Go East

Abu Dhabi, Dubai, Singapore, Hong-Kong, Tokyo




#PRENDIPOSIZIONE



di Redazione Online

Amleta è un’associazione di promozione sociale il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo.

È stata fondata da 28 attrici distribuite su tutto il territorio nazionale.

Amleta è un collettivo femminista intersezionale che punta i riflettori sulla presenza femminile nel mondo dello spettacolo, sulla rappresentazione della donna nella drammaturgia classica e contemporanea ed è un osservatorio vigile e costante per combattere violenza e molestie nei luoghi di lavoro.

Discriminazioni, stereotipi, sessismo, abusi, gender gap, gender pay gap, gestione dei fondi pubblici: questo è il problema!

Amleta è nata per raccogliere dati e monitorare le differenze di trattamento tra donne e uomini nel mondo dello spettacolo, per chiedere spazi in cui le donne possano esprimere i loro talenti ed esercitare la loro intelligenza.

Amleta è nata tutte le volte che sopra un molestatore o un abusante è stata messa la vernice glitterata dell’artista genio a cui tutto è concesso.

Amleta è nata da tanto tempo e in tanti luoghi.

A questo link il manifesto della associazione, che noi di FUORI invitiamo a sostenere divulgando e soprattuto esercitando quotidianamente, nella vita e nel lavoro, i principi fondanti dell’Organizzazione.





Siamo perbenisti con i pensieri degli altri. Pronti a giudicare, senza mai guardare quella trave. La nostra.



Ci sono momenti, nella vita di tutti noi accade inevitabilmente, in cui ci si trova nella situazione in cui scegliere fra il vivere un momento della propria vita in maniera piena, intera, completa, o piuttosto atteggiarsi in un falso, corretto, formale atteggiamento che, tutto il resto del mondo, perbenista ed ipocrita, gli chiede di vivere.




Art for free!

Created to geotag some artistic/ architectural beauties that do not require entrance tickets. Twitterlist composed of original pics by the twitter accounts @redattore_fuori or @AcsGregory. (plus some beautiful retweets + @googlemaps geotags) A @fuori_magazine project.




30 anni fa…il primo SMS della storia!

ACCADDE OGGI
3 DICEMBRE 1992

Il 3 dicembre 1992 l’ingegnere e programmatore Neil Papworth invia da un computer ad un cellulare (🖥️—–>📱), sulla rete GSM Vodafone, il primo SMS della storia: il testo del messaggio è “MERRY CHRISTMAS”, Buon Natale.
Qualche mese dopo, nel 1993, il primo SMS, questa volta da cellulare a cellulare (📱—–>📱), viene inviato da uno stagista della Nokia.

Nel 2021, 29 anni dopo, quel primo sms è venduto all’asta per 107 mila euro: l’acquirente, anonimo, si aggiudica la proprietà esclusiva del protocollo di comunicazione e Vodafone devolve il ricavato all’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

CURIOSITÀ
Nel 2005, uno studio pubblicato sul Medical Journal of Australia, descrive, per la prima volta, la tendinite da texting , dovuta all’eccessivo uso del pollice nel comporre i messaggi….🤣




Le campagne del Black Friday [da non dimenticare]


di Francesca Bux

Unforgettable!

No, non stiamo parlando di una canzone o di un episodio della saga di Star Trek: Voyager, ma dell’appuntamento che qualsiasi persona, patita dello shopping o meno, non si fa sfuggire!

Il giorno del Black Friday!

Lo avete aspettato da mesi, avete screenshottato oggetti, fatto liste dei desideri, immaginato il momento dell’acquisto e, anche se ormai è già passato, i suoi effetti rimarranno indelebili, soprattutto nelle carte di credito.

Ma sapete che se avete deciso per un brand invece che un altro, è anche merito della loro linea di comunicazione?

Ebbene sì. Mettetevi comodi e noi in pochi minuti vi mostreremo alcuni esempi di campagne marketing davvero efficaci.

And the Oscar goes to…

Un posto d’onore sicuramente spetta al colosso statunitense Amazon. 

Ogni anno, la più grande Internet company al mondo propone già dall’inizio di Novembre spot e video, che sono molto più di una semplice azione pubblicitaria.

Come ad esempio per “Thoughtful Theo”: qui il premuroso protagonista Theo decide di giocare d’anticipo sui regali di Natale e iniziare a fare acquisti approfittando degli sconti disponibili anche prima del Black Friday. 

In questo modo, non solo risparmierà molti soldi, ma può pensare tranquillamente a rendere felici tutti, persino il suo dentista! 

Inoltre, con la consueta tagline: “Spend Less. Smile More.”, il filo conduttore tra acquisto intelligente – regalo per tutti – dentista – sorriso è immediato, facilmente comprensibile e pone una situazione che per la maggior parte delle persone è sinonimo di dolore, come una perfetta occasione per sorprendere qualcuno.

Invece con “Wonderland Will”, Amazon ci convince a non farci scappare l’occasione di regalare gioia a chi ci sta intorno quotidianamente o a iniziare a far risplendere la magia del Natale anche nell’ambiente che ci circonda.

15 secondi per mostrare come gli acquisti fatti da Will, abbiano trasformato il suo posto di lavoro in un suggestivo villaggio di Natale, rendendo così felici anche i suoi colleghi.

Un tocco in più dedicato alla sostenibilità viene dato alla fine, quando è sottolineato il fatto che abbia decorato le sale con carta da stampate riciclata.

Amazon in questo modo ci tiene a rimarcare come i suoi servizi possano migliorare la qualità della vita dei suoi clienti, riuscendo a portare l’identità del brand (nel suo logo c’è un infatti un sorriso) a fianco a sentimenti come felicità e gratificazione.

E dall’Europa arriva una risposta che è tutto, tranne che impercettibile!

Anche MediaWorld si difende molto bene e la sua strategia di giocare d’anticipo sugli sconti è pensata per portare a far fare acquisti “con calma”, così da avere tempo per vedere bene tutte le offerte e capire quali siano quelle più vantaggiose.

Per fare questo, gli eclettici e poliedrici protagonisti “Elio e le storie tese” hanno raccontato, tramite micro pillole della durata di 30 secondi, le offerte delle settimane antecedenti il Black Friday.

La scelta dei testimonial non poteva essere più azzeccata: MediaWorld aveva infatti l’intento di far arrivare il messaggio della favolosa lunghezza temporale delle sue offerte e chi meglio de “i più grandi allungatori di vocali italiani” – come per stessa definizione data da Elio – poteva farlo?!

“Il brand (in Italiano “il brando”) si è accorto delle nostre doti camaleontiche e soprattutto di una dote di cui nessuno si era accorto finora: la nostra capacità di allungare le vocali. Così, quando si è posto il problema di allungare la “i” (in inglese “ai”) di Black Friday, è stato naturale pensare a noi”, commenta il frontman del gruppo.

Da questa base, viene creato un video divertente, efficace e semplicissimo: gli Elio e le Storie Tese salgono sul palco di MediaWorld per dare il via e rendere più lungo possibile il Black Friiiiiiiiday aziendale!

https://www.youtube.com/watch?v=vV_lTcWFh_E

Ma il Black Friday è anche occasione per fare “qualcosa di più”!

C’è anche tanta voglia di scardinare gli schemi e rendere protagonisti chi invece proprio quella giornata non vede l’ora che finisca.

Per questo, REI – una società americana di servizi di vendita al dettaglio e attività ricreative all’aperto – come ogni anno ha chiuso i suoi negozi sia per il Giorno del Ringraziamento, che per il Black Friday, promuovendo l’occasione per stare all’aperto.

L’iniziativa, che prende il nome di # OptOutside, è rivolta anche ai consumatori: un invito celebrare il tempo nella natura, mettendo così da parte quella frenesia consumistica e lo stress che possono derivare da dover fare acquisti “quasi per forza”, come se davvero non ci fossero altre alternative o altro modo per passare quei due giorni di festa.

Ah, per i dipendenti sarà comunque una giornata lavorativa retribuita.

E secondo voi poteva mancare il miglior amico delle nostre case?

Di controtendenza anche Ikea con il suo #BuybackFriday: oltre alle solite imperdibili occasioni, una delle aziende leader nella vendita di mobili, complementi d’arredo e oggettistica per la casa, dà la possibilità ai suoi clienti di portare mobili usati, restituendo un buono del 50% del loro valore. 

In più, tutta la merce reputata “non idonea” per una nuova vendita, verrà riciclata o donataalle comunità bisognose.

Quando il brand ti scalda corpo e anima.

Ovviamente stiamo parlando di Patagonia.

Il noto marchio di abbigliamento, oltre ad essere molto noto e popolare, non è nuovo nell’aiutare ambiente e comunità: in occasione di un Black Friday di qualche anno fa, ha infatti lanciato la sua 100% For the Planet campaign. 

Nello specifico, tutto 100% delle vendite della giornata è donata a enti di beneficenza e organizzazioni di base per il cambiamento ambientale.

In maniera quasi inaspettata, la campagna è ha raggiunto oltre 10 milioni di dollari, invece dei 2 milioni di dollari previsti, dimostrando anche come i clienti siano disposti a spendere qualcosina in più, se sanno che i loro soldi saranno utilizzati per rendere il mondo un posto migliore.

https://www.patagonia.com/stories/100-percent-today-1-percent-every-day/story-31099.html


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA BIRRA

Ogni primo venerdì di agosto si celebra la Giornata Internazionale della Birra.
Il nome BIRRA deriva dal tedesco “bier” ma l’etimologia sarebbe riconducibile al latino biber, cioè bevanda, o alla parola germanica per indicare l’orzo (beuwo).

In Spagna si chiama cerveza e la radice sarebbe da ricercare nel termine latino cervesia, che indicava una birra senza luppolo facendo riferimento alla dea Cerere, divinità dei raccolti.
Le sue origini sembrano risalire ai Sumeri e agli antichi popoli della Mesopotamia, che potrebbero aver iniziato a produrla oltre seimila anni fa. Poi la birra si diffuse tra egizi, greci e romani.

UNA STORIA SULLA BIRRA
Ebbe inizio nel XVI secolo con una nave e una traversata atlantica. La nave era la Mayflower (in figura), un galeone a tre alberi di circa 180 tonnellate. A bordo c’erano i Padri Pellegrini (ribattezzati poi Thirsty Pilgrims, “pellegrini assetati”). In tutto a bordo 102 persone compresi donne e bambini in fuga dall’Europa. Approdarono in un luogo che la tradizione identifica con Plymouth Rock il 9 novembre 1620 e il primo edificio che costruirono fu proprio… un birrificio !

Come tante bevande alcoliche, anche la birra passò così dall’uso religioso a quello medico e solo in seguito a quello ricreativo. La birra, infatti, veniva servita come ricostituente ai pellegrini che avevano compiuto un lungo viaggio ed era una bevanda naturalmente sterilizzata in un tempo in cui l’acqua non poteva essere consumata prima di essere bollita. Il consumo di birra si diffuse facilmente anche per quest’ultimo motivo. Il luppolo, inoltre, conferiva alla bevanda proprietà antisettiche.

Cieli sereni🍺
PG




Think Global, act Local: è il momento del marketing territoriale.


di Francesca Bux

Sempre più spesso si sente parlare di “glocalizzazione”, intendendo una globalizzazione che invece di ignorare, sovrastare o addirittura eliminare le potenzialità offerte dal territorio, le esalta e utilizza per entrarci più consapevolmente, concentrandosi su una dimensione di business fatta di usi e costumi locali.

Ma come può essere identificata questa tendenza?

Think Global, act Local” è il motto coniato nei poliedrici anni ’80 da Akio Morita, cofondatore e presidente della Sony, che meglio rappresenta questa diversa idea di globalizzazione. Così dicendo, si vuol far capire come la tendenza sia quella di andare verso un abbandono della standardizzazione dei mercati, a favore di una vera e propria tutela delle realtà locali, mettendo in luce sfaccettature e caratteristiche.

Tutto il mondo è paese, insomma.

Al giorno d’oggi, svariate multinazionali stanno adottando questo modo di fare affari.

Pensiamo ad esempio a Netflix.

Con un pubblico davvero estremamente variegato, la multiculturalità rappresenta un valore aggiunto da sfruttare, che offre così anche la possibilità di cavalcare i trend su scala internazionale. 

Ed ecco quindi venir fuori successi come la “Casa de Papel”, serie TV spagnola che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di persone in tutto il mondo, il nostro “Suburra”, uno dei simboli delle produzioni Made in Italy o ancora il campione di incassi britannico “Black Mirror”.

Un altro esempio sicuramente sotto gli occhi di tutti è dato dalla catena di fast food più famosa al mondo. 

Mc Donald’s fa della collaborazione con le realtà locali, con le associazioni e con i cittadini dei territori in cui è presente uno dei punti cardine della sua politica aziendale.

Basti pensare alle nuove ricette per panini firmati Giallozafferano, con ingredienti DOP e IGP che seguono la stagionalità dei prodotti, così da garantire anche la qualità dell’offerta e una continua promozione del territorio.

Volgendo lo sguardo all’estero, l’azienda aveva fatto la stessa cosa nel 2016 per il mercato indiano, quando lanciò il Chicken Maharaja Mac, un maxi burger a base di pollo, pensato apposta per andare incontro alle esigenze della tradizione locale, che impone di astenersi dalla carne di vitello.

Passando dal mercato di massa a quello del lusso, un gigante del settore come Louis Vuitton, sebbene abbia una salda posizione di leadership nel mercato del lusso in Cina e pur essendo presente nel Paese orientale con 47 negozi in 29 diverse città, si è trovato a dover adeguare la propria strategia a seguito della politica anticorruzione avviata dal presidente Xi Jinping, oltre che per la tendenza dei clienti del lusso di allontanarsi dalla ostentazione massiva di loghi.

Questo si è concretizzato con la riduzione della promozione di prodotti caratterizzati dal celeberrimo monogramma LV e l’introduzione di una linea “vintage”, creata specificatamente per quel mercato, utilizzando in un primo momento come brand ambassador, la celebre attrice e cantante pop cinese Fan Bingbing.

Successivamente, per smorzare la percezione che questa testimonial potesse impersonificare l’idea di un prodotto mass-market, venne scritturata Liu Wen, modella cinese di haute-couture, ma con residenza a New York, per una campagna di adv atta a promuovere la collezione Foulard d’Artistes.

Ultimo aspetto da considerare riguarda il fatto di come la glocalization venga tendenzialmente associata a un modello di business che mira soprattutto alla fidelizzazione del cliente. 

Il prodotto viene inteso nella sua totalità, comprendendo così anche i servizi di assistenza e manutenzione post-vendita: questo certifica un guadagno duraturo al produttore e spesso costituisce anche la parte più remunerativa dell’intero introito aziendale.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




Aquawareness

Il Nuoto come strumento di consapevolezza.

(versione integrale ed arricchita di nuovi contenuti multimediali di un articolo già pubblicato su www.ocean4future.org in due parti nel marzo 2022)

Le prime percezioni del nostro esistere avvengono ad occhi chiusi, immersi nel liquido amniotico. La materia fluida ci fornisce la prima interfaccia con il mondo, il primo contatto con la dimensione del sensibile, la prima esperienza del limite, attraverso cui si sviluppa l’embrione della nostra futura identità. In essa cominciamo a disegnare i nostri confini con l’esterno e insieme a percepire dall’interno la nostra corporeità. E ritrovare la traccia di quelle primordiali esperienze significa ritrovare il proprio primo orizzonte di esseri viventi, la nostra prima e vera madre lingua. Significa ritrovare il nostro corpo alle prese con sensazioni nuove ed insieme antiche, con libertà di movimento strane e al tempo stesso familiari, stranamente familiari e tuttavia dimenticate.

Nella mitologia indiana, Nārāyaṇa è la divinità che meglio di tutte rappresenta, a livello cosmico, il passaggio cruciale dalla potenzialità della quiete indifferenziata prenatale alla prima scintilla di coscienza individuale.

Nella notte cosmica, Nārāyaṇa dormiva in beata spensieratezza, galleggiando sulle acque primordiali. E mentre dormiva dal suo ombelico spuntò un loto, la prima forma di vita e prima scintilla di consapevolezza, staccatasi dalla matrice universale(Mircea Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, Bollati Boringhieri, ed. 2008)

Nārāyana tiene nella mano sinistra un gambo di loto che scaturisce dal suo ombelico e sul fiore di cui è intronizzato Brahma. Rilievo Cham, Vietnam (c.700 d.C.)

Nārāyaṇa è, per gli induisti, una delle molteplici manifestazioni di Visnu: colui che presiede la notte cosmica così come Shiva è il signore dell’universo manifesto. Simboleggia lo stato di latenza che precede l’inizio di ogni era, e che inevitabilmente ne seguirà la fine. 

“Nei tempi antichi chiamavano le acque con il nome Nārā e poiché le acque erano sempre la mia ayana, la mia casa, ecco perché mi chiamavano Nārāyaṇa: (che è a casa nell’acqua). O migliore dei rinati, io sono Nārāyaṇa, l’origine di tutte le cose, l’eterno, l’immutabile”. (dal Manusmṛti, II-III sec. a.C.)

A casa nell’acqua”. Interessante notare come, per la tradizione Indiana, l’acqua venga considerata l’elemento primigenio, il substrato originario: l’energia potenziale ancora inespressa, dal quale proviene ogni forma, e che precede qualsiasi evento percepibile; mentre nella Cina taoista, più o meno nello stesso periodo o poco dopo, l’acqua è percepita come modello di comportamento perfetto e sublime espressione di un mondo già fenomenico.

Non vi è al mondo nulla di più debole e cedevole dell’acqua, ma nello stesso tempo non vi è nulla che la superi nel vincere il forte e il rigido. Essa è indomabile perché a tutto adattantesi” (Tao Te King, secondo libro, par. LXXVIII. A cura di Julius Evola, 1922)

Ritrovarsi nel Nārāyana dal quale si è avuto origine è, da millenni, il compito delle innumerevoli tecniche psico-fisico-meditative messe a punto, specie in oriente, per poter riconoscere e percepire come propria “dimora”, oltre il limite del nostro corpo, anche tutto ciò che ci circonda.

Lo Yoga indiano e il Tai-chi cinese sono probabilmente le vie più praticate e conosciute per “tornare a casa” ma ne esistono innumerevoli altre, sperimentate o sperimentali; sorte dal nulla o lentamente adattate alle circostanze di tempo, cultura e luogo;  In oriente così come in occidente però, l’immensa letteratura fiorita sull’argomento, sorprendentemente, non fa quasi mai riferimento a quella che dovrebbe essere considerata la via maestra, quella suggerita dall’origine e dal nome stesso di Nārāyaṇa, “colui che è a casa nell’acqua”: il nuoto. Anzi, il Nuoto, con la N maiuscola. Quello che pratica l’uomo virtuoso, inteso nel senso definito dal Tao te King: colui che comprende e si adatta al modello di comportamento supremo, quello dell’acqua.

La mancanza di accenni al Nuoto come “via dell’acqua” nella storia della letteratura specializzata è difficilmente comprensibile. Si pensi, ad esempio, ai cultori del Tai-chi che immaginano di effettuare in acqua i propri movimenti per cercare di renderli più fluidi: non sarebbe molto più semplice ed efficace, allora, “saltare un passaggio” – e immergersi realmente? Vero è che esistono già da tempo anche le versioni “bagnate” dello Yoga (Woga/Water Yoga) e del Tai chi (Ai chi/ Aquatic Tai Chi): ma anche queste discipline, pur essendo valide sotto taluni aspetti, rimangono viziate da un presupposto iniziale molto restrittivo non sono “acquatiche native”, ma adattamenti – più o meno felici – all’ambiente liquido di ordinarie e consuete pratiche terrestri. In quanto tali, le posizioni di equilibrio vengono impostate dal praticante con un approccio fisico e mentale ancora tipicamente terrestre: ricerca di appigli od appoggi rigidi e limitati, utilizzo di strumenti didattici artificiali, sostegno di altre persone per “superare” il problema della cedevolezza dell’acqua (invece, proprio questa caratteristica costituisce l’occasione d’oro da cogliere e sfruttare appieno per “cambiare dimensione”). Il tutto, vissuto ancora sotto l’incombente condizionamento psicofisico della verticale gravitazionale: una vera e propria spada di Damocle, alla quale, in condizioni ordinarie, è impossibile sottrarsi.

Manca ancora, a coloro che in acqua si comportano da terrestri, l’abbandono completo, la fiducia in Archimede e nella sua legge idrostatica. Manca evidentemente la fiducia nell’acqua. O meglio… nelle capacità di relazione tra il proprio corpo e l’ambiente circostante.

È un tipo di fiducia che si raggiunge esclusivamente dopo una profonda completa conoscenza, diretta e strettamente personale, del proprio intorno.

Come scrive il Maestro Zen Daishin Besio:

Il nuotatore e il non-nuotatore sono divisi solo da una dimensione esperienziale. Il primo è partito, necessariamente, dai presupposti del secondo. Il quale, a sua volta, dispone di tutte le potenzialità per trasformarsi nel primo

Dimensione esperienziale. Non (solamente) intellettuale, quindi. E assolutamente diretta, non delegabile: se l’acqua è uguale per tutti, ogni essere umano è un unicum. Ha una sua forma propria ed è il risultato di una storia a sé. Conseguentemente lo è anche il suo rapporto con l’elemento liquido. Intimo, insostituibile e indicibile.

Per dirla con un altro Maestro (di Nuoto, stavolta), Domenico Maiello, l’acquaticità consiste nell’ “educare all’acqua e con l’acqua”. “All’acqua“, per conoscerla. “Con l’acqua“, per conoscersi. Una definizione, questa, folgorante ed epigrafica; per arrivare a fidarsi ciecamente dell’acqua non esistono scorciatoie: bisogna (ri)conoscerla, bagnarsi, immergersi. E galleggiare, affondare, riemergere, scivolare, ruotare, tuffarsi, fare delle capriole, adagiarsi sul fondo: insomma bisogna ritornare a giocare felicemente nell’acqua e con l’acqua, cercando di carpirne, a poco a poco, i (trasparenti) segreti.

Dimenticando e destrutturando, stavolta, le abilità motorie complesse spesso a torto considerate acquisite come le tecniche di nuotata (apprese talvolta troppo velocemente o solo meccanicamente, senza concedersi il tempo di percepire né l’acqua né il corpo); tralasciando le tabelle di allenamento, le calorie da bruciare, il numero delle vasche da percorrere; mettendo via, almeno per un po’, tutti quegli inutili orpelli che inquinano e disturbano il rapporto esclusivo tra noi e il fluido (divenuti oramai innumerevoli: dalle pinne ai galleggianti, alle custodie impermeabili degli smartphone, passando per le radiocuffie,  gli smartwatch e le varie applicazioni fitness. Se possibile, lasciando anche gli occhialini e le cuffie sul bordo vasca). Spogliandoci di tutti gli accessori, ma rimanendo ben vigili, attivando al meglio la nostra consapevolezza. Eccola, la parola chiave è tornata: consapevolezza. Duplice: in acqua, e dell’acqua. Conoscenza dell’acqua attraverso il proprio corpo – e conoscenza del proprio corpo attraverso l’acqua. Ecco definite le due materie fondamentali della nostra scuola nuoto ideale. Due processi cognitivi tra loro interconnessi al punto tale da sintetizzarsi in uno solo, di tipo relazionale. Il proprio, intimo, insostituibile, indicibile rapporto con l’acqua.

Dopo esserci finalmente liberati di ogni accessorio o programma, entrando in acqua proviamo innanzitutto a…non fare nulla! Cerchiamo innanzi tutto di rimanere fisicamente passivi mentre il fluido agisce sul nostro corpo. La passività costituisce il primo e più importante passo nel processo di conoscenza dell’acqua. Equivale all’ascolto dell’altro nei rapporti umani.

Raising (9 secondi)
Levitation (9 secondi)
Bouncing balls (16 secondi)

Negli esercizi presentati è la spinta idrostatica che agisce “come Archimede comanda”, per riportare a galla le nuotatrici che sono state filmate. Quasi certamente, tutti coloro che hanno una certa dimestichezza con le attività natatorie, avranno vissuto le stesse esperienze soprattutto in età infantile; ma è estremamente probabile che, presi dalla foga del gioco o da un obiettivo agonistico più seducente, ne abbiano dimenticato i preziosi insegnamenti. Almeno a livello cosciente: lo dimostrano, ad esempio, gli innumerevoli bagnanti-ancora-terrestri che si producono in azioni propulsive goffe e assolutamente superflue, sia con le gambe sia con le braccia, per cercare di “rimanere fermi sul posto” in acqua alta…

Bad runner (15 secondi)
Bad biker (6 secondi)
Vertical kicking (18 secondi)

…laddove basterebbe galleggiare staticamente, senza agitarsi:

Suspension lift (12 secondi)

le posizioni sono potenzialmente infinite; e molte di queste sono anche estremamente confortevoli….

Periscope (15 secondi))
Outrigger and ball (10 secondi)
Static & simmetric (5 secondi)
The fin (5 secondi)
Asana (5 secondi)
Sofa relax (14 secondi)
Double outrigger (5 secondi)

Ai bagnanti-ancora-terrestri a è mancato, nei momenti cruciali dell’apprendimento nel corso delle loro prime esperienze acquatiche, il giusto atteggiamento mentale.

O meglio… la giusta presenza mentale. Potremmo definire questo termine-chiave come un vero e proprio comune denominatore tra il Nuoto e la meditazione. Applicando una corretta presenza mentale, ogni ingresso in acqua può trasformarsi in una validissima occasione per aumentare il proprio grado di consapevolezza, trasformando il bagno in una vera e propria forma di meditazione galleggiante. Una consapevolezza a doppia valenza: in acqua e dell’acqua. l'”Aquawareness“.

È bene chiarire immediatamente che la presenza mentale, come forma di meditazione, NON ha assolutamente nulla a che fare con gli stati di assorbimento, estatici o mistici, al di là dell’ordinario e del vissuto quotidiano. Anzi. Tutto il contrario, la pratica richiede come requisito di base la massima lucidità sensopercettiva. Nulla di trascendente, quindi, e nulla che non sia del tutto trasparente.

Semplificando, la presenza mentale può essere bipartita nelle due fasi ricettiva (chiamata fase della pura attenzione) ed attiva (denominata fase della chiara visione)

Nella fase ricettiva si tratta “semplicemente” di rimanere estremamente attenti e concentrati durante le esperienze vissute e osservate al fine di acquisire la chiara e sicura consapevolezza di ciò che realmente avviene fuori di noi e in noi quando c’è interazione tra noi e il nostro intorno.

Per facilitare la pura attenzione, al principiante si raccomanda sempre di ridurre l’esperienza al livello più elementare ed essenziale possibile. Riprendiamo, in proposito, l’esempio descritto nei video dei “rimbalzi”:

Per bambini e adolescenti (e qualche adulto) sarebbe più che naturale trasformare l’esperienza in un gioco “a chi ne fa di più” con tanto di squadre, classifiche, e sfottò; possiamo facilmente immaginare i partecipanti impegnati creativamente per trovare strategie, regole, trucchi e sotterfugi idonei per vincere le sfide, con i compagni, gli avversari… e soprattutto, con loro stessi.

Certamente, in situazioni ludico-competitive, si guadagnerebbe molto in termini di puro divertimento… però quasi sicuramente, a causa della focalizzazione dell’interesse dei partecipanti verso l’obiettivo della “vittoria” e dello spostamento delle loro risorse di pensiero verso l’area dell’ingegno organizzativo si perderebbero di vista almeno tre/quattro elementi di osservazione, o di pura attenzione:

  • La posizione raccolta “a uovo”, con le gambe abbracciate, assicura l’impossibilità di compiere dei gesti propulsivi   di qualsiasi genere; conseguentemente:
  • La risalita è determinata solo dalla spinta dell’acqua:
  • Il corpo tende sempre a ruotare per mantenere la parte più leggera (i polmoni) verso l’alto. Non si riaffiora naturalmente con i piedi, ma con la schiena e la testa.

Soprattutto:

  • Con i polmoni pieni d’aria, a parità di forma (ma non di volume…) l’acqua riporta velocemente i corpi a galla, con i polmoni svuotati molto meno, quando non li lascia direttamente sul fondo.
  •  
Stitching down (23 secondi)

Queste registrazioni obiettive, proprio come in ogni esperimento scientifico che si rispetti, non dovrebbero mai essere alterate da valutazioni qualitative o dai pregiudizi emotivi ed intellettuali, o dalle aspettative prestazionali, che spesso (e più o meno consapevolmente) ci portiamo dietro e che distolgono l’attenzione dai fatti in sé che dovremmo considerare “nudi e crudi”.

Quando parliamo di “meditazione basata sulla presenza mentale”, non intendiamo allora nulla di difficile né di misterioso. Parliamo invece di un livello di consapevolezza raggiungibile, in acqua, anche dai bambini in età scolare. Anche i piccoli allievi, se ben guidati da un bravo istruttore che, avendo cura di mantenere sempre attiva la loro presenza mentale, trasformi ogni loro esperienza  acquatica nella forma di un gioco divertente, potranno essere in grado di passare tranquillamente senza difficoltà da un’attenzione vaga iniziale (“guarda, Jacopo e Matteo stanno giocano a “palla che rimbalza!”), a quella più dettagliata (“ma non si muovono per nulla, eppure tornano sempre su”) e poi, richiamando le situazioni analoghe, si confronteranno con il proprio vissuto (“ci ho provato anche io, funziona”), generando dapprima il pensiero associativo (“se trattengo il respiro torno su più velocemente”)  e infine, sfruttando opportunamente le dinamiche di gruppo, anche quello astratto: vale a dire  la generalizzazione dell’esperienza. (“se si trattiene il respiro si galleggia molto meglio, vale per tutti”)

Questa forma di educazione acquatica, basata sulle risposte dell’individuo alle situazioni-stimolo ambientali, è tra l’altro perfettamente aderente alle teorie di Jean Piaget (1896-1980), un vero pioniere della psicologia dell’età evolutiva: Per Piaget, losviluppo cognitivo del bambinoderiva principalmente dall’interazione con la realtà circostante, grazie alla quale si verifica una trasformazione in termini di acquisizione di informazioni utili alla conoscenza pratica. E in acqua, la necessità di interagire continuamente con l’ambiente circostante diventa necessariamente “il” presupposto, una scelta obbligata. Sotto questo aspetto, un approccio consapevole nei confronti dell’ambiente acquatico può favorire sensibilmente, anche a livello più generale, l’educazione e l’affinamento della persona in crescita.

Nelle clip precedenti, abbiamo osservato l’azione dell’acqua sul corpo umano quando quest’ultimo nel corso delle varie esperienze cerca, nei limiti del possibile, di mantenere la stessa forma sotto l’azione dell’acqua, a prescindere dalla forma deliberatamente scelta come quella di partenza. Rimanendo il più possibile “inerti” a guisa di oggetti – più o meno galleggianti – è molto più semplice osservare, per poi riuscire a distinguere e separare, gli effetti delle azioni dell’acqua da quelle delle nostre attività, siano esse determinate e consapevoli, automatizzate oppure del tutto inavvertite.

Lo stesso livello di pura attenzione che riserviamo alle osservazioni relative ai comportamenti del nostro corpo come risposta alle azioni dell’acqua, andrebbe riservato anche allo studio dei comportamenti del fluido come risposta alle nostre azioni volontarie e mirate. Anche in questi casi, la facilità di ricavare informazioni corrette ed obiettive è direttamente proporzionale alla semplicità delle attività motorie “di stimolo”

Si pensi alle esperienze sulle “frenate” durante gli scivolamenti:

Integral braking (5 secondi)

In questo caso l’obiettivo della nuotatrice era quello di valutare l’efficacia della frenata durante lo scivolamento (lo “stop” andava ottenuto modificando improvvisamente e liberamente la propria forma corporea) e non certo quello di andare il più lontano possibile dal bordo vasca (che spesso rimane, purtroppo, l’unico esercizio richiesto nelle versioni prona e supina dalla stragrande maggioranza degli istruttori di nuoto tradizionali, durante le cosiddette fasi di ambientamento).

La nostra nuotatrice è giunta a quella efficace soluzione frenante dopo aver sperimentato moltissime altre possibilità alternative: ad esempio, allargando solo una gamba, o anche semplicemente piegandola; oppure allontanando le braccia distese o piegate dal tronco; testando infinite altre soluzioni simmetriche o asimmetriche, sempre prendendo scrupolosa nota delle risposte dell’ambiente fluido. Ad esempio, avrà scoperto che se durante lo scivolamento veloce allontana solamente un braccio dal tronco, oltre al rallentamento ottiene anche un cambio di direzione; ma avrà anche capito anche che quest’ultimo effetto si può essere facilmente attenuare o del tutto annullare non solo con il gesto simmetrico dell’altro braccio, ma anche da altre opportune azioni antagoniste quali, ad esempio, un piegamento del capo.

La pura attenzione, quindi, comprende il campo di osservazione analitica ed obiettiva dei comportamenti che si instaurano nella relazione di base tra l’acqua e il corpo umano, prendendo atto dell’interscambiabilità dei ruoli attivi e passivi che si assumono a seconda delle circostanze. 

Però – non ci stancheremo mai di ripeterlo – questo termine rimane valido ed appropriato solamente se lo spirito, e l’atteggiamento mentale, con il quale si affronta ogni esperienza rimane quello tipico di un laboratorio scientifico, dove l’esperienza viene studiata solo per quella che è, senza interferenze di ricordi passati o di progetti di costruzione futuri. E neanche senza subire l’influsso di precedenti condizionamenti, pregiudizi o aspettative; con la massima apertura mentale, avendo cura di non precludersi nessuna esperienza (a priori) e non scartando alcun risultato (a posteriori); e soprattutto senza mai farsi vincere dalla tentazione di attribuire valutazioni qualitative ai risultati, del tipo: “questa è la soluzione MIGLIORE”. (…migliore per quale scopo, poi…?)

Nelle scuole nuoto “tradizionali”, quelle che hanno per obiettivo costruzione di un performer ad ogni passaggio didattico si tende ad insegnare agli allievi subito e solamente la soluzione “giusta” nell’ottica della sola prospettiva agonistica, per ottenere il massimo rendimento dell’atleta nel più breve tempo possibile… facendogli perdere però per strada, anzi per le corsie, infinite occasioni di approfondimento della propria cultura dell’acqua. Trasformando così il corso di nuoto in un addestramento formale (dove si propongono sostanzialmente dei modelli pronti da copiare) in luogo di una vera occasione di educazione acquatica (dove ogni momento di passività, pausa o attività, ad esempio una semplice bracciata, o un mezzo avvitamento, è il risultato di scelte precise ed autonome del praticante, ripescate consapevolmente dalla propria riserva di esperienze.

Scelte, è finalmente giunto il momento di definire il termine, che dovrebbero essere determinate esclusivamente dalla Chiara Visione del nuotatore.

La Chiara Visione è l’aspetto proattivo della Presenza Mentale, che segue necessariamente quello della pura attenzione e si manifesta nel nuotatore “meditante” solo in presenza della volontà lucida e consapevole di intraprendere l’azione più appropriata per raggiungere un preciso e determinato scopo, qualsiasi esso sia.

Come, ad esempio, quella di immergersi fondo mediante la sola espirazione senza aiutarsi con gesti propulsivi:

Starfish #1 (25 secondi)

Oppure, a partire da uno stato di galleggiamento statico verticale, alterare il proprio equilibrio provocando dei basculaggi volontari con il solo movimento del capo:

Rispetto alle analoghe esperienze vissute “in regime” di pura attenzione, all’occhio poco allenato di un osservatore esterno potrebbero non rivelarsi grosse differenze formali: si galleggia o si affonda fisicamente , ed apparentemente, nello stesso modo; la differenza risiede, infatti, tutta nell’atteggiamento mentale del nuotatore che durante la fase della pura attenzione sta ancora cercando di capire cosa accade a sé e al suo intorno in determinate condizioni; nell’altra adotta deliberatamente il comportamento più idoneo alle circostanze scegliendolo lucidamente all’interno del patrimonio di esperienze già vissute.

Nelle clip seguenti, le nuotatrici in galleggiamento cercano di indurre rotazioni e basculaggi del proprio corpo con i movimenti del capo. C’è chi si trova ancora nella fase pura attenzione e chi, invece, esercita la propria chiara visione…sapreste riconoscerle?

Head drives #1 (12 secondi)
Spinning and tilting #1
Spinning and tilting #2
La parola “Aquawareness” resa con gli ideogrammi cinesi Shuǐ e Wù (“Acqua” e “Comprendere”)

La ricerca della consapevolezza, basata sulle fasi della “pura attenzione” (osservazione oggettiva dei fenomeni senza interferenze) e della “chiara visione” (azione intrapresa lucidamente sulla base del proprio patrimonio di osservazioni), da attuarsi in ogni gesto quotidiano, è alla base della Meditazione Buddhista Vipaśyanā. E’, questo, un termine sanscrito che sostanzialmente è traducibile con: “vedere le cose come realmente sono”, oppure “meditazione di visione profonda”. Il termine inglese più comunemente usato per tradurre Vipaśyanā è “insight meditation”, termine non troppo centrato e comunque un po’ fuorviante per noi occidentali un po’ scettici, cresciuti con Archimede, Galileo e Newton. Non ci dovrebbe servire l’intuizione (traduzione diffusa di insight, “visione dentro”) per osservare, e registrare senza pregiudizi o aspettative, ciò che si manifesta in maniera palese. I cinque sensi sono ampiamente sufficienti: basta focalizzare l’attenzione sull’esperienza, rimanere obiettivi, prendere nota, e ricordarsela per le occasioni future.

Al di là del termine, la Vipaśyanā viene considerata il “cuore della meditazione buddhista” e nelle scritture canoniche di quella tradizione, il “discorso sui fondamenti della Presenza mentale” (Satipaṭṭhāna Sutta) del Buddha viene riportato per ben due volte, a dimostrazione dell’importanza fondamentale che gli è stata attribuita.  Thích Nhất Hạnh ([ tʰik ɲɜt hɐʲŋ ]), (1926-22) il celebre monaco, poeta e scrittore vietnamita scomparso recentemente, basava il suo insegnamento sulla pratica della consapevolezza applicata in ogni momento o attività della giornata, al fine di far riconoscere ogni istante della propria esistenza come un vero e proprio “miracolo ordinario e quotidiano” e non l’ennesimo opaco elemento di una grigia sequela di occasioni e di tempo sprecato:

Thích Nhất Hạnh (1926-2022), da internet

Thích Nhất Hạnh (1926-2022), da internet

“Il miracolo non è quello di camminare sulle acque, ma di camminare sulla terra verde nel momento presente e d’apprezzare la bellezza e la pace che sono disponibili ora.” (Thích Nhất Hạnh, “Carpe Diem”)

“La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro cuore, al vostro stomaco, ai vostri polmoni, al vostro fegato. (“La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro …”) Dopo tutto, molto dipende da loro.” (Thích Nhất Hạnh, “Corpo Umano”)

“Come possiamo godere dei nostri passi se la nostra attenzione è rivolta a tutto quel chiacchiericcio mentale? È importantediventare consapevoli di cosa sentiamo, non solo di cosa pensiamo. Quando tocchiamo il terreno con il piede dovremmo riuscire a sentire il piede che entra in contatto con esso. Quando lo facciamo possiamo provare un’enorme gioia nel semplice fatto di poter camminare.” (Thích Nhất Hạnh, “Il Dono del Silenzio”)

Assolutamente vero. La presenza mentale è applicabile in ogni situazione quotidiana senza limitazioni di sorta, in ogni condizione di luogo, tempo o spazio. Finché c’è vita, può esserci consapevolezza.

Ma In acqua, la consapevolezza è maggiormente a portata di mano, anzi… di ogni parte del corpo.

Perché? Perché l’insieme uomo-acqua, anche sotto questo punto di vista, costituisce il sistema ideale per raggiungerla. Proprio come quando, in un momento imprecisabile della nostra esistenza, nel liquido amniotico scoccò la prima scintilla di coscienza e di differenziazione tra noi e il mondo, ancora oggi l’acqua, con le sue interazioni avvolgenti, immediate, inevitabili e puntuali ci costringe alla continua percezione di un “esterno” a noi perfettamente complementare.

Lao-Tsu aveva ragione: L’acqua, oltre ad essere stato il primo, è davvero il nostro “intorno” ideale; ci sostiene morbidamente adattandosi perfettamente a qualsiasi nostra forma, senza perdere mai il contatto con ogni centimetro della nostra epidermide.

La sensazione tattile del piede che si appoggia sul terreno descritta da Thích Nhất Hạnh, in acqua è estendibile, nello stesso istante, a qualsiasi parte del corpo; e a differenza di quanto succede nella dimensione terrestre dove le reazioni ambientali – per nostra disattenzione o distrazione  –  possono talvolta apparire schermate fino a sfumare del tutto,  in acqua l’ “intorno” non ci dà mai tregua: risponde puntualmente a tutte le nostre minime sollecitazioni con effetti macroscopici, siano esse volontarie sia involontarie.

Riguardo queste ultime, la reazione/segnalazione immediata ed evidente del sistema sia negli stati di equilibrio statico sia nelle situazioni dinamiche è ancora più importante, perché ci costringe a prendere coscienza di ogni minima alterazione della forma e/o del volume del nostro corpo.

Nella vita quotidiana quando si rimane in piedi, oppure seduti o sdraiati; e anche camminando o correndo spesso si mantengono posture o atteggiamenti sbilanciati o semplicemente asimmetrici, anche per periodi di tempo abbastanza lunghi. Quasi sempre manca la consapevolezza di tutto ciò, almeno fino a quando lo stesso corpo decide di segnalarci la situazione facendo insorgere fastidi o dolori muscolari qui e là. Ma il terreno, l’asfalto, il pavimento, la sedia o il letto in tali casi sembrano rimanere imperturbabili rispetto alle nostre azioni; non ci comunicano direttamente nulla in proposito.

In acqua è diverso: trasparente in tutti i sensi, il fluido non ci nasconde nulla e allo stesso tempo non ci permette di barare, anzi: amplifica e rende evidenti gli effetti di ogni nostra azione, anche la più leggera… ad ogni variazione, anche impercettibile, del respiro corrisponde infatti un diverso assetto di galleggiamento e un diverso equilibrio. Osserviamo come il semplice ritmo inspirazione/espirazione provochi un evidente “effetto culla” con le ginocchia della nuotatrice che emergono e si immergono ritmicamente.

Lulling float (20 secondi)

Così, ad ogni alterazione, anche minima, della forma corporea corrisponde sempre una diversa idrostatica o idrodinamica. La reazione dell’acqua è sempre inevitabile ed inesorabile, impossibile distrarsi o allontanarsi troppo col pensiero. In acqua bisogna continuamente fare i conti, istante dopo istante, con il presente. In immersione, Il “Qui e Ora” dello Zen diventa naturalmente “la condizione di laboratorio”.

Non è il caso di elencare qui tutti i nobilissimi scopi finali della meditazione nelle millenarie tradizioni religiose, spirituali o psicologiche, soprattutto orientali.

Ma ci permettiamo di accennare ai benefici della meditazione quotidiana che sono oramai accertati, ed accettati come validi anche in occidente: riduzione delle emozioni negative, incremento di quelle positive come la compassione e l’autocontrollo, incremento della capacità di raggiungere gli obiettivi.  Riduzione dello stress, dell’ansia, dell’insonnia, della solitudine e degli stati depressivi.

Tra questi, vogliamo sottolineare ancora quello appena citato: la riconduzione gentile della coscienza al momento-presente. Per chi è abituato ad ingolfarsi di ricordi del passato o di progetti futuri elaborati mentre il presente gli scorre davanti, è un vero toccasana purificatore.  Trascorrere la maggior parte del tempo “nella propria testa” porta ad elaborare una eccessiva quantità di pensieri che appannano la percezione diretta immediata della realtà esterna.

Eckart Tolle, autore del best-seller “Now! Il potere del presente” sostiene che “Pensare è compulsivo. Non ci si può fermare, o così sembra. Crea anche dipendenza. Non ci si ferma fino a che la sofferenza generata dal continuo rumore mentale non diventa insopportabile

La citazione è volutamente provocatoria. Non si mette certo in dubbio la necessità di pensare: è un bisogno assoluto, come respirare, bere o nutrirsi. Ma è sempre meglio evitare le indigestioni…in questo senso, la presenza mentale acquatica aiuta non poco a disintossicarsi.

E poi…e poi c’è un effetto corollario, tutt’altro che trascurabile.

Con la presenza mentale applicata alle esperienze in acqua, si impara a nuotare “davvero”. Solo con questo approccio si raggiunge il livello del Nuoto (sì, quello con N maiuscola), quello proprio dei nuotatori. Ma chi è il “nuotatore”? Non è (solo) il bagnante estivo; non è neanche (solamente) il regolare frequentatore delle piscine, uno di quelli che svolgono diligentemente il programma di allenamento redatto dall’allenatore o dal personal trainer; potrebbe non esserlo nemmeno un atleta di livello olimpico, se quest’ultimo si comporta (esclusivamente) come una macchina ideata per scopi agonistici. L’autentico nuotatore non si misura necessariamente né con il tempo trascorso né con lo spazio percorso in acqua. Non ama servirsi di “aiuti” come pinne, guanti, galleggianti, tavolette, tubi perché non sopporta fastidiose mediazioni con l’ambiente e preferisce di gran lunga impiegare, in maniera sempre più sensibile, parti del proprio corpo per ottenere gli stessi effetti; non è un esecutore di gesti prestabiliti da altri e di norma non segue alcuna scheda o tabella. Non “rappresenta” le tecniche di nuotata ma le reinventa e le adatta ad ogni bracciata secondo le proprie esigenze, circostanze o condizioni. In azione, lo si trova sempre più impegnato ad affinare il proprio livello di acquaticità, che interessato ad aumentare le prestazioni. Cerca sempre la via del minimo sforzo, senza far rumore mentre nuota. Risponde alle situazioni critiche sempre nella maniera più adeguata, esercitando tutte le libertà di movimento del corpo, per garantire in ogni condizione il più alto grado di sicurezza non solo a sé, ma anche ai suoi eventuali compagni d’acqua meno progrediti.

Incontriamo spesso in piscina tanti magnifici atleti, ma imbattersi in un nuotatore “vero” non è così frequente.

Chuang-Tsu in un suo celebre racconto, ne ha magistralmente descritto uno, di età avanzata: un vecchio che alle domande di Confucio, sorpreso dalle sue abilità natatorie rispose così: So come calarmi in un vortice discendente e come uscirne da uno ascendente. Seguo la via dell’acqua e non faccio nulla per oppormi ad essa. La sua natura è la mia natura

Senza dubbio dovevano essere Nuotatori “veri” anche quelli citati da Virgilio nell’Eneide: “Rari Nantes in Gurgite Vasto”, i sopravvissuti al naufragio della flotta di Enea. E allora, non ci resta che tornare presto a nuotare, stavolta consapevolmente. Perché, in tanti e troppi casi la distanza che separa il Nuotatore dal terrestre, purtroppo combacia perfettamente con quella che separa la vita e la morte… e perché la sopravvivenza in acqua, al di là di ogni sofisma, è lo scopo ultimo e l’essenza stessa del Nuoto.  

“Primum vivere, deinde philosophari”, dicevano gli antichi romani.

(Apollonio di Giovanni (1415-1465), “Rari Nantes in Gurgite Vasto”, miniatura. Firenze, Biblioteca Ricciardiana) (da internet)

Un pesce andò da un pesce-regina e gli domandò: “Sento sempre parlare del mare, ma cos’è questo mare? Dov’è?” E il pesce-regina rispose: “Tu vivi, ti sposti e trascorri la tua esistenza nel mare. Il mare è dentro di te e fuori di te.Tu vieni dal mare, sei fatto di mare e finirai nel mare. Il mare ti circonda come il tuo proprio essere”. (antica storia Indù)

www.aquawareness.eu




Greenwashing, il lato oscuro della sostenibilità.

di Francesca Bux

“Investire nel Pianeta” è il tema scelto per la Giornata Internazionale della Terra del 2022 appena trascorsa.

Ogni anno, dal 1970, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, si celebra quella che è considerata la più grande iniziativa al mondo dedicata all’ambiente.

Obiettivo principale: sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia del pianeta, della biodiversità, promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e invertire il degrado dei terreni.

Le Nazioni Unite, nel 2016, hanno scelto il 22 Aprile per adottare ufficialmente l’Accordo di Parigi, che rappresenta l’impegno più importante mai firmato contro la crisi climatica globale.

L’obiettivo del trattato è molto chiaro e prevede l’incremento comunitario di azioni mondiali e il suo raggiungimento può essere riassunto in 3 punti fondamentali:

– contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 °C oltre i livelli preindustriali e di limitare l’aumento a 1,5 °C

– aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino la produzione alimentare;

– rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima.

Tutto molto bello e soprattutto estremamente necessario.

Ma cosa significa esattamente la tematica scelta e quali demoni si possono celare dietro una così nobile causa?

“Investire nel Pianeta” è un chiaro riferimento a come la finanza privata – influenzata e guidata spesso anche dalle nostre scelte individuali – è probabilmente uno dei più grandi acceleratori dei capovolgimenti di cui abbiamo bisogno per dare una svolta e mettere un freno ai disastri naturali causati solo dalla nostra noncuranza e senso di onnipotenza.

E’ quindi abbastanza semplice dedurre come, prendendoci cura della nostra Madre Terra, arrivino anche i vantaggi economici.

E qui entra in scena un termine che si è fatto conoscere molto negli ultimi tempi.

Stiamo parlando del Greenwashing.

Origine del nome:

Si tratta di un neologismo nato dalla sincrasi tra le parole “green” (il colore associato da sempre all’ambiente e al movimento ambientalista) e “whitewashing” (imbiancare e – in senso figurato – nascondere qualcosa).

La sua origine viene fatta risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere, che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà l’invito era mosso quasi esclusivamente da motivazioni economiche (nello specifico, era relativo a un taglio nei costi di gestione).

Ora noi lo utilizziamo per indicare una strategia di comunicazione adoperata da certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, con l’unico scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Esempio: avete sentito parlare della “JoinLife Collection” di Zara?

E’ una campagna sostenibile intrapresa dall’azienda, per mostrarsi sensibile alle conseguenze dei propri prodotti sull’ambiente.

Peccato che, come spiega a Will uno dei più agguerriti nemici di questa pratica, nonchè esperto in sostenibilità ambientale e sociale nella moda, Matteo Ward, analizzando le componenti di un capo presentato sul sito, è possibile notare come un tessuto composto da più di due diversi tipi di fibre non possa essere riciclabile. 

Inoltre, le stesse fibre derivano da combustibili fossili: questo significa che,lavaggio dopo lavaggio, viene rilasciata della microplastica.

E tutto ciò non è assolutamente né green, né Eco-friendly, né tantomeno etico.

I danni che conseguono un’attività di Greenwashing spaziano dalla perdita di credibilità a quello più serio che consiste nella mancanza di un’azione concreta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Per questo motivo, è fondamentale l’identificazione delle aziende che realmente hanno incorporato la sostenibilità all’interno della propria organizzazione, soprattutto per gli investitori ESG (Environmental, Social, Governance. Viene utilizzato nel settore economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR), che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance). 

Il rischio, altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio per l’ambiente e le persone, vanificando così tutti i princìpi e le buone intenzioni della tematica di questa giornata.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.