Amleta è un’associazione di promozione sociale il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo.
È stata fondata da 28 attrici distribuite su tutto il territorio nazionale.
Amleta è un collettivo femminista intersezionale che punta i riflettori sulla presenza femminile nel mondo dello spettacolo, sulla rappresentazione della donna nella drammaturgia classica e contemporanea ed è un osservatorio vigile e costante per combattere violenza e molestie nei luoghi di lavoro.
Discriminazioni, stereotipi, sessismo, abusi, gender gap, gender pay gap, gestione dei fondi pubblici: questo è il problema!
Amleta è nata per raccogliere dati e monitorare le differenze di trattamento tra donne e uomini nel mondo dello spettacolo, per chiedere spazi in cui le donne possano esprimere i loro talenti ed esercitare la loro intelligenza.
Amleta è nata tutte le volte che sopra un molestatore o un abusante è stata messa la vernice glitterata dell’artista genio a cui tutto è concesso.
Amleta è nata da tanto tempo e in tanti luoghi.
A questo link il manifesto della associazione, che noi di FUORI invitiamo a sostenere divulgando e soprattuto esercitando quotidianamente, nella vita e nel lavoro, i principi fondanti dell’Organizzazione.
“I love Allah”
Mullah Neda Mohammad Nadeem, ex governatore e comandante militare, nonché esponente della linea dura religiosa, è stato nominato responsabile dell’Università lo scorso ottobre e sin da subito aveva espresso la sua ferma opposizione all’istruzione femminile, definendola non islamica e contraria ai valori afghani.
Sin dal loro arrivo al potere, i talebani, dopo aver di fatto impedito alle donne di lavorare e aver imposto il velo integrale che deve lasciare scoperti solo gli occhi (ma con il burqa vanno nascosti anche quelli), nel marzo scorso avevano disposto la chiusura delle scuole femminili, in attesa di nuove direttive in accordo con la legge islamica.
Direttive mai emesse, senza contare che senza aver frequentato le scuole superiori è di fatto impossibile accedere all’università.
In questo contesto, tre mesi fa migliaia di ragazze e donne avevano potuto sostenere gli esami di ammissione all’università in tutto il paese, anche se nell’ambito di radicali restrizioni sulla scelta dei corsi di studio, con veterinaria, ingegneria, economia e agricoltura vietate, e giornalismo severamente limitato.
fonte : www.ansa.it
M come Mamma
Un vecchio proverbio dice: “Dio non poteva essere dappertutto e allora ha inventato le mamme”.
CURIOSITÀ Nella maggior parte delle lingue di tutto il mondo, la parola “mamma” inizia sempre con la lettera “m”.
Anche nei paesi molto più lontani dal nostro la pronuncia è uguale.
A Samoa 🇼🇸 mama, nelle Figi🇫🇯 nana, in singalese🇱🇰 amma, in cinese🇨🇳 mama, in eskimese anana, in zulu umama, in swaili mama.
PERCHÈ ? Sembra che nei primi mesi di vita, tutti comunichiamo allo stesso modo e che il suono vocale A, unito ai suoni nasali M e N, sia uno dei più semplici da pronunciare in assoluto. Esista anche il mantra “MA” che è considerato molto protettivo.
Buon vento è un modo di dire che si usa fra marinai come augurio di trovare sempre le condizioni migliori per indirizzare il proprio viaggio, un viaggio che, a volte invece, può essere costellato di difficoltà tra le quali è difficile destreggiarsi. Da una di queste difficoltà nasce il progetto espositivo, realizzato da Federica Anna Molfese con l’Associazione Controcorrente e CFC, patrocinato dalla Regione Lazio e dal Comune di Roma con il sostegno di dell’Associazione Salute Donna Onlus, Cristal BraeSamarcanda Radiotaxi.
Racconta il decorso di una malattia purtroppo molto diffusa, il tumore al seno e viene presentato il 7 maggio alle ore 18,00 presso Rione Roma in Via dell’Arco di Parma 18 che ha, con entusiasmo, accolto l’iniziativa.
E’ il foto-video racconto di un percorso lungo e doloroso che ha coinvolto l’autrice, Federica Anna Molfese e, poco dopo, anche sua madre. Prima dell’operazione di mastectomia che la attendeva ha voluto fotografarsi per ricordare, per raccontare quello che le accadeva e prendere consapevolezza di quello che stava per cambiare. Quella prima foto ha creato un forte legame con la macchina fotografica, che l’ha accompagnata per i due anni successivi. Le foto scattate erano crude, prive di ogni qualsivoglia mediazione sul tema, anche per il modo in cui il tumore era stato scoperto e fatto irruzione nella sua vita, senza nessun avvertimento dall’oggi al domani..
L’esigenza dell’artista è stata quella di creare qualcosa che andasse oltre il personale vissuto e raccontare le paure e le idee che passano per la mente in un momento come quello, al fine di aiutare chi, purtroppo, sì trova ad affrontare una situazione simile a sentirsi meno solo.
Il progetto, curato da Chiara Sandonini, si compone di 3 sezioni ospitate nei diversi piani di Rione Roma, lo spazio polifunzionale situato nei pressi di Piazza Navona, che accoglie l’evento nelle giornate comprese fra il 7 ed il 13 maggio 2022, in concomitanza con il mese della prevenzione dei tumori al seno. Per accedere dall’8 al 13 è necessario prenotare via email a rioneroma@gmail.com o chiamare il numero 3387043943.
L’iniziativa ha riscosso l’interesse della Commissione capitolina della Pari Opportunità ed ha invitato l’artista alla commissione tenutasi il 2 maggio 2022 a seguito della quale la Presidente Michela Cicculli ha dichiarato: “La Commissione delle Pari Opportunità di Roma Capitale sostiene fortemente l’iniziativa Buon Vento Exhibstory che, accanto alle numerose altre iniziative dedicate in questo periodo alla sensibilizzazione sul tumore al seno, è occasione di riflessione su un’esperienza che riguarda ancora troppe donne, anche molto giovani, che non devono sentirsi sole. La Commissione della Pari Opportunità e l’Assemblea Capitolina si faranno promotrici degli atti necessari a diffondere le iniziative di informazione e prevenzione nella città di Roma e di quelli a supporto alle donne che si trovano ad attraversare questa esperienza. La corretta informazione, l’accesso alla prevenzione e alle cure e il sostegno sociale e istituzionale sono i tasselli che possono aiutare le donne ad affrontare e superare anche un’esperienza così difficile e a tornare ad una vita piena e soddisfacente.”
Alla Commisione Comunale ha partecipato anche l’Associazione Salute Donna Onlus, che si dedica alla promozione dell’educazione alla salute, alle attività di prevenzione delle malattie oncologiche, alla informazione sull’importanza dei principi che sono alla base dei corretti stili di vita, al sostegno dei pazienti oncologici nel percorso di cura, al supporto della ricerca scientifica e alla tutela dei diritti dei pazienti anche attraverso un’importante azione Istituzionale. Nella stessa sessione è stata ribadita anche l’importanza di una riflessione da parte delle istituzioni sul sostegno alle idee ed ai progetti artistici delle persone colpite da malattie gravemente invalidanti.
Anche la Regione Lazio ha voluto sostenere BuonVento concedendo il suo patrocinio e la Consigliera e Segretaria Michela Di Biase dichiara: “Raccontare la malattia attraverso l’arte, dare forma al dolore, ai cambiamenti del proprio corpo e a quelli dell’anima e trasformare tutto in un “Buon vento” è quello che Federica ha realizzato attraverso un progetto artistico che ripercorre le tappe del suo tumore al seno: dalla scoperta, all’operazione e alla guarigione. L’istinto ci porta quasi sempre ad allontanare il dolore, a volte anche a nasconderlo, Federica, invece, lo ha mostrato al mondo, lanciando attraverso l’arte un messaggio diretto e potente che è quello della sfida, del coraggio e della vittoria. È attraverso questo racconto che Federica dà forza a tutte le donne che come lei sono colpite dal carcinoma al seno. Il tumore della mammella è ancora oggi la neoplasia più frequente in Italia ma è anche tra le più curabili e la diagnosi precoce riveste un ruolo cruciale nella lotta al tumore al seno. La Regione Lazio ogni anno offre screening gratuiti alle donne tra i 45 e i 49 anni. Inoltre, abbiamo stanziato fondi per contribuire all’acquisto della parrucca e istituito banche della parrucca in tutte le Asl regionali, oltre a prevedere un unico intervento per la mastectomia demolitiva e la ricostruzione contestuale della mammella.”
Il progetto è realizzato con il sostegno di Cristalbra “zerodolore”, il primo reggiseno bustino-bendaggio, ideato per accompagnare ogni persona nei giorni successivi all’intervento necessario in caso di eliminazione di neoplasia o in caso di mastoplastica ma anche in un decorso post operatorio di altro genere che interessi la zona.
Anche la cooperativa di Taxi Samarcanda ha deciso di partecipare al progetto in questo mese in cui festeggia i suoi 30 anni di attività ed ha deciso di celebrarli all’insegna della solidarietà, implementando le già corpose attività del Taxi Solidale, con un’iniziativa in sostegno delle donne che devono recarsi in ospedale per controlli e/o operazioni. Ogni donna, che nel mese di maggio si avvarrà del servizio usufruirà di uno sconto del 10% sia sul trasporto verso la struttura medica – clinica – ospedaliera che dalla stessa verso casa; il codice abbinato all’iniziativa è 0310 “Convenzione Buon Vento” . Samarcanda è da sempre vicina alle problematiche sociali e sostiene periodicamente diverse campagne di solidarietà.
BuonVento continuerà ad essere presente a Roma in diversi luoghi che lo ospiteranno per il valore evocativo e narrativo che lo caratterizza, per sapere dove e quando potrete vederlo seguite i social dell’iniziativa:
Sono una giornalista pubblicista, un ufficio stampa, una professoressa di scuola superiore e una formatrice aziendale. Lavoro con diversi enti di formazione ma anche con università private. Nei miei 43 anni ho capito di essere inguaribilmente curiosa di amare la letteratura, l’arte, il teatro, gli eventi e il digitale per il suo valore innovativo. Sono Membro del comitato scientifico dell’Associazione Nord Est Digitale che promuove e diffonde la cultura del digitale in Italia e sono ambassador per il Lazio del Digital Meet.
A questi link potrete trovare ulteriori info sulla mia attività.
E’ in corso in questi giorni, fino al 30 settembre a Noto [SR] , “D’AMORE DIMORE” , la Personale di Silvia Berton.
E’ una mostra di una Artista poliedrica che arriva dalla fotografia, passa quindi alla Pittura, e inserisce, come in questa occasione, una esperienza sensoriale e tattile con gli spettatori.
Lo scopo è quello di ampliare ed integrare l’orizzonte di esplorazione della mostra tramite il coinvolgimento dello spettatore a livello personale.
“Spero sia una occasione per ‘guardarci negli occhi’ vedere davvero l’altro…portare i miei lavori dal muro, alla terra, corpo“.
Silvia è veneta di nascita ma, dopo esperienze professionali a Milano e a Tel Aviv, si trasferisce a Noto, in Sicilia.
Il suo stile, minimalista, è ricolmo di significati narrativi profondi e dal carattere molto forte.
Le sue immagini sono state esposte a Milano, Mantova, Brescia, Genova, Copenaghen, Nizza e Rotterdam.
La incontriamo all’ombra delle arcate di Palazzo Ducezio, location della sua Mostra, seduti sui gradini della splendida facciata.
Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare.
“Imparare a vedere, è il tirocinio più lungo in tutte le arti.La fotografia per me è stata prima una opportunità professionale quando posavo, e poi un mezzo di espressione potente che mi ha permesso di imparare ad osservare, e che ho usato ed uso tutt’ora. E’ il mio personale diario emotivo. lo sguardo se si guarda veramente, ti porta al di fuori del pregiudizio, ti distanzia dal conformismo che portano inevitabilmente all’ omologazione dell’individuo, cosa che itutti i modi vorrei evitare.“
Se usata per comprendere e migliorarsi, è uno strumento anche terapeutico e di grande utilità.
“Sono d’accordo, anche se spesso è usata in maniera inadeguata e sicuramente è abusata. Il fotografo ha la responsabilità del suo lavoro e degli effetti che ne derivano”
La fotografia, dunque non è stata semplicemente un’occupazione.
“Non l’ho mai considerata solo come tale. Sia quando posavo, e poi successivamente usando la macchina fotografica, io ho sempre portato un megafono con il quale ho cercato di parlare senza usare le parole.
Quanto è importante cercare dentro sé stessi le motivazioni che poi ti ispirano per le tue opere?
“Non direi che è importante, forse la vera parola e’ urgente, necessario. Un dipinto mentre lo si fa travolge di rovinosa bellezza e incurante distruzione…ci lascia vuoti attorno , ma pienissimi nello sguardo e nell’anima.Riappacificati e pronti per la bataglia di un nuovo vuoto“.
La tua pittura è caratterizzata da un processo di riduzione della realtà, dell’anti espressività, da una apparente impersonalità e freddezza emozionale. Una sorta di riduzione minimale delle immagini che diventa una pittura estremamente raffinata, simbolica, sospesa tra sogno e realtà. Ti riconosci in questa descrizione?
“Io cerco di trovare la sintesi della forma, e questo vale sia per la fotografia che per la pittura. L’incongruenza naturale di un gesto, scarna di ricerca, virtuosismi , velleità artistiche . La discrepanza , un graffio , un taglio che apre finestre laddove prima c’erano muri compatti di colore e certezze, questa per me è bellezza“.
Possiamo aggiungere che una lucida irresponsabilità, una forma di anarchia e una latente disobbedienza intellettuale sono il “fil rouge” della tua produzione artistica?
“Posso dire con convinzione che il principale nemico della creatività è il buonsenso“.
Che il valore dell’arte dipenda solo o prevalentemente dal suo valore estetico è sostanzialmente una idea che ci piace pensare che sia vera. Ma, partendo da questo presupposto, come può avere successo un’artista che non tiene in considerazione primaria il valore estetico e magari si esprime attraverso corpi smembrati (è un esempio).
“L’arte forse dice di un futuro…e non sempre piace.L’arte pone domande…e non sempre piacciono“.
Il mercato dell’Arte è un mercato che viene spesso considerato sporco ed inquinato da interessi che nulla hanno a che fare con le emozioni che muovono un artista. Il rapporto tra i mercanti d’arte e l’Artista è davvero così?
“E’ mercato appunto…merx “merce”….merce sentimentale …forse non è propriamente il giusto binomio…Non so se ti ho risposto…“
Quindi a parità di talento è indubitabile che essere notati dal critico influente faccia la differenza, esporre nelle gallerie più importanti faccia la differenza, essere apprezzati dai collezionisti più capaci faccia la differenza e così via….
“Cogliere queste opportunità, accettare il compromesso, può condizionare le libertà espressiva sottoponendo l’artista ad una sorta di “prostituzione” al successo.
Personalmente,in cuor mio io la penso e la vivo così. Per altri, con altre priorità, il pensiero può essere diverso e va rispettato“.
Il compromesso è una strategia che inevitabilmente è presente in ogni tipo di contrattazione, e dunque la vera domanda è, “sono disposto a scendere a ricatti”?
“Ognuno ha il diritto ed il dovere di guardarsi davanti allo specchio e darsi una risposta. Fatto ciò può prendere una strada o l ‘altra in assoluta libertà, pace e coscienza“.
In qualsiasi mercato la manipolazione dei prezzi da parte degli operatori causa distorsioni, carenze ed inefficienza. Ma nelle sue caratteristiche peculiari , il mercato dell’arte primaria funziona e l’arte contemporanea genera decine di miliardi di dollari di entrate ogni anno. La domanda è : la manipolazione dei prezzi, paradossalmente, non sembra garantire una carriera stabile per le élite e per gli artisti.
“La stabilità è importante perché molti artisti impiegano decenni per maturare e produrre i loro lavori migliori.Se non avessimo tempo di fronte a noi per maturare, alla fine forse non potremmo produrre opere di livello….o semplicemente non potremmo mangiare“.
I commercianti e i collezionisti d’arte credono tutti di avere un ruolo decisivi nell’arte e per la vostra attività e, interessi finanziari a parte, sono preparati per questo ruolo perchè molti di loro sono veri esperti d’arte che vivono non solo di, ma anche e sinceramente, per l’arte. Praticamente trascorrono tutta la vita nel settore, si aggiornano, studiano la storia dell’arte e collocano l’arte contemporanea nel suo contesto storico. Questo gli va riconosciuto: sanno cogliere ciò che la maggior parte di noi “non addetti ai lavori”, non sapremmo cogliere.
“E’ innegabile e giusto che sia così. Questo è un settore nel quale le masse non sono decisive. Facciamo un paragone con un altro mezzo culturale, diciamo la tv per esempio, dove i gusti della maggior parte della popolazione determina la programmazione e la produzione futura. Se ciò accadesse anche nell’Arte, la richiesta del mercato si attesterebbe ad un livello omogeneamente basso. La pittura, ma ogni forma d’arte e di cultura, è una cosa privata; si lavora solo per pochi. Può non piacere questo concetto, ma è un dato di fatto”.
A parità di talento e di qualità di contenuti, è corretto dire che sarà l’artista che più e più spesso si esprimerà, che si proporrà al pubblico, che si collocherà nelle “grazie” dei collezionisti che contano , ad avere un maggior e più duraturo successo?
” Il principio è lo stesso che vale per altre professioni. Se uno scrittore non scrive e non pubblica, non è uno scrittore, anche se ha talento. Inutile nasconderlo: creare arte è una libertà, ma come tutte le libertà per essere tale ha la necessità di dargli forma e sostanza, altrimenti resta una sacrosanta libertà ma individuale e basta, praticata per essere tale, e come tale, essendo alta, ben poco si interesserà ad essere riconosciuta e gli basterà essere vissuta solo da chi la crea”.
Da quello che abbiamo potuto comprendere osservando le tue opere, è che tu hai un profondo rispetto per te stessa ed un concetto di dignità molto radicato. A volte può sembrare una forma di ego, una considerazione molto alta del tuo lavoro e della tua vita.
“In realtà forse ho grande rispetto di quello che amore e lacrime sanno fare e credo che vadano maneggiate con cura,sempre“.
Silvia Berton si avvicina al mondo della fotografia inizialmente come modella; presto però si interessa più al processo creativo che sta dietro l’obbiettivo, che non a farne da soggetto. Il suo stile, anche se di natura minimalista, rimane denso di carattere, forza e narrazione. Le sue sono immagini che chiedono di fermarsi, riflettere e lasciarsi assorbire. L’immaginario compositivo sembra provenire quasi da un’altra dimensione e lascia un’impressione duratura. Le composizioni di Silvia creano un’atmosfera seducente e ci portano con lo sguardo in una storia che dobbiamo ancora capire. Quando osserviamo il suo lavoro ci sembra di scivolare nel sogno di qualcun altro: è reale, senza essere vero. E’ misterioso, passionale e quasi sempre ci lascia con un respiro in sospeso, senza raccontarci mai il finale della storia.
Un bar illuminato. Dentro: due uomini, una donna vestita di rosso, un barista. Fuori, una città vuota e buia.
[l’uomo col cappello]
La sera era umida. L’umidità sembrava trasudare dagli angoli bui delle strade, dove l’aria era quasi solida. Maleodorante. Si calò la falda del cappello sulla fronte e affrettò il passo per sfuggire a quegli angoli tetri, a quel buio malsano.
Un bar inondava di luce gialla la strada.
Entrò, di malavoglia. Suo malgrado, quasi.
Non voglio tornare a casa.
Il pensiero gli attraversò rapido la mente, così veloce che non ebbe tempo si scacciarlo e restò sgomento, come colpito da una pallonata con un pugno di ragazzini insolenti e spavaldi intorno,ad aspettare una sua reazione. E quei ragazzini erano i suoi pensieri. Insolenti.
Li scacciò via.
Andò a sedersi nel posto più lontano possibile dall’unico altro cliente del bar, così da non sentirne la solitudine. O da non fargli sentire la sua.
Ordinò un caffè.
Non gli importava se non avrebbe dormito, la notte. Amava casa sua, di notte. Quando gli altri dormivano.
[la donna vestita di rosso]
Alzò lo sguardo, e fuori dalla finestra era già buio. Era sera ed era digiuna. Fece scivolare il libro per terra, gli occhi le facevano male, si tolse gli occhiali e si massaggiò l’attaccatura del naso. La lettura la prendeva. Ma, a volte, doveva smettere di leggere: c’era qualcosa – una frase, un pensiero, un parola – che si faceva strada nella sua testa, ma come sfocata, inafferrabile. La sentiva precipitare dentro di sé, girare a vuoto, vorticare, fino a trovare un altro pensiero, una parola – gemella – che l’avrebbe illuminata.
Doveva fare altro mentre questo accadeva.
Uscì.
L’aria umida della sera la sorprese. Attraversò la strada deserta e si vide riflessa nella vetrata del bar. Oltre la sua immagine, dentro, c’erano due uomini. Andava spesso in quel bar. Quasi ogni giorno, in realtà. Sedeva sempre allo stesso posto, da cui poteva vedere le finestre del palazzo di fronte.
Le piaceva guardare dentro le case, dalle finestre. Le piacevano le case.
Un uomo col cappello era seduto al suo posto e beveva un caffè. Gli si sedette accanto e ordinò un panino e un caffè. Voleva stare sveglia. Finire il libro. Fermare il maëlstrom della sua testa. Avrebbe dormito poi.
[l’uomo col cappello]
La vide arrivare , una macchia rossa, guardare la sua immagine riflessa nella vetrata, sistemarsi i capelli. Entra – pensò. E contemporaneamente: nonentrare. Cercò riparo dall’assurdità dei suoi pensieri nella parete di fronte. Nelle bottiglie di liquore ordinatamente allineate. Non la guardò entrare, ma intuì di averla accanto perché emanava un profumo leggero: limone, forse. Il barista gli sorrise e gli chiese se volesse altro; fece cenno di no con la testa. Poi sorrise anche a lei e scambiarono qualche parola; poi lei sembrò immergersi in qualche pensiero, come se cercasse di mettere a fuoco qualcosa.Note di un jazz invasero la stanza. Si innervosì. Rimpianse la calma e il silenzio di prima, prima che lei entrasse. Lei sarebbe uscita, il barista avrebbe sicuramente spento la radio e smesso di sorridere, sarebbe tornato il silenzio, ma sarebbe stato diverso. Un silenzio diverso. E lei sarebbe sparita nella notte, chissà dove. Ignara.
Quel pensiero lo incupì.
Meglio andarsene. Prima che tutto ciò accadesse.
[l’uomo di spalle]
… ci sono scrittori che sanno scrivere solo di una cosa, ossessionati; e pittori che sanno dipingere solo una cosa: cattedrali, ninfee, mani. Leonardo era un pittore di mani. L’ultima cena. Le mani di Gesù. Come quelle di un direttore d’orchestra. Che cosa sono i gesti di un direttore d’orchestra?
Se lo era sempre chiesto…
Le mani di quei due seduti di fronte. Le guardava da un bel po’. Si sfioravano. Lei aveva divorato il suo panino e orasi guardava intorno come stupita di essere in un bar. Come se vedesse per la prima volta il barista e l’uomo col cappello accanto a lei. L’uomo era nervoso, invece. Si spostò impercettibilmente verso di lei, incerto se iniziare una conversazione o alzarsi. Lei lo guardò e gli chiese qualcosa, indicando un punto oltre i vetri, dall’altra parte della strada.
[il barista]
Certi uomini sono misteri che è meglio non voler indagare. Abissi.
Come quell’uomo che beveva il caffè. Gli chiese se volesse qualcos’altro. Ne aveva visti tanti da dietro il bancone di quel bar… Ma lei gli avrebbe parlato, si capiva. C’era quell’audacia, quella spavalderia…Sorrise.
Accese la radio. La musica scacciò via la sua tristezza.
“Secondo lei chi ci abita in quella casa? “- indicò una finestra spalancata, sul palazzo di fronte, dall’altro lato della strada.
Lui seguì con lo sguardo il gesto di lei, oltre il suo braccio, oltre la mano nel buio verde.
” Uno scrittore? “
“Già! Domanda idiota. Si vedono i libri.Lei legge?“
“Sì.”
“Lei scrive?“
“Un po’.Cosa legge?“”
“Saggi, biografie, di scienziati specialmente “
“Lei cosa scrive?”
“Niente di così intelligente…“
“L’intelligenza è sopravvalutata“
“Perché? Io ho una sconfinata ammirazione per le persone intelligenti”
Lei fece una smorfia e si fermò un secondo a pensare. Poi si adombrò.
“Non sono quasi mai felici“
“Lei è felice?“
“Sì.“
“Nessuno risponde “sì” a questa domanda. Non sta bene.“
Ciò che sta accadendo in Afghanistan è terrificante, ma non si può imporre la democrazia e il rispetto dei diritti umani con la forza. È una contraddizione in termini.
In questi giorni siamo diventati tutti esperti di geopolitica e siamo pronti ad urlare il nostro sdegno per il fallimento dell’Occidente. Ma cosa sappiamo realmente dell’Afghanistan, del suo popolo, della sua cultura e della sua storia millenaria di invasioni e dominazioni? E soprattutto… pensiamo veramente di conoscere le reali motivazioni che hanno spinto le potenze straniere, come gli Stati Uniti e prima di loro l’Unione Sovietica, ad invadere questo paese?
Siamo onesti e ammettiamo la nostra ignoranza e impreparazione.
Su una cosa però abbiamo il dovere morale di agire.
Difendere i diritti delle donne afghane.
Come? È questa la vera domanda.
Come possiamo aiutare queste donne perché possano esercitare i loro diritti fondamentali e non sottostare alle restrizioni imposte dalla sharia, o meglio alla sua interpretazione fortemente limitante della libertà e dignità femminile?
Possiamo esprimere la nostra rabbia e preoccupazione, firmare petizioni, perfino manifestare. Ma basterà per cambiare le cose?
L’Afghanistan è un crocevia strategico dell’Asia centrale e gli interessi economici sono fortissimi. Chi si siederà al tavolo con i talebani – la Cina, la Russia ma anche gli USA e l’Europa – sarà più interessato a portare a casa accordi commerciali che garanzie per il rispetto dei diritti umani.
La nostra debolezza sta nel nostro stesso stile di vita, nel nostro modello di sviluppo ancora basato sulle fonti energetiche non rinnovabili e sulle materie prime preziose, quanto rare, diventate indispensabili per garantire quella prosperità alla quale non siamo disposti in alcun modo a rinunciare.
Il prezzo della nostra agiatezza saranno altri a pagarlo.
A quel tavolo saranno soprattutto uomini. Uomini che governano, uomini che comandano, uomini che detengono il potere politico ed economico.
Ma tutti questi uomini hanno una cosa in comune. Hanno una madre che ha donato loro la vita e li ha cresciuti. Hanno una moglie o una compagna al loro fianco. Hanno figlie che possono studiare, lavorare e realizzarsi pienamente perché libere di cercare il loro posto nel mondo.
E se tutte queste donne facessero sentire la loro voce?
Se la loro voce si unisse a quella di tutte le altre donne per dire basta alle discriminazioni, alle violenze, alle sopraffazioni, alle violazioni dei diritti? E lo facessero con una tale forza e convinzione da non poter essere ignorate da quegli uomini che stanno per sedersi e decidere le sorti del nostro mondo?
Mai come ora, le donne sono chiamate a dimostrare di essere unite, risolute e determinate per garantire il diritto delle afghane e di ogni donna a vivere liberamente.
Madri, mogli, compagne, figlie, sorelle. Facciamo sentire la nostra voce nelle nostre case, nelle nostre famiglie, prima ancora che nelle piazze fisiche e virtuali.
Nota della Redazione: l’articolo scritto da Giuliana Caroli è presente anche sul suo profilo Linkedin, e invitiamo a visitare e commentare questo ed altri argomenti che Giuliana condivide quotidianamente.
Naturalmente abbiamo avuto la sua disponibilità a pubblicarlo, ed inserirlo nell’ambito di una rubrica che porta avanti i diritti delle donne, avviata la scorsa settimana con “Niente da celebrare” e che intendiamo portare avanti con continuità , determinazione e forza.
Desideriamo ringraziare anche Anna La Tati Cervetto che ci dà sempre disponibilità delle sue illustrazioni e che, come sempre ma in questo caso ancora di più, si è dimostrata pronta e disponibile a supportare questa “missione”.
Giuliana Caroli, classe 1965, lavoro in una grande cooperativa di servizi come Responsabile Comunicazione, ma mi porto come bagaglio una lunga esperienza in ambito consulenziale e formativo.
Scrivo di ciò che conosco e di ciò che mi appassiona. Coltivo la curiosità e alimento le relazioni positive. Detesto l’indifferenza e l’irresponsabilità.
A cosa aspiro? A fare la differenza: per qualcuno, per il pianeta.
“Il valore affettivo” è il romanzo di esordio di questa strepitosa scrittrice, che ha ottenuto la Menzione Speciale della Giuria alla XXXIII edizione del Premio Italo Calvino.
La perdita di un familiare può causare ferite profonde e vuoti incolmabili..
Gli eventi che coinvolgono la vita di Bianca entrano dentro, lasciano attoniti e rimandano un forte senso di impotenza.
Bianca, con la sua famiglia, vive una vita serena, tranquilla nelle vicissitudini quotidiane, fino alla morte improvvisa della sorella, Stella. Bianca ha sette anni quando avviene la disgrazia.
Stella aveva un ruolo centrale nella famiglia e soltanto la sua perdita improvvisa lo rende reale.
Qual è stata la causa dell’incidente? Nessuno lo sa. Bianca porta dentro un grande macigno, fino a quando..
Della perdita della figlia la madre è quella che, all’apparenza, ne risente di più e la protagonista dovrà fare i conti con la nuova realtà che si viene a creare.
Come vivrà e come gestirà i rapporti con la madre?
Nonostante il difficile equilibrio ricreato dopo la morte della sorella, Bianca riesce a farsi una vita. Conosce Carlo, famosissimo e stimato cardiochirurgo, e ne diventa la compagna fortemente amata e voluta.
Tutto sembra molto sereno, all’apparenza, fino al momento in cui la coppia dovrà affrontare determinate scelte e situazioni..
L’amore che Bianca prova per Carlo non è del tutto “disinteressato”. Che cos’è che la attrae di più, in realtà? Che ruolo vede nel compagno?
Di fronte ad eventi terribilmente dolorosi ognuno di noi tira su le proprie barricate.. quella di Bianca è particolare e rischia di travolgerla. Riuscirà la protagonista a gestirla?
Bianca riesce a restituire all’esterno un’immagine di sé molto diversa da quello che realmente prova e vive.
I pensieri di Bianca legano e travolgono il lettore. Le sue angosce diventano reali e forniscono numerosi spunti di riflessione.
La scrittura di Nicoletta Verna incanta e lascia con il fiato sospeso, in attesa di scoprire l’evoluzione degli eventi, del tutto inattesi.
Romanzo strepitoso: da leggere!
Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!
A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.
Da un lato multinazionali visionarie che hanno fatto del benessere del proprio dipendente un mantra (vedi LinkedIn) che ha concesso recentemente ai propri dipendenti di scegliere per davvero se tornare in ufficio in modalità ibrida o se lavorare al 100% da remoto), dall’altro piccole realtà che ancora oggi, nonostante una più accesa e matura consapevolezza sul tema sicurezza, le leggi e protocolli a tutela del dipendente e la capacità di poter investire in manutenzione, diventano luoghi di morte.
Sono pericolosi e fuorvianti i confronti tra i vari Golia (pochissimi in Italia quelli che possono fregiarsi del titolo di “gigante”, ma nel senso più umano e visionario del termine) e la moltitudine di Davide (tantissimi e non necessariamente PMI, che ancora intendono i dipendenti come “asset”, “costo fisso/variabile”, “manodopera” o “capitale”), però questa polarizzazione restituisce una fotografia del lavoro in Italia oggi.
Non bisogna sentirsi fortunati, perché “c’è chi sta peggio”, bisogna sentirsi insoddisfatti, perché il meglio dovrebbe essere la norma e non un privilegio.
A tutti dovrebbe essere garantito il rispetto della propria dignità.
In settimana Laila El Harim, operaia di 41 anni rimasta incastrata in una fustellatrice. A maggio Luana D’Orazio, operaia di 22 anni , stritolata da un macchinario manomesso. A marzo Sara Pedri, la ginecologa forlivese di 31 anni, scomparsa dall’ospedale Santa Chiara di Trento, dove subiva mobbing e violenza psicologica.
Che cosa c’è da celebrare esattamente, qui sopra?
Note a margine _
Con questo articolo intendiamo richiamare l’ attenzione – con continuità di azione nel lungo periodo – alla sempre attuale e interessante tematica riguardante la donna e la sua posizione nel mondo del lavoro.
Cercheremo di denunciare, in forma sintetica ma precisa, il fenomeno del mobbing che, a tutt’oggi, presenta come vittima preferenziale la donna.
Milioni di donne , ogni giorno, subiscono discriminazioni nel mondo del lavoro. Questo preoccupante fenomeno non solo viola i diritti fondamentali ma ha anche conseguenze rilevanti dal punto di vista economico e sociale. Le discriminazioni soffocano opportunità, sprecano il talento umano necessario per il progresso economico e accentuano le tensioni sociali e le disuguaglianze. La lotta alla discriminazione è parte essenziale della promozione del lavoro dignitoso.