Finestra sui social – twitter: Aucharbon (@alcarbon68)

Et voilà un chasseur d’images, figeur d’instants, attrapeur de lumière, collectionneur de graphismes, voleur d’ombres, chercheur de beauté… (inutile tradurre, si capisce benissimo lo stesso e il francese fa sempre figo)

Non lo conosciamo se non attraverso il suo profilo twitter e le magnifiche fotografie in bianco e nero che carica quasi quotidianamente sul social dell’uccellino.

Ma siamo certi che assomigli a Jean Gabin o a Lino Ventura; e senz’altro lo si potrà riconoscere nei bistrot di Boulevard Magenta mentre sorseggia il suo Pernod.

https://twitter.com/alcarbon68



Finestra sui social – twitter: Gregory Acs (@AcsGregory)

Signore e signori, con questo profilo twitter abbiamo il piacere di inaugurare una rubrica con la quale, ad insindacabile giudizio della redazione, in ogni articolo vi presenteremo un profilo social, scelto adducendo motivazioni e ragioni, di volta i volta, tra le più disparate.

Nel caso di @AcsGregory, però, non abbiamo bisogno di arrampicarci troppo sugli specchi: la TL è piena zeppa di fotografie straordinarie. Le sue.




Mies is more

Barcelona pavillon photogallery

Less is more, diceva Mies van der Rohe. E noi lo prendiamo in (poca) parola. Tanto, ci sono le foto. E che foto! Con un focus in appendice dedicato a “Der Morgen” di Georg Kolbe, un’opera all’altezza – stratosferica – del più bel padiglione espositivo di tutti i tempi: quello tedesco all’esposizione universale di Barcellona 1929.




Tre lettere e un numero.


di Christian Lezzi_

Il tanto acclamato e continuamente citato Albert Einstein, pare abbia detto, un giorno

“Se hai una risposta semplice, a una domanda semplice, allora tutto funziona alla perfezione”

Aggiungendo

Se non lo sai spiegare in maniera semplice, non lo hai capito abbastanza bene”.

Grossolane e superficiali nullaggini!

Una premessa doverosa: non è in discussione la statura intellettuale dello scienziato, le cui epocali scoperte influenzano ancora oggi l’andamento del mondo scientifico e la vita di tutti noi, bensì la superficialità di certe sue (presunte) affermazioni, oltre che la deleteria inutilità di questa pretesa semplificazione linguistica a ogni costo.

È altrettanto evidente che, ogni citazione, eradicata dal suo contesto naturale, è di semplice strumentalizzazione e altrettanto facile da snaturare. Per questo, in discussione vi è il concetto della semplificazione, non le citazioni a se stanti, usate solo come incipit al più ampio discorso.

In questo specifico, discutiamo la presunta necessità di semplificare concetti che semplici non sono, rendendo immediati anche questioni che meritano un più ampio respiro, una riflessione approfondita, un tempo di decantazione, per essere elaborati, compresi e interpretati nella loro essenza più vera.

E qui sorge spontanea la domanda: semplificarli, per spiegarli a chi?

A qualcuno che, estraneo alla materia, non solo ben poco capirebbe della questione espressa, ma addirittura trarrebbe una deduzione semplicistica, limitata anche dalle parole semplificate e dal conseguentemente limitato pensiero, fino a rendere vuoto e inconcludente il ragionamento derivato?

Perché l’atto di semplificare il linguaggio e i concetti correlati, a ogni costo e a ogni prezzo, non solo è privo di qualsivoglia beneficio reale, ma rischia di rendere banali anche le riflessioni più importanti, trascinandole nel gorgo della superficiale velocità, di quella spasmodica voracità con cui pretendiamo di elaborare la realtà e i suoi fatti.

Parliamo di riflessioni importanti, quindi, che proprio per questa particolare natura, non possono e non devono essere prese “sotto gamba” e banalizzate, necessitando di un linguaggio complesso e articolato, fatto di termini specifici, stimolanti, di un costrutto che imponga l’attenzione viva e l’approfondimento, generando un pensiero critico davvero pensato, frutto di un percorso cognitivo che non si fermi all’uscio del dettaglio, ma che si spinga oltre, fino all’origine delle cose, percorrendo il periplo dei cerchi concentrici che dal particolare si diramano e all’universale giungono. 

E viceversa.

A cosa e a chi giova, spiegare la fisica quantistica o la filosofia, con un linguaggio adatto a un bambino di otto anni? A nessuno, forse nemmeno all’ottènne bambino in questione.

Probabilmente soddisferebbe la curiosità di un momento, rendendo ingannevolmente “potabili” quei concetti altrimenti proibitivi, banalizzando la complessità del tutto, con un discorso dozzinale che, comunque, non sarà compreso e che, inevitabilmente, lascerà il posto all’illusione di un banale nozionismo, ingannevolmente vestito d’illusoria conoscenza.

Perché le riflessioni, quelle profonde e complesse, si argomentano con concetti altrettanto profondi ed egualmente complessi e con parole dotte, non per autocelebrazione, bensì allo scopo di favorire una riflessione che sia davvero approfondita.

Perché la nostra psiche non elabori quelle informazioni in modo veloce e inconcludente, producendo inutili discussioni da bar, in cui tutto resta sulla superficie delle cose, banalizzato e svilito da un linguaggio a prova d’analfabeta funzionale che, alla fine, di bagattella in insulsaggine, nulla dice in concreto.

Ciò non significa che certi argomenti debbano restare solo tra addetti ai lavori. Lungi da noi anche il solo pensarlo. Occorre piuttosto trovare una corretta via di mezzo che motivi, chi non è avvezzo a certi ragionamenti, all’evoluzione linguistica e di pensiero, vincendo così la tentazione frettolosa e pretenziosa di una immediata comprensione, giungendovi per gradi crescenti di preparazione.

In fin dei conti parliamo della lingua che ci appartiene, che tutti i giorni usiamo, facendolo dalla notte dei tempi della nostra vita. È nostro dovere impararla al meglio delle nostre possibilità. Basterebbe dedicarsi alle giuste letture, ai profondi ragionamenti, ai giusti strumenti che non ci impongano sempre le scorciatoie e i riassunti, per far nostra anche la parte meno ordinaria di un linguaggio che, opportunamente elaborato, contribuisce alla formulazione di un pensiero superiore.

È a furia di inculcarci (e farci inculcare) una presunta necessità di rendere tutto semplice, veloce, immediato, perché vittime della fretta e degli impegni, che abbiamo perso l’abitudine di leggere e di pensare, di riflettere e comprendere, di osservare la realtà da diversi punti di vista, per non saltare inevitabilmente a sdrucciolevoli conclusioni e a superficiali, quanto fallimentari, deduzioni.

È questa l’evoluzione da auspicare, ovvero la voglia e il bisogno di migliorare, implementando il bagaglio di parole e la capacità stessa di produrre pensieri, ragionamenti e riflessioni profonde. Quelle riflessioni che, fondate sul linguaggio non banalizzato, pretendano e impongano il tempo necessario alla vera comprensione, restituendo al pensiero la dignità che merita.

Occorre allenamento, applicazione, fatica, per imparare parole nuove e concetti profondi, per rendere elastica la mente e per imparare a pensare oltre l’apparenza, arrivando al nucleo d’ogni cosa. Perché anche la forma è parte integrante della sostanza, imprescindibile per il rispetto di una complessità funzionale allo scopo che, al contempo, si erga scevra dal barocchismo decorativo senza destinazione d’uso.

E occorre curiosità, per acquisire un pensiero asimmetrico, non standardizzato, fuori dagli stereotipi e dagli schemi dominanti, che doni originalità e identità ai nostri ragionamenti.

Ci sono concetti che possono essere semplificati, perché in origine non necessitavano di complessità e altri che non devono assolutamente essere resi semplici, ancor meno banali, pena un pensiero di risulta, vuoto e inutile, che a nessuno gioverebbe.

È possibile, anzi doveroso, semplificare una comunicazione di servizio, una disposizione, persino una procedura. Ma ciò che deve generare una riflessione profonda, deve restare profondo, per dar vita all’impegno necessario a produrre un pensiero degno di questo nome.

Non possiamo essere tutti filosofi, astrofisici, medici o ingegneri. A ognuno il suo codice professionale, la sua gergalità, i propri termini tecnici che, semplificati al massimo, perderebbero natura, efficacia e potenza. Perché ci sono concetti che, per essere portati al giusto approfondimento, necessitano di una complessità stimolante e sfidante, capace di risvegliare l’intelletto sopito. 

Diversamente, produrremmo solo un’infarinatura inutile, a presunto beneficio di chi, incapace della giusta attenzione e del necessario approfondimento, non riuscirebbe a comprendere il significato di E = mc2, nemmeno se la spiegazione fosse illustrata a fumetti da un bambino di otto anni.

Eppure sono solo tre lettere e un numero. Più semplice di così?


Christian Lezzi, classe 1972, laureato in ingegneria e in psicologia, è da sempre innamorato del pensiero pensato, del ragionamento critico e del confronto interpersonale. 
Cultore delle diversità, ricerca e analizza, instancabilmente, i più disparati punti di vista alla base del comportamento umano.

Atavico antagonista della falsa crescita personale, iconoclasta della mediocrità, eretico dissacratore degli stereotipi e dell’opinione comune superficiale.
Imprenditore, Autore e Business Coach, nei suoi scritti racconta i fatti della vita, da un punto di vista inedito e mai ortodosso.




Gli stupidi ben informati.

Emilio_Gomariz

di Valentina Serafin 

La libertà di informazione è, bene o male, garantita da costituzioni e da leggi.

I media che ricoprono il nostro pianeta, con le loro reti, si dichiarano liberi, ma lo sono davvero, oppure sono in catene? Non è, di fatto, ipotizzabile una rivoluzione democratica, né una politica degna di tale nome, se non si affronta la situazione complessa della comunicazione.

Parlare di punto di non ritorno potrebbe sembrare eccessivo, eppure il nostro Paese si trova, oggi, ad un livello assolutamente insufficiente, se parliamo di qualità e libertà dell’informazione.

Senza una vera libertà in questo settore nevralgico, non ci può essere vera democrazia.

Naturalmente, non stiamo parlando di mancanza di libertà di espressione o di parola, condizione propria di regimi totalitari che, grazie a Dio, non ci riguardano, ma i vincoli sono sempre più virtuali, invisibili, tali da condizionare il pensiero comune, indirizzandolo.

La libertà di espressione, così come la conosciamo oggi, in questa forma, è il frutto di lunghe lotte, che hanno assicurato ai giornali e ai media di poter stampare, trasmettere, informare in modo (apparentemente) libero.

Certo, questa libertà è garantita dalla Costituzione e dalla Legge, ma sempre di più in una forma simbolica che, con il tempo, si è andata modificando, rimodellandosi su esigenze editoriali e di partito.

Oggi, la platea di strumenti informativi è impressionante. A volte, può sembrare anche eccessiva, vista la quantità di dati a disposizione e come questi vengano modificati a proprio uso e consumo. Ma se ognuno di questi strumenti è anche in piccola parte “non libero”, la somma totale, poi, diventa preoccupante, perché si rischia di cadere in un conformismo illiberale.

L’opinione pubblica è spesso considerata dominatrice e onnipotente, giudice ultimo, senza possibilità di appello. Ma, in effetti, e allo stesso tempo, questa è quotidianamente condizionata, in modo subdolo, dunque possiamo certamente dire che è manipolata. Questo accade perchè esiste una condizione di oligopolio con una concentrazione limitata di grandi realtà editoriali, irraggiungibili dalle minoranze ideologiche, che, essenzialmente, sono rese inermi da questo strapotere.

Il lettore, lo spettatore e l’ascoltatore, che vengono dichiarati “protagonisti”, in realtà sono ridotti a soggetti passivi ed inconsapevoli.

Non hanno alcun diritto.

I risultati della cosiddetta “libertà d’impresa mediatica” sono insignificanti.

L’opinione pubblica, il lettore, il cittadino, si difendono come possono e arretrano: abbandonano progressivamente gli strumenti più “difficili” e soggiaciono a quelli più “facili”. Vanno sempre meno in edicola ad acquistare i quotidiani e si consegnano inerti e inoffensivi di fronte alla tv, assimilando improbabili notizie che gli si accavallano nella mente in un turbine di realities, “Grandi Fratelli”, serie tv e news accomodate.

In una società che rivendica (giusti) diritti per qualsiasi minoranza e categoria, nessuno ha mai pensato di garantire i diritti dei lettori e ascoltatori?

Il “lettore”, inteso nel senso più ampio del termine, oggi, di fatto, non ha sufficienti garanzie sul prodotto che acquista e quelle poche che ha sono disattese.

Eppure, questi sono consumatori di una merce ben più delicata di altre, perché condiziona la salute mentale e democratica.


Valentina Serafin collabora con PIUATHENA ed ha una esperienza pluriennale come Presentatrice, Conduttrice TV e Speaker radiofonica, acquisita collaborando con le più importanti realtà del settore.




Quando le informazioni mancano, le voci crescono.

di Valentina Serafin 

La credibilità delle fonti che forniscono informazioni e la qualità dei contenuti stessi, in un modello di società come la nostra, immersa totalmente in una comunicazione disordinata e non sempre verificabile, è ancor più messa in discussione da una sterminata disponibilità di strumenti comunicativi e una quasi totale mancanza di forme di intermediazione.

Lo sviluppo di idee che si trasformano in decisioni e poi successivamente in azioni, non può prescindere dalla disponibilità di informazioni corrette e verificate.

Le informazioni devono necessariamente essere disponibili in forma comprensibile, nel modo più chiaro possibile, senza distorsioni e in forma tale da poterne verificare l’attendibilità.

E’ ormai un mondo diverso: la produzione e la condivisione delle informazioni si è praticamente ridotta in tempo reale. Il modo di comunicare è totalmente cambiato, il tono, la forma del linguaggio, la grafia stessa e alcune parole hanno totalmente perso o cambiato significato.

E’ innegabile che siamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione culturale, linguistica e comportamentale. Siamo noi stessi gli artefici e allo stesso tempo i destinatari.

La cultura, ad esempio, una volta era destinata ad ambienti circoscritti, così come il mondo della ricerca, di cui oggi si parla in particolare, e dunque anche molti altri settori, oggi, sono chiamati loro malgrado a confrontarsi con una platea sterminata di commentatori ed “esperti” , che possono sostenere teorie non supportate da dati scientifici, e renderle immediatamente pubbliche, trovando anche , ma non solo, attraverso i nuovi media ampia risonanza, consenso e seguito.

Naturalmente non è solo storia recente: attraverso una comunicazione distorta per uso strumentale sono nate, cresciute e prosperate ideologie che hanno fatto la drammatica storia del mondo.

Ma oggi è ancora più semplice indirizzare comportamenti e decisioni su argomenti anche molto delicati, pensiamo alla alimentazione, la salute, con il rischio di conseguenze drammatiche.

Il dissenso critico va sempre dimostrato e verificato, applicando il metodo scientifico, e non ricorrendo ad una narrazione accattivante e persuasiva, ma priva di dati.

Quando accade questo, il pifferaio magico è in grado di incantare il seguito di topini, farli entrare in un mondo di teorie, supposizioni, quanto meno discutibili, e farsi seguire verso destinazioni pericolose e rischiose per loro e la comunità che intendono rappresentare.

La responsabilità della comunicazione condivisa, la competenza per poterne parlare, dovrebbero sempre essere il punto di partenza senza le quali non è nemmeno il caso di mettersi in cammino.

Una buona ed efficace comunicazione, capace di sapersi muovere con strumenti e contenuti credibili,  e all’interno di un campo di competenza riconosciuto e riconoscibile, favorisce la crescita di cittadini consapevoli ed informati, e permette loro di comprendere la complessità che caratterizza la nostra Società attuale, esercitando anche una importantissima funzione formativa.

Non stiamo parlando di semplificare concetti e dati che per loro natura devono essere inseriti in griglie complesse ed interpretabili da professionisti del campo, ma saper fornire strumenti idonei per interpretare una mole di informazioni affinchè l’affollamento informativo, amplificato dai vari media, non si trasformi in un incomprensibile rumore di fondo che non aiuta ad orientarsi.

Strumenti capaci di unire e integrare culture e «mondi» diversi, capaci di intrigare e interessare i «nativi» e i «tardivi» digitali. 

Perché per tutti l’accesso alle conoscenze, alle informazioni, al riscontro delle fonti sono strumenti necessari per sviluppare la comprensione critica dei dati e l’usabilità degli stessi. 


Valentina Serafin collabora con PIUATHENA ed ha una esperienza pluriennale come Presentatrice, Conduttrice TV e Speaker radiofonica, acquisita collaborando con le più importanti realtà del settore.