0 Gennaio

LO “0 GENNAIO”

Domani sarà il primo giorno del 2023 e dalle 00:00 (mezzanotte di oggi 31 dicembre) lo chiameremo 1 GENNAIO.
Ci domandiamo perché lo chiamiamo 1 gennaio se, tecnicamente, non è ancora trascorso?

Domani a mezzogiorno saranno trascorsi solo 0,5 giorni del 2023 e il 1° gennaio 2023 si completerà solo a mezzanotte, quando in realtà sarà già il 2 gennaio nel nostro calendario.

Ci chiediamo dunque se effettivamente, sul calendario, contiamo correttamente i giorni?
Lo stesso dubbio che ci assale per i giorni ci viene per gli anni: perché l’anno successivo all’1 a.C. fu l’1 d.C…cosa successe all’anno 0? L’anno 0 NON è esistito ed ecco perché, ad esempio, l’anno 2000 fu l’ultimo anno del 20° secolo e NON il primo del 21° secolo.
Rispondendo quindi alla domanda sul nostro modo di contare i giorni, la risposta è che, con l’assenza dei giorni 0 in ogni mese, è evidente che ciò che facciamo è nominare i giorni con numeri interi naturali : non c’è dunque lo 0 nel calendario!

Quella differenza tra il nome che il calendario dà ai giorni e il tempo per il quale trascorrono effettivamente, crea però un problema per i calcoli astronomici.
Per calcolare i tempi (frazioni di mese o di anno usando i numeri decimali), è quindi necessario designare un “giorno 0” e per questo gli astronomi hanno scelto di considerare l’ultimo giorno dell’anno, cioè il 31 dicembre dell’anno precedente, come lo 0 GENNAIO.
Così le effemeridi pubblicano i dati di posizione delle stelle e dei pianeti datati 0 gennaio, le tavole astronomiche iniziano con lo stesso giorno, e Gennaio 0 continuerà ad apparire nei libri di astronomia tecnica, anche se adesso, con i computer, non è più così importante.

Il tempo trascorso dalle ore 12:00 del 31 dicembre alle ore 12:00 del 1° gennaio corrisponde all’ora solare media, e non ‘da mezzanotte a mezzanotte successiva’ come ora ‘civile’. Con il sistema “astronomico”, il passaggio al giorno successivo è scandito dal passaggio del sole medio al meridiano superiore (a mezzogiorno) e non al meridiano inferiore (a mezzanotte secondo la maniera “civile”).
Nel 1955, l’Unione Astronomica Internazionale adottò uno speciale calendario, che iniziava a mezzogiorno dello 0 gennaio 1900 (31 dicembre 1899) per scopi esclusivamente astronomici.

Cieli Sereni e
Buon Anno Nuovo
PG




Le campagne del Black Friday [da non dimenticare]


di Francesca Bux

Unforgettable!

No, non stiamo parlando di una canzone o di un episodio della saga di Star Trek: Voyager, ma dell’appuntamento che qualsiasi persona, patita dello shopping o meno, non si fa sfuggire!

Il giorno del Black Friday!

Lo avete aspettato da mesi, avete screenshottato oggetti, fatto liste dei desideri, immaginato il momento dell’acquisto e, anche se ormai è già passato, i suoi effetti rimarranno indelebili, soprattutto nelle carte di credito.

Ma sapete che se avete deciso per un brand invece che un altro, è anche merito della loro linea di comunicazione?

Ebbene sì. Mettetevi comodi e noi in pochi minuti vi mostreremo alcuni esempi di campagne marketing davvero efficaci.

And the Oscar goes to…

Un posto d’onore sicuramente spetta al colosso statunitense Amazon. 

Ogni anno, la più grande Internet company al mondo propone già dall’inizio di Novembre spot e video, che sono molto più di una semplice azione pubblicitaria.

Come ad esempio per “Thoughtful Theo”: qui il premuroso protagonista Theo decide di giocare d’anticipo sui regali di Natale e iniziare a fare acquisti approfittando degli sconti disponibili anche prima del Black Friday. 

In questo modo, non solo risparmierà molti soldi, ma può pensare tranquillamente a rendere felici tutti, persino il suo dentista! 

Inoltre, con la consueta tagline: “Spend Less. Smile More.”, il filo conduttore tra acquisto intelligente – regalo per tutti – dentista – sorriso è immediato, facilmente comprensibile e pone una situazione che per la maggior parte delle persone è sinonimo di dolore, come una perfetta occasione per sorprendere qualcuno.

Invece con “Wonderland Will”, Amazon ci convince a non farci scappare l’occasione di regalare gioia a chi ci sta intorno quotidianamente o a iniziare a far risplendere la magia del Natale anche nell’ambiente che ci circonda.

15 secondi per mostrare come gli acquisti fatti da Will, abbiano trasformato il suo posto di lavoro in un suggestivo villaggio di Natale, rendendo così felici anche i suoi colleghi.

Un tocco in più dedicato alla sostenibilità viene dato alla fine, quando è sottolineato il fatto che abbia decorato le sale con carta da stampate riciclata.

Amazon in questo modo ci tiene a rimarcare come i suoi servizi possano migliorare la qualità della vita dei suoi clienti, riuscendo a portare l’identità del brand (nel suo logo c’è un infatti un sorriso) a fianco a sentimenti come felicità e gratificazione.

E dall’Europa arriva una risposta che è tutto, tranne che impercettibile!

Anche MediaWorld si difende molto bene e la sua strategia di giocare d’anticipo sugli sconti è pensata per portare a far fare acquisti “con calma”, così da avere tempo per vedere bene tutte le offerte e capire quali siano quelle più vantaggiose.

Per fare questo, gli eclettici e poliedrici protagonisti “Elio e le storie tese” hanno raccontato, tramite micro pillole della durata di 30 secondi, le offerte delle settimane antecedenti il Black Friday.

La scelta dei testimonial non poteva essere più azzeccata: MediaWorld aveva infatti l’intento di far arrivare il messaggio della favolosa lunghezza temporale delle sue offerte e chi meglio de “i più grandi allungatori di vocali italiani” – come per stessa definizione data da Elio – poteva farlo?!

“Il brand (in Italiano “il brando”) si è accorto delle nostre doti camaleontiche e soprattutto di una dote di cui nessuno si era accorto finora: la nostra capacità di allungare le vocali. Così, quando si è posto il problema di allungare la “i” (in inglese “ai”) di Black Friday, è stato naturale pensare a noi”, commenta il frontman del gruppo.

Da questa base, viene creato un video divertente, efficace e semplicissimo: gli Elio e le Storie Tese salgono sul palco di MediaWorld per dare il via e rendere più lungo possibile il Black Friiiiiiiiday aziendale!

https://www.youtube.com/watch?v=vV_lTcWFh_E

Ma il Black Friday è anche occasione per fare “qualcosa di più”!

C’è anche tanta voglia di scardinare gli schemi e rendere protagonisti chi invece proprio quella giornata non vede l’ora che finisca.

Per questo, REI – una società americana di servizi di vendita al dettaglio e attività ricreative all’aperto – come ogni anno ha chiuso i suoi negozi sia per il Giorno del Ringraziamento, che per il Black Friday, promuovendo l’occasione per stare all’aperto.

L’iniziativa, che prende il nome di # OptOutside, è rivolta anche ai consumatori: un invito celebrare il tempo nella natura, mettendo così da parte quella frenesia consumistica e lo stress che possono derivare da dover fare acquisti “quasi per forza”, come se davvero non ci fossero altre alternative o altro modo per passare quei due giorni di festa.

Ah, per i dipendenti sarà comunque una giornata lavorativa retribuita.

E secondo voi poteva mancare il miglior amico delle nostre case?

Di controtendenza anche Ikea con il suo #BuybackFriday: oltre alle solite imperdibili occasioni, una delle aziende leader nella vendita di mobili, complementi d’arredo e oggettistica per la casa, dà la possibilità ai suoi clienti di portare mobili usati, restituendo un buono del 50% del loro valore. 

In più, tutta la merce reputata “non idonea” per una nuova vendita, verrà riciclata o donataalle comunità bisognose.

Quando il brand ti scalda corpo e anima.

Ovviamente stiamo parlando di Patagonia.

Il noto marchio di abbigliamento, oltre ad essere molto noto e popolare, non è nuovo nell’aiutare ambiente e comunità: in occasione di un Black Friday di qualche anno fa, ha infatti lanciato la sua 100% For the Planet campaign. 

Nello specifico, tutto 100% delle vendite della giornata è donata a enti di beneficenza e organizzazioni di base per il cambiamento ambientale.

In maniera quasi inaspettata, la campagna è ha raggiunto oltre 10 milioni di dollari, invece dei 2 milioni di dollari previsti, dimostrando anche come i clienti siano disposti a spendere qualcosina in più, se sanno che i loro soldi saranno utilizzati per rendere il mondo un posto migliore.

https://www.patagonia.com/stories/100-percent-today-1-percent-every-day/story-31099.html


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




PATRIAE UNITATI e CIVIUM LIBERTATI

L’Altare della Patria

Ogni 2 giugno il Presidente della Repubblica, rende omaggio all’ALTARE DELLA PATRIA con la deposizione di una corona d’alloro.
L’ Altare della Patria, inaugurato il 4 giugno 1911, raccoglie, nelle sue sculture, la storia dell’unità d’Italia e i simboli della Repubblica.
Eccone alcuni:

2 gruppi scultorei in bronzo dorato rappresentano i valori degli italiani: PENSIERO e AZIONE.

4 statue in marmo botticino che simboleggiano i valori morali degli italiani e i principi ideali che rendono salda la nazione: FORZA, CONCORDIA, DIRITTO e SACRIFICIO.

14 bassorilievi di CITTÀ NOBILI italiane posti alla base della statua di Vittorio Emanuele II. Si tratta di capitali delle antiche monarchie italiane preunitarie e delle repubbliche marinare, perciò non necessariamente delle più importanti d’Italia
Queste città, considerate “madri” della Patria sono TORINO, VENEZIA, PALERMO, MANTOVA, URBINO, NAPOLI, GENOVA, MILANO, BOLOGNA, RAVENNA, PISA, AMALFI, FERRARA e FIRENZE.

16 statue nel fregio sopra il grande portico personificano le REGIONI italiane. Ogni statua si trova in corrispondenza di una colonna.

2 quadrighe: visibili da tutta Roma, simboleggiano l’UNITÀ e la LIBERTÀ.

2 iscrizioni latine poste sui frontoni dei sottostanti propilei, richiamano i due concetti cardine che informano l’intero monumento: LIBERTÀ DEI CITTADINI (“Civium Libertati”) e UNITÀ DELLA PATRIA (“Patriae Unitati”).

2 fontane dei maggiori mari italiani: a sinistra il MARE ADRIATICO e a destra il MAR TIRRENO.

Cieli sereni 🇮🇹
PG




Buon Vento Exhibstory 

di Cristina Colaninno

Buon vento è un modo di dire che si usa fra marinai come augurio di trovare sempre le condizioni migliori per indirizzare il proprio viaggio, un viaggio che, a volte invece, può essere costellato di difficoltà tra le quali è difficile destreggiarsi. Da una di queste difficoltà nasce il progetto espositivo, realizzato da Federica Anna Molfese con l’Associazione Controcorrente e CFC, patrocinato dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma con il sostegno di dell’Associazione Salute Donna Onlus, Cristal Bra e Samarcanda Radiotaxi.

Racconta il decorso di una malattia purtroppo molto diffusa, il tumore al seno e viene presentato il 7 maggio alle ore 18,00 presso Rione Roma in Via dell’Arco di Parma 18 che ha, con entusiasmo, accolto l’iniziativa.

E’ il foto-video racconto di un percorso lungo e doloroso che ha coinvolto l’autrice, Federica Anna Molfese e, poco dopo, anche sua madre. Prima dell’operazione di mastectomia che la attendeva ha voluto  fotografarsi per ricordare, per raccontare quello che le accadeva e prendere consapevolezza di quello che stava per cambiare. Quella prima foto ha creato un forte legame con la macchina fotografica, che l’ha accompagnata per i due anni successivi. Le foto scattate erano crude, prive di ogni qualsivoglia mediazione sul tema, anche per il modo in cui il tumore era stato scoperto e fatto irruzione nella sua vita, senza nessun avvertimento dall’oggi al domani..

L’esigenza dell’artista è stata quella di creare qualcosa che andasse oltre il personale vissuto e raccontare le paure e le idee che passano per la mente in un momento come quello, al fine di aiutare chi, purtroppo, sì trova ad affrontare una situazione simile a sentirsi meno solo. 

Il progetto, curato da Chiara Sandonini, si compone  di 3 sezioni ospitate nei diversi piani di Rione Roma, lo spazio polifunzionale situato nei pressi di Piazza Navona, che accoglie l’evento nelle giornate comprese fra il 7 ed il 13 maggio 2022, in concomitanza con il mese della prevenzione dei tumori al seno. Per accedere dall’8 al 13 è necessario prenotare via email a rioneroma@gmail.com o chiamare il numero 3387043943.

L’iniziativa ha riscosso l’interesse della Commissione capitolina della Pari Opportunità ed ha invitato l’artista alla commissione tenutasi il 2 maggio 2022 a seguito della quale la Presidente Michela Cicculli ha dichiarato: “La Commissione delle Pari Opportunità di Roma Capitale sostiene fortemente l’iniziativa Buon Vento Exhibstory che, accanto alle numerose altre iniziative dedicate in questo periodo alla sensibilizzazione sul tumore al seno, è occasione di riflessione su un’esperienza che riguarda ancora troppe donne, anche molto giovani, che non devono sentirsi sole. La Commissione della Pari Opportunità e l’Assemblea Capitolina si faranno promotrici degli atti necessari a diffondere le iniziative di informazione e prevenzione nella città di Roma e di quelli a supporto alle donne che si trovano ad attraversare questa esperienza. La corretta informazione, l’accesso alla prevenzione e alle cure e il sostegno sociale e istituzionale sono i tasselli che possono aiutare le donne ad affrontare e superare anche un’esperienza così difficile e a tornare ad una vita piena e soddisfacente.”

Alla Commisione Comunale ha partecipato anche l’Associazione Salute Donna Onlus, che si dedica alla promozione dell’educazione alla salute, alle attività di prevenzione delle malattie oncologiche, alla informazione sull’importanza dei principi che sono alla base dei corretti stili di vita, al sostegno dei pazienti oncologici nel percorso di cura, al supporto della ricerca scientifica e alla tutela dei diritti dei pazienti anche attraverso un’importante azione Istituzionale. Nella stessa sessione è stata ribadita anche l’importanza di una riflessione da parte delle istituzioni sul sostegno alle idee ed ai progetti artistici delle persone colpite da malattie gravemente invalidanti.

Anche la Regione Lazio ha voluto sostenere BuonVento  concedendo il suo patrocinio e la Consigliera e Segretaria Michela Di Biase dichiara: “Raccontare la malattia attraverso l’arte, dare forma al dolore, ai cambiamenti del proprio corpo e a quelli dell’anima e trasformare tutto in un “Buon vento” è quello che Federica ha realizzato attraverso un progetto artistico che ripercorre le tappe del suo tumore al seno: dalla scoperta, all’operazione e alla guarigione. L’istinto ci porta quasi sempre ad allontanare il dolore, a volte anche a nasconderlo, Federica, invece, lo ha mostrato al mondo, lanciando attraverso l’arte un messaggio diretto e potente che è quello della sfida, del coraggio e della vittoria. È attraverso questo racconto che Federica dà forza a tutte le donne che come lei sono colpite dal carcinoma al seno. Il tumore della mammella è ancora oggi la neoplasia più frequente in Italia ma è anche tra le più curabili e la diagnosi precoce riveste un ruolo cruciale nella lotta al tumore al seno. La Regione Lazio ogni anno offre screening gratuiti alle donne tra i 45 e i 49 anni. Inoltre, abbiamo stanziato fondi per contribuire all’acquisto della parrucca e istituito banche della parrucca in tutte le Asl regionali, oltre a prevedere un unico intervento per la mastectomia demolitiva e la ricostruzione contestuale della mammella.”

Il progetto è realizzato con il sostegno di Cristalbra “zerodolore”, il primo reggiseno bustino-bendaggio, ideato per accompagnare ogni persona nei giorni successivi all’intervento necessario in caso di eliminazione di neoplasia o in caso di mastoplastica ma anche in un decorso post operatorio di altro genere che interessi la zona.  

Anche la cooperativa di Taxi Samarcanda ha deciso di partecipare al progetto in questo mese in cui festeggia i suoi 30 anni di attività ed ha deciso di celebrarli all’insegna della solidarietà, implementando le già corpose attività del Taxi Solidale, con un’iniziativa in sostegno delle donne che devono recarsi in ospedale per controlli e/o operazioni. Ogni donna, che nel mese di maggio si avvarrà del servizio usufruirà di uno sconto del 10% sia sul trasporto verso la struttura medica – clinica – ospedaliera che dalla stessa verso casa; il codice abbinato all’iniziativa è 0310 “Convenzione Buon Vento” . Samarcanda è da sempre vicina alle problematiche sociali e sostiene periodicamente diverse campagne di solidarietà.

BuonVento continuerà ad essere presente a Roma in diversi luoghi che lo ospiteranno per il valore evocativo e narrativo che lo caratterizza, per sapere dove e quando potrete vederlo seguite i social dell’iniziativa:

https://www.facebook.com/buonvento.exhibstory

https://www.instagram.com/buonvento_exhibstory/


Cristina Colaninno

Sono una giornalista pubblicista, un ufficio stampa, una professoressa di scuola superiore e una formatrice aziendale. Lavoro con diversi enti di formazione ma anche con università private. Nei miei 43 anni ho capito di essere inguaribilmente curiosa di amare la letteratura, l’arte, il teatro, gli eventi e il digitale per il suo valore innovativo. Sono Membro del comitato scientifico dell’Associazione Nord Est Digitale che promuove e diffonde la cultura del digitale in Italia e sono ambassador per il Lazio del Digital Meet. 

A questi link potrete trovare ulteriori info sulla mia attività.

https://instagram.com/cfc.roma?igshid=YmMyMTA2M2Y=

https://www.linkedin.com/company/cfc-comunicazione-formazione-consulenza/

https://www.facebook.com/Comunicazioneformazioneconsulenza/




No alla violenza!! [ma a quale violenza?]

di Mario Barbieri

Mi spiace non parliamo di guerra in Ucraina e sembrerà un banalità parlare di quanto accaduto sul palco del Dolby Theatre nell’appena trascorsa notte degli Oscar, quando c’è tanta violenza, tanto sangue che scorrono a noi così vicino, con conseguenze e ferite che difficilmente si rimargineranno, ma mi perdonerete se non mi lancio in valutazioni di eventi che completamente mi sovrastano…

Torniamo quindi ad un evento di risibile portata mondiale, anche se per un po’ se ne parlerà, anche se entrerà negli annali dell’Academy e delle sue “Notti dell’Oscar”.

Parrebbe una sfida a singolar tenzone e certamente in tempi andati così sarebbe finita la cosa. Un schiaffo con il guanto (per il massimo disprezzo) e un rimando ai padrini per la scelta delle armi e una richiesta al “primo sangue” quando non all’ “ultimo”.

Forse e dico forse, Chris Rock in tempi di duello ci avrebbe riflettuto due volte nell’usare la sua lingua come spada. Già perché è risaputo, la lingua ferisce, affonda e può anche uccidere, ma a quanto pare la violenza del pugno di Will Smith, ha soverchiato l’altra, è assurta in quanto fisica, al valore di “inaccettabile”, ma è proprio così?

Intanto perché “pugno”, come ovunque piace scrivere? Se Smith avesse assestato un pugno a Rock, questi, nonostante il suo cognome, sarebbe certamente finito “a tappeto”, incapace di riprendersi tanto in fretta. E’ stato un SCHIAFFO quello che Smith ha dato a Rock e lo schiaffo ha un senso molto diverso, quando dato ha chi ha offeso o procurato offesa, perché non dimentichiamo che offesa e ferita c’è stata e non è che in nome della satira o della burla tutto può essere concesso.

Viviamo in un tempo di anime belle, dove ormai qualunque gesto può essere considerato “violenza” e solo più di recente consideriamo la violenza verbale, il ferimento gratuito e ingiustificato di sensibilità o di debolezze altrui, magari più a livello “social” che non in altri contesti come quello del monologo comico-satirico in questione.

C’è un’altra considerazione da fare: non era Smith il bersaglio della violenza dell’ironica, improvvida battuta di Rock, al ché si potrebbe dire “dai Will, incassa, prendi e porta a casa”, ma ad essere colpita è stata la moglie Jada. Colpita in un aspetto che già la fa soffrire e la mette in seria difficoltà.

Facciamo pure i pacifisti, ma chi non avrebbe reagito a difesa di chi si ama? Certo magari non fisicamente, magari con un bel fuck you Chris! Ma ognuno ha il proprio temperamento e Smith, trattenendo il suo, ha solo dato un bello schiaffone a chi irridente pensava anche di essere stato “comico”, mentre è stato solamente meschino.

Ma oggi è Will Smith, che dovrebbe chiedere scusa a Chris Rock, è lui il “violento” che rischia persino la denuncia e l’arresto.

Ma chiederà scusa Chris a Jada? Rischia forse lui la denuncia? Va bene così?

Beh, se va bene così, allora un bello schiaffone in faccia, se lo meritava proprio e se lo deve anche tenere.


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




Nomadland e l’emozione di tornare al cinema

Frances McDormand in the film NOMADLAND. Photo Courtesy of Searchlight Pictures. © 2020 20th Century Studios All Rights Reserved

(di Annalisa Rosati)

Dal 26 aprile in tutta Italia – o, meglio, in tutta l’Italia “gialla” – i cinema hanno finalmente riaperto.

Questa ripartenza, che comunque soffre del coprifuoco, dovendo così rinunciare al secondo spettacolo serale, della capienza ridotta e della voglia di sedersi al tavolino di un bar per l’aperitivo, a differenza della riapertura di giugno 2020, arriva all’indomani della notte degli Oscar© e gode di un’offerta culturale davvero ricca.

La prima settimana di programmazione si apre dunque con un campione che nell’ultimo anno ha fatto incetta di premi: Nomadland di Chloè Zhao, Leone d’Oro a Venezia, due Golden Globes e tre Oscar©, fra cui Miglior Film, Miglior Regia e Migliore Attrice Protagonista all’immensa Frances McDormand, che fra l’altro questo film lo ha anche prodotto.

Il pedigree di Nomadland è presto detto: Chloè Zhao trionfa con il suo film ovunque abbia avuto, in questo anno a luci spente, uno schermo per presentarlo. Passa alla storia come la prima regista asiatica premiata agli Oscar e la seconda vincitrice per la miglior regia in tutta la storia del cinema. E questo già ci dice molto del nostro tempo. Sceglie come interprete principale una donna over 60 e, insieme, calcano il red carpet più famoso del mondo praticamente make up free. Che strano definirla una scelta coraggiosa, ma di fatto sono due antidive che si presentano alla prima occasione sociale dopo la pandemia e, in mezzo a una parata di star, chiedono al loro contenuto di parlare per loro.

Empire, Nebraska, 2011. In seguito alla chiusura della fabbrica cittadina per la crisi economica, la città industriale di Empire viene completamente cancellata dalle cartine americane. Una dei suoi abitanti, Fern, già vedova da qualche anno e inoccupata dopo vari tentativi occupazionali senza successo, carica il suo furgone e parte alla ricerca di incarichi stagionali e di una nuova vita alternativa al “sistema” che per lei non ha funzionato. Tappa dopo tappa, Fern si ritrova parte di una comunità di nomadi, orfani di quel sogno americano che con la crisi del 2006 si è portato via tutto, soldi, sogni e salute, randagi in costante movimento in cerca di una via diversa dal mero materialismo: c’è un reduce del Vietnam che soffre di sindrome da stress post traumatico e ha trovato nella sua solitudine una soluzione pacifica per allontanarsi dai centri urbani e dal rumore della società organizzata, ci sono persone che attraverso il loro “viaggio terapeutico” stanno faticosamente cercando di affrontare un grave lutto, c’è chi non ha più niente, e con niente ha scelto di continuare a vivere. C’è una donna che racconta la storia di un collega e amico che, dopo aver passato un’intera vita dietro alla scrivania, arrivato a un passo dalla sognata pensione, si è ammalato e se n’è andato, sprecando in ufficio i suoi anni migliori, senza avere il tempo e l’occasione di “incassare” la sua libertà, mai arrivato premio per aver servito il sistema una vita intera.

Queste e altre storie Fern incontra sulla strada, la storia di un’altra America, invisibile, drammatica, ma affrontata da Nomadland con una incorruttibile dignità.

Il minimalismo degli oggetti ridotti all’essenziale, fra utensili e ricordi, che i nomadi portano con sé si accompagna al senso di immensità reso dalle inquadrature spaziose di paesaggi sconfinati: come dire, legarsi a niente per avere tutto. Una fotografia poetica insieme al gioco di opposizione tra primi piani e campi lunghissimi, sono il regalo di Chloè Zhao allo spettatore della sala cinematografica, che mette in relazione queste contraddizioni di contenuto e di forma per inondarci di bellezza.

Questa è la scelta stilistica della regista che decide di non soffermarsi, al contrario del libro di Jessica Bruder da cui è tratto il film e di come forse avrebbe fatto Ken Loach al suo posto, sulla scomoda inchiesta del fallimento del sistema capitalistico americano, del precariato e della povertà assoluta in cui versano milioni di “invisibili”. Questo manca un po’ in Nomadland, un approfondimento sulle cause del fallimento, sull’assenza dello Stato nella difesa ai più deboli, sulla tutela dei diritti dei lavoratori schiacciati dal profitto delle “big corporations”.

Eppure Nomadland è nutrimento per la vista e per l’udito, con la colonna sonora firmata da Ludovico Einaudi, di certo un buon inizio per ri-abituarci a spegnere la tv, abbandonare il divano di casa e condividere una visione pubblica su grande schermo.

Nomadland è anche in streaming su Disney+, ma credo faccia bene a tutti tornare al cinema.

A proposito, la Cineteca di Bologna festeggia la riapertura delle sale con un abbraccio particolare a tutto il suo pubblico, usando lo stesso font di Woody Allen.

(foto di Lorenzo Burlando).

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I Nodi di Giusi

(di Marina Ruberto)

Ho conosciuto Giusi Loisi ormai parecchi anni fa, in un’agenzia con cui collaboravo come free lance.

Era una giovane account arrivata da non molto dalla sua terra natale: la Puglia.

La portava con sé nell’espressione aperta, nei colori della parlata, nel sorriso sincero e negli occhi un po’ selvatici, dal taglio asiatico. “Da husky”, le dicevo.

Barese normanna: bionda, occhi azzurri.

Una bella ragazza allegra e divertente, che un venerdì, a fine giornata, tirò fuori un’intera valigia di abiti che le aveva disegnato la madre, per deliziare i colleghi con un ironico defilé, tra mille risate e commenti da casting.

Io l’avevo appena conosciuta e, da brava milanese tra il cinico e il diffidente, pensai che era troppo di tutto. Che una simile spontaneità e fiducia, non potevano essere autentiche.

Pensai: “ci fa”.

Poi, però, rapidamente, dovetti ricredermi. Diventammo amiche e lei mi aprì la porta della sua seconda vita: quella d’artista.

E allora compresi i legami. Anzi: i nodi.

Qualche anno fa, Giusi si è trasferita a Torino e, da allora, vive lì con il marito Francesco e il figlioletto Andrea.

Ma Milano le è rimasta nel cuore. Più amici qui che là. Tanti ricordi. Torna di tanto in tanto (ma, pandemia permettendo, tornerà proprio) per fare mostre e incontrare la “sua” città nel modo che preferisce: elettrizzante, stimolante, …e introspettivo. 

A distanza di tre/quattro anni dall’ultima volta che ci siamo viste “live”, ci ritroviamo davanti allo schermo di un computer. Felici di vederci, anche se avremmo preferito la modalità precedente.

Dimmi Giusi, il primo nodo non si scorda mai… Come ti è venuto in mente di cimentarti in quella che, forse, all’inizio parve una follia anche a te?

Ricordo perfettamente quella sera in cui mi prese il desiderio di quel gesto un po’ folle. Sentivo di aver  bisogno di “legare” una parte di me, con un’altra che pareva sfuggire.  Così feci la prima cosa che mi venne in mente: bucai la tela che avevo dipinto poche ore prima con un punteruolo e, nei fori, feci passare una corda grossa, intrecciandola fino a creare un nodo.  Credo sia stato il tentativo di legare il mio mondo terreno a quello spirituale.

Andiamo a caccia di significati, dai. Raccontaci la poetica delle annodanze con parole tue. So che non ami troppo i blabla. Magari ci facciamo aiutare da alcune definizioni che Manuela Gandini ha scritto di loro. Così sembriamo anche persone serie.

Annodanze. Il termine è un mix fra la drammaticità del nodo e la leggerezza delle danze. I nodi, il più delle volte non sono scomposti, ma ordinati come fiocchi di neve, sferici come ricci di mare o minacciosi come virus. Hanno fattezze organiche e sono tridimensionali. Come un’ossessione o un groviglio emozionale che riaffiora quadro dopo quadro, le Annodanze sono pensieri sottaciuti, materiali del subconscio, che prendono forma e si impongono al mondo con impeccabile pulizia formale.”

Manuela Gandini

Mi ritrovo in quello che ha scritto Manuela. Ha colto in pieno i miei “grovigli” e il tentativo di ordinarli in qualcosa di materiale. Che ha un inizio, una fine e un aspetto piacevole, compiuto. Molte delle persone che si avvicinano alla mia arte si riconoscono negli intrecci e nelle inquietudini delle Annodanze. Le stesse, in altre persone, scatenano sensazioni positive di allegria ed apertura.  A ognuno il suo nodo, insomma.  

Quando ti ho conosciuta abitavi nel “buco locale” di via Orti, ricordi? Era delizioso, ma quello che lo rendeva unico, era la presenza dell’enorme “donna riccio” che occupava quasi tutto lo spazio disponibile.

Raccontaci la tua ispirazione, prima e oltre le Annodanze.

In quel periodo stavo lavorando con materiali organici “morti” (foglie, aghi di pino, gusci di ricci di mare) a cui  intendevo dare una “seconda chance”.

La donna riccio, in particolare, è il risultato di un’esperienza, una ricerca introspettiva che si è tradotta nella rappresentazione della mia dualità. Un io “diviso” tra  spine dell’anima e forme del corpo.

Torniamo alle Annodanze, la parte della produzione artistica su cui hai lavorato di più. Hai fatto performance in giro per Milano (a cui ho anche assistito) dove costruivi un nodo in diretta. Negli occhi degli ospiti c’è sempre stata molta partecipazione e curiosità. Cosa c’è di diverso nel lavoro fatto in solitudine e quello eseguito davanti a un pubblico? Ti arricchisce la presenza altrui? Ti carica?

Il lavoro in pubblico è più istintivo ed emozionante, rispetto a quello in solitudine. La presenza delle persone, le voci, il brusio mi aiutano ad  estraniarmi e a entrare in una sorta di trance.

E’ quasi come se il lavoro, il mio nodo, si facesse da solo…seguendo dei percorsi “guidati”. So che può sembrare strano ma “gli altri”, non mi distraggono affatto. Anzi: mi rilassano. Quando sono sola, devo trovare dei mezzi alternativi per concentrarmi. Quasi sempre la musica.

E’ stato qualcuno a suggerirti questa modalità?

Ho fatto la prima performance durante il concerto di un’amica ed è venuta benissimo perché era la sua musica a portarmi. Sinceramente non ricordo chi delle due abbia pensato per prima a quest’unione di espressioni. A volte, le cose migliori nascono così spontaneamente da non avere un solo ideatore.

Dicci qualcosa dei materiali che utilizzi. Come si è evoluta, nel tempo, la tua ricerca?

Non uso pennelli ma corde, cordoni, fili, lane per creare le forme che sono degli stati dell’anima.

Il punteruolo che buca la tela e la corda che l’attraversa mi portano ogni volta in una dimensione che non riesco a spiegare, è un viaggio sempre diverso.

Le annodanze sono sempre diverse, nelle forme e nei colori, come i mondi e i legami che rappresentano.

Veniamo all’oggi e alla tua ultima mostra al Grand Hotel Courmayeur Mont Blanc. Mi raccontavi che ci sono addirittura ben 52 tuoi quadri.

Come hai conciliato la tua vita di madre, di moglie e di account, con la necessità di “sfornare” una produzione così importante? Certo, la pandemia non ti avrà facilitata… 

Invece forse è stata proprio l’impossibilità di uscire, a rendermi le cose più facili. La casa è diventata anche il mio atelier. Ho lavorato di giorno, ma soprattutto di notte, per diversi mesi. Immersa in una frenesia creativa che mi ha stimolata moltissimo. Non avendo il tempo di pensare o sperimentare, creavo e basta. Forse per questo sono venuti fuori tanti nuovi lavori i cui risultati hanno stupito persino me.

Nel frattempo non ho smesso di dedicarmi alla mia famiglia e alla mia cucina, che tu conosci molto bene e senza la quale, credo che mi mancherebbe qualcosa.

Qualche chilo sicuramente…

Quindi, per finire, potremo vedere le Annodanze ancora fino al 30 settembre a Courmayeur, giusto?

Certo! I quadri sono sparsi per tutto l’hotel. E’ come fare una specie di tour all’interno di una splendida location, ai piedi del Monte Bianco.

Val la pena di fare un viaggetto.

Verrai con Paolo, vero?…

L’intervista può finire qui. Noi due abbiamo un sacco di cose da raccontarci, ma salutiamo i lettori dando loro appuntamento sul tuo sito  www.giusiloisi.it e sul profilo Instagram  www.instagram.com/giusi_loisi/ là dove i nodi si annodano con frequenza.




BO it! – Bologna, creativi a raccolta

(di Annalisa Rosati)

Logo e locandina della seconda edizione del Concorso

Il 2020 è stato per tutti un anno di forte rottura rispetto alla quotidianità e alle consuetudini a cui eravamo abituati: istruzione, lavoro, interessi, progetti, relazioni e affetti, tutti aspetti fondamentali delle nostre vite che sono stati di colpo interrotti e fermamente messi in discussione. Insomma, un game changer come si direbbe nell’universo nerd. Al loro posto, però, di abitudini ne sono nate altre, come fare il pane in casa o collegarsi con gli altri via device. E insieme alle abitudini abbiamo esplorato anche nuovi interessi: il bistrattato jogging, le passeggiate nella natura, i giochi da tavolo.

E’ sulla base di questo assunto che BO it! – Immaginando Bologna ha lanciato il tema per la sua seconda edizione: una call for artist per ripensare e – letteralmente – ridisegnare l’immagine di una città partendo da uno dei suoi simboli.

Nato proprio a Bologna nel 2018, BO it! è il concorso internazionale di illustrazione che mira a valorizzare la città di Bologna attraverso un’interpretazione artistica e creativa delle icone che la identificano, quali monumenti e altri simboli: Bologna descritta da chi la abita, da chi la immagina, da chi la scopre come turista e da chi ci arriva come migrante.

Dopo il successo della prima edizione, che ha visto la partecipazione di oltre 300 opere da tutto il mondo, la seconda edizione vede come protagonista i portici di Bologna: sagoma che rende omaggio alla candidatura come patrimonio dell’umanità UNESCO della città e che viene proposta ai creativi per la loro interpretazione artistica.

dettaglio della sagoma – traccia del concorso BO it!

“Bologna è sempre stata all’avanguardia e aperta alle innovazioni: una realtà che ha sempre raccolto prontamente gli stimoli, accolto e tradotto i cambiamenti in atto nella società” dichiara il direttivo di BO it! “Le tante difficoltà conseguenti alla pandemia in atto ci obbligano a ripensare il nostro modo di vivere la quotidianità, il lavoro e il rapporto con la città e la comunità. In questo scenario, le associazioni coinvolte nel progetto hanno scelto di rappresentare la nuova sagoma del 2021 come un unico grande abbraccio all’intera città: i portici di Bologna. È un invito a condividere le emozioni vissute durante il lockdown e le speranze e i desideri per la ripartenza.”

Il bando internazionale, che si chiuderà il 28 marzo 2021, è rivolto a tutti senza limiti di età; ed è possibile partecipare in modo individuale o collettivo. Una giuria qualificata selezionerà le 30 opere finaliste, che saranno esposte al pubblico in una mostra urbana realizzata in concomitanza con la Bologna Children’s Book Fair – Fiera del Libro per Ragazzi (14-17 giugno 2021). Tra le novità di questa edizione, i tre premi che saranno assegnati ai tre vincitori: Primo Premio “Città di Bologna” del valore di 1.200€, il Secondo Premio “Città dei Portici” del valore di 600€ e il Terzo Premio con un kit tecnico offerto da Maimeri.

Il progetto è accompagnato da un percorso di masterclass e laboratori, sia on-line che in presenza nel rispetto delle linee guida anti-covid19, volti a promuovere l’inclusività e la partecipazione di giovani creativi non professionisti e persone con bisogni particolari, come migranti o persone con disabilità.

“BO it!” è un’iniziativa culturale promossa dalle associazioni Il Civico 32 e MenoPerMeno, con il contributo della Fondazione Del Monte di Bologna e Ravenna e COOP Adriatica, promossa e sostenuta da Comune di Bologna, Bologna Welcome, Fiera del Libro per Ragazzi, Maimeri, Galleria Millenium, CotaBo, in collaborazione con Accademia di Belle Arti di Bologna, Cooperativa Nazareno e Autori di Immagini.

La seconda edizione del concorso, avviato con il Patrocinio del Comune di Bologna, rientra tra le iniziative per la Candidatura UNESCO dei Portici di Bologna.

CONTATTI:

boitcontest@gmail.com

www.bo-it.org




MCG 360° – Quizz’arte VR


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Ve lo diamo noi l’editoriale…;-) per il primo articolo del nostro magazine, nessuna retorica! Apriamo invece col botto: una retrospettiva al quadrato (…retrospettiva di una retrospettiva…) con distorsione spaziotemporale e quadruplo punto di vista sincrono: una mostra in VR su un artista molto noto (non diciamo quale, dovrete scoprirlo voi stessi, altrimenti vi annoiate), al tempo allestita in una Galleria d’Arte che purtroppo non troviamo, o forse non esiste più.

Era il 2011, più due lustri fa. Ma noi allora già sapevamo di essere avanti di almeno una decina d’anni, sapevamo che sarebbero state rilasciate delle piattaforme ad hoc per ospitarla e che soprattutto sarebbe comparso “Fuori”…!

A voi il risultato. Per ora senza commenti. Anzi, uno: Alberto Angela “ce spiccia casa”.

(su smartphone e tablet si consiglia la visione orizzontale)

La visita in galleria si compone di diversi punti di vista leggermente differenti, ognuno corrispondente ad una finestra sullo schermo, per cercare di avvicinare il più possibile l’esperienza virtuale a quella reale.

Scegliete quelli che più vi aggradano (anche tutti, ma uno per volta). Cliccando il quadratino si ottiene lo schermo intero…

Lasciateci i commenti e soprattutto cercate di individuare l’Artista. la prima lettrice / il primo lettore che risolve il quiz “vince” la possibilità di pubblicare un articolo a piacere su FUORI. (…se gli va, eh…)




Le casette del signor Rossi

Bisogna ammetterlo: ad un certo punto abbiamo pensato di ritrovarci lillipuziani dentro un plastico di Lego o PlayMobil sul quale avevano riversato anche alberghi e case del Monopoli. E invece stavamo percorrendo le sale di un allestimento davvero magistrale, quello dedicato ad Aldo Rossi: l’Architetto e le città, inaugurato il 10 marzo scorso al Museo Maxxi di Roma.

il successo planetario di Aldo Rossi – architetto, designer, scrittore, pittore, docente – a 25 anni dalla sua scomparsa rimane per molti un insondabile mistero. Non per noi, eh. Nell’ultimo quarto del secolo scorso ha firmato di tutto: dal cucchiaino Alessi ad intere parti di Berlino. Tra gli addetti ai lavori, è tuttora amato od odiato, senza riserve. L’aggettivo “Rossiano” era considerato nobilitante o infamante a seconda delle contrade culturali che lo utilizzavano, anche all’interno dello stesso Istituto Universitario di Architettura a Venezia dove insegnava.

Odiato o amato; ma poco capito anche perché poco spiegato: del resto lui stesso alimentava, con la sua prosa oracolare, l’aura mitologica di un Maestro che tra i colleghi riconosceva solo Palladio, Adolf Loos e Mies van der Rohe al livello della sua olimpica altezza. Perché lui, anzi Egli, discendeva direttamente da Pitagora, Euclide, Ictino e Callicrate, “senza passare dal via!” (per rimanere in tema Monopoli). Un via! costituito, in questo caso, da venticinque secoli di Storia dell’Architettura. Semplici composizioni, solidi elementari, uno schizzo e … “Ipse pinxit”! Bastava, o meglio doveva bastare a seguaci, ammiratori e alla nutrita schiera di collaboratori adoranti destinati a tirar su milioni di metri cubi di ferro e cemento, o anche solo una caffettiera, a partire da uno schizzetto a china.

C’è una foto, firmata e datata “Atene 1971”, che lui, anzi “Egli stesso”, scelse per aprire un volumetto di Zanichelli dedicatogli quando era già famoso e che spiega tutto: colonna tra le colonne, mito nel mito, jeans e sguardo/sigaretta alla Clint Eastwood nella Trilogia del Dollaro. Ci siamo capiti.

Ciò premesso, il maggior merito di questa splendida e davvero imperdibile retrospettiva è proprio quello di aiutarci a rintracciare, grazie all’abbondanza del materiale in mostra, qualche elemento del patrimonio genetico rossiano che giocoforza deve emergere qua e là dal mucchio…intendiamoci: emerge, a patto di avere l’occhio per scorgerlo. E a noi del FUORI l’occhio non manca di certo; di queste impronte cromosomiche però qui ne elenchiamo solo quattro, lasciando a voi il piacere di scoprirne altre direttamente al Maxxi:

  • Mario Sironi – Discendenza diretta, palmare e, diremmo ora di “look and feel”, nelle periferiche atmosfere milanesi trasferite tout court dai quadri di Mario a quelli di Aldo (che sembrano quelli di Mario, copiati male);
Dipinti di Aldo Rossi in mostra al Maxxi di Roma
  • Heinrich Tessenow (1876 – 1950) depredato dall’iconico triangolo/frontone con buchetto su pilastri lisci ed allungati, come quelli della Festspielhaus Hellerau di Dresda, che dopo i restauri, sembra una “Rossi DOC”, e pure delle migliori annate. Il povero Tessenow certo non immaginava che le sue illustrazioni minimal del manualetto “Osservazioni Elementari del Costruire”, destinate agli anonimi capimastri teutonici per diffondere buone ed umili pratiche edilizie, sarebbero poi diventate, a spietati colpi di CTRL+C/ CTRL + V, dei progetti osannati e patinati da esporre nei bookshop fighetti dei musei di tutto il mondo.
Heinrich Tessenow – Festspielhaus Hellerau

Diez Brandi (1901 – 1985) – vi bastano le foto della Auferstehungskirche di Bad Oeynhausen in Germania (1953-56)? Non crediamo di dover aggiungere altro… 😉

Diez Brandi – Auferstehungskirche Bad Oeynhausen-Altstadt
  • Insula Romana: “Ecco l’Idea!” (riferendosi alla patata lessa) recitava una “rèclame” televisiva di qualche tempo fa. Ebbene, tutto il saggio “L’Architettura della Città” del 1966, quello che lo ha lanciato nel firmamento delle future archistar, si sintetizza in questi tre punti focali concatenati: a) le strade sono quei posti dove le cose accadono e la gente gira; b) bisogna allineare i corpi edilizi alle strade dove la gente gira e le cose accadono; c) bisogna mettere botteghe e negozi nei corpi edilizi allineati lungo le strade dove le cose accadono e la gente gira, altrimenti nei negozi non entra nessuno. Ecco L’idea. Che Genio…

Appare chiaro a questo punto che lo strepitoso successo del sig. Rossi, (Gr. Parac. Efferat. Copion. e Gran Maestro di Ovvietà, semicit.) si debba ad una catena di circostanze (fortunate per lui, jellate per l’Architettura) che lo hanno fatto riconoscere come un profeta grazie ad un solo merito: uno solo, ma fondamentale: quello di aver capito e denunciato per primo che a cavallo dei ’70 l’Architettura Moderna, dopo gli anni d’oro ’20 e ’30 e a causa del furore ideologico postbellico, pur di cancellare qualunque cosa che ricordasse gli stili dei regimi, aveva preso una pessima ed orribile piega. Le Corbusier e i suoi epigoni, pur partendo da nobili premesse, hanno fatto danni, danni veri, disseminando per il mondo osceni cassoni di béton brut soggetti a precoce deterioramento. Interi villaggi sperimentali come le Siedlung Halen di Berna che si facevano studiare in maniera “matta e disperatissima” nelle facoltà di architettura anni ’70 come i massimi modelli da seguire, sono ridotti ad un ammasso di rovine cementizie divorate dalla giungla (..svizzera, si si, svizzera!), neanche fossero cavalcavia del terzo mondo in sabbiacemento crollati e abbandonati dopo un terremoto scala 2 scarso. Tanto per chiarire: le Siedlung Halen erano parecchio bruttine anche da nuove, intendiamoci. E comunque non funzionavano, non potevano funzionare, perché senza attività urbane vitali qualsiasi insediamento-dormitorio è destinato inevitabilmente al degrado.

Il Signor Rossi lo ha capito per tempo e così ha potuto recuperare e rilanciare la tradizione della città; ha disegnato le case a forma di casa e i palazzi a forma di palazzo, disponendo il tutto in maniera ordinata e pulita ai bordi delle strade… né piu, né meno, come si dispongono gli alberghi rossi e le casette verdi sugli spazi colorati delle caselle di Parco della Vittoria e Viale dei Giardini.

Si si, proprio quelle del Monopoli.

(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)