Assorbire il nero oscuro.


di Pierluigi “Pierre” Ibba.

Ogni giorno quando mi sveglio una delle prime cose che faccio è guardare il cielo. Credo sia una sorta di saluto al mondo, al pianeta . Saluto, ringrazio e mi preparo il caffè, la mente potrebbe “sembrare” sgombra ma la mia è carica di sogni, tutti legati alla bicicletta.

Riflettendo, tra un cucchiaio e l’altro mentre riempio la mia moka di caffè, a volte mi sorprendo della sensazione che questo mezzo mi crea. Rilassamento, ma anche una carica energetica, un desiderio un bisogno proprio fisico di salirci e di provare quel senso innato di vivere…

La bicicletta per me rappresenta il perno su cui far girare la mia vita. É quel lato che trasforma il mio modo di relazionarmi, rapportarmi al mondo circostante e ancor più a me stesso. Vivere la bici è il vero senso della libertà, della gioia e del delirio delle mie paure. Sto in bilico attraverso il mondo e ha volte questo si paga. Se conosci le sensazioni del poter pedalare sai cosa vuol dire, non la puoi spiegare a qualcuno che non l’ha mai provata. Ma io ci provo, troppo bello poter far sognare le persone.

Si la bicicletta è fatta di sogni, che poi grazie a lei diventano realtà. E Forse proprio quella realtà diventa ancor più bella in sella. La mia bici quindi diventa una sorta di identità, il mio stile, la mia indole, il mio vero essere. É una prova di forza, è il coraggio di valicare i miei limiti, di voler scoprire, andare oltre…Ecco questo “tratto” è il mio preferito, la scoperta inebria, la mente si apre e il mio corpo si adatta tra il ritmo della mente e del cuore. I miei occhi aperti, l’aria che mi impregna il viso, le mie gambe, dure, a volte…Sensazioni, dolori anche profondi come la vita… La bici ti guarda in faccia, ti affronta , a volte vince, a volte vinci tu, altre ti logora perché ti porta all’estremo di tutto.

Mi sono spesso sorpreso, ancor adesso che sto scrivendo accade, di quanto subisca la sua mancanza. Se non pedalo in qualche maniera soffro. Come mi capita per la perdita di qualcuno di speciale. Un vuoto potente. Ditemi pure che può sembrare follia la mia, ma è vero…Mi succede anche ora che cerco in ogni modo di far capire che cosa valga davvero la pena vivere attraverso una bicicletta. Sembreranno solo una accozzaglia di emozioni sconclusionate, invece, quasi istintivamente come un correttore automatico, la bicicletta distribuisce in modo naturale le cose, soprattutto il sorriso. Credo di non essermi mai sentito così “naturalmente” felice come quando salgo su una bicicletta, di qualsiasi forma essa sia. Potrei quasi definirla curativa per i miei “bui emotivi” ; assorbe il nero scuro e rilancia i colori, li irradia; ecco perché dovremmo fare di tutto e spingere le persone a usare una bicicletta, anche per i piccoli tragitti. Un cambio di rotta, un modo di intendere la vita più leggera. Chi lo sa se il mondo capirà che la bici è il futuro dell’uomo…per me è così.

Sono selvaggiamente sporco, amo il selvaggio e il pantano che mi resta attaccato, amo le vie impervie e i colori delle montagne nei boschi. L’asfalto l’ho vissuto molto, le paure date dal traffico dagli automobilisti e dalle distrazioni ovviamente le conosco, ma preferisco il rischio naturale dove l’errore resta umano e non del caso. Dove e come sentirsi lo dice il percorso, mi indica dove scegliere le vie che mi portano alla gioia di raggiungere un luogo davvero speciale ,una discesa ripida. Il punto più alto del viaggio è il mio momento più intenso, se poi uno sguardo arriva a vedere la vastità del mondo, allora è davvero indimenticabile. I momenti più alti sono quelli in cui il mio istinto prevale sulla mia ragione. Il vero coraggio di voler vivere senza trattenere le emozioni catturandole una ad una, una scorpacciata di vita.

La vera forza della bicicletta sta nel non dare limiti a me stesso, se mi sento di andare, uno scatto mi spara in paradiso. Se amo vivere e cogliere l’attimo tengo una velocità leggera, ascolto il rumore del cuore e del terreno, e se invece ho bisogno di riflettere basta fermarmi, posare la bici e sdraiarmi per terra, ed osservare il cielo.

Tutto questo per me è vita, da vivere adesso, senza più rimandare .


Pierluigi “Pierre” Ibba.

Il mio é un amore, e la bici mi rende vivo.Ho fatto molti sport ,ma solo con lei vivo questa energia questa essenza di vita e libertá. Ho 40 anni ,ma ho un energia da ragazzino. Tutto ció che piú vorrei é poter lavorare e vivere per e con la mia bici. Sono di origine Sarda, anche se nato in veneto, e naturalmente amo la Sardegna, altro infinito amore che sento vibrare profondamente in me.

p.s.= la bici sullo sfondo è “Daisy”, la mia vecchia bici protagonista di molte avventure.




Sogno la rivoluzione dei piccoli gesti – [parte 1]

foto di Valeria Simonetti_è vietata la riproduzione senza il consenso scritto dell’autore.

di Giuliana Caroli_

Alla fine degli anni ’90 rimasi folgorata dal titolo di un libro “La prima sorsata di birra. E altri piccoli piaceri della vita” di Philippe Delerm. Un libretto agile che diventò presto un fenomeno editoriale.

Ma più delle pagine del libro, a intrigarmi fu proprio il titolo. Perché proprio la prima sorsata di birra ha un sapore così speciale e provoca un piacere tanto intenso, molto più di ogni altra sorsata che verrà? È un miracolo di sensazioni che si consuma in pochi secondi prima di svanire, ma che si ripete in ogni occasione.

È vero. Ci sono dei piccoli piaceri capaci di regalarci attimi di felicità pura e genuina. Ci dimostrano che in fondo sono le piccole cose a dare colore alla nostra vita e che non servono gesti eclatanti per farci sentire in pace con noi stessi e con il mondo. Riconoscere e coltivare questi piccoli attimi di felicità è un ottimo esercizio per trasformare i momenti ordinari della vita quotidiana in istanti di straordinaria bellezza.

Quanto più ricca sarebbe la nostra vita se diventassimo collezionisti di attimi di gioia? 

E quanto migliori potremmo essere se sapessimo dare il giusto valore ai piccoli gesti?

Le nostre esistenze sono segnate dalle grandi tragedie del nostro tempo. La pandemia ha portato alla luce tutta la nostra fragilità e ci ha messi di fronte alle nostre responsabilità. Siamo la causa del cambiamento climatico e colpevoli di aver innescato un processo di distruzione del pianeta che non siamo più in grado di governare o di sovvertire.

Servono politiche ambientali efficaci e coraggiose, probabilmente impopolari ma essenziali per la nostra sopravvivenza. Ma non possiamo sederci e aspettare che qualcun altro al posto nostro risolva un problema generato da decenni di sfruttamento sconsiderato delle risorse, di devastazione dissennata degli habitat, di strage della biodiversità. Il tutto per perseguire un modello economico insostenibile e ingannevole al quale però nessuno di noi pare voler rinunciare.

Non basta protestare e urlare a gran voce che vogliamo un cambiamento. Dobbiamo essere il cambiamento. 

Perché allora non seguiamo la filosofia dei piccoli gesti? Piccoli cambiamenti che non stravolgono la nostra esistenza ma che possono avere un grande valore per la salvaguardia del nostro pianeta. Purtroppo abbiamo interiorizzato una serie di abitudini e di comodità che tendiamo a difendere strenuamente nel timore di perdere qualcosa. Ma non è così! Qualche esempio?

Usare il sapone invece del flacone in plastica di bagnoschiuma, lavarsi i denti con uno spazzolino di bambù e setole naturali, comprare frutta e verdura sfusa e non confezionata nella plastica (e preferibilmente di stagione e a km zero), bere l’acqua della rete idrica piuttosto che acquistarla in bottiglie di plastica, ridurre il consumo di carne, soprattutto quella proveniente da allevamenti intensivi altamente inquinanti, scegliere prodotti per la pulizia della casa ecologici e magari ricaricabili, fare una corretta raccolta differenziata per dare una nuova vita ai materiali – sono tutte piccole azioni che non costano fatica e possono avere un grande impatto sull’ambiente.

Provate a riflettere. I medici ci consigliano di bere 1,5 litri di acqua al giorno. Questo significa 365 bottiglie di plastica all’anno che possono essere risparmiate solo decidendo di bere acqua del rubinetto. Che si traducono in un risparmio di 248 litri di acqua e quasi 30 kg di petrolio necessari per la loro produzione, senza contare le tonnellate di anidride carbonica immesse in atmosfera per il trasporto. Vi rendete conto di quale impatto può avere una scelta così semplice e all’apparenza insignificante?

Piccoli gesti come questo possono fare la differenza se siamo in tanti a farli.

In attesa che i nostri governanti trovino grandi soluzioni ai grandi problemi che ci affliggono, perché non diventiamo protagonisti di piccoli cambiamenti nelle nostre vite?

Ognuno di noi può trovare la propria strada verso la sostenibilità. Basta imparare a porsi una semplice domanda:

Esiste un’alternativa sostenibile che posso facilmente adottare senza fare grandi sacrifici?

Rimarrete stupiti di quante possibilità ci sono e di quanto sia agevole cambiare.

Un piccolo gesto può avviare una rivoluzione?

Sì, se saremo in tanti a farlo.


Giuliana Caroli, classe 1965, lavoro in una grande cooperativa di servizi come Responsabile Comunicazione, ma mi porto come bagaglio una lunga esperienza in ambito consulenziale e formativo.

Scrivo di ciò che conosco e di ciò che mi appassiona. Coltivo la curiosità e alimento le relazioni positive. Detesto l’indifferenza e l’irresponsabilità.

A cosa aspiro? A fare la differenza: per qualcuno, per il pianeta.




Siamo noi le rane bollite.

David D’Amore_ China su carta_1991

di Giuliana Caroli_

Sono sicura che la stragrande maggioranza delle persone conosce il principio della rana bollita di Noam Chomsky. Molti meno sanno chi è Chomsky. Linguista, filosofo, scienziato cognitivista, nonché attivista politico, è un punto di riferimento per chi, come me, si occupa di Comunicazione. In primis per la sua teoria rivoluzionaria sulla grammatica generativo-trasformazionale e poi per l’analisi del ruolo dei mass media nelle democrazie occidentali.

Nel suo libro “Media e potere” del 2014 scrive:

Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda, nel quale nuota tranquillamente una rana.

Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale.

Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa.

L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla.

Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.

Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°, avrebbe dato un forte colpo di zampa e sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.

In molti hanno utilizzato questo principio in senso metaforico per parlare di potere e condizionamento mediatico, di degrado e scomparsa dei valori e dell’etica, di impoverimento morale e culturale della società.

Ma io voglio prenderla più alla lettera, pensando a ciò che stiamo vivendo in questi giorni. Sono anni che sentiamo i climatologi affermare che “è l’estate più calda di sempre”. Noi ci accorgiamo che le temperature salgono ma non siamo spaventati. Sentiamo parlare di cambiamento climatico e delle sue drammatiche conseguenze, ma ci sembra uno scenario lontano e irrealistico. Per qualcuno è addirittura un complotto o una fake news. Quindi non reagiamo e continuiamo a condurre le nostre esistenze come abbiamo sempre fatto. Intanto il calore sale e diventa torrido e insopportabile. Proviamo a dare qualche segnale di insofferenza, ma senza troppa convinzione pensando che spetti ad altri intervenire per risolvere il problema. Restiamo inerti, immobili, noncuranti condannando noi stessi alle estreme conseguenze.

Con la nostra inazione stiamo alimentando la deriva del nostro mondo e contribuendo al suo disfacimento.

E allora? Come evitare di fare la fine della rana bollita?

Serve una presa di coscienza forte, dirompente, sconquassante da parte dell’umanità. Dobbiamo reagire all’assuefazione e invocare un cambiamento radicale capace di rovesciare lo status quo nel quale ci siamo rifugiati e adattati per convenienza o per ignoranza. 

Per quanto possa essere difficile da credere, non può esserci scenario peggiore di quello che stiamo vivendo e che ci sta conducendo verso una fine sicura. E non possiamo aspettare oltre. Se lo facciamo, non avremo più le forze e le risorse per uscirne e sarà troppo tardi.

Prendiamo coscienza della nostra situazione e abbracciamo dunque il cambiamento.

Se vogliamo salvarci dobbiamo saltare.

Senza timori. 


note sull’Autore_

Giuliana Caroli, classe 1965, lavoro in una grande cooperativa di servizi come Responsabile Comunicazione, ma mi porto come bagaglio una lunga esperienza in ambito consulenziale e formativo.

Scrivo di ciò che conosco e di ciò che mi appassiona. Coltivo la curiosità e alimento le relazioni positive. Detesto l’indifferenza e l’irresponsabilità.

A cosa aspiro? A fare la differenza: per qualcuno, per il pianeta.




La democrazia: un concetto da allargare.

David D’Amore_ China su carta_2019

di Ambientalismo Democratico_

Siamo cresciuti in una democrazia, siamo cresciuti in una cultura socialdemocratica.

Siamo cresciuti in un ambiente pieno di contraddizioni.

Non è sempre facile crescere in un ambiente e accorgersi delle sue profonde incoerenze.

La Storia racconta di tantissimi sognatori e rivoluzionari che hanno saputo raccontare e superare le contraddizioni della loro epoca: Marx e Rosa Parks, Georg Cantor e molti altri.

Quello che la Storia difficilmente racconta sono le difficoltà che sono state superate per arrivare a mostrare quelle contraddizioni.

Noi siamo nati in un contesto di socialdemocrazia. Significa che possiamo andare a scuola e imparare gratuitamente; possiamo chiamare la polizia, la quale correrà in nostro soccorso; possiamo andare a votare per i rappresentanti migliori. Siamo cresciuti nell’idea che noi siamo i lavoratori, siamo la maggioranza, siamo quelli che, fino a 100 anni fa, facevano la fame.

Noi siamo i poveri, nel senso che è storia recente il boom economico che ha reso l’Italia ricca.

Quindi siamo quelli poveri, nati e cresciuti in un contesto di Stato Sociale che ci regala servizi.

Quando andavamo alle scuole pubbliche, per noi era facile scegliere: sei di destra o sei di sinistra?

Destra significava Berlusconi, soprattutto in certi anni. Significava DC o neofascismo, pochi anni prima. Sinistra significava PCI o sinistra extraparlamentare, poi ha significato una galassia di “robe” che possono essere chiamate “post-comunismo”.

Insomma: se sei di destra sei fascista o cattolico, se sei di sinistra sei con i lavoratori.

Però… però qui iniziamo i problemi: noi eravamo con i lavoratori, per carità, ma poi odiavamo gli stessi lavoratori che si infilavano per ore in autostrada per fare un fine settimana al mare.

Eravamo contrari a regimi che sfruttassero il lavoro delle persone umili, ma alla fine non trovavamo tanta distanza tra quello e la vita di certi animali negli allevamenti intensivi o nei laboratori di ricerca.

Per quelli più esperti esistevano anche i Verdi, partito ambientalista vagamente diffuso, ma anche lì qualcosa non funzionava. Era anche difficile capire cosa.

Insomma: l’immagine non quadrava.

Crescendo, quando ci siamo appassionati davvero di ambiente, di politica o di filosofia, abbiamo studiato ciò che potevamo su questi argomenti.

Il problema era che gli autori disponibili continuavamo a commettere gli stessi errori: descrivere la società umana in maniera molto coerente secondo i criteri del socialismo o del liberalismo o i dettami di una particolare dottrina religiosa… poi la Natura veniva spesso letta con freddi parametri biologici e scientifici distanti chilometri dai parametri usati per la società.

Che fossero autori del XIX secolo o del XX, l’umano veniva descritto come creatore di valore, pieno di emozioni e di speranze, come degno della società migliore possibile; l’animale veniva, invece, descritto come un oggetto, come una macchina che risponde a certi impulsi.

Il lavoro umano genera valore.

… eppure una montagna o un tramonto hanno un valore enorme, anche se nessun umano li ha costruiti.

La Natura viene spesso descritta come una bestia feroce che ti mangia appena può, una bestia che va ammaestrata grazie all’intervento dell’umano, che ne aggiunge valore tramite il suo lavoro.

Eppure… eppure la Natura è così piena di bellissime cose e l’essere umano può anche distruggerle, tramite il suo lavoro.

Ecco che nel corso degli anni si è venuta a formare, nella nostra mente, un’immagine chiara: una socialdemocrazia che accogliesse anche gli animali e le piante.

Una socialdemocrazia che accogliesse forme di valore diverse da quello economico, alle volte forme di valore innate nella Natura stessa che verrebbero corrotte dall’intervento umano.

Una socialdemocrazia che accetti un limite invalicabile: gli ambienti vergini, gli ambienti naturali, non vanno antropizzati.

Negli anni abbiamo imparato a chiamare questa idea Ambientalismo Democratico, per dire che siamo ambientalisti, ma siamo a favore della democrazia quella vera, quella dove non decidono e non scelgono solo gli umani.


nota sull’autore_

Ambientalismo Democratico

Siamo un team di ragazzi giovani, che si sono riuniti nell’estate del 2020 per organizzarsi e aprire la paginawww.facebook.com/ambientalismodemocratico Veniamo tutti da esperienze diverse: chi dall’università, chi dai primi anni del lavoro, chi dalla militanza in alcuni partiti, chi dalla passione per l’ambiente scevra dall’impegno istituzionale.Ad agosto abbiamo capito che serviva dare spazio ad un’idea molto semplice: la socialdemocrazia occidentale aveva smesso di funzionare perché lasciava indietro molti, troppi, che sono membri attivi della società. Questa idea sembrava non aver spazio nei giornali ufficiali o nei dibattiti, quindi abbiamo deciso di impegnarci noi, giorno e notte, per diffonderla. Ecco che abbiamo aperto la pagina Facebook e abbiamo iniziato a descrivere una società ambientalista democratica nel migliore dei modi possibili.