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Created to geotag some artistic/architectural/panoramic beauties that do not require entrance tickets. Original pics by Tolomeus/Zum Zug/and Gregory. Enjoy!

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Accadde oggi – 1° dicembre 1990 – L’Eurotunnel

L’ 1 dicembre 1990 gli operai guidati dai due ingegneri Graham Fagg e Phillipe Cozette, ai due lati di una galleria, perforano l’ultimo diaframma di roccia, ricongiungendo le due sezioni del Tunnel della Manica.
🇬🇧 🤝🇫🇷

La costruzione era iniziata da entrambi i lati esattamente 3 anni prima, il primo dicembre 1987, e quel giorno i due tratti si congiunsero con grande risonanza mediatica; L’apertura ufficiale avvenne il 6 maggio 1994.

CURIOSITÀ

L’EUROTUNNEL, come viene chiamato, è il tunnel con la parte sottomarina più lunga al mondo e il terzo tunnel ferroviario del mondo per lunghezza totale, dopo il San Gottardo in Svizzera🇨🇭 e la galleria Seikan in Giappone🇯🇵; quest’ultima presenta anch’essa una parte sottomarina, ma la galleria della Manica si snoda per circa 37 chilometri sotto il mare, contro i 23 di Seikan.

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LA CLESSIDRA PIÙ GRANDE DEL MONDO⏳

A Oda, in Giappone, si trova il Museo della Sabbia (Nima Sand Museum), costruito nel 1991 su progetto dell’architetto Shin Makamatsu.
È costituito da sei piramidi di varie dimensioni e al centro della piramide maggiore è ospitata la CLESSIDRA PIÙ GRANDE DEL MONDO che è alta più di 5 m e pesa 560 kg.
Ha un diametro di 1 m ed è riempita con 629.100.000.000 (più di 629 miliardi!) di granelli di sabbia che pesano 1.000.368 g (più di una tonnellata!).
Si tratta della sabbia della vicina spiaggia di Kotogahama, famosa per essere tra le poche al mondo ad avere una “sabbia che canta”. (Bitta ne ha parlato il 19 settembre scorso).
Prima di essere sigillata nella clessidra è stata setacciata in modo tale che ogni granello misurasse in media 0,11 mm e scorresse continuamente attraverso un ugello di 0,84 mm di diametro. L’enorme clessidra viene capovolta ogni 31 dicembre a mezzanotte, dopo che l’ampolla superiore ha impiegato esattamente un anno per svuotarsi in quella inferiore.

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Vento d’inverno: L’Armattano

L’ HARMATTAN (in italiano armattano), è un vento invernale secco e polveroso che soffia a nordest e ovest, dal Sahara al Golfo di Guinea, tra novembre e marzo. È considerato un disastro naturale.

Soffiando sul deserto, raccoglie fini particelle di polvere (tra gli 0,5 e i 10 micrometri) che può spingere addirittura fino in Sudamerica. In alcuni paesi dell’Africa occidentale, il grande quantitativo di polveri può limitare severamente la visibilità oscurando il sole per giorni, risultando paragonabile alla nebbia fitta. L’effetto delle polveri e delle sabbie rimescolate costa ogni anno milioni alle linee aeree in voli annullati e dirottati. Nel Niger, la gente attribuisce all’harmattan la capacità di rendere uomini e animali più irritabili, ma nonostante questa brutta reputazione, l’armattano può talvolta risultare fresco, portando sollievo dal calore opprimente. Per questo motivo, l’harmattan si è guadagnato anche il soprannome di “il Dottore”.

CURIOSITÀ
Alcuni test compiuti nel Sahara occidentale rivelano che i campi elettrici, generati dal reciproco sfregamento dei granelli di sabbia spinti dal vento, sollevano una quantità di polvere fino a 10 volte superiore di quanto non sarebbe per il solo effetto del vento, creando così tempeste più vaste e più durature.

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La sabbia che canta

In alcune spiagge, che a prima vista appaiono come molte altre, quando sono calpestate o vengono battute dal vento, la sabbia delle dune produce un misterioso suono con toni musicali su varie note che possono spaziare dal soprano acuto al basso.
Si tratta delle “sabbie cantanti”, un fenomeno a lungo indagato dagli scienziati. Questi ritengono che la musica nasca dalla struttura delle sabbie costituite da minuscoli granelli di quarzo, che il mare ha levigato fino a dare loro una forma rotondeggiante.

Ogni ‘chicco’ è circondato da una minuscola sacca d’aria e l’attrito tra i granelli e l’aria innesca una vibrazione che crea la nota musicale.
La nota varia in base alla quantità di umidità nell’atmosfera e alla pressione applicata. Le sabbie musicali si trovano di solito su spiaggie pulitissime, senza polveri o corpi estranei: alcuni esperimenti hanno dimostrato che anche un pizzico di farina arresta le vibrazioni, annullando il particolare suono.

Ci sono varie località nel mondo dove si trova questo tipo di sabbia musicale come la spiaggia di Kotogahama in Giappone, la spiaggia di Whitehaven in Australia e quella dell’isola di Eigg, in Scozia;

Anche in Italia abbiamo una spiaggia musicale. È la spiaggia di Cala Violina, una tra le più belle spiagge della Maremma Toscana, situata tra Follonica e Punta Ala.
La sabbia di quella spiaggia ha dato il nome alla cala, in riferimento ai piacevoli suoni che essa “emette”, quando calpestata, simili a quelli del violino. 🎻

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Un Gallo che sembra un delfino

Questo isolotto a forma di delfino si chiama GALLO LUNGO, e fa parte di un piccolo arcipelago, che si trova tra Capri e Positano, detto “Li Galli”.
Le altre due isole che lo compongono sono La Castelluccia e La Rotonda.

In passato, le isole Li Galli erano note con l’appellativo “Le Sireneuse”. Infatti, secondo un’antica leggenda, le tre isole erano abitate dalle tre sirene dell’Odissea: Partenope, Leucosia e Ligia che seducevano ed ammaliavano i naviganti con il loro canto.
Questi perdevano il controllo delle loro navi e, inevitabilmente, si andavano a schiantare sulle rocce degli isolotti!
Solo due navi riuscirono a scampare a quel triste destino: quella di Ulisse e quella degli Argonauti.

CURIOSITÀ
Il nome LI GALLI dell’arcipelago deriva dal fatto che, sempre secondo la mitologia greca, le tre sirene avevano il volto di una donna bellissima ma il corpo di uccello; da qui l’accostamento tra le sirene “pennute” con i galli.

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Divulgare la scienza: in ricordo di Piero Angela

In ricordo di Piero Angela trascriviamo letteralmente l’articolo/intervista “Divulgare la scienza“, a firma Giancarlo De Leo per Poliziamoderna, rivista ufficiale della Polizia di Stato, pubblicata il 01/03/2012.

Autore di fortunati programmi di informazione, Piero Angela, uno dei protagonisti del calendario della polizia, parla di sè e di come vede il futuro della televisione

Uno dei volti televisivi più noti e popolari presso il grande pubblico, considerato il “divulgatore scientifico” per eccellenza della televisione italiana, Piero Angela è il protagonista del mese di marzo del calendario della Polizia di Stato. Vero pioniere dell’informazione radiotelevisiva (il suo programma SuperQuark, in onda dal 1995, è il punto di riferimento nel campo dei documentari scientifici, storici e naturalistici), autore di molti libri – alcuni dei quali tradotti in inglese, tedesco, francese e spagnolo – venduti in milioni di copie, racconta a Poliziamoderna la sua esperienza professionale rispetto alla televisione e ad alcuni temi di attualità.

Nell’immagine di marzo del calendario lei è ritratto accanto alla Lamborghini e all’aereo P180, due mezzi adibiti anche al trasporto di organi. Lei è a conoscenza di questa attività della polizia? Cosa pensa della donazione di organi in Italia?
Ne ero a conoscenza e penso sia un merito per la polizia. Riguardo questo punto credo che in Italia ci sia ancora molto da fare soprattutto in termini di corretta comunicazione. Sull’argomento circolano infatti molte chiacchiere infondate, veicolate con estrema leggerezza da personaggi famosi, che purtroppo arrivano a milioni di persone. In questo senso, una volta commesso un grosso danno, risulta difficile ripararlo; la smentita di un serio scienziato non ha mai l’eco di una corbelleria firmata da un personaggio popolare. Voi della Polizia di Stato difendete i cittadini dai malfattori e dalle truffe, noi giornalisti cerchiamo di difenderli dalle false informazioni: una missione parallela che ci rende in qualche modo affini e che in fondo credo “legittimi” anche la mia presenza nel vostro calendario.

La sua passione non è sempre stata solo il giornalismo, sappiamo che uno dei suoi amori giovanili è stata la musica, in particolare quella jazz. Cosa c’è in comune tra questi suoi interessi?
In effetti da giovane sono stato un musicista dilettante con potenzialità professionali. Ho fatto anche dei piccoli tour suonando in giro per l’Italia facendo parte di trii e quartetti che si esibivano nei jazz club. Una esperienza di cui ho fatto tesoro nel mestiere di giornalista. Il linguaggio della musica mi ha insegnato i cambiamenti di ritmo, di intensità, le variazioni sul tema e le digressioni che tuttora utilizzo nelle mie comunicazioni per non apparire – appunto – monocorde. È assolutamente essenziale, per ogni divulgatore, non annoiare mai chi guarda e ascolta, a maggior ragione se gli argomenti trattati sono molto seri.

In una televisione generalista è possibile mantenere un’identità riconoscibile? SuperQuark o Ulisse potranno migrare verso qualche canale tematico per non correre il rischio di essere confusi con programmi che non hanno alcuna validità scientifica?
Come giornalista per me è assolutamente naturale rivolgersi ad un pubblico che sia il più vasto possibile, anche per stimolare l’attenzione di chi non si orienterebbe autonomamente verso i temi che proponiamo. In fondo è proprio questa la funzione del divulgatore: dapprima far sorgere un interesse e poi aumentare il livello di consapevolezza del “normale” telespettatore relativamente ad un tema che altrimenti rimarrebbe circoscritto a pochi addetti ai lavori o cultori della materia e del tutto ignoto ai più. Per questo stesso motivo non vedo il futuro di Superquark o di Ulisse in palinsesti specializzati: questi canali potrebbero essere utili soprattutto agli studiosi e agli appassionati di questo o quell’argomento, ma corrono il rischio di diventare dei club per pochi, delle vere riserve indiane mediatiche.

Pensa che la televisione generalista rischi di perdere il pubblico più giovane?
È incontestabile che i giovani si stiano allontanando dalla televisione, dirigendosi sempre più verso altri terminali come i tablet e gli smartphone: ma è vero che anche loro continuano a guardare la tv, magari veicolata da Internet, sul proprio pc. Poi ci sono i tanti anziani – e la popolazione invecchia sempre di più – che non si servono delle nuove tecnologie e rimangono fedeli alla televisione tradizionale. Se si guardano i dati di ascolto delle trasmissioni televisive si vede che il bacino di utenza complessivo in realtà è aumentato, in particolare le ore quotidiane di fruizione pro capite – si arriva ad una media oltre quattro ore –, e questo è un dato veramente rilevante. È da tenere presente poi che purtroppo nel nostro Paese è il tubo catodico a tenere banco rispetto per esempio ad altre attività come la lettura. Per molte persone il piccolo schermo è rimasto l’unico gancio culturale disponibile e proprio per questo l’offerta dovrebbe essere sempre più aperta, strutturata e stimolante. Al contrario la moltiplicazione dei canali meramente tematici rischierebbe di condizionare la scelta dello spettatore solo sull’argomento che gli interessa, fiction o trasmissioni calcistiche o altro, impoverendo il ventaglio di informazioni che potrebbe ottenere. Detto questo, sicuramente in un contenitore generalista ci può essere il rischio di confondere l’utente con proposte solo in apparenza somiglianti. Non resta che confidare nella maturità dello spettatore e nella sua capacità di discernimento. D’altra parte, ognuno è responsabile in toto per i propri prodotti e personalmente posso garantire solo per i miei… per concludere in leggerezza, vogliamo infine dire che “il mondo è bello perché è vario?”

Lei è tra i fondatori del Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale) un’organizzazione per promuovere un controllo sui fenomeni scientificamente inspiegabili. In una società dove spesso sedicenti maghi e veggenti approfittano delle persone psicologicamente deboli quanto valore ha l’affermazione di George Santayana “lo scetticismo è la castità dell’intelletto”?
La speculazione a discapito dei creduloni è assolutamente reale e si manifesta in forme più o meno gravi, l’oroscopo ne costituisce l’espressione più diffusa e meno dannosa. Purtroppo, per contrastare efficacemente il problema ci vorrebbe una campagna di informazione collettiva con numerosi testimonial qualificati e conosciuti. Personalmente, anche come scrittore, sono molto impegnato in questo senso, (ndr: ha scritto anche un libro sull’argomento :Viaggio nel mondo del paranormale e ha una rubrica fissa: “L’altra campana” sulla rivista Scienza e Paranormale), ma la mia voce è sempre stata piuttosto isolata.

Lei è anche autore di numerosi libri che spesso approfondiscono gli argomenti trattati nelle sue trasmissioni. Che ne pensa delle nuove tecnologie applicate all’editoria? Legge anche i libri in formato digitale sui tablet o sugli e-book reader?
Sono assolutamente consapevole dei vantaggi offerti dalle nuove tecnologie come l’economicità, il risparmio di spazio, di peso e la conseguente disponibilità di una intera biblioteca in pochi centimetri quadri, ma ritengo che questi strumenti siano perlopiù destinati alle nuove e alle nuovissime generazioni, i cosiddetti “nativi digitali”; personalmente continuo ad apprezzare maggiormente la tradizionale carta stampata, facendo parte della generazione dei “nativi gutemberghiani!”.

data pubblicazione articolo originale: 01/03/2012

link articolo originale sul sito ufficiale di Poliziamoderna; Divulgare la scienza (poliziadistato.it)




LUNA PIENA DEL GRANO O DELLO STORIONE

12 AGOSTO
LUNA PIENA DEL GRANO O DELLO STORIONE

Oggi, venerdì 12 agosto, il nostro satellite naturale ha raggiunto la fase di plenilunio.
Rispetto a noi la Luna si trova dalla parte opposta (opposizione) del Sole, quindi la sua parte illuminata è proprio quella rivolta verso di noi.

La Luna piena di agosto è detta Luna del Grano in quanto coincidente con la raccolta del cereale prima della semina autunnale.

È anche conosciuta come Luna dello Storione, nome che veniva usato dalle tribù indiane perché, in questa parte dell’estate, lo storione dei Grandi Laghi era più facilmente catturabile.

È la quarta e ultima SUPERLUNA del 2022, dopo quelle «dei fiori» (16 maggio), «delle fragole» (14 giugno) e «del cervo» (13 luglio). Ancora una volta, dunque, il nostro satellite si viene a trovare nel tratto di orbita più vicino alla Terra – precisamente a non meno del 90% del suo massimo al perigeo (che è stato mercoledì scorso) – apparendo così, anche se di poco, più grande e luminosa e per questo chiamata SUPERLUNA.

CURIOSITÀ
Dato che la Luna ci rivolge sempre la stessa faccia, siamo indotti a pensare che quello che vediamo è esattamente il 50% della superficie lunare.
In realtà, dalla Terra, riusciamo ad osservarne di più: circa il 59% !
Il fenomeno, scoperto da Galileo Galilei e spiegato da Newton, è definito “librazione” e ci permette di vedere a periodi alterni le regioni più orientali ed occidentali della Luna. Questo movimento è una conseguenza del moto non uniforme della Luna: quando si trova nei punti della sua orbita più vicini alla Terra (perigeo), si muove piu’ velocemente e la sua rotazione su se stessa, per cosi’ dire, “resta indietro” rispetto alla rivoluzione.
Detta in altre parole, nel tempo che impiega a ruotare su se stessa di 90° (..eh sì, anche lei ruota!) la Luna “percorre” 97° di orbita.
All’apogeo, gli stessi 90° di rotazione avvengono in 83° di orbita.

L’effetto visibile dalla Terra e’ una lieve rotazione della Luna su se’ stessa: prima in un senso, quando accelera, poi nel senso opposto, quando rallenta.

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Col sole in fronte…

Ieri, 8 luglio, alle 13:14 (ora italiana) il Sole si è trovato esattamente sulla verticale del punto della Terra indicato nella figura, illuminando quella porzione del pianeta evidenziata in chiaro.
Quale è stata la particolarità di quell’istante?
È stato detto, e scritto, che il 99% della popolazione mondiale (7,8 miliardi di persone), si è trovata nella parte del pianeta illuminata dalla luce del Sole.
Questo valore è ricavabile dai dati astronomici (posizione del Sole in funzione della data e dell’ora), dalla geografia del nostro pianeta e dalla distribuzione della popolazione mondiale.

CURIOSITÀ
Nella realtà, c’è da considerare che
quasi mezzo miliardo di persone si sono trovati al crepuscolo (mattinale o serale), con la luce solare indiretta, ma teoricamente ancora (o già) nell’emisfero notturno (sole sotto l’orizzonte).
Togliendo quindi la zona crepuscolare (fascia ombreggiata in figura) otteniamo comunque circa 7,4 miliardi di persone, ovvero il 93% della popolazione mondiale.

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Aquawareness

L’acqua come strumento di consapevolezza. La consapevolezza come via maestra per apprendere il Nuoto.

(versione integrale ed arricchita di nuovi contenuti multimediali di un articolo già pubblicato su www.ocean4future.org in due parti nel marzo 2022)

Le prime percezioni del nostro esistere avvengono ad occhi chiusi, immersi nel liquido amniotico. La materia fluida ci fornisce la prima interfaccia con il mondo, il primo contatto con la dimensione del sensibile, la prima esperienza del limite, attraverso cui si sviluppa l’embrione della nostra futura identità. In essa cominciamo a disegnare i nostri confini con l’esterno e insieme a percepire dall’interno la nostra corporeità. E ritrovare la traccia di quelle primordiali esperienze significa ritrovare il proprio primo orizzonte di esseri viventi, la nostra prima e vera madre lingua. Significa ritrovare il nostro corpo alle prese con sensazioni nuove ed insieme antiche, con libertà di movimento strane e al tempo stesso familiari, stranamente familiari e tuttavia dimenticate.

Nella mitologia indiana, Nārāyaṇa è la divinità che meglio di tutte rappresenta, a livello cosmico, il passaggio cruciale dalla potenzialità della quiete indifferenziata prenatale alla prima scintilla di coscienza individuale.

Nella notte cosmica, Nārāyaṇa dormiva in beata spensieratezza, galleggiando sulle acque primordiali. E mentre dormiva dal suo ombelico spuntò un loto, la prima forma di vita e prima scintilla di consapevolezza, staccatasi dalla matrice universale(Mircea Eliade, Trattato di Storia delle Religioni, Bollati Boringhieri, ed. 2008)

Nārāyana tiene nella mano sinistra un gambo di loto che scaturisce dal suo ombelico e sul fiore di cui è intronizzato Brahma. Rilievo Cham, Vietnam (c.700 d.C.)

Nārāyaṇa è, per gli induisti, una delle molteplici manifestazioni di Visnu: colui che presiede la notte cosmica così come Shiva è il signore dell’universo manifesto. Simboleggia lo stato di latenza che precede l’inizio di ogni era, e che inevitabilmente ne seguirà la fine. 

“Nei tempi antichi chiamavano le acque con il nome Nārā e poiché le acque erano sempre la mia ayana, la mia casa, ecco perché mi chiamavano Nārāyaṇa: (che è a casa nell’acqua). O migliore dei rinati, io sono Nārāyaṇa, l’origine di tutte le cose, l’eterno, l’immutabile”. (dal Manusmṛti, II-III sec. a.C.)

A casa nell’acqua”. Interessante notare come, per la tradizione Indiana, l’acqua venga considerata l’elemento primigenio, il substrato originario: l’energia potenziale ancora inespressa, dal quale proviene ogni forma, e che precede qualsiasi evento percepibile; mentre nella Cina taoista, più o meno nello stesso periodo o poco dopo, l’acqua è percepita come modello di comportamento perfetto e sublime espressione di un mondo già fenomenico.

Non vi è al mondo nulla di più debole e cedevole dell’acqua, ma nello stesso tempo non vi è nulla che la superi nel vincere il forte e il rigido. Essa è indomabile perché a tutto adattantesi” (Tao Te King, secondo libro, par. LXXVIII. A cura di Julius Evola, 1922)

Ritrovarsi nel Nārāyana dal quale si è avuto origine è, da millenni, il compito delle innumerevoli tecniche psico-fisico-meditative messe a punto, specie in oriente, per poter riconoscere e percepire come propria “dimora”, oltre il limite del nostro corpo, anche tutto ciò che ci circonda.

Lo Yoga indiano e il Tai-chi cinese sono probabilmente le vie più praticate e conosciute per “tornare a casa” ma ne esistono innumerevoli altre, sperimentate o sperimentali; sorte dal nulla o lentamente adattate alle circostanze di tempo, cultura e luogo;  In oriente così come in occidente però, l’immensa letteratura fiorita sull’argomento, sorprendentemente, non fa quasi mai riferimento a quella che dovrebbe essere considerata la via maestra, quella suggerita dall’origine e dal nome stesso di Nārāyaṇa, “colui che è a casa nell’acqua”: il nuoto. Anzi, il Nuoto, con la N maiuscola. Quello che pratica l’uomo virtuoso, inteso nel senso definito dal Tao te King: colui che comprende e si adatta al modello di comportamento supremo, quello dell’acqua.

La mancanza di accenni al Nuoto come “via dell’acqua” nella storia della letteratura specializzata è difficilmente comprensibile. Si pensi, ad esempio, ai cultori del Tai-chi che immaginano di effettuare in acqua i propri movimenti per cercare di renderli più fluidi: non sarebbe molto più semplice ed efficace, allora, “saltare un passaggio” – e immergersi realmente? Vero è che esistono già da tempo anche le versioni “bagnate” dello Yoga (Woga/Water Yoga) e del Tai chi (Ai chi/ Aquatic Tai Chi): ma anche queste discipline, pur essendo valide sotto taluni aspetti, rimangono viziate da un presupposto iniziale molto restrittivo non sono “acquatiche native”, ma adattamenti – più o meno felici – all’ambiente liquido di ordinarie e consuete pratiche terrestri. In quanto tali, le posizioni di equilibrio vengono impostate dal praticante con un approccio fisico e mentale ancora tipicamente terrestre: ricerca di appigli od appoggi rigidi e limitati, utilizzo di strumenti didattici artificiali, sostegno di altre persone per “superare” il problema della cedevolezza dell’acqua (invece, proprio questa caratteristica costituisce l’occasione d’oro da cogliere e sfruttare appieno per “cambiare dimensione”). Il tutto, vissuto ancora sotto l’incombente condizionamento psicofisico della verticale gravitazionale: una vera e propria spada di Damocle, alla quale, in condizioni ordinarie, è impossibile sottrarsi.

Manca ancora, a coloro che in acqua si comportano da terrestri, l’abbandono completo, la fiducia in Archimede e nella sua legge idrostatica. Manca evidentemente la fiducia nell’acqua. O meglio… nelle capacità di relazione tra il proprio corpo e l’ambiente circostante.

È un tipo di fiducia che si raggiunge esclusivamente dopo una profonda completa conoscenza, diretta e strettamente personale, del proprio intorno.

Come scrive il Maestro Zen Daishin Besio:

Il nuotatore e il non-nuotatore sono divisi solo da una dimensione esperienziale. Il primo è partito, necessariamente, dai presupposti del secondo. Il quale, a sua volta, dispone di tutte le potenzialità per trasformarsi nel primo

Dimensione esperienziale. Non (solamente) intellettuale, quindi. E assolutamente diretta, non delegabile: se l’acqua è uguale per tutti, ogni essere umano è un unicum. Ha una sua forma propria ed è il risultato di una storia a sé. Conseguentemente lo è anche il suo rapporto con l’elemento liquido. Intimo, insostituibile e indicibile.

Per dirla con un altro Maestro (di Nuoto, stavolta), Domenico Maiello, l’acquaticità consiste nell’ “educare all’acqua e con l’acqua”. “All’acqua“, per conoscerla. “Con l’acqua“, per conoscersi. Una definizione, questa, folgorante ed epigrafica; per arrivare a fidarsi ciecamente dell’acqua non esistono scorciatoie: bisogna (ri)conoscerla, bagnarsi, immergersi. E galleggiare, affondare, riemergere, scivolare, ruotare, tuffarsi, fare delle capriole, adagiarsi sul fondo: insomma bisogna ritornare a giocare felicemente nell’acqua e con l’acqua, cercando di carpirne, a poco a poco, i (trasparenti) segreti.

Dimenticando e destrutturando, stavolta, le abilità motorie complesse spesso a torto considerate acquisite come le tecniche di nuotata (apprese talvolta troppo velocemente o solo meccanicamente, senza concedersi il tempo di percepire né l’acqua né il corpo); tralasciando le tabelle di allenamento, le calorie da bruciare, il numero delle vasche da percorrere; mettendo via, almeno per un po’, tutti quegli inutili orpelli che inquinano e disturbano il rapporto esclusivo tra noi e il fluido (divenuti oramai innumerevoli: dalle pinne ai galleggianti, alle custodie impermeabili degli smartphone, passando per le radiocuffie,  gli smartwatch e le varie applicazioni fitness. Se possibile, lasciando anche gli occhialini e le cuffie sul bordo vasca). Spogliandoci di tutti gli accessori, ma rimanendo ben vigili, attivando al meglio la nostra consapevolezza. Eccola, la parola chiave è tornata: consapevolezza. Duplice: in acqua, e dell’acqua. Conoscenza dell’acqua attraverso il proprio corpo – e conoscenza del proprio corpo attraverso l’acqua. Ecco definite le due materie fondamentali della nostra scuola nuoto ideale. Due processi cognitivi tra loro interconnessi al punto tale da sintetizzarsi in uno solo, di tipo relazionale. Il proprio, intimo, insostituibile, indicibile rapporto con l’acqua.

Dopo esserci finalmente liberati di ogni accessorio o programma, entrando in acqua proviamo innanzitutto a…non fare nulla! Cerchiamo innanzi tutto di rimanere fisicamente passivi mentre il fluido agisce sul nostro corpo. La passività costituisce il primo e più importante passo nel processo di conoscenza dell’acqua. Equivale all’ascolto dell’altro nei rapporti umani.

Raising (9 secondi)
Levitation (9 secondi)
Bouncing balls (16 secondi)

Negli esercizi presentati è la spinta idrostatica che agisce “come Archimede comanda”, per riportare a galla le nuotatrici che sono state filmate. Quasi certamente, tutti coloro che hanno una certa dimestichezza con le attività natatorie, avranno vissuto le stesse esperienze soprattutto in età infantile; ma è estremamente probabile che, presi dalla foga del gioco o da un obiettivo agonistico più seducente, ne abbiano dimenticato i preziosi insegnamenti. Almeno a livello cosciente: lo dimostrano, ad esempio, gli innumerevoli bagnanti-ancora-terrestri che si producono in azioni propulsive goffe e assolutamente superflue, sia con le gambe sia con le braccia, per cercare di “rimanere fermi sul posto” in acqua alta…

Bad runner (15 secondi)
Bad biker (6 secondi)
Vertical kicking (18 secondi)

…laddove basterebbe galleggiare staticamente, senza agitarsi:

Suspension lift (12 secondi)

le posizioni sono potenzialmente infinite; e molte di queste sono anche estremamente confortevoli….

Periscope (15 secondi))
Outrigger and ball (10 secondi)
Static & simmetric (5 secondi)
The fin (5 secondi)
Asana (5 secondi)
Sofa relax (14 secondi)
Double outrigger (5 secondi)

Ai bagnanti-ancora-terrestri a è mancato, nei momenti cruciali dell’apprendimento nel corso delle loro prime esperienze acquatiche, il giusto atteggiamento mentale.

O meglio… la giusta presenza mentale. Potremmo definire questo termine-chiave come un vero e proprio comune denominatore tra il Nuoto e la meditazione. Applicando una corretta presenza mentale, ogni ingresso in acqua può trasformarsi in una validissima occasione per aumentare il proprio grado di consapevolezza, trasformando il bagno in una vera e propria forma di meditazione galleggiante. Una consapevolezza a doppia valenza: in acqua e dell’acqua. l'”Aquawareness“.

È bene chiarire immediatamente che la presenza mentale, come forma di meditazione, NON ha assolutamente nulla a che fare con gli stati di assorbimento, estatici o mistici, al di là dell’ordinario e del vissuto quotidiano. Anzi. Tutto il contrario, la pratica richiede come requisito di base la massima lucidità sensopercettiva. Nulla di trascendente, quindi, e nulla che non sia del tutto trasparente.

Semplificando, la presenza mentale può essere bipartita nelle due fasi ricettiva (chiamata fase della pura attenzione) ed attiva (denominata fase della chiara visione)

Nella fase ricettiva si tratta “semplicemente” di rimanere estremamente attenti e concentrati durante le esperienze vissute e osservate al fine di acquisire la chiara e sicura consapevolezza di ciò che realmente avviene fuori di noi e in noi quando c’è interazione tra noi e il nostro intorno.

Per facilitare la pura attenzione, al principiante si raccomanda sempre di ridurre l’esperienza al livello più elementare ed essenziale possibile. Riprendiamo, in proposito, l’esempio descritto nei video dei “rimbalzi”:

Per bambini e adolescenti (e qualche adulto) sarebbe più che naturale trasformare l’esperienza in un gioco “a chi ne fa di più” con tanto di squadre, classifiche, e sfottò; possiamo facilmente immaginare i partecipanti impegnati creativamente per trovare strategie, regole, trucchi e sotterfugi idonei per vincere le sfide, con i compagni, gli avversari… e soprattutto, con loro stessi.

Certamente, in situazioni ludico-competitive, si guadagnerebbe molto in termini di puro divertimento… però quasi sicuramente, a causa della focalizzazione dell’interesse dei partecipanti verso l’obiettivo della “vittoria” e dello spostamento delle loro risorse di pensiero verso l’area dell’ingegno organizzativo si perderebbero di vista almeno tre/quattro elementi di osservazione, o di pura attenzione:

  • La posizione raccolta “a uovo”, con le gambe abbracciate, assicura l’impossibilità di compiere dei gesti propulsivi   di qualsiasi genere; conseguentemente:
  • La risalita è determinata solo dalla spinta dell’acqua:
  • Il corpo tende sempre a ruotare per mantenere la parte più leggera (i polmoni) verso l’alto. Non si riaffiora naturalmente con i piedi, ma con la schiena e la testa.

Soprattutto:

  • Con i polmoni pieni d’aria, a parità di forma (ma non di volume…) l’acqua riporta velocemente i corpi a galla, con i polmoni svuotati molto meno, quando non li lascia direttamente sul fondo.
  •  
Stitching down (23 secondi)

Queste registrazioni obiettive, proprio come in ogni esperimento scientifico che si rispetti, non dovrebbero mai essere alterate da valutazioni qualitative o dai pregiudizi emotivi ed intellettuali, o dalle aspettative prestazionali, che spesso (e più o meno consapevolmente) ci portiamo dietro e che distolgono l’attenzione dai fatti in sé che dovremmo considerare “nudi e crudi”.

Quando parliamo di “meditazione basata sulla presenza mentale”, non intendiamo allora nulla di difficile né di misterioso. Parliamo invece di un livello di consapevolezza raggiungibile, in acqua, anche dai bambini in età scolare. Anche i piccoli allievi, se ben guidati da un bravo istruttore che, avendo cura di mantenere sempre attiva la loro presenza mentale, trasformi ogni loro esperienza  acquatica nella forma di un gioco divertente, potranno essere in grado di passare tranquillamente senza difficoltà da un’attenzione vaga iniziale (“guarda, Jacopo e Matteo stanno giocano a “palla che rimbalza!”), a quella più dettagliata (“ma non si muovono per nulla, eppure tornano sempre su”) e poi, richiamando le situazioni analoghe, si confronteranno con il proprio vissuto (“ci ho provato anche io, funziona”), generando dapprima il pensiero associativo (“se trattengo il respiro torno su più velocemente”)  e infine, sfruttando opportunamente le dinamiche di gruppo, anche quello astratto: vale a dire  la generalizzazione dell’esperienza. (“se si trattiene il respiro si galleggia molto meglio, vale per tutti”)

Questa forma di educazione acquatica, basata sulle risposte dell’individuo alle situazioni-stimolo ambientali, è tra l’altro perfettamente aderente alle teorie di Jean Piaget (1896-1980), un vero pioniere della psicologia dell’età evolutiva: Per Piaget, losviluppo cognitivo del bambinoderiva principalmente dall’interazione con la realtà circostante, grazie alla quale si verifica una trasformazione in termini di acquisizione di informazioni utili alla conoscenza pratica. E in acqua, la necessità di interagire continuamente con l’ambiente circostante diventa necessariamente “il” presupposto, una scelta obbligata. Sotto questo aspetto, un approccio consapevole nei confronti dell’ambiente acquatico può favorire sensibilmente, anche a livello più generale, l’educazione e l’affinamento della persona in crescita.

Nelle clip precedenti, abbiamo osservato l’azione dell’acqua sul corpo umano quando quest’ultimo nel corso delle varie esperienze cerca, nei limiti del possibile, di mantenere la stessa forma sotto l’azione dell’acqua, a prescindere dalla forma deliberatamente scelta come quella di partenza. Rimanendo il più possibile “inerti” a guisa di oggetti – più o meno galleggianti – è molto più semplice osservare, per poi riuscire a distinguere e separare, gli effetti delle azioni dell’acqua da quelle delle nostre attività, siano esse determinate e consapevoli, automatizzate oppure del tutto inavvertite.

Lo stesso livello di pura attenzione che riserviamo alle osservazioni relative ai comportamenti del nostro corpo come risposta alle azioni dell’acqua, andrebbe riservato anche allo studio dei comportamenti del fluido come risposta alle nostre azioni volontarie e mirate. Anche in questi casi, la facilità di ricavare informazioni corrette ed obiettive è direttamente proporzionale alla semplicità delle attività motorie “di stimolo”

Si pensi alle esperienze sulle “frenate” durante gli scivolamenti:

Integral braking (5 secondi)

In questo caso l’obiettivo della nuotatrice era quello di valutare l’efficacia della frenata durante lo scivolamento (lo “stop” andava ottenuto modificando improvvisamente e liberamente la propria forma corporea) e non certo quello di andare il più lontano possibile dal bordo vasca (che spesso rimane, purtroppo, l’unico esercizio richiesto nelle versioni prona e supina dalla stragrande maggioranza degli istruttori di nuoto tradizionali, durante le cosiddette fasi di ambientamento).

La nostra nuotatrice è giunta a quella efficace soluzione frenante dopo aver sperimentato moltissime altre possibilità alternative: ad esempio, allargando solo una gamba, o anche semplicemente piegandola; oppure allontanando le braccia distese o piegate dal tronco; testando infinite altre soluzioni simmetriche o asimmetriche, sempre prendendo scrupolosa nota delle risposte dell’ambiente fluido. Ad esempio, avrà scoperto che se durante lo scivolamento veloce allontana solamente un braccio dal tronco, oltre al rallentamento ottiene anche un cambio di direzione; ma avrà anche capito anche che quest’ultimo effetto si può essere facilmente attenuare o del tutto annullare non solo con il gesto simmetrico dell’altro braccio, ma anche da altre opportune azioni antagoniste quali, ad esempio, un piegamento del capo.

La pura attenzione, quindi, comprende il campo di osservazione analitica ed obiettiva dei comportamenti che si instaurano nella relazione di base tra l’acqua e il corpo umano, prendendo atto dell’interscambiabilità dei ruoli attivi e passivi che si assumono a seconda delle circostanze. 

Però – non ci stancheremo mai di ripeterlo – questo termine rimane valido ed appropriato solamente se lo spirito, e l’atteggiamento mentale, con il quale si affronta ogni esperienza rimane quello tipico di un laboratorio scientifico, dove l’esperienza viene studiata solo per quella che è, senza interferenze di ricordi passati o di progetti di costruzione futuri. E neanche senza subire l’influsso di precedenti condizionamenti, pregiudizi o aspettative; con la massima apertura mentale, avendo cura di non precludersi nessuna esperienza (a priori) e non scartando alcun risultato (a posteriori); e soprattutto senza mai farsi vincere dalla tentazione di attribuire valutazioni qualitative ai risultati, del tipo: “questa è la soluzione MIGLIORE”. (…migliore per quale scopo, poi…?)

Nelle scuole nuoto “tradizionali”, quelle che hanno per obiettivo costruzione di un performer ad ogni passaggio didattico si tende ad insegnare agli allievi subito e solamente la soluzione “giusta” nell’ottica della sola prospettiva agonistica, per ottenere il massimo rendimento dell’atleta nel più breve tempo possibile… facendogli perdere però per strada, anzi per le corsie, infinite occasioni di approfondimento della propria cultura dell’acqua. Trasformando così il corso di nuoto in un addestramento formale (dove si propongono sostanzialmente dei modelli pronti da copiare) in luogo di una vera occasione di educazione acquatica (dove ogni momento di passività, pausa o attività, ad esempio una semplice bracciata, o un mezzo avvitamento, è il risultato di scelte precise ed autonome del praticante, ripescate consapevolmente dalla propria riserva di esperienze.

Scelte, è finalmente giunto il momento di definire il termine, che dovrebbero essere determinate esclusivamente dalla Chiara Visione del nuotatore.

La Chiara Visione è l’aspetto proattivo della Presenza Mentale, che segue necessariamente quello della pura attenzione e si manifesta nel nuotatore “meditante” solo in presenza della volontà lucida e consapevole di intraprendere l’azione più appropriata per raggiungere un preciso e determinato scopo, qualsiasi esso sia.

Come, ad esempio, quella di immergersi fondo mediante la sola espirazione senza aiutarsi con gesti propulsivi:

Starfish #1 (25 secondi)

Oppure, a partire da uno stato di galleggiamento statico verticale, alterare il proprio equilibrio provocando dei basculaggi volontari con il solo movimento del capo:

Rispetto alle analoghe esperienze vissute “in regime” di pura attenzione, all’occhio poco allenato di un osservatore esterno potrebbero non rivelarsi grosse differenze formali: si galleggia o si affonda fisicamente , ed apparentemente, nello stesso modo; la differenza risiede, infatti, tutta nell’atteggiamento mentale del nuotatore che durante la fase della pura attenzione sta ancora cercando di capire cosa accade a sé e al suo intorno in determinate condizioni; nell’altra adotta deliberatamente il comportamento più idoneo alle circostanze scegliendolo lucidamente all’interno del patrimonio di esperienze già vissute.

Nelle clip seguenti, le nuotatrici in galleggiamento cercano di indurre rotazioni e basculaggi del proprio corpo con i movimenti del capo. C’è chi si trova ancora nella fase pura attenzione e chi, invece, esercita la propria chiara visione…sapreste riconoscerle?

Head drives #1 (12 secondi)
Spinning and tilting #1
Spinning and tilting #2
La parola “Aquawareness” resa con gli ideogrammi cinesi Shuǐ e Wù (“Acqua” e “Comprendere”)

La ricerca della consapevolezza, basata sulle fasi della “pura attenzione” (osservazione oggettiva dei fenomeni senza interferenze) e della “chiara visione” (azione intrapresa lucidamente sulla base del proprio patrimonio di osservazioni), da attuarsi in ogni gesto quotidiano, è alla base della Meditazione Buddhista Vipaśyanā. E’, questo, un termine sanscrito che sostanzialmente è traducibile con: “vedere le cose come realmente sono”, oppure “meditazione di visione profonda”. Il termine inglese più comunemente usato per tradurre Vipaśyanā è “insight meditation”, termine non troppo centrato e comunque un po’ fuorviante per noi occidentali un po’ scettici, cresciuti con Archimede, Galileo e Newton. Non ci dovrebbe servire l’intuizione (traduzione diffusa di insight, “visione dentro”) per osservare, e registrare senza pregiudizi o aspettative, ciò che si manifesta in maniera palese. I cinque sensi sono ampiamente sufficienti: basta focalizzare l’attenzione sull’esperienza, rimanere obiettivi, prendere nota, e ricordarsela per le occasioni future.

Al di là del termine, la Vipaśyanā viene considerata il “cuore della meditazione buddhista” e nelle scritture canoniche di quella tradizione, il “discorso sui fondamenti della Presenza mentale” (Satipaṭṭhāna Sutta) del Buddha viene riportato per ben due volte, a dimostrazione dell’importanza fondamentale che gli è stata attribuita.  Thích Nhất Hạnh ([ tʰik ɲɜt hɐʲŋ ]), (1926-22) il celebre monaco, poeta e scrittore vietnamita scomparso recentemente, basava il suo insegnamento sulla pratica della consapevolezza applicata in ogni momento o attività della giornata, al fine di far riconoscere ogni istante della propria esistenza come un vero e proprio “miracolo ordinario e quotidiano” e non l’ennesimo opaco elemento di una grigia sequela di occasioni e di tempo sprecato:

Thích Nhất Hạnh (1926-2022), da internet

Thích Nhất Hạnh (1926-2022), da internet

“Il miracolo non è quello di camminare sulle acque, ma di camminare sulla terra verde nel momento presente e d’apprezzare la bellezza e la pace che sono disponibili ora.” (Thích Nhất Hạnh, “Carpe Diem”)

“La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro cuore, al vostro stomaco, ai vostri polmoni, al vostro fegato. (“La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro …”) Dopo tutto, molto dipende da loro.” (Thích Nhất Hạnh, “Corpo Umano”)

“Come possiamo godere dei nostri passi se la nostra attenzione è rivolta a tutto quel chiacchiericcio mentale? È importantediventare consapevoli di cosa sentiamo, non solo di cosa pensiamo. Quando tocchiamo il terreno con il piede dovremmo riuscire a sentire il piede che entra in contatto con esso. Quando lo facciamo possiamo provare un’enorme gioia nel semplice fatto di poter camminare.” (Thích Nhất Hạnh, “Il Dono del Silenzio”)

Assolutamente vero. La presenza mentale è applicabile in ogni situazione quotidiana senza limitazioni di sorta, in ogni condizione di luogo, tempo o spazio. Finché c’è vita, può esserci consapevolezza.

Ma In acqua, la consapevolezza è maggiormente a portata di mano, anzi… di ogni parte del corpo.

Perché? Perché l’insieme uomo-acqua, anche sotto questo punto di vista, costituisce il sistema ideale per raggiungerla. Proprio come quando, in un momento imprecisabile della nostra esistenza, nel liquido amniotico scoccò la prima scintilla di coscienza e di differenziazione tra noi e il mondo, ancora oggi l’acqua, con le sue interazioni avvolgenti, immediate, inevitabili e puntuali ci costringe alla continua percezione di un “esterno” a noi perfettamente complementare.

Lao-Tsu aveva ragione: L’acqua, oltre ad essere stato il primo, è davvero il nostro “intorno” ideale; ci sostiene morbidamente adattandosi perfettamente a qualsiasi nostra forma, senza perdere mai il contatto con ogni centimetro della nostra epidermide.

La sensazione tattile del piede che si appoggia sul terreno descritta da Thích Nhất Hạnh, in acqua è estendibile, nello stesso istante, a qualsiasi parte del corpo; e a differenza di quanto succede nella dimensione terrestre dove le reazioni ambientali – per nostra disattenzione o distrazione  –  possono talvolta apparire schermate fino a sfumare del tutto,  in acqua l’ “intorno” non ci dà mai tregua: risponde puntualmente a tutte le nostre minime sollecitazioni con effetti macroscopici, siano esse volontarie sia involontarie.

Riguardo queste ultime, la reazione/segnalazione immediata ed evidente del sistema sia negli stati di equilibrio statico sia nelle situazioni dinamiche è ancora più importante, perché ci costringe a prendere coscienza di ogni minima alterazione della forma e/o del volume del nostro corpo.

Nella vita quotidiana quando si rimane in piedi, oppure seduti o sdraiati; e anche camminando o correndo spesso si mantengono posture o atteggiamenti sbilanciati o semplicemente asimmetrici, anche per periodi di tempo abbastanza lunghi. Quasi sempre manca la consapevolezza di tutto ciò, almeno fino a quando lo stesso corpo decide di segnalarci la situazione facendo insorgere fastidi o dolori muscolari qui e là. Ma il terreno, l’asfalto, il pavimento, la sedia o il letto in tali casi sembrano rimanere imperturbabili rispetto alle nostre azioni; non ci comunicano direttamente nulla in proposito.

In acqua è diverso: trasparente in tutti i sensi, il fluido non ci nasconde nulla e allo stesso tempo non ci permette di barare, anzi: amplifica e rende evidenti gli effetti di ogni nostra azione, anche la più leggera… ad ogni variazione, anche impercettibile, del respiro corrisponde infatti un diverso assetto di galleggiamento e un diverso equilibrio. Osserviamo come il semplice ritmo inspirazione/espirazione provochi un evidente “effetto culla” con le ginocchia della nuotatrice che emergono e si immergono ritmicamente.

Lulling float (20 secondi)

Così, ad ogni alterazione, anche minima, della forma corporea corrisponde sempre una diversa idrostatica o idrodinamica. La reazione dell’acqua è sempre inevitabile ed inesorabile, impossibile distrarsi o allontanarsi troppo col pensiero. In acqua bisogna continuamente fare i conti, istante dopo istante, con il presente. In immersione, Il “Qui e Ora” dello Zen diventa naturalmente “la condizione di laboratorio”.

Non è il caso di elencare qui tutti i nobilissimi scopi finali della meditazione nelle millenarie tradizioni religiose, spirituali o psicologiche, soprattutto orientali.

Ma ci permettiamo di accennare ai benefici della meditazione quotidiana che sono oramai accertati, ed accettati come validi anche in occidente: riduzione delle emozioni negative, incremento di quelle positive come la compassione e l’autocontrollo, incremento della capacità di raggiungere gli obiettivi.  Riduzione dello stress, dell’ansia, dell’insonnia, della solitudine e degli stati depressivi.

Tra questi, vogliamo sottolineare ancora quello appena citato: la riconduzione gentile della coscienza al momento-presente. Per chi è abituato ad ingolfarsi di ricordi del passato o di progetti futuri elaborati mentre il presente gli scorre davanti, è un vero toccasana purificatore.  Trascorrere la maggior parte del tempo “nella propria testa” porta ad elaborare una eccessiva quantità di pensieri che appannano la percezione diretta immediata della realtà esterna.

Eckart Tolle, autore del best-seller “Now! Il potere del presente” sostiene che “Pensare è compulsivo. Non ci si può fermare, o così sembra. Crea anche dipendenza. Non ci si ferma fino a che la sofferenza generata dal continuo rumore mentale non diventa insopportabile

La citazione è volutamente provocatoria. Non si mette certo in dubbio la necessità di pensare: è un bisogno assoluto, come respirare, bere o nutrirsi. Ma è sempre meglio evitare le indigestioni…in questo senso, la presenza mentale acquatica aiuta non poco a disintossicarsi.

E poi…e poi c’è un effetto corollario, tutt’altro che trascurabile.

Con la presenza mentale applicata alle esperienze in acqua, si impara a nuotare “davvero”. Solo con questo approccio si raggiunge il livello del Nuoto (sì, quello con N maiuscola), quello proprio dei nuotatori. Ma chi è il “nuotatore”? Non è (solo) il bagnante estivo; non è neanche (solamente) il regolare frequentatore delle piscine, uno di quelli che svolgono diligentemente il programma di allenamento redatto dall’allenatore o dal personal trainer; potrebbe non esserlo nemmeno un atleta di livello olimpico, se quest’ultimo si comporta (esclusivamente) come una macchina ideata per scopi agonistici. L’autentico nuotatore non si misura necessariamente né con il tempo trascorso né con lo spazio percorso in acqua. Non ama servirsi di “aiuti” come pinne, guanti, galleggianti, tavolette, tubi perché non sopporta fastidiose mediazioni con l’ambiente e preferisce di gran lunga impiegare, in maniera sempre più sensibile, parti del proprio corpo per ottenere gli stessi effetti; non è un esecutore di gesti prestabiliti da altri e di norma non segue alcuna scheda o tabella. Non “rappresenta” le tecniche di nuotata ma le reinventa e le adatta ad ogni bracciata secondo le proprie esigenze, circostanze o condizioni. In azione, lo si trova sempre più impegnato ad affinare il proprio livello di acquaticità, che interessato ad aumentare le prestazioni. Cerca sempre la via del minimo sforzo, senza far rumore mentre nuota. Risponde alle situazioni critiche sempre nella maniera più adeguata, esercitando tutte le libertà di movimento del corpo, per garantire in ogni condizione il più alto grado di sicurezza non solo a sé, ma anche ai suoi eventuali compagni d’acqua meno progrediti.

Incontriamo spesso in piscina tanti magnifici atleti, ma imbattersi in un nuotatore “vero” non è così frequente.

Chuang-Tsu in un suo celebre racconto, ne ha magistralmente descritto uno, di età avanzata: un vecchio che alle domande di Confucio, sorpreso dalle sue abilità natatorie rispose così: So come calarmi in un vortice discendente e come uscirne da uno ascendente. Seguo la via dell’acqua e non faccio nulla per oppormi ad essa. La sua natura è la mia natura

Senza dubbio dovevano essere Nuotatori “veri” anche quelli citati da Virgilio nell’Eneide: “Rari Nantes in Gurgite Vasto”, i sopravvissuti al naufragio della flotta di Enea. E allora, non ci resta che tornare presto a nuotare, stavolta consapevolmente. Perché, in tanti e troppi casi la distanza che separa il Nuotatore dal terrestre, purtroppo combacia perfettamente con quella che separa la vita e la morte… e perché la sopravvivenza in acqua, al di là di ogni sofisma, è lo scopo ultimo e l’essenza stessa del Nuoto.  

“Primum vivere, deinde philosophari”, dicevano gli antichi romani.

(Apollonio di Giovanni (1415-1465), “Rari Nantes in Gurgite Vasto”, miniatura. Firenze, Biblioteca Ricciardiana) (da internet)

Un pesce andò da un pesce-regina e gli domandò: “Sento sempre parlare del mare, ma cos’è questo mare? Dov’è?” E il pesce-regina rispose: “Tu vivi, ti sposti e trascorri la tua esistenza nel mare. Il mare è dentro di te e fuori di te.Tu vieni dal mare, sei fatto di mare e finirai nel mare. Il mare ti circonda come il tuo proprio essere”. (antica storia Indù)

www.aquawareness.eu