Veneziola/Venezziola/Venezuola…Venezuela!

Il Vespucci sta navigando verso Trinidad e Tobago, al largo delle coste del Venezuela..

Ad Amerigo Vespucci non si deve soltanto il nome “America”, ma anche il nome “Venezuela”. Nel 1499, in uno dei suoi viaggi nel nuovo continente, il navigatore fiorentino scoprì un insediamento lagunare con tipiche costruzioni sull’acqua. Queste palafitte, e più in generale l’intera Laguna di Maracaibo, ad Amerigo Vespucci ricordarono Venezia e la definì Veneziola/Venezziola/Venezuola (cioè“piccola Venezia”). Successivamente tutta la regione dove sorgeva questo villaggio assunse, per estensione, tale denominazione che fu poi trasformata in lingua spagnola in “Venezuela”.🇻🇪

Cieli sereni
PG




Greenwashing, il lato oscuro della sostenibilità.

di Francesca Bux

“Investire nel Pianeta” è il tema scelto per la Giornata Internazionale della Terra del 2022 appena trascorsa.

Ogni anno, dal 1970, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, si celebra quella che è considerata la più grande iniziativa al mondo dedicata all’ambiente.

Obiettivo principale: sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia del pianeta, della biodiversità, promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e invertire il degrado dei terreni.

Le Nazioni Unite, nel 2016, hanno scelto il 22 Aprile per adottare ufficialmente l’Accordo di Parigi, che rappresenta l’impegno più importante mai firmato contro la crisi climatica globale.

L’obiettivo del trattato è molto chiaro e prevede l’incremento comunitario di azioni mondiali e il suo raggiungimento può essere riassunto in 3 punti fondamentali:

– contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 °C oltre i livelli preindustriali e di limitare l’aumento a 1,5 °C

– aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino la produzione alimentare;

– rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima.

Tutto molto bello e soprattutto estremamente necessario.

Ma cosa significa esattamente la tematica scelta e quali demoni si possono celare dietro una così nobile causa?

“Investire nel Pianeta” è un chiaro riferimento a come la finanza privata – influenzata e guidata spesso anche dalle nostre scelte individuali – è probabilmente uno dei più grandi acceleratori dei capovolgimenti di cui abbiamo bisogno per dare una svolta e mettere un freno ai disastri naturali causati solo dalla nostra noncuranza e senso di onnipotenza.

E’ quindi abbastanza semplice dedurre come, prendendoci cura della nostra Madre Terra, arrivino anche i vantaggi economici.

E qui entra in scena un termine che si è fatto conoscere molto negli ultimi tempi.

Stiamo parlando del Greenwashing.

Origine del nome:

Si tratta di un neologismo nato dalla sincrasi tra le parole “green” (il colore associato da sempre all’ambiente e al movimento ambientalista) e “whitewashing” (imbiancare e – in senso figurato – nascondere qualcosa).

La sua origine viene fatta risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere, che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà l’invito era mosso quasi esclusivamente da motivazioni economiche (nello specifico, era relativo a un taglio nei costi di gestione).

Ora noi lo utilizziamo per indicare una strategia di comunicazione adoperata da certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, con l’unico scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Esempio: avete sentito parlare della “JoinLife Collection” di Zara?

E’ una campagna sostenibile intrapresa dall’azienda, per mostrarsi sensibile alle conseguenze dei propri prodotti sull’ambiente.

Peccato che, come spiega a Will uno dei più agguerriti nemici di questa pratica, nonchè esperto in sostenibilità ambientale e sociale nella moda, Matteo Ward, analizzando le componenti di un capo presentato sul sito, è possibile notare come un tessuto composto da più di due diversi tipi di fibre non possa essere riciclabile. 

Inoltre, le stesse fibre derivano da combustibili fossili: questo significa che,lavaggio dopo lavaggio, viene rilasciata della microplastica.

E tutto ciò non è assolutamente né green, né Eco-friendly, né tantomeno etico.

I danni che conseguono un’attività di Greenwashing spaziano dalla perdita di credibilità a quello più serio che consiste nella mancanza di un’azione concreta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Per questo motivo, è fondamentale l’identificazione delle aziende che realmente hanno incorporato la sostenibilità all’interno della propria organizzazione, soprattutto per gli investitori ESG (Environmental, Social, Governance. Viene utilizzato nel settore economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR), che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance). 

Il rischio, altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio per l’ambiente e le persone, vanificando così tutti i princìpi e le buone intenzioni della tematica di questa giornata.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




La “Luna Rosa” della Pasqua 2022

Oggi 16 aprile 2022 è il giorno della Luna Piena di aprile, tradizionalmente chiamata LUNA ROSA.
Il nome però non deve trarre in inganno: il nostro satellite, infatti, non appare affatto di quel colore, ma questa sera sorgerà con il suo solito colore dorato per poi prendere, più in alto, il suo aspetto argenteo. Il fenomeno astronomico è battezzato così perché legato alla fioritura di questa stagione di un muschio rosa, una pianta sempreverde i cui fiori rosa-magenta, in alcune regioni degli USA, formano vere e proprie praterie.
Questo, come tutti i nomi della Luna Piena che usiamo ancora oggi, derivano dalla tradizione dei nativi americani.

RELAZIONE CON LA PASQUA

La Pasqua è una festa “mobile”, poiché, secondo quanto stabilito dal Concilio di Nicea, si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera.
Questo di oggi (alle 20:57 ora italiana) è il primo plenilunio dopo l’equinozio del 20 marzo scorso e quindi domani, domenica 17 aprile, sarà PASQUA.

UN DILEMMA!

Oggi, sabato, nel momento esatto del plenilunio, in molti Paesi del mondo in cui vige un fuso orario con ore ‘avanzate’ .. sarà già passata la mezzanotte e quindi sarà già domenica!;
La Pasqua, dunque, in quei Paesi, (stando alla definizione!), dovrebbe essere celebrata la …domenica successiva!! 🤔

NOTA
Nella Chiesa occidentale NON viene utilizzata la data ‘reale’ (quella astronomicamente esatta) dell’Equinozio di Primavera (quest’anno, ad esempio, è stato il 20 marzo), bensì una DATA FISSA, sempre il 21 Marzo (detto ‘Equinozio FISSO’) .
Inoltre la Chiesa NON considera la ‘vera’ luna piena astronomica ma la LUNA ECCLESIASTICA (fittizia), basata su apposite TABELLE compilate e stabilite dalla Chiesa stessa. Questo criterio adottato dai cattolici permette di calcolare in anticipo la data della Pasqua e svincolarla dalle reali osservazioni dei moti astronomici che, per loro natura, sono irregolari e meno prevedibili.
Grazie a questa ‘semplificazione’ si è calcolato la periodicità della sequenza delle date di Pasqua almeno per i prossimi 5 milioni e settecentomila anni !

Cieli sereni e.. Buona Pasqua
PG




Nauru: La Repubblica più piccola del Mondo

L’isola di Nauru

NAURU è il nome di un’isoletta dell’Oceano Pacifico situata a metà strada tra l’Australia e le Hawaii, grande come un quartiere di una città (21 kmq) e abitata da circa diecimila persone.

https://goo.gl/maps/MNsDsFWUDAVqzjtUA

E’ LA REPUBBLICA PIÙ PICCOLA DEL MONDO.
Ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1968 e divenne improvvisamente ricchissima grazie all’esportazione dei fosfati, abbondantissimi nel sottosuolo e dei quali il mondo ha bisogno come fertilizzanti.
Nel corso di circa 30 anni, i minerali che hanno reso ricco il paese si sono però esauriti facendo piombare la nazione in una gravissima crisi economica.
Così l’isola che fu definita dagli scopritori inglesi (1798) the Pleasant Island (l’Isola Piacevole) oggi è, per l’80%, un’ arida miniera a cielo aperto e con il 40% delle risorse marine compromesse dallo scarico dei detriti. Non ci sono quasi più gli alberi, l’acqua scarseggia, il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento del livello dell’oceano la sta minacciando (l’altitudine massima dell’isola è di 60 metri s.l.m.). Il 90% della popolazione è disoccupato e il reddito pro capite è tra i cinque più bassi del mondo.

CURIOSITÀ
Secondo uno studio condotto dall’OMS, l’importazione di cibo occidentale durante la crescita economica ha intaccato l’originaria cultura, anche gastronomica, essenzialmente basata sulla pesca e l’ agricoltura.
La dieta non salutare e lo stile di vita sedentario sempre più diffuso tra i nauruani a partire dagli anni 1980, hanno portato la popolazione autoctona ad avere le peggiori condizioni di salute nella regione del Pacifico.
Gli abitanti di Nauru detengono dei tristi primati: soffrono di obesità (70%), tabagismo (50%), diabete (40%) e alcolismo e hanno un’aspettativa di vita di 50 anni.

La bandiera di Nauru, in alto a sinistra nell’immagine, si compone di un campo blu (che simboleggia l’Oceano Pacifico), separato in due parti uguali da una striscia gialla orizzontale (l’Equatore).
Sotto la striscia gialla, sul lato del pennone, è presente una stella bianca a 12 punte (tante quante erano le tribù originarie dell’isola) che rappresenta la posizione geografica di Nauru, appena un grado a Sud dell’Equatore. 🇳🇷

Cieli sereni
PG




Gli stupidi ben informati.

Emilio_Gomariz

di Valentina Serafin 

La libertà di informazione è, bene o male, garantita da costituzioni e da leggi.

I media che ricoprono il nostro pianeta, con le loro reti, si dichiarano liberi, ma lo sono davvero, oppure sono in catene? Non è, di fatto, ipotizzabile una rivoluzione democratica, né una politica degna di tale nome, se non si affronta la situazione complessa della comunicazione.

Parlare di punto di non ritorno potrebbe sembrare eccessivo, eppure il nostro Paese si trova, oggi, ad un livello assolutamente insufficiente, se parliamo di qualità e libertà dell’informazione.

Senza una vera libertà in questo settore nevralgico, non ci può essere vera democrazia.

Naturalmente, non stiamo parlando di mancanza di libertà di espressione o di parola, condizione propria di regimi totalitari che, grazie a Dio, non ci riguardano, ma i vincoli sono sempre più virtuali, invisibili, tali da condizionare il pensiero comune, indirizzandolo.

La libertà di espressione, così come la conosciamo oggi, in questa forma, è il frutto di lunghe lotte, che hanno assicurato ai giornali e ai media di poter stampare, trasmettere, informare in modo (apparentemente) libero.

Certo, questa libertà è garantita dalla Costituzione e dalla Legge, ma sempre di più in una forma simbolica che, con il tempo, si è andata modificando, rimodellandosi su esigenze editoriali e di partito.

Oggi, la platea di strumenti informativi è impressionante. A volte, può sembrare anche eccessiva, vista la quantità di dati a disposizione e come questi vengano modificati a proprio uso e consumo. Ma se ognuno di questi strumenti è anche in piccola parte “non libero”, la somma totale, poi, diventa preoccupante, perché si rischia di cadere in un conformismo illiberale.

L’opinione pubblica è spesso considerata dominatrice e onnipotente, giudice ultimo, senza possibilità di appello. Ma, in effetti, e allo stesso tempo, questa è quotidianamente condizionata, in modo subdolo, dunque possiamo certamente dire che è manipolata. Questo accade perchè esiste una condizione di oligopolio con una concentrazione limitata di grandi realtà editoriali, irraggiungibili dalle minoranze ideologiche, che, essenzialmente, sono rese inermi da questo strapotere.

Il lettore, lo spettatore e l’ascoltatore, che vengono dichiarati “protagonisti”, in realtà sono ridotti a soggetti passivi ed inconsapevoli.

Non hanno alcun diritto.

I risultati della cosiddetta “libertà d’impresa mediatica” sono insignificanti.

L’opinione pubblica, il lettore, il cittadino, si difendono come possono e arretrano: abbandonano progressivamente gli strumenti più “difficili” e soggiaciono a quelli più “facili”. Vanno sempre meno in edicola ad acquistare i quotidiani e si consegnano inerti e inoffensivi di fronte alla tv, assimilando improbabili notizie che gli si accavallano nella mente in un turbine di realities, “Grandi Fratelli”, serie tv e news accomodate.

In una società che rivendica (giusti) diritti per qualsiasi minoranza e categoria, nessuno ha mai pensato di garantire i diritti dei lettori e ascoltatori?

Il “lettore”, inteso nel senso più ampio del termine, oggi, di fatto, non ha sufficienti garanzie sul prodotto che acquista e quelle poche che ha sono disattese.

Eppure, questi sono consumatori di una merce ben più delicata di altre, perché condiziona la salute mentale e democratica.


Valentina Serafin collabora con PIUATHENA ed ha una esperienza pluriennale come Presentatrice, Conduttrice TV e Speaker radiofonica, acquisita collaborando con le più importanti realtà del settore.