Think Global, act Local: è il momento del marketing territoriale.


di Francesca Bux

Sempre più spesso si sente parlare di “glocalizzazione”, intendendo una globalizzazione che invece di ignorare, sovrastare o addirittura eliminare le potenzialità offerte dal territorio, le esalta e utilizza per entrarci più consapevolmente, concentrandosi su una dimensione di business fatta di usi e costumi locali.

Ma come può essere identificata questa tendenza?

Think Global, act Local” è il motto coniato nei poliedrici anni ’80 da Akio Morita, cofondatore e presidente della Sony, che meglio rappresenta questa diversa idea di globalizzazione. Così dicendo, si vuol far capire come la tendenza sia quella di andare verso un abbandono della standardizzazione dei mercati, a favore di una vera e propria tutela delle realtà locali, mettendo in luce sfaccettature e caratteristiche.

Tutto il mondo è paese, insomma.

Al giorno d’oggi, svariate multinazionali stanno adottando questo modo di fare affari.

Pensiamo ad esempio a Netflix.

Con un pubblico davvero estremamente variegato, la multiculturalità rappresenta un valore aggiunto da sfruttare, che offre così anche la possibilità di cavalcare i trend su scala internazionale. 

Ed ecco quindi venir fuori successi come la “Casa de Papel”, serie TV spagnola che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di persone in tutto il mondo, il nostro “Suburra”, uno dei simboli delle produzioni Made in Italy o ancora il campione di incassi britannico “Black Mirror”.

Un altro esempio sicuramente sotto gli occhi di tutti è dato dalla catena di fast food più famosa al mondo. 

Mc Donald’s fa della collaborazione con le realtà locali, con le associazioni e con i cittadini dei territori in cui è presente uno dei punti cardine della sua politica aziendale.

Basti pensare alle nuove ricette per panini firmati Giallozafferano, con ingredienti DOP e IGP che seguono la stagionalità dei prodotti, così da garantire anche la qualità dell’offerta e una continua promozione del territorio.

Volgendo lo sguardo all’estero, l’azienda aveva fatto la stessa cosa nel 2016 per il mercato indiano, quando lanciò il Chicken Maharaja Mac, un maxi burger a base di pollo, pensato apposta per andare incontro alle esigenze della tradizione locale, che impone di astenersi dalla carne di vitello.

Passando dal mercato di massa a quello del lusso, un gigante del settore come Louis Vuitton, sebbene abbia una salda posizione di leadership nel mercato del lusso in Cina e pur essendo presente nel Paese orientale con 47 negozi in 29 diverse città, si è trovato a dover adeguare la propria strategia a seguito della politica anticorruzione avviata dal presidente Xi Jinping, oltre che per la tendenza dei clienti del lusso di allontanarsi dalla ostentazione massiva di loghi.

Questo si è concretizzato con la riduzione della promozione di prodotti caratterizzati dal celeberrimo monogramma LV e l’introduzione di una linea “vintage”, creata specificatamente per quel mercato, utilizzando in un primo momento come brand ambassador, la celebre attrice e cantante pop cinese Fan Bingbing.

Successivamente, per smorzare la percezione che questa testimonial potesse impersonificare l’idea di un prodotto mass-market, venne scritturata Liu Wen, modella cinese di haute-couture, ma con residenza a New York, per una campagna di adv atta a promuovere la collezione Foulard d’Artistes.

Ultimo aspetto da considerare riguarda il fatto di come la glocalization venga tendenzialmente associata a un modello di business che mira soprattutto alla fidelizzazione del cliente. 

Il prodotto viene inteso nella sua totalità, comprendendo così anche i servizi di assistenza e manutenzione post-vendita: questo certifica un guadagno duraturo al produttore e spesso costituisce anche la parte più remunerativa dell’intero introito aziendale.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




Primo Maggio

1° MAGGIO*
*Giornata dei lavoratori*

La Festa dei Lavoratori prende spunto da un episodio che risale al 1886.
Il 1 maggio di quell’anno, negli Stati Uniti, la Federation of Organized Trades and Labour Unions proclamò uno sciopero generale per chiedere condizioni di lavoro più eque nelle fabbriche.
La protesta andò avanti per tre giorni e il 4 maggio culminò con una vera e propria battaglia tra i lavoratori in sciopero e la polizia di Chicago: morirono 11 persone in quello che passò alla storia come la Rivolta di Haymarket.

CURIOSITÀ:
Anche se i fatti all’origine della data simbolica di questa ricorrenza si svolsero a Chicago, negli USA il _“Labor Day”_ si festeggia il primo lunedì di settembre. Quest’anno cadrà il 5 settembre prossimo.

A Volterra (Pisa) la mattina del 1° maggio a colazione si usa mangiare un piatto di trippa.
Usanza che viene dai lavoratori delle cave di alabastro.

Cieli sereni
PG




Se lo conosci, non uccide!

Giulia Gellini_ Grido_ 70 x 50 cm _Tecnica mista.

di Christian Lezzi_

Che strano suono, per nulla rilassante, veicola con sé la parola “parossismo”. Anche se non la conosci, se non sai cosa realmente significhi, la percepisci a pelle come qualcosa di pericoloso, di ostico e spinoso, da cui tenersi alla larga, da evitare, che può farti del male.

E, in effetti, nell’eccesso, non v’è mai qualcosa di buono. Perché di eccesso si tratta, di criticità esplosiva, quando parliamo di parossismo in campo medico, geologico, chimico o comportamentale.

Etimologicamente significa irritazione estrema, esasperazione, fase acuta, sopraggiunto acme di uno stato morboso, accompagnato dall’inevitabile esacerbarsi dei sintomi e delle conseguenze da essi veicolate. Da qui alla medicina, il passo è breve, verticale nella sua immediatezza. In campo geologico, in modo altrettanto esplicativo, è legato ai terremoti o alle esplosioni violente di lava, lapilli, ceneri e detriti, che caratterizzano la fase più potente e distruttiva di molte eruzioni vulcaniche. 

Allo stesso modo, anche in chimica, indica la fase più rischiosa e instabile, potenzialmente esplosiva (appunto) di una reazione.

Notiamo quindi che, la costante linguistica, è sempre quella deleteria dell’instabilità e dell’inasprimento, che porta all’estremo delle cose, alla fragorosa esplosione, a qualcosa che, una volta rotto, non è più possibile riparare, se non in rari, rarissimi casi e a costi troppo spesso insostenibili, perché lascia segni e cicatrici, crepe e sbeccature, peggiori del danno stesso e mai più rimarginabili.

Ma, è nel campo comportamentale che, il parossismo, raggiunge vette di distruttività raramente immaginabili altrove. Molto più di un terremoto, di un’esplosione, di un’eruzione vulcanica. Molto di più, trasformando le persone in macerie, materiali di risulta umana a cui è stata strappata via, con forza, la dignità.

Immagina una lite. I protagonisti sono quelli che la tua fantasia vorrà posizionare nella scena. Moglie e marito, genitori e figli, fidanzati, colleghi, amici, poco importa. Ci interessa il meccanismo crescente dell’asprezza che caratterizza lo scontro, quella china ripida e scivolosa che porta al punto di non ritorno.

Perché giunti al parossismo e lasciatogli il comando, si spegne la ragione e da lì è difficile fare marcia indietro.

Il parossismo, in una lite, comporta un agìto di sola pancia, di puro istinto non filtrato, di emozioni deleterie caratterizzate dall’irruenza non mediata, che puntano solo a colpire, come e peggio di un pugno, solo per fare male, per far sanguinare, per zittire l’interlocutore che, giunto al ruolo di antagonista, viene reso nemico mortale dall’esplosione parossistica. 

Come lupi in un branco, pronti a uccidere per difendere il territorio e il proprio ruolo di soggetti dominanti.

È in quel momento che, accecato dalla presunzione di ragione assoluta, allucinato dal bisogno egoistico di annichilire l’altro, intossicato dalle reazioni neurochimiche in corso, inizi a vomitargli addosso parole che, in condizioni normali, non diresti al tuo peggior nemico, ma che il meccanismo innescato, proprio come una esplosione vulcanica, rende incontenibili, ingestibili, incensurabili.

E di male ne facciamo tanto, soprattutto alle persone che amiamo, annebbiati dallo scoppio emotivo che tutto rende indistinto, lattiginoso, vischioso come il peggiore degli incubi, spaventoso come le nostre paure, irrazionale come la follia per la sopraggiunta incapacità d’intendere e ragionare, di volere bene e di rispettare.

Solo cattive informazioni e pessime prese di coscienza, quindi?

Non del tutto perché, anche nel più fetido letamaio (e la fase parossistica di una lite è puro sterco incapace di concimare) può nascere un fiore, una speranza, un momento di riscossa razionale che freni la lingua e c’imponga il ragionamento. La fase parossistica di una discussione, si può riconoscere fin dai suoi primi passi d’avvicinamento, nel momento esatto in cui sta per stravolgerci e renderci diversi da noi stessi, alieni a noi stessi, non più padroni delle nostre emozioni, irrispettosi della sensibilità dell’altro, desiderosi solo di annientarlo, assetati del suo sangue, affamati della sua dignità, da fare a pezzi e stracciare con la bava alla bocca, come un cane che ringhia e t’insegue, di notte, per farti a brandelli.

Inizia tutto dal respiro, che tende a farsi convulso, ansiogeno, annaspante, pur di star dietro alle pulsazioni cardiache accelerate anch’esse, riverberanti in gola, martellanti nella testa, che ci arrossano il viso, facendoci formicolare le mani, aumentando il volume della nostra voce e spegnendo, deleterio contraltare, la capacità di ascoltare, di comprendere, di analizzare le altrui ragioni, i suoi punti di vista, la contestualità delle sue istanze. 

Il suo perché!

Questa fase si può riconoscere e stoppare, imparando a conoscere noi stessi, proprio mentre si palesa, tirando un respiro profondo, restando zitti per un momento, facendo un plateale passo indietro e magari un gesto con le mani, come a temporeggiare e a prendere le distanze, non dall’altro ma dalla situazione. Perché, in questi casi, anche la teatralità è un’arma vincente, andando a contrastare l’altrettanto plateale esplosione d’ira, il fuoco incrociato in cui non ci sono amici ma solo nemici mortali.

Il parossismo è insito in tutti noi, è una tara comportamentale che fa parte del nostro meccanismo di combattimento o fuga, ma è qualcosa che, a questo punto dell’evoluzione, non ci serve più. E riconoscerlo si può, mentre è ancora alle porte, quando ancora non ci ha stravolti, umiliati, calpestati, per contrastarlo, scacciarlo, al fine unico di riconquistare il controllo e la cognizione che noi, tutti, siamo molto migliori del nostro bisogno, violento e animale, di sopraffare gli altri, per primeggiare come fiere allo stato brado, come belve irrazionali, a ogni costo.


Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano. Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




Niente da celebrare.

Giulia Gellini_ Crocifissione_Tecnica mista_ 165×130 cm_2013

di Redazione FUORI.MAG_EG

Da un lato multinazionali visionarie che hanno fatto del benessere del proprio dipendente un mantra (vedi LinkedIn) che ha concesso recentemente ai propri dipendenti di scegliere per davvero se tornare in ufficio in modalità ibrida o se lavorare al 100% da remoto), dall’altro piccole realtà che ancora oggi, nonostante una più accesa e matura consapevolezza sul tema sicurezza, le leggi e protocolli a tutela del dipendente e la capacità di poter investire in manutenzione, diventano luoghi di morte.

Sono pericolosi e fuorvianti i confronti tra i vari Golia (pochissimi in Italia quelli che possono fregiarsi del titolo di “gigante”, ma nel senso più umano e visionario del termine) e la moltitudine di Davide (tantissimi e non necessariamente PMI, che ancora intendono i dipendenti come “asset”, “costo fisso/variabile”, “manodopera” o “capitale”), però questa polarizzazione restituisce una fotografia del lavoro in Italia oggi.

Non bisogna sentirsi fortunati, perché “c’è chi sta peggio”, bisogna sentirsi insoddisfatti, perché il meglio dovrebbe essere la norma e non un privilegio.

A tutti dovrebbe essere garantito il rispetto della propria dignità.

In settimana Laila El Harim, operaia di 41 anni rimasta incastrata in una fustellatrice. A maggio Luana D’Orazio, operaia di 22 anni , stritolata da un macchinario manomesso. A marzo Sara Pedri, la ginecologa forlivese di 31 anni, scomparsa dall’ospedale Santa Chiara di Trento, dove subiva mobbing e violenza psicologica. 

Che cosa c’è da celebrare esattamente, qui sopra?


Note a margine _

Con questo articolo intendiamo richiamare l’ attenzione – con continuità di azione nel lungo periodo – alla sempre attuale e interessante tematica riguardante la donna e la sua posizione nel mondo del lavoro.

Cercheremo di denunciare, in forma sintetica ma precisa, il fenomeno del mobbing che, a tutt’oggi, presenta come vittima preferenziale la donna.

Milioni di donne , ogni giorno, subiscono discriminazioni nel mondo del lavoro. Questo preoccupante fenomeno non solo viola i diritti fondamentali ma ha anche conseguenze rilevanti dal punto di vista economico e sociale. Le discriminazioni soffocano opportunità, sprecano il talento umano necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni sociali e le disuguaglianze. La lotta alla discriminazione è parte essenziale della promozione del lavoro dignitoso.