciuti e il nome del loro marchio è foneticamente un simbolo di Roma.
“In qualche modo volevamo qualcosa che richiamasse le nostre origini”, spiegano. “Roma si porta dietro una gravità intrinseca che è molto difficile da alleggerire: non è solo la città eterna, ma anche una sorta di cuore eterno. Qualcosa che si trasmette: un’eredità che non è solo materiale, ma proprio una propensione al bello, a un certo tipo di estetica, a una lettura istintiva di concetti complessi. Volevamo che ci fosse dentro la parola cuore per questo, e anche perché in mezzo ci siamo noi, che siamo innamorati”.
Ho usato il termine “ragazzi” prima, eppure sono passati cento anni da quando si sono conosciuti.
Da allora sono rimasti identici.
E non parlo esteriormente, cosa peraltro vera, ma di entusiasmo e creatività.
Ognuno dei due ha salvato l’altro: facevano due vite differenti, e il cuore ha deciso di portarli sulla stessa strada.
“Siamo molto diversi, ma abbiamo cose forti in comune: cose che vanno oltre le parole” mi dice Michelangelo.
Francilla è una Nobile che ha avi Poeti, Scrittori e Santi.
Michelangelo ha incisori e ribelli che reclamano in questa vita ciò che forse non hanno potuto avere nelle loro precedenti.
Per questo l’espressione artistica dei loro prodotti, e non parliamo di sole candele, è prepotente è immancabilmente esatta.
Qualsiasi prodotto che esce dal loro laboratorio è stupendo, non ha punti deboli ed è arte vera.
Si vede che c’è dietro cultura, arte e letteratura.
“Noi crediamo molto nel potere che possiedono le parole: il linguaggio è una cosa potente, può anche modificare il nostro destino” – mi spiega Francilla, e continua – “Credo fermamente che una persona possa essere artefice del proprio futuro semplicemente modificando il suo modo di vedere e di pensare”
Un sapere antico, tecniche moderne ed estetica punk, l’incanto ancestrale della fiamma che brucia e il potere della parola: questi sono gli elementi di Coreterno.
“Ogni candela è il risultato di molti errori, sacrifici, bruciature, pazienza, notti insonni, mani sporche e gioia infinita”, recitano le istruzioni su ogni confezione.
“Per favore, non trattatele come se fossero solo cera”.

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Le casette del signor Rossi

Bisogna ammetterlo: ad un certo punto abbiamo pensato di ritrovarci lillipuziani dentro un plastico di Lego o PlayMobil sul quale avevano riversato anche alberghi e case del Monopoli. E invece stavamo percorrendo le sale di un allestimento davvero magistrale, quello dedicato ad Aldo Rossi: l’Architetto e le città, inaugurato il 10 marzo scorso al Museo Maxxi di Roma.

il successo planetario di Aldo Rossi – architetto, designer, scrittore, pittore, docente – a 25 anni dalla sua scomparsa rimane per molti un insondabile mistero. Non per noi, eh. Nell’ultimo quarto del secolo scorso ha firmato di tutto: dal cucchiaino Alessi ad intere parti di Berlino. Tra gli addetti ai lavori, è tuttora amato od odiato, senza riserve. L’aggettivo “Rossiano” era considerato nobilitante o infamante a seconda delle contrade culturali che lo utilizzavano, anche all’interno dello stesso Istituto Universitario di Architettura a Venezia dove insegnava.

Odiato o amato; ma poco capito anche perché poco spiegato: del resto lui stesso alimentava, con la sua prosa oracolare, l’aura mitologica di un Maestro che tra i colleghi riconosceva solo Palladio, Adolf Loos e Mies van der Rohe al livello della sua olimpica altezza. Perché lui, anzi Egli, discendeva direttamente da Pitagora, Euclide, Ictino e Callicrate, “senza passare dal via!” (per rimanere in tema Monopoli). Un via! costituito, in questo caso, da venticinque secoli di Storia dell’Architettura. Semplici composizioni, solidi elementari, uno schizzo e … “Ipse pinxit”! Bastava, o meglio doveva bastare a seguaci, ammiratori e alla nutrita schiera di collaboratori adoranti destinati a tirar su milioni di metri cubi di ferro e cemento, o anche solo una caffettiera, a partire da uno schizzetto a china.

C’è una foto, firmata e datata “Atene 1971”, che lui, anzi “Egli stesso”, scelse per aprire un volumetto di Zanichelli dedicatogli quando era già famoso e che spiega tutto: colonna tra le colonne, mito nel mito, jeans e sguardo/sigaretta alla Clint Eastwood nella Trilogia del Dollaro. Ci siamo capiti.

Ciò premesso, il maggior merito di questa splendida e davvero imperdibile retrospettiva è proprio quello di aiutarci a rintracciare, grazie all’abbondanza del materiale in mostra, qualche elemento del patrimonio genetico rossiano che giocoforza deve emergere qua e là dal mucchio…intendiamoci: emerge, a patto di avere l’occhio per scorgerlo. E a noi del FUORI l’occhio non manca di certo; di queste impronte cromosomiche però qui ne elenchiamo solo quattro, lasciando a voi il piacere di scoprirne altre direttamente al Maxxi:

  • Mario Sironi – Discendenza diretta, palmare e, diremmo ora di “look and feel”, nelle periferiche atmosfere milanesi trasferite tout court dai quadri di Mario a quelli di Aldo (che sembrano quelli di Mario, copiati male);
Dipinti di Aldo Rossi in mostra al Maxxi di Roma
  • Heinrich Tessenow (1876 – 1950) depredato dall’iconico triangolo/frontone con buchetto su pilastri lisci ed allungati, come quelli della Festspielhaus Hellerau di Dresda, che dopo i restauri, sembra una “Rossi DOC”, e pure delle migliori annate. Il povero Tessenow certo non immaginava che le sue illustrazioni minimal del manualetto “Osservazioni Elementari del Costruire”, destinate agli anonimi capimastri teutonici per diffondere buone ed umili pratiche edilizie, sarebbero poi diventate, a spietati colpi di CTRL+C/ CTRL + V, dei progetti osannati e patinati da esporre nei bookshop fighetti dei musei di tutto il mondo.
Heinrich Tessenow – Festspielhaus Hellerau

Diez Brandi (1901 – 1985) – vi bastano le foto della Auferstehungskirche di Bad Oeynhausen in Germania (1953-56)? Non crediamo di dover aggiungere altro… 😉

Diez Brandi – Auferstehungskirche Bad Oeynhausen-Altstadt
  • Insula Romana: “Ecco l’Idea!” (riferendosi alla patata lessa) recitava una “rèclame” televisiva di qualche tempo fa. Ebbene, tutto il saggio “L’Architettura della Città” del 1966, quello che lo ha lanciato nel firmamento delle future archistar, si sintetizza in questi tre punti focali concatenati: a) le strade sono quei posti dove le cose accadono e la gente gira; b) bisogna allineare i corpi edilizi alle strade dove la gente gira e le cose accadono; c) bisogna mettere botteghe e negozi nei corpi edilizi allineati lungo le strade dove le cose accadono e la gente gira, altrimenti nei negozi non entra nessuno. Ecco L’idea. Che Genio…

Appare chiaro a questo punto che lo strepitoso successo del sig. Rossi, (Gr. Parac. Efferat. Copion. e Gran Maestro di Ovvietà, semicit.) si debba ad una catena di circostanze (fortunate per lui, jellate per l’Architettura) che lo hanno fatto riconoscere come un profeta grazie ad un solo merito: uno solo, ma fondamentale: quello di aver capito e denunciato per primo che a cavallo dei ’70 l’Architettura Moderna, dopo gli anni d’oro ’20 e ’30 e a causa del furore ideologico postbellico, pur di cancellare qualunque cosa che ricordasse gli stili dei regimi, aveva preso una pessima ed orribile piega. Le Corbusier e i suoi epigoni, pur partendo da nobili premesse, hanno fatto danni, danni veri, disseminando per il mondo osceni cassoni di béton brut soggetti a precoce deterioramento. Interi villaggi sperimentali come le Siedlung Halen di Berna che si facevano studiare in maniera “matta e disperatissima” nelle facoltà di architettura anni ’70 come i massimi modelli da seguire, sono ridotti ad un ammasso di rovine cementizie divorate dalla giungla (..svizzera, si si, svizzera!), neanche fossero cavalcavia del terzo mondo in sabbiacemento crollati e abbandonati dopo un terremoto scala 2 scarso. Tanto per chiarire: le Siedlung Halen erano parecchio bruttine anche da nuove, intendiamoci. E comunque non funzionavano, non potevano funzionare, perché senza attività urbane vitali qualsiasi insediamento-dormitorio è destinato inevitabilmente al degrado.

Il Signor Rossi lo ha capito per tempo e così ha potuto recuperare e rilanciare la tradizione della città; ha disegnato le case a forma di casa e i palazzi a forma di palazzo, disponendo il tutto in maniera ordinata e pulita ai bordi delle strade… né piu, né meno, come si dispongono gli alberghi rossi e le casette verdi sugli spazi colorati delle caselle di Parco della Vittoria e Viale dei Giardini.

Si si, proprio quelle del Monopoli.

(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)