Il Romanzo dei Tre Regni

Di Anonimo – From an ancient Chinese book (1591), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=547716

(di Mattia Marchetti Aloisio 马天龙)

“L’Impero, una volta unito si dividerà’, una volta diviso si riunirà, così’ è sempre stato”

E’ con questa frase che si apre uno dei più importanti libri nella storia e cultura cinese, un libro che ha avuto un impatto così forte che si dice perfino il Presidente Mao ne avesse una copia con sé.

Il libro in questione e’ il Romanzo dei Tre Regni, ed insieme al Viaggio verso Ovest, i Briganti della Palude ed Il Sogno della Camera Rossa, e’ uno dei Quattro Grandi Classici della Letteratura cinese.

Il Romanzo e’ stato scritto da Luo Guangzhong e tratta della storia cinese dal 180 d.c. (praticamente durante il regno dell’Imperatore Commodo) al 280 d.c. (durante il regno dell’Imperatore usurpatore Procolo).

La storia parte dalla caduta della Dinastia Han e l’inizio della Dinastia Jin. Questo periodo, almeno all’inizio, e’ caratterizzato da diversi signori della guerra locali che si combattono tra loro cercando di riunificare il Regno ed essere nominati Imperatore o al massimo sopravvivere in un periodo di tumulto; Da questo caos, appunto, tre Regni Wei, Wu e Shu, con i loro Sovrani e generali si ergeranno e combatteranno per il dominio finale.

Il Romanzo, come opera letteraria puo’ essere paragonato un po’ all’Iliade ad ai racconti Arturiani, in quanto descrive un periodo storico ma ci inserisce tematiche fantastiche, come la magia; ma non e’ solo l’insieme del reale e del fantastico che porta a fare questa comparazione, è soprattutto l’uso di tropi letterari e l’utilizzo di personaggi come manifestazione di virtu’ e difetti.

Troviamo cosi’, a distanza di tempo e spazio con Omero e Chrétien de Troyes, personaggi che sono simbolo di virtu’ e vizi come lo sono Achille, Ettore, Lancillotto o Mago Merlino; nello specifico:

Liu Bei, il protagonista della storia, discendente indiretto dell’Imperatore Han, e colui che ha avuto la chiamata per ristabilire l’ordine. E’ descritto come un uomo giusto ed onorevole, tipo Re Artu’.

Cao Cao (leggasi Tzao Tzao), Signore del Regno di Wei, e’ il “nemico”, colui che attraverso macchinazioni politiche in stile Macchiavelliano riuscira’ a prendere il controllo della Corte. E’ descritto come manipolativo, scaltro ed altamente pericoloso.

Zhuge Liang, il mentore, l’uomo vivente piu’ intelligente, colui che riesce a creare piani dentro piani e si dica avere doti magiche tipo prevedere il futuro leggendo le stelle, come Mago Merlino per Re Artu’, lui sara’ la guida politica per Liu Bei.

Zhao Yun, che come Parsifal o Galahad, e’ il simbolo delle piu’ alte virtu’ cavalleresche, il classico cavaliere senza macchia e senza paura e che, si dice, nessuno e’ riuscito a battere in duello.

Zhang Fei, il classico personaggio iracondo tipo Achille, ed alcolizzato, e dotato di forza sovrumana.

Ma questi sono solo alcuni dei personaggi in questa epica, la storia copre un arco temporale notevole e molti, troppi, personaggi sono coinvolti.

C’e’ un pero’, anche piuttosto grosso. Come l’Iliade, anche il Romanzo e’ stato scritto anni dopo che gli avvenimenti sono effettivamente accaduti, cio’ comporta che molto di quello che e’ scritto non sia esattamente la verita’. Esistono infatti due scritti: “Gli Annali dei Tre Regni” e la sua espansione “Annotazioni agli Annali” che effettivamente raccontano cio’ che e’ accaduto in quegli anni.

L’epica di Luo Guangzhong, dev’essere vista secondo un ottica particolare, il suo intento non era proprio quello di scrivere la storia per se, ma usare la storia ed i personaggi come strumento per promuovere la cultura confuciana, e forse a quello di creare un epica. Questo ha portato a notevoli differenze di eventi storici e caratterizzazione dei personaggi stessi: molti dei personaggi sono stati totalmente tagliati fuori e molti altri “ridimensionati” in cio’ che effettivamente hanno fatto; altri hanno dovuto subire caratterizzazioni con connotazioni anche negative, partendo da Cao Cao in persona e si pensa anche di Yuan Shao; mentre altri sono stati esaltati molto di piu’ della controparte storica, in primis Liu Bei.

Ma nonostante le differenze, il Romanzo ha comunque portato tutti questi personaggi dalla storia al mito; ed il tutto nella cultura cinese. Il Romanzo infatti, ha avuto un impatto enorme nella societa’ e cultura cinese, tanto che gli effetti si vedono tutt’ora: alcuni modi di dire ed espressioni derivano da persone ed accadimenti descritti nell’epica; una parte delle opere teatrali si rifa’ al Romanzo, cosi’ come le maschere; sono state prodotte due serie televisive, diversi film e gli eroi sono comunemente personaggi di videogiochi.

“L’Impero, una volta unito si dividerà’, una volta diviso si riunirà, così è sempre stato”.

Note sull’autore dell’articolo:

Mattia Marchetti Aloisio 马天龙 vive in Cina a Ningbo, Zhejiang da oltre 20 anni ed è specializzato in Brand Identity | Archetype Branding | Customer Care | Social Media Manager.

Mattia Marchetti Aloisio 马天龙




Di pietra e metallo.

Le colline del Montefeltro

(di Marina Ruberto)

Il Montefeltro è un fazzoletto d’Italia diviso tra Marche, Emilia Romagna e Toscana.  Con quella piccola perla di Urbino per capitale, è costituito in tutto da circa un migliaio di chilometri quadrati di borghi, borghetti, colline di velluto, rocche Malatestiane e Montefeltrine (che continuano a guardarsi in cagnesco), vallate e boschi, boschi, boschi. In una macchia di colori che, vista dall’alto, sembra una tavolozza da cui Piero della Francesca ha rubato a mani basse.

Perché in una terra così poco estesa si siano succeduti tanti visionari, sognatori, letterati e artisti, non è dato sapere. È uno di quei misteri italiani che il mondo ci invidia e che è stupendo visitare in tutte le stagioni. Per esempio nell’estate del 2020.

Senza andare troppo lontano (nel Rinascimento vinceremmo facile solo citando la corte urbinate di Federico da Montefeltro e del colto fratello Ottaviano), si può scoprire che del Montefeltro si sono innamorati un sacco di artisti, letterati e sognatori nostri contemporanei.

Cominciando da Tonino Guerra, poeta, scrittore, pittore e straordinario sceneggiatore romagnolo che, negli ultimi 25 anni della sua vita, si rifugiò in quel di Pennabilli.  Famose sono le sue installazioni e mostre permanenti, che prendono il nome de I Luoghi dell’anima. Con il mio compagno visitiamo, invece, il Parco dei Luoghi minimi, sul Monte Aquilone; dove animali fantastici si mimetizzano nella vegetazione del bosco, tanto grandi quanto aerei. Rinoceronte, tartaruga, elefante e giraffa (a grandezza naturale) sono stati realizzati intrecciando fil di ferro dal ‘Gruppo del Ferro’ di Pennabilli.

Anche il piemontese Umberto Eco, nel 1978, prese casa in Montefeltro, a Monte Cerignone. Una casa abbandonata da trent’anni che, per qualche motivo, lo rapì. Quando la moglie gli chiese perché voleva proprio quella e proprio lì, le rispose: “Voglio nelle notti di tempesta percorrere questi corridoi oscuri con una torcia in mano, sentendo nel cuore uno sterminato sentimento di potenza”. Magia, poesia. Eco cercò anche un fantasma (“perché una casa così senza fantasma non ha senso”). Chissà se lo trovò.

Persino il Dalai Lama, in persona e in ispirito, si dev’essere preso una cotta per questi luoghi perché, dopo aver visitato Pennabilli nel 1994, ci tornò nel 2005 per inaugurare una campana tibetana (la campana di Lhasa) sul colle che domina la splendida vallata sottostante.

La campana di Lhasa

Ma la storia di passioni intrecciate che mi interessa raccontare un po’ più per esteso, è quella del borgo storico del castello di Pietrarubbia (Petra Rubra) a cui si accede dal paese e di cui è la parte più antica. Arroccato su uno sperone di pietra alle pendici meridionali del Monte Carpegna, il borgo risale forse all’anno 1000. Numerose fonti citano un documento, datato 962 d.C., con il quale l’Imperatore Ottone avrebbe concesso in feudo a Ulderico di Carpegna il borgo; ma la tradizione popolare ne anticipa le origini addirittura al V° secolo d.C.

Ci arriviamo non senza sbagliare strada. E ci troviamo di fronte a un piccolo gioiello (la cui torre diroccata è semi-nascosta dalla vegetazione) e al suo alacre nume tutelare: il signor Anacleto Gambarara; dal 2017 unico residente del posto, frequentato dai turisti solo nella bella stagione. 

Torre diroccata

Visionario, musicista e sognatore, Anacleto è un convinto assertore del ritorno del Montefeltro al suo passato di grandezza culturale, naturalistica, gastronomica e architettonica. Per questo, muovendo mari, monti e volontà, quest’anno è riuscito a organizzare il primo Festival del Montefeltro a Pietrarubbia. Musica, Teatro, eventi e performance hanno animato il minuscolo paese in luglio e agosto.

Ma il suo precursore più illustre si palesò nel 1976, quando la passata grande storia di Petra Rubra sembrava destinata all’oblio e le sue pietre rosse di metalli, ad essere divorate dalla natura vorace del posto.

Tutto questo se Arnaldo Pomodoro (proveniente da Morciano di Romagna) non se ne fosse innamorato e non avesse deciso di comprare e ristrutturare una casa. Spendendo successivamente il suo nome per sensibilizzare il Comune e le autorità, ed avviare un’opera più generale di recupero dell’antica località.

Nella chiesa di San Silvestro, oggi recuperata grazie a lui, ci sono l’altare marmoreo e il grande sole bronzeo (con al centro una croce) realizzati dall’artista. Sarà il contesto, il silenzio, le mura romaniche della chiesetta, ma è una vista mozzafiato.

n Silvestro

Tuttavia, l’idea davvero esplosiva (che voleva riallacciarsi all’antichissima tradizione siderurgica e metallurgica del paese) fu quella dell’estate 1990, quando Pomodoro, con la collaborazione della Regione Marche e il Fondo Sociale Europeo, aprì il Centro di Trattamento Artistico dei Metalli: il T.A.M. Non è una delle attività più note dell’artista. E, francamente, me ne domando il motivo.

L’obiettivo primario del Centro era quello di fornire un’approfondita formazione e specializzazione tecnica e culturale a giovani operatori delle arti dei metalli (oro, piombo, stagno, acciaio, ferro, ottone, rame, bronzo…), unendo due ambiti che, di solito, restano distinti: quello tecnico-artistico e quello storico-teorico.
Nel 2007, il Centro è stato dichiarato Polo formativo Regionale di Eccellenza delle Marche.

Dal T.A.M, di fatto una scuola, sono usciti orafi, decoratori, progettisti, stilisti dello spettacolo e molti scultori.

Per anni la direzione artistica del Centro è stata curata personalmente dallo stesso Pomodoro (che l’ha presieduto fino alla chiusura) e dall’equipe del suo studio milanese. Successivamente dagli scultori Eliseo Mattiacci e Nunzio Di Stefano. Le lezioni sono sempre state tenute da specialisti qualificati e artisti di caratura internazionale.

Il T.A.M è stata purtroppo chiuso nel 2019, ma il signor Anacleto ci comunica che le opere dei migliori allievi si possono visitare in una mostra permanente.  Saputo ciò, attendiamo l’arrivo di suo figlio: detentore delle chiavi del Palazzo gentilizio in cui sono raccolte. 

Quando il ragazzo spunta da chissà dove, veniamo affidati alle sue cure e al suo sapere (buona parte di quello che scrivo, lo scopriamo da lui).  Ed ecco che ci si apre un altro mondo di sorprendente bellezza che il giovane ingegnere prestato all’arte, ci spalanca con una sorta di carbonaro entusiasmo. Quasi stupito che qualcuno condivida le sue passioni.

Rimaniamo di stucco. Oltre ad alcuni pezzi del Maestro Pomodoro, ci troviamo di fronte a sculture, gioielli, lavori di design che non sembrano certo opere di studenti, ma di Artisti fatti e finiti.

Il giovane ci racconta anche qualcosa degli autori. Alcuni dei quali hanno acquisito una certa notorietà. Ma purtroppo non ne tratteniamo i nomi, e più tardi, non troviamo nulla nemmeno in rete.

Quando usciamo dal Palazzo, un po’ rimbambiti sia dalla sovrabbondanza d’informazioni che dalla bellezza inattesa delle opere, torniamo sotto la benevola ala del signor Anacleto.

Quella sera c’è musica a Petra Rubra. “Un gruppo brasiliano da paura” ci avverte un simpatico elettricista dello staff già al lavoro.

C’è La locanda delle storie in cui poter mangiare (e addirittura dormire) e poi lo spettacolo. Ma abbiamo ancora metalli preziosi negli occhi. Pietra rossa e panorami/tavolozza.

Qualsiasi altra cosa, oltre al silenzio, oggi sarebbe troppo.   




Amleto Cataldi, lo scultore dannato / bannato.

Nel giugno 1909 fu indetto un concorso pubblico per la decorazione scultorea delle pile e delle testate di un ponte dedicato a Vittorio Emanuele II , a rappresentare “Le virtù del re”, che sarebbe stato inaugurato in occasione dell’Esposizione Universale del 1911, anno del cinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Un ponte intitolato al primo Re d’Italia, costruito per una occasione eccezionale di rilevanza mondiale, quindi. Ma la commissione non si fece condizionare dalla giovane età e dalla mancanza di notorietà del giovane autore. Complimenti quindi alla Commissione, per aver individuato un talento di tale portata. E complimenti, naturalmente, al nostro Amleto, che realizzò una vittoria alata in bronzo (l’unica con le braccia abbassate, tuttora “in situ”.

La sua attività è stata un susseguirsi ininterrotto di successi; commesse – pubbliche e private – esposizioni, biennali, fontane,
monumenti, decorazioni per edifici istituzionali sempre più prestigiosi, fino ad arrivare al coronamento dello Stadio
Nazionale di Marcello Piacentini con quattro gruppi di atleti in bronzo, davvero formidabili nella loro possente plasticità, anticipatrice di Botero.

Subito dopo questi magnifici lavori, Amleto incontrò la morte in età relativamente giovane e non sappiamo cos’altro avrebbe
potuto produrre; di certo la scultura allora perse un vero maestro, sul quale sarebbe lecito rintracciare qualche notizia in
più nei Musei e nelle pubblicazioni di Storia dell’Arte. Purtroppo, tranne qualche sporadica eccezione, non è affatto così:
tanto famoso in vita quanto oscurato post-mortem. “Colpevole” di aver attraversato splendidamente il periodo liberty, quello
ancor più elegante della secessione romana e quello dell’arte di regime; “colpevole” di essere sempre rimasto un artista
figurativo, disdegnando astrattismo e avanguardie di qualsiasi colore; “colpevole” – e questo, per certi critici da schieramento, è
il vero efferato delitto – di essere stato un vero classicista, focalizzando la sua ricerca sulla bellezza del corpo umano,
espressa con grazia femminile o potenza virile… fidatevi dei vostri stessi occhi, la nostra galleria fotografica parla forte e chiaro.

(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)

Aggiornamento (gennaio 2024)

I nostri accorati appelli sul recupero della figura di Cataldi sembrano non essere gli unici: il 23 ottobre 2023 si è svolta una giornata di studi “Cataldi classico alla Sapienza”. Di seguito i video documentari

…e un “bonus” :

Aggiornamento (11 gennaio 2024)