Earth Overshoot Day

[Che sia passato non vuol dire che non sia più importante…]

di Francesca Bux

C’è già stato e, come sempre, abbiamo fatto finta di niente.

Stiamo parlando dell’Earth Overshoot Day (EOD), in italiano “Giorno del Superamento Terrestre” e indica, a livello illustrativo, l’esatta data in cui il genere umano consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno.

Nel 2022 l’EOD è stato in piena estate, precisamente il 28 luglio. 

E mentre la maggior parte di noi era – giustamente – alle prese con vacanze, apertivi, spensieratezza e meritato relax, la nostra amata casa contava già un sovrasfruttamento delle sue risorse.

Facendo un po’di calcoli, si può tranquillamente stimare che, procedendo di questo passo, intorno al 2050 l’umanità consumerà ben il doppio di quanto la Terra produca.

È Evidente come questo non porterà davvero nulla di buono.

Ma visto che ogni anno è sempre diverso, come si fa a calcolare il giorno esatto in cui cade l’EOD?

Ci pensa il Global Footprint Network Gfn, un’organizzazione internazionale che si occupa di contabilità ambientale calcolando l’impronta ecologica.

In pratica, grazie a calcoli a dir la verità non troppo difficili da capire, viene determinato il numero di giorni dell’anno che la biocapacità terrestre riesce a provvedere all’impronta ecologica umana.

Ci spieghiamo meglio.

Il calcolo del giorno definito come Earth Overshoot Day è dato dal rapporto tra la biocapacità del pianeta(ovvero l’ammontare di tutte le risorse che la Terra è in grado di generare annualmente) e l’impronta ecologica dell’umanità (la richiesta totale di risorse per l’intero anno). 

In questo modo, si riesce a stimare la frazione dell’anno per la quale le risorse generate riescono a provvedere al fabbisogno umano e, moltiplicando per 365, si ottiene la data dell’Earth Overshoot Day. 

Perciò:

Dove: 

BIO = biocapacità annuale del pianeta Terra

HEF = impronta ecologica annuale dell’umanità

L’umanità ha iniziato a consumare più di quanto la Terra producesse già nei primi anni Settanta: da allora il giorno in cui viene superato il limite arriva sempre prima (nel 1975 era il 28 novembre) e questo per via della crescita della popolazione mondiale e dell’espansione dei consumi in tutto il mondo.

“Il problema principale è che, nonostante l’evidente deficit ambientale, non stiamo prendendo misure per imboccare la giusta direzione – ha dichiarato Mathis Wackernagel, presidente del Gfn. – è una questioneanche psicologica: quello che è ovvio per il 98 % dei bambini, è considerato dai pianificatori economici un rischio minore ,che non merita la nostra attenzione”.

Ma cosa si può fare concretamente per invertire la rotta e iniziare a prendersi davvero cura del nostro pianeta?

  • Stimolare settori emergenti – come le energie rinnovabili – riducendo così i rischi e i costi connessi a settori imprenditoriali senza futuro, perché basati su tecnologie vecchie e inquinanti
  • Disinvestire sulle fonti fossili, a favore delle energie pulite
  • Riducendo il consumo di carne, la cui produzione ha un terribile impatto ambientale
  • Consumare prodotti provenienti dal proprio territorio
  • Evitare gli sprechi alimentari

Noi stiamo consumando il capitale naturale, come se avessimo a disposizione 1,75 Terre e capite bene che questo non è più sostenibile.

“La terra è un bel posto e per essa vale la pena di lottare.”

(Ernest Hemingway)


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




M come Mamma

La statua di una mamma nel porto di Odessa (Ucraina)]

Un vecchio proverbio dice: “Dio non poteva essere dappertutto e allora ha inventato le mamme”.

CURIOSITÀ
Nella maggior parte delle lingue di tutto il mondo, la parola “mamma” inizia sempre con la lettera “m”.

Mummy, mum, mother (inglese🇬🇧),
mamá (spagnolo🇪🇦),
mom (tedesco🇩🇪),
maman (francese🇫🇷),
mamãe (portoghese🇵🇹),
mami (albanese🇦🇱),
mamma (norvegese🇳🇴, islandese🇮🇸),
mamă (rumeno🇷🇴),
mama (ucraino🇺🇦, olandese🇳🇱, croato🇭🇷),
maminka (ceco🇨🇿),
mor (danese🇩🇰).

Anche nei paesi molto più lontani dal nostro la pronuncia è uguale.

A Samoa 🇼🇸 mama,
nelle Figi🇫🇯 nana,
in singalese🇱🇰 amma,
in cinese🇨🇳 mama,
in eskimese anana,
in zulu umama,
in swaili mama.

PERCHÈ ?
Sembra che nei primi mesi di vita, tutti comunichiamo allo stesso modo e che il suono vocale A, unito ai suoni nasali M e N, sia uno dei più semplici da pronunciare in assoluto.
Esista anche il mantra “MA” che è considerato molto protettivo.

Cieli sereni
PG




I confini del tuo linguaggio sono i confini del tuo mondo.


di Matteo Moro_

Domandatevi da dove venite e cosa volete. Fate altrettanto con il vostro vicino di casa, o con la persona che è immersa totalmente nel suo cellulare sul sedile accanto al vostro in metropolitana.

Una domanda così semplice si basa su una lunga serie di presupposti condivisi: conoscere il significato delle parole utilizzate, conoscere la forma interrogativa di una frase, condividere lo stesso idioma. 

Semplice”, starete pensando. 

Al massimo vi toccherà improvvisare in una lingua straniera che avete appreso al liceo o in una scuola serale.

Ma immaginate ora di dover porre la stessa domanda a degli alieni. 

Da dove si comincia a costruire una forma di comunicazione, quando si proviene da mondi diversi, e non si condivide quasi nulla?

La questione, che apre molti interrogativi di natura filosofica ed etica, mette in discussione l’universalità dei significati del mondo in cui siamo immersi e il modo stesso in cui lo concepiamo. 

L’argomento è stato affrontato in un racconto di Ted Chiang, da cui è stato poi tratto il film “Arrival” [2016] diretto da Denis Villeneuve.

Il racconto dal titolo “Story of Your Life”, tenta di spiegare la difficoltà di un dialogo con uno straniero, in questo caso degli Alieni, che non sia suscettibile di incomprensioni.

La storia narrata ha la caratteristica di essere “palindroma”, cioè può essere “letta” dall’inizio alla fine e viceversa, lasciando poi al lettore la possibilità di comprenderne il senso e il significato linguistico, in un senso o nell’altro.

Questa una delle (molteplici) chiavi di lettura. 

E’ il nostro pensiero che determina il modo in cui ci esprimiamo, o la struttura della lingua che parliamo eserciterebbe un’influenza sul processo di categorizzazione mentale di chi parla?

Benjamin Whorf, noto linguista e antropologo americano, insieme al suo maestro Edward Sapir diede vita a uno dei più famosi assiomi linguistici di sempre, la Sapir-Whorf Hypothesis, secondo cui il nostro modo di esprimerci e comunicare, in tutte le forme e modalità, determina il nostro modo di pensare; è quella che viene comunemente riassunta come ipotesi della relatività linguistica. 

“La nostra analisi di ciò che ci circonda e viviamo, segue linee tracciate dalle nostre lingue madri.  Le categorie e le tipologie che individuiamo nel mondo dei fenomeni non le troviamo lì come se stessero davanti agli occhi dell’osservatore; al contrario, il mondo si manifesta in un flusso caleidoscopico di impressioni che devono essere organizzate dalle nostre menti, cioè soprattutto dai sistemi linguistici nelle nostre menti. Noi tagliamo a pezzi la natura, la organizziamo in concetti, e nel farlo le attribuiamo significati, in gran parte perché siamo parti in causa in un accordo per organizzarla in questo modo; un accordo che resta in piedi all’interno della nostra comunità di linguaggio ed è codificato negli schemi della nostra lingua…”.

Nel racconto a cui abbiamo accennato, gli Alieni offrono la possibilità di comprendere la propria facoltà comunicativa, conoscendo la quale si riesce a concepire il loro concetto di tempo non lineare, ma circolare e, di conseguenza, a concretizzarlo in una possibilità, in un dono. Il dono di aprire, figurativamente parlando, un varco nel cerchio dello spazio-continuum, per permettere alla mente umana l’ingresso e uno sguardo nuovo, proiettato in avanti.

Conoscere il futuro, in fondo, significa guardare i propri errori, per comprenderli ed evitare quindi di (ri)commetterli.

Si ritorna allora all’ipotesi di Sapir-Whorf: Il linguaggio incide sulla visione delle cose e dunque se è vero che la lingua che parli determina il tuo modo di pensare, allora è altrettanto vero che, studiandone una nuova, è come se il tuo cervello subisse una decodificazione.

Whorf stesso sosteneva che “Non possiamo parlare affatto, se non accettiamo l’organizzazione e la classificazione dei dati che questo accordo stipula […] significa che nessun individuo è libero di descrivere la natura con assoluta imparzialità, ma è costretto a certi modi di interpretazione, anche quando si ritiene completamente libero.

A dimostrazione della natura intrinsecamente interpretativa del linguaggio, la stessa teoria ha due diverse interpretazioni, una versione forte e una debole.

La prima è nota come determinismo e afferma che il nostro pensiero è interamente determinato dalle strutture della lingua; la versione debole della teoria è definita invece relativismo: le strutture delle lingue eserciterebbero un’influenza sul processo di categorizzazione mentale di chi parla.

“Se si tracciano dozzine di linee di forme differenti, le si nota subito come classificabili nelle categorie di “rette”, “contorte”, “curve”, “zig zag”, perché i termini linguistici contengono in se stessi un carattere stimolante la classificazione. Noi vediamo e udiamo e facciamo altre esperienze in un dato modo in gran parte perché le abitudini linguistiche della nostra comunità ci predispongono a certe scelte di interpretazione.”

Che propendiate per l’una o l’altra interpretazione della teoria , sappiate che la lingua che usate ogni giorno non è così neutra e ovvia come avete sempre immaginato. Ogni volta che parliamo forniamo una rappresentazione simbolica e tangibile della nostra mente e del modo in cui concepiamo il mondo.


Matteo Moro

Architetto dati che lavora nel settore dell’informatica e dei servizi. Interessato alla matematica, al monitoraggio delle prestazioni e a tutto ciò che riguarda il Machine Learning. Professionista dell’ingegneria con un Master focalizzato in Matematica e Informatica presso l’Università degli Studi di Roma Tre e l’Univeristé Aix-Marseille.