I numerosi campioni stranieri di discipline come nuoto, tennis, atletica e rugby che hanno partecipato al Trofeo Settecolli, agli Internazionali, al Golden Gala o al Sei Nazioni concordano nel ritenere gli impianti sportivi del Foro Italico tra i più affascinanti al mondo. È difficile contraddirli; è un peccato che questa splendida parte di Roma, situata a valle di Ponte Milvio tra le pendici di Monte Mario e l’ansa del Tevere, non sia stata ancora esaminata con l’attenzione e la critica necessarie, nonostante siano passati oltre 90 anni dai primi progetti, continuando a subire le conseguenze della sua forte connotazione simbolica, ancora evidente.Certamente, rappresenta un’imponente testimonianza del regime fascista, che all’epoca esigeva per la gioventù le migliori strutture, oltre a “luce, aria, acqua e sapone”; tuttavia, l’ideologia non dovrebbe oscurare la qualità manifesta degli edifici originali e dell’intero complesso urbanistico, da considerarsi veri capolavori.Anni fa si discuteva spesso, talvolta impropriamente, di “impatto ambientale”, mentre oggi prevalgono altri termini come “sostenibilità” e la troppo usata “ecologia” (qui evitiamo, per rispetto nazionale, i terribili termini anglofoni corrispondenti), dimenticando quasi sempre di menzionare il primo esempio storico in architettura, quello insuperabile dei teatri e degli stadi greci: luoghi dove gli spazi dedicati agli attori o agli atleti erano scavati nel terreno, evitando così la costruzione di strutture sopraelevate per le gradinate. Questa era la sensibilità “green” dell’epoca. Era anche la cultura dell’Ellade, decisamente più sensibile e sofisticata di quella dei loro conquistatori romani: possiamo ragionevolmente ipotizzare che un cittadino di Atene, Sparta o Delfi del VII secolo a.C., proiettato nel futuro, avrebbe considerato anche il Colosseo (I sec. D.C.) un vero ecomostro.
(cliccare sulle immagini per vederle per intero ed ingrandite)
E per finire… 😉
Sono solo dettagli
Watch up!
Luoghi geometrici…non comuni!
Greco e Latino, in Architettura. Episodio I – Gli ordini classici. Abecedario.
(Interno interattivo a 360 gradi del Pantheon a Roma. Cliccando sul quadratino si ottiene lo schermo intero; trascinado il cursore del mouse ci si muove in ogni direzione )
Quadro assiomatico: l’Architettura è un linguaggio.
Postulato: L’Architettura Classica, l’arte del costruire che nel campo linguistico corrisponde all’antico Greco e al Latino, è esclusivamente quella che utilizza gli ordini architettonici Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito.
Definizione: un ordine architettonico è costituito da un insieme di sostegni e sovrastrutture, tra loro correlati, distinto da proporzioni, profili e dettagli caratteristici che lo rendono facilmente riconoscibile. I Cinque Ordini costituiscono l’equivalente delle cinque declinazioni della lingua latina e rappresentano le vere e proprie “uniformi” degli edifici classici.
In questa splendida incisione su rame di Claude Perrault (1613-1688, autore della “colonnade”, come viene chiamata la facciata est del Louvre) sono illustrati quelli che, all’epoca, venivano considerati indiscutibilmente gli ordini classici dell’Architettura: da sinistra Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito.
L’utilizzo concreto di questa gamma lo ritroviamo, peraltro, nel corso di millenni della Storia dell’Architettura e senza limitazioni geografiche di sorta: partendo in Grecia dal VI secolo a.C., proseguendo per l’intera estensione dell’Impero Romano, nelle Americhe e financo in Australia, Africa ed Asia, nell’architettura coloniale del XX secolo.
Nelle illustrazioni che seguono, abbiamo volutamente messo a confronto tre diversi esempi dell’ordine “dorico greco/arcaico” ( tutti realizzati in Italia)
Le prime due immagini a sinistra raffigurano il Tempio di Era II (o di Poseidone) a Paestum (V sec. a.C.) mentre le altre due risalgono all’inzio del XIX secolo e sono opere romane di Giuseppe Valadier: rispettivamente Villa Torlonia e la Casina del Pincio, che appunto prende il suo nome. Colonne e capitelli del Tempio sono separati da quelli delle altre costruzioni da oltre 2300 anni….epperò lo stile rimane molto simile, oltre che assolutamente riconoscibile.
Ma perché gli ordini sono proprio (e solo) cinque? All’età di Augusto, per Vitruvio (che conosceremo meglio tra qualche riga) erano limitati a tre: Dorico, Ionico e Corinzio. La gamma ampliata è stata di fatto “certificata” solo quindici secoli dopo, nel Rinascimento, da un architetto bolognese, Sebastiano Serlio (1475-1554), collaboratore di Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che a sua volta lo era di Raffaello Sanzio (1483-1520). Raffaello, ricordiamo, oltre che “divin pittore” era stato nominato dal papa Leone X “praefectus marmorum et lapidum omnium“, diventando, di fatto, il primo soprintendente archeologico e ai monumenti della storia.
In questa veste, probabilmente anche seguendo i consigli del concittadino Donato Bramante (1444-1514), il primo progettista della “nuova” Basilica di San Pietro, voluta da Giulio II e fondata nel 1506, Raffaello era stato incaricato di catalogare e ridisegnare le più importanti rovine romane al fine di ricavarne quelle “regole universali” che avevano generato “l’unica buona e vera Architettura, quella degli antichi”, che lo stesso Pontefice voleva riportare in vita per celebrare la rinascita dei fasti dell’Impero Romano, stavolta sotto la guida della Chiesa.
Oltre ai Maestri citati, ricordiamo che intorno al 1500 a Roma si trovavano anche Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo; poco prima c’erano stati anche Pinturicchio e i decoratori quattrocenteschi della Cappella Sistina: Perugino, Botticelli, Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Signorelli: tutti i grandi artisti umbri e toscani che, a loro volta, nel campo dell’Architettura avevano come punti di riferimento Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, le vere stelle polari dell’Umanesimo fiorentino e primi, veri promotori della riscoperta del classicismo nelle arti e nell’architettura dopo il Medioevo.
Cosa ha fatto il buon Serlio allora? Come Architetto, non era dotato di particolare talento; ma potendo disporre degli studi dei contemporanei o di chi lo aveva di poco preceduto, ha avuto l’enorme merito di collezionare, riordinare, sistemare e pubblicare un insieme di conoscenze preziose, frutto delle ricerche appassionate, ma dispersive, di un irripetibile gruppo di geni assoluti. Il risultato dei suoi sforzi è l’opera “I sette libri dell’Architettura”, pubblicati a partire dal 1537 in ordine irregolare ed in tempi e luoghi diversi. Improntato più ad uno spirito pratico che teorico, il suo trattato è in assoluto il primo a codificare in dettaglio i “cinque ordini”, attribuendo grande importanza alle immagini, e costituisce una pietra miliare non solo nella storia della trattatistica di architettura, ma anche nella storia della stampa.
Il frontespizio del Libro IV (il primo ad essere pubblicato nel 1537) ci dice tutto sulle convinzioni dell’autore: le regole sono “generali” e le “maniere” cinque: appunto Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito; cita gli esempi dell’Antichità “che per la maggior parte concordano con la dottrina di Vitruvio”.
Serlio, per qualificare la sua opera, non solo si richiama alle nobili vestigia romane, ma si appella anche all’autorità dottrinale di Vitruvio… e allora, chi era costui, e in cosa consisteva la sua dottrina?
La risposta è semplice: Vitruvio (in latino: Marcus Vitruvius Pollio) era “il Serlio” dell’età di Augusto. Architetto, ma soprattutto trattatista, viene tuttora considerato il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi.
Attivo nella seconda metà del I secolo a.C. è autore della Basilica di Fano e soprattutto del trattato De architectura (Sull’architettura), in 10 libri, dedicato ad Augusto che gli aveva concesso una pensione.
Scritto probabilmente tra il 29 e il 23 a.C. (periodo nel quale Augusto aveva in mente un rinnovamento generale dell’edilizia pubblica) mirava certamente a ingraziarsi l’imperatore; a cui, non a caso, Vitruvio si rivolge direttamente in ciascuna delle introduzioni preposte ad ogni libro.
Il De architectura è l’unico integro testo latino di architettura giunto fino a noi e per questo il più importante,
Testimonia gli usi e costumi dell’epoca ed è stato studiato da ogni architetto dopo la riscoperta del manoscritto, avvenuta nel XV secolo.
«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie.»
Claude Perrault, “distillò” da questo passo del trattato la leggendaria formula della triade vitruviana, secondo la quale cui ogni buona architettura deve soddisfare tre requisiti:
firmitas (solidità);
utilitas (funzione, destinazione d’uso);
venustas (bellezza).
Che onestamente rimangono difficilmente contestabili, anche dopo duemila anni.
(Fine episodio I. Continua…prossimo episodio: l’ordine tuscanico.)
Finestra sui social – Zum Zug | Flickr
AutoBio: “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose” (cit. “Ecce Bombo”, Nanni Moretti, 1978)
Postilla redazionale: …e tra una cosa e l’altra fotografa per FUORI!!! 😉
(e scorretela, ‘sta galleria fotografica qui sotto! Le freccette avanti e indietro appaiono appena passate il mouse sulle chiappe della statua..;-))
Finestra sui social – twitter: Gregory Acs (@AcsGregory)
Signore e signori, con questo profilo twitter abbiamo il piacere di inaugurare una rubrica con la quale, ad insindacabile giudizio della redazione, in ogni articolo vi presenteremo un profilo social, scelto adducendo motivazioni e ragioni, di volta i volta, tra le più disparate.
Nel caso di @AcsGregory, però, non abbiamo bisogno di arrampicarci troppo sugli specchi: la TL è piena zeppa di fotografie straordinarie. Le sue.
Sempre più spesso capita di vedere in giro per le città (piccole o grandi che siano) degli spazi pubblici riqualificati con nuovi elementi di arredo urbano che incentivano a socializzare e rilassarsi, piste ciclabili colorate, panchine e fioriere in posti normalmente usati come parcheggi o carreggiate.
E’una “tendenza” che piace sia ai cittadini, sia alle Pubbliche Amministrazione e che, sebbene forse in Italia stia prendendo piede solo ora, viene utilizzate nelle grandi metropoli mondiali già da diversi anni.
Stiamo parlando dell’Urbanismo Tattico, ovvero un processo di rigenerazione urbana a basso costo economico, ma elevato impatto sociale.
Tre sono le caratteristiche principali:
– coinvolgimento delle realtà locali, quali residenti e non delle zone interessate, associazioni, gruppi di volontariato
– basso costo delle opere
– velocità di realizzazione e reversibilità
I lavori ottenuti, che ridisegnano quindi alcune locations specifiche della città come piazze, incroci, zone di passaggio, hanno il compito di ridefinire il concetto di “mobilità” nell’epoca post Covid, elemento da non sottovalutare data anche la necessità di limitare le auto private e potenziare “Car Sharing” e “Micromobilità”(scooter, monopattini elettrici, biciclette a pedalata assistita).
Ma il loro vantaggio è soprattutto quello di far aumentare il benessere della comunità, sia per quando riguarda il senso di appartenenza, sia per promuovere una socialità “sana”, lontano per qualche ora dagli effetti del mondo digital.
Tanto entusiasmo per queste tecniche non convenzionali di riqualificazione urbana si è visto a Milano, ad esempio con il progetto “Piazze Aperte” – realizzato in collaborazione con Bloomberg Associates e con il supporto della National Association of City Transportation Officials(NACTO) e della Global Designing Cities Initiative – ha consentito ai milanesi di riappropriarsi di spazi altamente trafficati, facendo in modo che i cittadini potessero così vivere in prima persona il loro quartiere.
Talvolta, per compiere le opere, vengono anche chiamati artisti di fama internazionale del calibro di Camilla Falsini (delle più famose illustratrici italiane), che ha messo a disposizione la sua arte proprio per ridisegnare uno dei luoghi simbolo del quartiere Isola, Piazza Tito Minniti.
L’urbanismo tattico rappresenta davvero una soluzione che piace a tutti e che serve per creare empatia, collaborazione e dare origine a nuovi spazi.
Può fornire supporto ed affiancare la fase di progettazione iniziale di nuovi interventi, ma può anche essere un mezzo efficace per “sanare” e quindi riqualificare davvero alcuni spazi che, per svariati motivi, hanno via via perso la loro identità e funzione.
Questo tripudio di colori e vivacità comporta però anche delle problematiche importanti da risolvere.
Le auto non spariscono, anzi potrebbero ingorgare vie limitrofe e rendere così un incubo svolgere i normali spostamenti quotidiani, i commercianti potrebbero avere delle difficoltà nelle operazioni di carico – scarico delle merci e atti vandalici potrebbero vanificare il lavoro svolto.
Sicuramente ci vuole l‘impegno e la volontà di tutti, ma come dice Jaime Lerner – architetto, urbanista, ex sindaco di Curitiba (Brasile) “La mancanza di risorse non è più una scusa per non agire. L’idea che l’azione debba essere intrapresa solo dopo aver trovato tutte le risposte e le risorse è la ricetta per la paralisi assicurata. La pianificazione di una città è un processo che consente correzioni”.
Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.
Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.
Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.
Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.
Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.
Mies is more
Barcelona pavillon photogallery
Less is more, diceva Mies van der Rohe. E noi lo prendiamo in (poca) parola. Tanto, ci sono le foto. E che foto! Con un focus in appendice dedicato a “Der Morgen” di Georg Kolbe, un’opera all’altezza – stratosferica – del più bel padiglione espositivo di tutti i tempi: quello tedesco all’esposizione universale di Barcellona 1929.
Il progetto ipotizza una monumentale “casa di montagna” che letteralmente si aggrappa ad una scogliera rocciosa. L’idea è concepita partendo dal totale rispetto della situazione naturalistica presente, mantenendo intatta la situazione degli alberi preesistenti nel sito individuato.
Per fare ciò, il progettista utilizza una serie di “scatole” impilate verticalmente o orizzontalmente. Queste file riescono ad intrecciarsi intorno agli alberi e lasciare in mezzo bellissimi e panoramici cortili. Una delle configurazioni più audaci di questo sistema è la pila verticale che forma una “C” che si affaccia dalla scogliera. L’organizzazione e la distribuzione degli spazi sul terreno e lo sviluppo verticale risultante è un insieme di volumi che si intrecciano e che generano dei vuoti e dei pieni in elevazione ed a sbalzo.
Il design della casa è organizzato per soddisfare le esigenze di famiglie “intergenerazionali”.
La parte inferiore è chiamata “la casa del figlio” e il livello superiore “la casa del padre”.
Un “figlio” potrebbe portare il partner e i figli a vivere al livello inferiore e avere abbastanza privacy per la sua famiglia, ma anche essere, allo stesso tempo, abbastanza vicino ai suoi genitori. Un altro livello è concepito come uno spazio comune in cui il progettista include attività ricreative per la famiglia allargata.
Il progetto segna una continuità creativa dell’architetto per le costruzioni che sfidano la gravità con una drammatica struttura che induce una sensazione di precarietà e paura.
La modellazione di questo progetto viene eseguita nel software 3-D MAX 2019 e , dopo aver completato la modellazione del materiale in V-RAY 4.1 è stato sottoposto ad una operazione di post produzione in Adobe Photoshop per ottenere un risultato perfetto e un rendering iper realistico.
Per ulteriori dettagli, vi rimandiamo al sito dell’architetto
Miladeshtiyaghi è nato nel 1994 a Teheran, in Iran. Dopo il diploma di maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Architettura e consegue il Master in architettura sostenibile presso IUST (università delle scienze e della tecnologia iraniana). Dopo aver fatto esperienza in diversi studi di architettura crea il proprio studio nel 2016. Attualmente è operativo a livello internazionale.
Miladeshtiyaghi ha come riferimento culturale lo stile architettonico minimalista, verde e sostenibile.
Lo scorso 15 Luglio si sono celebrati i 115 anni dello storico e prestigioso marchio di auto italiane, LANCIA .
Si è riproposto all’attenzione l’ultimo logo del marchio, che non è una vera novità dato che risale al 2007, ma forse siamo talmente disabituati a vederlo, che può apparire novità di oggi
Lancia ha una importantissima storia di #design automobilistico e notissima tradizione di auto sportive. Chi non conosce o non ricorda la Stratos disegnata da Gandini per Bertone, nata dall’evoluzione della Dreamcar Stratos Zero del 1971. Concept veramente avveniristico per quegli anni e che personalmente mi ricorda i bozzetti di Syd Mead, designer e illustratore americano scomparso nel Dicembre 2019. La Stratos motorizzata Ferrari, vincerà 3 Campionati del Mondo Rally (1974, 1975, 1976) e numerose altre gare e importanti piazzamenti. Anche non considerando un modello tanto stratos…ferico (se mi è concesso il gioco di parole), cosa dire della Lancia Fulvia Coupé disegnata da Piero Castagnero (che si ispirò pare, ai motoscafi Riva del tempo) o della Lancia Delta nelle loro versioni HF? Auto che definiremmo “iconiche” e che tali rimangono.
Dobbiamo quindi temo stendere un velo pietoso sui modelli generati dagli ibridi “Lancia-Chrysler” (più Chrysler che Lancia), nati da dinamiche aziendali che poco hanno a che fare con l’ormai centenaria storia del marchio e non possiamo che rimanere perplessi oggi, quando come ignari nuovi potenziali clienti, affascinati dalla storia rievocata, cercando la “gamma” Lancia sul sito del Marchio, troveremmo ben… due modelli! In realtà due varianti del medesimo modello, la ormai anch’essa storica Ypsilon, che per quanto la si rimaneggi, attualizzi e vivacizzi, rimane un modello nato nel 2003 e che vede la Seconda Serie datata all’ormai lontano 2011(!) che in questi anni non ha visto altro che cambio di livree, allestimenti, accessori.
Che dire? Accanimento terapeutico, minestra riscaldata e continuamente ri-scodellata? Certo possono sembrare conclusioni dure, ma è proprio il fulgido passato che rende più gramo l’attuale presente. Si prospetta un futuro pienamente elettrico per la Ypsilon, ma auguriamoci non si tratti solo del propulsore e ancor più che si possa vedere una rinascita, una nuova fioritura di modelli che questo Marchio merita, perché è un pezzo di Storia dell’Automobile che non è conosciuto solo qui in Italia, assolutamente no.
Con questo primo articolo intendiamo indagare, proporre riflessioni e approfondimenti alle innumerevoli e diversificate proposte del mondo del Design che rappresenta, insieme ad altre forme di Arte, una eccellenza italiana [e non solo].
Vi rimandiamo inoltre al link qui sotto dove troviamo ulteriori proposte, casi studio, e progetti innovativi che meritano maggiore attenzione e approfondimento.
Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti. Appassionato di Design e Fotografia.
Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.