Il ritorno dell’Audio

Intervista a Valentina Serafin

Quante persone ascoltano la radio in Italia? Quante sono le emittenti nel nostro paese? Con quali strumenti si fruisce maggiormente del mezzo radiofonico?

Secondo i dati ricavati in Rete, sono 35 milioni gli italiani che mediamente ascoltano la radio.

Le emittenti nel nostro paese sono circa un migliaio in totale, ma concretamente quelle che vengono ascoltate sono più o meno 300. Le altre hanno quindi un impatto poco rilevante: o perché non sono attive, o perché non ascoltate.

Di queste 300 radio, quelle che hanno una dimensione d’impresa rilevante sono circa la metà, questo soprattutto è dovuto all’impossibilità del mercato a sostenere un numero così alto di player.

Nonostante questa forte riduzione, l’Italia vanta comunque il primato europeo di numero di emittenti, in rapporto alla popolazione.

Se si vanno ad analizzare le fasce di popolazione, la radio viene ascoltata principalmente dagli adulti. I giovani, specie nella fascia 10/20 anni, preferiscono fruire della musica attraverso altre piattaforme on demand (ad esempio Spotify o Youtube).

Negli ultimi tre mesi c’è stata l’esplosione di Clubhouse che ha riportato la voce al centro, ma sembra che la curva sia drasticamente in discesa, soprattutto perché non si riesce a trovare il modo di monetizzare questa piattaforma.

In questa realtà decisamente rilevante, quanto è importante il mestiere dello Speaker radio?

Iniziamo col dire che il mestiere dello speaker, è un vero e proprio lavoro, che richiede a certi livelli una professionalità altissima.

Preparazione, molto studio e tanti sacrifici.

Non è cosi scontato riuscire ad emergere in questo settore. Non si diventa professionisti improvvisandosi e nemmeno avendo una bella voce.

Sono caratteristiche importanti ma vanno sviluppate.

“ Il lavoro dello speaker, come molti altri, inizia spesso la mattina presto su di un treno affollato, una metropolitana oppure una macchina per raggiungere il posto di lavoro “ ci spiega Valentina Serafin, una delle figure emergenti di questo settoreche può essere lo studio di registrazione, l’emittente radiofonica , una sala-conventionoppure l’ufficio di un cliente. ”.

Valentina Serafin

Nell’immaginario collettivo uno speaker fa una vita agiata e comunque piena di notorietà e lusso.

“Spesso per guadagnare uno stipendio medio, bisogna speakerare svariate righe di un anello di doppiaggio, oppure decine e decine di spot promozionali, di documentaridi vario genere o lunghi discorsi e letture in eventi pubblici e privati”.

Molti speaker radiofonici hanno fatto il salto in tv. Forse è questo il momento in cui si passa da voce nota a viso noto. E quindi alla celebrità?

“Sono tanti gli speaker radio che sono diventati conduttori tv: Nicola Savino, Alessandro Cattelan, Luciana Littizzetto, Amadeus, Gerry Scotti, lo stesso Fiorello. Quando erano in radio nessuno li riconosceva per strada. Dunque direi che la risposta è si, passando al video si diventa noti.

Hai citato nomi notissimi, ci sono tuoi colleghi meno conosciuti che hanno intrapreso questo cammino?

Ce ne sono moltissimi altri , soprattutto della nuova generazione. Non faccio nomi per evitare di far torto a qualcuno che mi scorderei sicuramente.”

Facciamone uno solo allora.

Oggi Diletta Leotta, che era la voce di 105 Take Away, è la conduttrice numero uno del pacchetto sportivo di Dazn. “

Io credo che la preparazione di uno speaker radiofonico richieda molta più preparazione di un collega in video, perché quest’ultimo può far ricorso alla mimica e alla gestualità che in radio non possono venirti in aiuto.

E’ vero, e non solo. Spesso il nostro lavoro si porta a casa nel proprio studio personale (home-studio), ricavato in un piccolo angolo di casa. Una preparazione attenta e meticolosa degli argomenti, che vanno studiati e approfonditi.

Un po’ come quando si andava a scuola..

Esatto. Io ho fatto il Liceo Classico e ho studiato Latino e Greco che peraltro ricordo perfettamente. Il metodo di studio e l’approccio a quelle materie mi sono molto utili quando mi preparo per un lavoro.

Vuoi dire che bisogna essere laureati per fare lo speaker (risata)?

Esistono scuole specifiche per diventare speaker, ad esempio quelle di dizione che ho frequentato a Roma, o anche corsi di teatro che ti permettono di impostare la voce, ed entrambi mi sono stati utili e fanno parte del mio bagaglio professionale. Naturalmente chi ha del talento, può emergere lo stesso, ma io sono del parere che solo il talento non basta.

Un professionismo in continua evoluzione?

Il mercato cambia continuamente, gli speaker si improvvisano ogni giorno, basta andare su ClubHouse e si trovano moderatori di ogni tipo. Non basta aprire un microfono e parlare. Bisogna conoscere i tempi, e saper far parlare anche gli ospiti o gli altri interlocutori.

E dunque?

Studiare, studiare, studiare. Comprendere i cambiamenti, aggiornarsi e non sentirsi mai arrivati.

Quindi la prossima volta che ascolterete una voce in tv, in radio, in uno spot televisivo, oppure ad una convention, ricordatevi che dietro quella voce e quella persona, quel professionista, si nasconde un uomo oppure una donna come Valentina Serafin.

Una Professionista, con la P maiuscola.

https://valentinaserafin.it/
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https://www.instagram.com/_valentinaserafin_/




Il Cigno Nero

Il cigno nero, raro animale acquatico dalle forme molto eleganti è un paradigma che ci riguarda tutti, come singole persone e come collettività.

E’ la definizione dell’improbabile che spesso governa e confonde, in qualche modo, le nostre vite. Un imprevisto, il caso, un qualcosa che non era proprio all’orizzonte, che cambia in modo radicale la nostra esistenza, in quanto si tratta di un avvenimento che non eravamo preparati ad accogliere.

Cambio scena

La prima volta che ho incontrato, casualmente (questa parola tornerà spesso) Roberta, mi hanno colpito due cose di Lei. Sorrideva sempre, e guardava dritto negli occhi. Non in maniera aggressiva, ma certamente riusciva, non volendo, a metterti a disagio, perché era come sentirsi disarmati di fronte a lei.

Era passata per fare uno shooting sul suo progetto “Smiles Are Viral” , delle shopper di cotone e juta , ecosostenibili, prodotte da una cooperativa di ragazzi Senegalesi, con un enorme smile stampato sui due lati .

Il prodotto che ne usciva fuori non era banale: dentro c’è tutto. Solidarietà, ecosostenibilità, personalità, sorrisi, amore.

Un melting pot di culture, credenze, esperienze di vita.

Le Borse che ridono, come le chiamo io, escono dai confini dell’oggetto di uso quotidiano, e diventano qualcosa che ti accompagna nella tua quotidianità, fino quasi a perdere lo scopo per le quali vengono usate.

Un esempio? Vengono vendute dentro le buste del pane!

“Non è un caso che tutti i fenomeni della vita umana siano dominati dalla ricerca del pane quotidiano” mi dice Roberta “e il suo profumo è il più antico legame con le nostre origini. Aprire una busta del pane e sentirne l’odore ti rimanda al nostro mondo più intimo, alla nostra infanzia, a qualcosa di rassicurante. Io voglio che le mie borse siano questo”

Una coperta di Linus, un portafortuna, qualcosa da abbracciare e che ha un Anima.

Roberta mi ha incuriosito così e, parlando, mi ha raccontato della Spagna, dei suoi anni di danza classica, e della sua vita che ha “ripulito” partendo da se stessa, con momenti intensi di meditazione e yoga.

Il Veganismo che oggi è parte della sua filosofia  (abbiamo scherzato su questo)  è il Karma che sconta per i lavori del nonno e del padre, che trattavano carni e pelli.

“Ripulirsi dentro” è una necessità che ad un certo punto della vita diventa essenziale. Mi alzo ogni mattina alle 5.30 e faccio due ore di Yoga e meditazione, e questa è diventata una esigenza, non un abitudine, dalla quale non posso prescindere “

Adotti qualche tecnica particolare?

“Assorbo ed indirizzo l’energia vitale attraverso il controllo ritmico del respiro. Quando raggiungo questo controllo, non sempre, riesco a rendere la mia mente stabile, forte e tranquilla”

Stai parlando di Yoga quindi?

“In particolare questo è il Pranayama, una tecnica specifica del respiro attraverso la quale si ottengono molti benefici, anche fisici, se combinati con una disciplina yoga.  Io in particolare pratico l’Ashtanga Yoga, che si basa sulla coordinazione del respiro e il movimento, dunque assumendo posizioni diverse, le Asana”

E’ una disciplina o uno “state of mind”?

“Entrambe le cose. Fisicamente mi ha aiutato aver praticato 17 anni di Danza Classica, ma lo yoga è tanto altro. È oltre “

C’è un fil rouge tra il tuo progetto “Smiles are Viral”, il tuo veganismo, e lo Yoga? Io non faticherei a trovarlo.

“Non saprei, forse è casuale, o forse no. Direi che è più un qualcosa che non era proprio all’orizzonte, che ha cambiato in parte la mia esistenza, in quanto si tratta di un avvenimento che non ero preparata ad accogliere

In che senso?

“Io vivevo tra l’Italia e la Spagna dove ho studiato per diversi anni, ed una volta rientrata a Roma poco prima del lockdwn, sono rimasta bloccata. E’ successo a molti, lo so, ma il progetto delle borse è partito quando mi sono ritrovata qui. Se fossi stata ancora in Spagna, non lo so, forse avrei fatto l’insegnate di Yoga”

Un progetto che sembra casuale ma che in realtà ha dietro molti contenuti.

“Il progetto delle borse lo considero come un figlio, e lo curo con la massima attenzione, dunque forse è nato casualmente, ma è molto della mia vita, oggi”

Una attività imprenditoriale, come la vendita di borse in questo caso, ha sempre un obiettivo economico, che in qualche modo “contamina” la purezza di un Progetto.

“La monetizzazione non è il mio obiettivo primario per Smiles Are Viral. Prima c’è la solidarietà, la realizzazione di qualcosa che possa essere utile e coinvolgere. All’interno delle mie borse ci sono etichette disegnate da bambini che non vengono buttate, ma usate come segnalibri”.

Più che un progetto di impresa, dunque, possiamo parlare di una Visione?

“Si, prima ho detto “figlio”, ma anche “Visione” ha un senso. “

Oppure un sogno?

“I sogni sono desideri, come diceva una canzone, e il mio desiderio è tornare a vivere in Spagna, ed essere serena con me stessa, e dunque con il mondo”.

E’ il momento di salutarci, perché inizia la sessione fotografica delle “Borse che ridono”. Dobbiamo farlo con un colpo di gomito, come vuole il galateo di quest’ultimo anno

“ Ma quale gomito, abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene” mi dice sorridendo Roberta “quando ti sorride il cuore, tutto il resto viene contagiato, e non puoi fermarlo”.

Let’s Get infected” mi grida da lontano!!

E ci illumina con il suo sorriso. Il mio. Il tuo. Il mio, Il suo, I nostri.

Grazie Roberta, di cuore!

https://smilesareviral.it

https://www.instagram.com/smilesareviralofficial/

https://www.instagram.com/breatheandsmileofficial/




Poco da gasarsi

(di Marina Ruberto)

Anni fa, in Italia, la musica era ribelle.

I giovani se lo sentivano cantare da Eugenio Finardi e si gasavano.

Oggi, a Sanremo i “Ciovani” hanno gioito per la vittoria dei Måneskin: band rock di duri e puri la cui esponente femminile, durante la premiazione, ha riempito di parolacce i conduttori, rei di aver chiesto al gruppo un’altra esibizione.

Per carità.

In linea con l’immagine grintosa e il look dei quattro che, però, (per non incorrere nel reato di “già visto”) potevano fare a meno di sciogliersi in lacrime di commozione sul palco. Cosa che, invece, hanno puntualmente fatto.

Quanto al testo di Zitti e buoni, bah.

Sembra che la ribellione consista nell’affermare di essere diversi (da chi? Ah: da “loro”. Loro chi? La gente che non sa di cosa parla, gli uomini in macchina che non scalano le rapide, gli spacciatori che non aprivano la porta…) nonché “fuori di testa”.

Måneskin – ZITTI E BUONI (YouTube)

Bene.

A parte l’episodio abbastanza isolato, per lo più, oggi i “Ciovani” ascoltano Rap.

A chi fosse interessato, segnalo un articolo su alcuni dei suoi esponenti. Ma ce ne sono molti altri.

Io, che giovane non sono, mi limito ad osservare che i testi vertono (salvo eccezioni) su sesso, droga, nonsense e, a volte, persino violenza.

A caso, dal brano Lento di BoroBoro:

Giro por la calle e sono attento/Lei sopra di me lo muove lento/Steso dentro al letto, giuro che la spengo/E dopo faccio
Ra-pa-pam-pam
Ra-pa-pam-pam
Ra-pa-pam-pam”

E via così.

Ma l’ultima frontiera (che data ormai qualche anno) della musica Ciovane è il Trap. A chi fosse interessato e amante delle distorsioni vocali dell’Auto-Tuner, segnalo un altro articolo:

https://ripetizioni.skuola.net/blog/10-cantanti-della-musica-trap-italiana/

Ancora più che nel rap, qui si parla spesso di autoreferenzialità varie.

Sfera Ebbasta, uno dei portabandiera del genere, da tanto è diventato famoso, ha fatto pure un film che s’intitola (appunto) Famoso ed è un documentario sulla sua ascesa ai vertici delle classifiche europee.

Il testo della canzone omonima, recita:

Ora che sono famoso voglion farsi la foto/ fissano la collana, fissano l’orologio/

da piccolo guardavo /le scarpe in quel negozio/ mo’ tutte quelle che voglio/ le metto solo un giorno/ Non mi facevano entrare manco a pagare/ mò mi devono pagare per farmi entrare…”

Tutto chiaro?

Oltre a Rap&Trap ci sono le nicchie impegnate, naturalmente. Non proprio originali, a parer mio.  Tutti un po’ figli di Francesco DeGregori, ma lontani i chilometri.

C’è l’acclamato e  ben prodotto Mahmood (ospite a Sanremo), dal timbro vocale interessante e le melodie finto/arabeggianti, che continua a firmare successi. Quest’anno ha co-firmato la canzone seconda classificata, Chiamami col mio nome dall hype “ignorante”, appiccicosissimo e tutto sommato gradevole.

Bello l’official video della canzone, in cui il duo Fedez- Michielin canta dai palchi di una serie di teatri vuoti o chiusi per sempre durante la pandemia.

C’è Willie Pejote, a Sanremo pure lui con un brano come sempre ben scritto e divertente. Ci sono le giovani promesse che rimangono tali e infine c’è Ultimo, secondo all’edizione 2019, che pare riempia gli stadi con le sue canzoni pop/hip hop/altro.

Gli Ultimi saranno i primi. Già.

http://www.marinaruberto.eu/




La melanzana di David

Incontro David (David D’Amore) dopo qualche anno che non ci si vedeva.

Oggi capisco che quella che sembrava una forma di contestazione formale era una visione del futuro.

Ricordiamo brevemente i vecchi tempi e ci proiettiamo sull’oggi. Anzi, verso il domani.

D. Il nudo continua ad essere al centro delle tue opere. Perché la scelta dominante e quasi ossessiva di figure, diciamo, svestite? 
R.Credo che rappresentando il corpo si possa lavorare sulla mente. Il corpo come mezzo per scavare nel profondo a patto che il profondo esista. Il richiamo del corpo è sempre irresistibile, i tramonti possono essere stupendi, una notte stellata può essere molto romantica, ma vuoi mettere un bel paio di chiappe? 

D.  La tua produzione artistica è enorme. Disegni, incisioni, dipinti, fotografie, musica. Da cosa nasce l’esigenza di creare così tanto materiale? 
R.  Per uno che non sa fare niente l’arte era l’unico mezzo per passare il tempo. In genere le idee più brillanti mi vengono quando, in sella al mio motorino, percorro le strade di campagna in cerca di una grotta in cui infilarmi per qualche ora. 

D.  Sembra quasi che tu voglia, nei tuoi lavori, confermare una sorta di nichilismo dell’essere umano, enfatizzando  l’inutilità della ripetitività.

R.   Non sono un misantropo, in me, purtroppo, è più presente il vizio della filantropia.  

D.  Non credi che la misantropia sia una sorta di ispirazione per un Artista? Eppure  l’arte dovrebbe essere fruita dalla gente, da un pubblico. Non è un controsenso?
R.  Siamo esseri fallibili e soprattutto volubili. A causa delle nostre altalenanti vicende quotidiane  un giorno siamo fieri filantropi e il giorno dopo siamo misantropi convinti. In genere negli artisti subentra la misantropia quando si è incompresi o sottovalutati.

D.  Tu utilizzi il corpo come un contenitore, un oggetto, e lo associ sempre ad oggetti esterni a lui, come se volessi mettere in risalto la incomunicabilità delle due realtà. Questo genera una sensazione di violenza estetica, blasfema, ma con un obiettivo poetico.

R.  Sono un pessimo esempio per le nuove generazioni, lo ammetto. Nella prossima vita giuro che dipingerò solo prati in fiore e fotograferò esclusivamente località sciistiche con annessi impianti di risalita. Il termine che hai coniato, ”blasfemia poetica”, mi piace, potrebbe essere il titolo della mia prossima fotografia.

D.  Ho visto che spesso nelle tue opere compare l’immagine di una melanzana, o cucita o dipinta. Perché hai scelto proprio quell’ortaggio? 

R.  Ho scelto la melanzana per motivi estetici, non filosofici o esoterici. I riflessi sul corpo liscio di una melanzana sono fantastici da dipingere e anche da fotografare. Una mia foto del 1998, intitolata “Dissidente”, rappresenta una melanzana con un profondo taglio ricucito chirurgicamente. 

D.  Ti sei sentito o ti senti influenzato da alcuni artisti, da alcuni autori, anche letterari, nel tuo modo di produrre?
R.  L’espressionismo nordico mi ha molto attratto, ma troppe sono le cose che mi affascinano, potrei fare un elenco infinito di pittori, musicisti, registi, scrittori e fotografi importanti per la mia crescita artistica. Tra i pittori al momento ammiro il Guariento e Dierick  Bouts.  

D. Esiste un modus operandi di procedere per costruire e dare vita alle tue opere?
R.  Durante il giorno ho delle vere e proprie visioni ad occhi apertiSubito corro nel mio studio, ricreo la scena che ho visto e la fotografo. La foto rappresenta una sorta di appunto sul quale posso poi lavorare di nuovo per migliorarla.

D.Che rapporto hai con le tue opere una volta create?”   

 R.Il  rapporto con le mie opere è difficile, a volte arrivo a odiarle.   

D.  Credi nell’uomo?
R.  Ci vorrebbero cento vite per tentare di decifrare la natura umana. Io di vita ne ho solo una e cerco di dedicarla a cose più elementari e piacevoli. 

D.  C’è qualcosa che non hai ancora fatto e che ti piacerebbe fare? 
R.  Mi piacerebbe essere un artista ricco e famoso, possibilmente senza vocazione, che dipinge, suona o fotografa solo per il mercato

D.  L’amore è sopravvalutato? 
R.  Si, come tutti i vizi e le perversioni. 

D.  La morte è qualcosa di liberatorio? 
R.  Se tutto va bene, a noi umani ci attende l’inferno.

https://davidamore.weebly.com/




Il suono intrappolato

Al centro: Infiltration Homogen für Konzertflügel, Joseph Beuys, 1966. Paris, Centre Pompidou.

(di Cristiana Caserta)

Joseph Beuys amava il feltro, fin da quando, pilota nella Seconda guerra mondiale, abbattuto dal nemico e precipitato col suo aereo in Crimea, sperimenta il freddo e rischia di morire assiderato: lo salva un gruppo di nomadi tartari, curandolo con antiche pratiche mediche. Di feltro era il suo cappello, iconico, che ne sottolineava lo sguardo fermo.

Ricoperta di feltro è anche una delle sue opere più famose: Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda (1966), a Parigi, Centre Georges Pompidou.

L’installazione consiste in un pianoforte interamente avvolto nel feltro grigio. Il suo interesse risiede non soltanto nella rete di concetti che ha presieduto alla sua ideazione e realizzazione, ma al dialogo che è capace di intessere con altre immagini. L’immagine del pianoforte ‘incappottato’ – così apparentemente eccentrica – è capace di attrarre altre immagini, e aggregarle. Come in una Tavola del Bilderatlas di Aby Warburg, il geniale storico dell’arte tedesco che aveva ideato un Atlante di immagini, organizzate in Tavole – su ciascuna tavola un montaggio fotografico di riproduzioni di opere diverse, ritagli di giornale, etichette e altro – intorno a motivi, temi iconografici.

Di che parla infatti Infiltrazione omogenea? Del suono. E del silenzio. Il pianoforte è, come altre ‘opere’ di Beuys, un oggetto che racconta la sua storia. Questa storia è fatta di suono e di silenzio: di suono, perché il pianoforte può produrlo: anzi, è costruito per produrre un suono; di silenzio, o di ‘suono in potenza’, che è ciò che accade quando lo strumento non è usato, quando nessuno esercita su di esso un’attività creativa. Ma l’installazione dice più di questo: il suono del piano è intrappolato dentro un panno di feltro.

Se un pianoforte ha sempre un suono potenziale, “in questo caso – dice Beuys – invece non è possibile nessun suono e il pianoforte è condannato al silenzio. (…) Infiltrazione omogenea descrive il carattere e la struttura del feltro, così il piano diventa un deposito omogeneo di suono con la capacità di filtrare il suono attraverso il feltro. L’aggancio con la posizione dell’uomo è indicato dalle due croci rosse che stanno a significare emergenza, il pericolo che ci minaccia se rimaniamo in silenzio”.

Il pianoforte non è dunque semplicemente non-usato, è messo proprio a tacere, “muto, sofferente”, volontariamente intrappolato nel feltro. Il feltro: isolante nei confronti del calore, dell’energia e del suono.

Cioè: silenzio non è semplicemente l’assenza di suono; la sua impossibilità è creata artificialmente attraverso l’isolamento. E il feltro è la materia che racconta questo isolamento.

[Beuys prese parte al movimento Fluxus, che portò in Europa le concezioni del Neodadaismo americano a partire dagli anni ’50; ma si ricollega anche a Tatlin e all’Avanguardia russa degli anni della Rivoluzione d’Ottobre. L’artista sovietico sperimenta viene l’interdizione della voce, della rappresentazione del movimento, di tutto ciò che può alludere al cambiamento dello stato di cose. Tatlin tende allora a far muovere letteralmente le persone, gli oggetti, le luci. Prendendo spunto dall’esperienza teatrale. Questa nuova grammatica artistica è presupposta dalle installazioni di Beuys e dalla riflessione sul silenzio imposto.]
Da Infiltrazione omogenea si deve fare un salto indietro di qualche migliaio di
anni per imbattersi in alcune immagini che lasciano perplessi gli studiosi.
Nella pittura vascolare greca alcuni eroi del mito appaiono raffigurati in una
strana posizione: seduti, in pensiero, col busto piegato in avanti e la mano
posata sul capo. Nulla di strano. Ma anche: avvolti nei mantelli,
letteralmente imbacuccati (che siano mantelli, cioè feltro o lana, e non velo lo sappiamo per certo: i pittori greci erano maestri nella resa pittorica della trasparenza).
Sorprendentemente, è spesso raffigurato in questo atteggiamento il guerriero per eccellenza: Achille. In diversi momenti della sua breve e gloriosa vita raffigurati dai ceramografi, l’eroe sta seduto, ammantato.
Una postura che toglie al corpo ogni possibilità di movimento, ogni agilità.

In Omero, cioè nel testo da cui quelle immagini dipendono, non c’è niente del genere. Achille è seduto, sì, ma non avvolto nel mantello.
Il ceramografo, anonimo, pensato di rendere figurativamente in questo modo il silenzio sdegnato dell’eroe, il versante sonoro della sua ira. Cioè l’assenza di sonorità. Sia quando soffre per l’affronto di essere privato della schiava Briseide, prelevata dalla sua tenda per essere donata ad Agamennone; sia quando gioca a dadi con Odisseo che vuole convincerlo a riprendere la guerra,

o quando la madre Teti lo consola per la morte di Patroclo, amico adorato; in tutte queste occasioni Achille è ‘sordo’ ad ogni tentativo di persuasione e incapace di articolare parola, muto. Solo e in disparte, mentre intorno a sé infuria la battaglia, Achille è isolato, invisibile. E perciò, in figura: ammantato.
[In gioco, nell’ira di Achille, c’è più di uno sgarbo ricevuto. Egli ha subito una ferita profonda, che sfigura
non il corpo ma l’onore, che i Greci chiamavano timé: privato della sua donna, il suo “dono”, egli è ridotto
all’impotenza tout court.]

Completiamo la Tavola col fotogramma di un film di Giovanni Veronesi di qualche anno fa: Manuale
d’amore 2. Capitoli successivi.
È un dialogo fra il protagonista Ernesto (Carlo Verdone) e Fulvio, un conduttore radiofonico (Claudio
Bisio).
Ernesto è un uomo di mezz’età, con un matrimonio noioso ed una vita abitudinaria, improvvisamente
sconvolta dall’arrivo di Cecilia, giovane, bella, abbandonata dal padre.
Inizia una intensa e passionale relazione.
Una scena del film ci mostra Ernesto e Cecilia sulla terrazza di un palazzo popolare, fra i fili del bucato e i panni appesi, che si nascondono sotto un lenzuolo (Veronesi gioca con la scena in terrazza di Una giornata particolare con Loren e Mastroianni.) Ed ecco perché, malato e tornato infine dalla moglie, Ernesto racconta – a Fulvio in diretta radiofonica – la fine della storia in questo modo (corsivi miei):
Fulvio: “No no Ernesto, non mollare adesso eh! Regalaci ancora un’immagine”.
Ernesto: “Ma che ne so Fulvio, che ne so… Io non avevo mai tradito mia moglie e da quel giorno non l’ho fatto più, però, ogni tanto, quando litighiamo e ho voglia di sentirmi un po’ infedele, vengo qua su in questa terrazza, prendo un lenzuolo e me lo metto in testa, poi recito quella poesia. ‘C’è la neve nei miei
ricordi / c’è sempre la neve / e mi diventa bianco il cervello / se non la smetto di ricordare’”.
Le immagini intanto scorrono su Ernesto che si copre la testa con un lenzuolo.

Fuori, il mondo con le sue rassicuranti noiose abitudini. La trappola matrimoniale ha silenziato la voce di
Ernesto ed essa si può esprimere soltanto dentro lo spazio del lenzuolo. E si esprime con le parole di lei,
in poesia, la poesia di Cecilia. Rivive empaticamente il mondo interiore di Cecilia e trova in esso la voce
perduta.
Ma che ne è del suono di Achille? Ebbene in Omero, quando l’eroe decide di partecipare infine alla
battaglia, di mettere da parte l’ira, egli si alza in piedi (era stato sempre seduto, durante la sua ira) a capo
scoperto, disarmato e si fa vedere dai nemici dall’alto di un fossato:
“Tre volte sopra il fossato gridò alto Achille glorioso,
tre volte furon sconvolti i Troiani e gli illustri alleati”
Non sfugga la precisazione “tre volte …. tre volte”: è la corrispondenza fra il gettito di voce e la reazione
dei nemici. La voce di Achille – quando decide di usarla – non è inutile, il suo grido non è frastuono né
schiamazzo, non cade invano: ogni sua emissione ha il suo effetto, l’effetto per cui è stata prodotta.
Resta “muto, sofferente” solo il pianoforte. Necessariamente. Da questo punto di vista, la piena fruizione
di una installazione come Infiltrazione omogena coinciderebbe con la sua distruzione in quanto opera d’arte:
l’unico gesto creativamente compatibile con Infiltrazione omogena è infatti quello di liberare il pianoforte
dal feltro e infine suonare.
Chissà che Beuys non se lo aspettasse!

https://it.linkedin.com/in/cristianacaserta

https://independent.academia.edu/CristianaCaserta




Creativa per Caso: Anna La Tati Cervetto

Era da tempo che volevo incontrare Anna La Tati Cervetto.

Avevo scoperto i suoi disegni su Linkedin prima, e poi mi sono messo a seguire il suo profilo su Instagram.

Ho provato a contattarla e lei si è subito dimostrata una persona aperta e solare, il tipo di persona che in una telefonata riesce a darti l’impressione di conoscerla da sempre.

Una telefonata che ha aperto un mondo tutto da scoprire.

Abbiamo concordato una intervista via zoom come siamo abituati a fare in questo periodo della nostra vita, ripromettendoci di incontrarci appena sarà possibile.

Una intervista non è bastata, andrebbero fatte più puntate per raccontare la storia di Anna. Non è detto che non succederà in futuro.

Parte il video e quasi senza salutarci, mi dice subito una cosa che sarà il filo conduttore di tutta la chiacchierata.

“Sono una Creativa per Caso!”

Oggi si parla spesso di legge di attrazione che governa la nostra vita.

Tutto ciò che accade nella nostra vita e in generale nel mondo, ha un preciso senso ed è la conseguenza di una o più cause.

E le cause le creiamo noi.

Chiedo ad Anna se si senta responsabile di ciò che lei è oggi.

Naturalmente si. Ma non sottovaluto l’influenza che l’Universo ha nei miei confronti. Ho iniziato a lavorare come grafico, quando studiavo medicina veterinaria all’università. Potevo essere una veterinaria, ma forse il Caso ha deciso diversamente, strano no?

E invece?

E invece negli anni novanta sono stata l’assistente di importanti Art Director e questo mi ha consentito di ingentilire, migliorare, affinare e raffinare le mie capacità e competenze tecniche ed artistiche.

Parliamo di una realtà che forse non esiste più. Immagino Agenzie dove si disegnava a mano e i bozzetti erano materici e si presentavano di persona..

Infatti. Erano i tempi della Milano da Bere, le Agenzie di comunicazione famose dove facevi nottata. Ma fine anni 90 il Web e le sue grandi possibilità espressive, mi hanno letteralmente affascinata. Anzi. Irresistibilmente affascinata. Così, sono diventata Web Designer.

Possiamo dire che quella è stata la svolta?

Possiamo dire che così ho iniziato a disegnare. E l’ho fatto, pescando in quel pozzo di creativa interiorità di pensieri, affetti e aspirazioni che, domina, governa e guida la mia intera esistenza.

Il disegno come esperienza terapeutica, dove quello che si riesce a tirare fuori da se stessi è una creatività che magari esiste da sempre, ma sopisce nel profondo dell’Anima?

Esatto. Disegnare per me è scoprire e accedere a quella parte di me stessa che resta nell’ombra. Attingere, senza giudizio , al giardino delle meraviglie nascoste. Ciò che nutre la mia creatività è una curiosità inesauribile, inesausta e rinnovabile che di recente – mi ha portato ad esplorare più a fondo, il mondo delle illustrazioni e della colorazione digitale.

Ci sono particolari tecniche che usa?

Amo le tecniche miste, i collage, le sovrapposizioni, i colori e le materie che si miscelano, si scontrano e parlano.

Una sperimentazione continua, possiamo dire così?

Si, esattamente. In tutte le mie espressioni, dagli impaginati al crochet, l’aspetto più interessante per me è la sperimentazione. Lasciarmi condurre laddove parlano i colori e le forme.

Molti dei suoi lavori fanno riferimento al filone ucronico, o almeno figurativamente ipotizzano come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima. E’ un “caso”?

No! Frequento con passione lo stile Steam Punk perché mi riconosco nella spinta esploratrice della tecnologia anacronistica, nelle macchine fantastiche che ti aprono possibilità infinite.
Una simbologia potente, capace di creare ogni progresso e meraviglia.

Alcuni elementi grafici sono ricorrenti per contenuti e forme. Una sua opera è riconoscibilissima.

Amo le composizioni estreme, fatte di geometrie e forme libere.
Le cerco, le studio e le applico anche nei miei disegni… disegni che parlano di donne e mondi liberi, alle volte oscuri, in cui cercare risposte e liberazione da pensieri bisbetici che vogliono – e devono –
essere ascoltati.

Che tecnica usa?

Tutti i miei lavori sono realizzati usando Procreate, Fresco e Photoshop per la colorazione e rifinitura dei bozzetti.  Sketches realizzati normalmente a matita, ma spesso anche e direttamente utilizzando Fresco o Procreate per i quali ho personalizzato pennelli basati su mie matite e inchiostri.

Tutti i lavori di Anna sono bellissimi. Li intravedo alle sue spalle, più o meno visibili, alcuni li riconosco per averli visti postati sul suo profilo.

Mi piacerebbe averne uno originale in regalo. Non ho il coraggio di chiederlo ma immagino di riceverlo con una dedica e la sua firma, che è anche il suo Logo..

Ah, dimenticavo. Il mio Logo nasce dall’ inchiostro impertinente, che si è rovesciato su un foglio. Anche questo, è successo – ancora una volta – per Caso.

… un segno dell’universo? Ma il caso, poi, esiste?

https://annalatati.myportfolio.com/welcome-guy