Che ne sarà della Z-Generation? [e della nostra].

di Mario Barbieri

Già che ne sarà della Z-Generation e della nostra, che ne sarà dopo che la Z sembra sia divenuta suo malgrado una sorta di “marchio d’infamia”, come fu la “lettera scarlatta” o altri pittogrammi/simboli che neppure credo sia il caso di nominare.

Pare infatti allungarsi l’elenco della Aziende che rimuovono/rivedono il proprio logo dove la Z è più o meno dominante.

– Qualche settimana fa  Zurich Assicurazione comunica di voler rimuovere (pare temporaneamente) il logo con la lettera Z per dissociarsi dall’invasione russa in Ucraina.

– Qualche giorno prima l’azienda britannica Ocado aveva deciso di modificare il logo del servizio di spesa veloce online Zoom.

– Un altro caso è quello di Zetland, società di media danese fondata nel 2012, con sede a Copenaghen, un sito d’informazione che pubblica articoli d’approfondimento e podcast per abbonati.

Sinceramente sono perplesso… si va diffondendo la “sindrome dell’inconsciamente colpevole” o “dell’incolpevole fiancheggiatore”, ma tutto questo ha un senso?
Ha senso stravolgere il proprio logo e chissà cos’altro dell’immagine di un Brand, con i costi annessi connessi e derivati? E fino a quando?

Grazie ai commenti al mio post in tema su Linkedin, trovo specificato da @Stefano Vatti, che «sono 168 i marchi registrati a livello comunitario che recano la sola lettera “Z”…»
Che dire? Almeno avvisiamoli tutti dei rischi che corrono.

Altri commenti perplessi come quello di @Katia Bovani: «Dismettere un logo identificativo di un’impresa consolidata e di un brand il cui valore economico-finanziario è composto anche da segmenti immateriali (come il logo) che fanno parte della pura azienda, non è decisione che l’organo amministrativo può assumere sull’onda emotiva. Men che meno per il timore di essere assimilati a un corpo militare invasore.»

O di @Mariangela Ottaviani: «…proprio per prendere le distanze da queste “sindromi”, è più che mai importante mantenere la propria identità.
Se poi si tratta di un brand come quello al quale ti riferisci (Zurich), fondato nella seconda metà del 1800, allora non mi preoccuperei di cambiare logo. Dopo un secolo e mezzo quell’azienda è ancora presente… abbiamo forse chiesto scusa a Bartolomeo Cristofori e variato il numero dei tasti del pianoforte*, quando l’88 è stato associato a “certi ambienti” politici dopo la seconda guerra mondiale?».

Commenti che aiutano a riflettere, perché viviamo un periodo storico dove la forte pressione “social-moral-puritana”, vorrebbe tutti indistintamente equidistanti da ogni “male” (dove il concetto di male è tra l’altro molto “liquido”), obbligatoriamente schierati, perennemente tesi a cospargerci il capo di cenere per gli errori altrui e il non-farlo diviene automaticamente connivenza.
Se poi il pensiero social-sociologico individua un suo simbolo pro o contro, che sia un colore o la pressione di un ginocchio, il perverso gioco e fatto!

Altra cosa è ovviamente non solo prendere le distanze con dichiarazioni pubbliche, ma anche intervenire con azioni concrete, finanziarie dirette o meno a sostegno della “causa” che si intende appoggiare.

Nel frattempo difronte a questo dilagare di Z-Remove Potemmo consolarci ipotizzando un lato positivo sul fronte delle “nuove occupazioni” (se non cambiano le cose) l’ SMBC (social-moral-brand-consultant) e per i gruppi più grandi, compartimenti dedicati con professionisti laureati in Storia, Storia delle Religioni, Sociologia, Psicologia (delle masse possibilmente) con forte propensione al settore “social-comunication”.

Oggi c’è chi viene costretto a prendere posizioni con gesti tanto visibili quanto talvolta effimeri oppure si “mette avanti” a scanso di equivoci.

Penso finiremo per vestirci tutti dello stesso colore (o colori), studiando una Storia “rivista e corretta” (come non lo fosse già abbastanza), consolandoci che colori e Storia, potranno cambiare di volta in volta a seconda del “male” di turno. 

*(Oggi poi dividere i tasti di un pianoforte tra “bianchi e neri” potrebbe diventare un problema)


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




Un’ombra negli occhi.

di Mario Barbieri

In un tempo come questo, amareggiato, ferito e sconvolto da una guerra che appare tanto assurda, che nella crudezza di tante immagini ci riporta a una delle realtà tra le più terribili e sconvolgenti dell’Uomo che si volge al male, alla violenza, all’odio, alla barbarie, a ciò che lo trascina verso il disumano, quando non nel diabolico, può forse far bene il realismo, la triste verità di un film come “UN’OMBRA NEGLI OCCHI” (su Netflix).

Un film realmente superbo, che sarebbe riduttivo considerare semplicemente un “film di guerra”. Una storia che prende le mosse da un avvenimento realmente accaduto a solo un mese dal termine del secondo conflitto mondiale [*] e che ci racconta di vita, di amori, di fede, di dubbi e conflitti tutti interiori e di come la guerra, possa sconvolgere tutto in un solo istante. Di quanto ci sia di assurdo, di crudelmente beffardo, di inumano, di spietato, di cieco e tragico, in qualsiasi conflitto armato.

Di come poco cambia se il fuoco sia “amico” o “nemico”, di come raramente “il fine giustifichi i mezzi”, di come con assoluta certezza, indicibili sofferenze verranno inflitte ai piccoli e agli innocenti, anche laddove l’obbiettivo fosse raggiunto.

Un racconto che non vuole per forza indicarci un nemico, qualcuno da odiare o da distruggere pensando così di ottenere giustizia, tanto che è chi doveva essere amico che causerà il danno maggiore.

Ma in un tempo sospeso in cui tutto sembra crollare assieme agli edifici, un tempo in cui pare “Dio abbia lasciato cadere la matita” (bisogna vedere il film per comprendere questa metafora), l’Uomo ancora una volta, spinto dalla profonda ribellione verso il male e la morte, sa ritrovare in sé la forza, le risorse, la profondità d’animo che alla tragedia non consente la parola “fine”. Che al Male non lascia l’ultima parola. Là dove lacrime e sorriso si mischiano in mezzo alla polvere e al sangue, là dove disperazione e speranza combattono ad armi pari e l’epilogo non è certo.

Questo è uno di quei film che vanno ben oltre lo spettacolo, che parlano al cuore pur colpendo allo stomaco.

https://www.netflix.com/it/title/81186240

[*] A seguire la breve ricostruzione storica della tragedia raccontata dal film, ma conviene tralasciarne la lettura se si vuole godere appieno della storia, lasciandosi coinvolgere dalla scoperta di quanto dovrà accadere.

Il 21 Marzo 1945 la Royal Air Force britannica, dopo numerose richieste e dietro l’insistenza della resistenza Danese, decide di dare il via all’operazione “Cartagine” che aveva come obiettivo il bombardamento  del palazzo Shellhus, allora sede delle Gestapo a Copenaghen dove venivano reclusi e torturati diversi membri del movimento di resistenza Danese e si conservava un nutrito schedario che metteva a rischio (così si riteneva) l’esistenza stessa della resistenza.

Parteciparono 20 bombardieri “Mosquito” in tre ondate da sei velivoli ciascuno (più due ricognitori) che nonostante le perdite (6 aerei e 9 membri dell’equipaggio) raggiunsero e praticamente rasero al suolo la sede della Gestapo.

Disgraziatamente, uno degli apparecchi, dopo aver urtano un edificio (lo Shellhus era situato nel pieno centro cittadino) si andò a schiantare nelle immediate vicinanze della scuola cattolica di lingua francese “Giovanna d’Arco”.
I fumi e le fiamme lavatesi dallo schianto, trassero in inganno più di uno dei piloti della RAF, che sganciarono il loro terribile carico di bombe proprio sull’istituto, causando così la morte di 39 tra insegnati e inservienti e 86 bambini oltre a numerosi feriti.

A distanza di poco più di un mese, il 25 Aprile del 1945, verrà dichiarata la fine di quello storico conflitto.


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




Evitare di sentirsi soli.


di Valentina Serafin 

Ho osservato una continuità di comportamento tra chi prima si lamentava per i vaccini e il green pass e oggi sostiene le ragioni della guerra e di Putin.

Sono arrivata a leggere addirittura che le immagini di guerra trasmesse dalle TV e dai social fossero finte, con l’obiettivo di distrarre l’attenzione dal Covid, o addirittura, che la guerra sì, c’è, ma è stata voluta da Putin per liberare il mondo dal DeepState e dal Satanismo, così come aveva tentato di fare Trump durante il suo mandato. Il complottismo, come si vede, è senza limiti e chi lo coltiva non si preoccupa di contraddirsi in continuazione.

Quello che, però, è sempre più evidente, è la continuità di azione tra coloro i quali prima manifestavano contro il vaccino e il tentativo di ridurre i contagi (negando l’esistenza del Covid) con quelli che oggi negano la responsabilità di Putin per la guerra, addossandola tutta alla NATO.

Ciò che appare chiaro è che il passaggio da NO VAX a SÌ PUTIN è un approccio ai problemi del mondo che mostra una preoccupante continuità, e che si sta sedimentando nell’opinione pubblica.

Il rischio a lungo termine è che il sistema di credenze, malleabili, delle folle anti-lockdown e complottiste potrebbero trasformarsi in azioni antigovernative a prescindere dall’evento stesso.

Sto parlando di una sfiducia diffusa in tutto ciò che appare come “mainstream“e, per quanto siano lodevoli e sempre da incoraggiare l’anticonformismo e la capacità critica, qui noto qualcosa di diverso, cioè il desiderio di sentirsi controcorrente sempre e comunque.

Il pensiero comodo, banale, quindi facilmente sposabile, è che se la TV o i giornali dicono una cosa, allora deve essere vero l’esatto contrario. 

Certo, a volte questo succede, soprattutto nei regimi dittatoriali; come avviene in questo momento in Russia, per esempio, le immagini della distruzione provocata dai bombardamenti su Mariupol vengono denunciate dalla TV russa come effetti della ritirata ucraina, che si lascerebbe terra bruciata alle spalle.

Pensare, però, che questo avvenga sempre e comunque, soprattutto in una democrazia come la nostra, dove la libertà di stampa è garantita dalla costituzione e dalla pluralità della stessa, è oggettivamente un po’ troppo.

Un pregiudizio che rende totalmente ciechi e non disposti a valutare alternative, di fronte a qualunque tipo di evidenza verificabile e dimostrabile.

Credere che sia vero solo ciò in cui si vuol credere è una forma di ottusità, innegabilmente efficace, che disarma l’interlocutore, anche se questo è mosso dalle migliori intenzioni e dalla totale disponibilità a spiegare il suo punto di vista.

Quale può essere il motivo di tanta ottusità? Il fatto di sentirsi emarginati, senza voce, minacciati dalla diffusione dei valori di uguaglianza, parità e antirazzismo?

Oppure, tra loro, c’è un antisistema ad oltranza e una diffidenza totale verso l’informazione tradizionale?

Molti sono, e questo lo insegna la storia, manipolati per secondi fini, a loro stessi ignoti. Diventano un mero strumento per ottenere altri risultati, di cui loro pagano solo le conseguenze e raramente raccolgono benefici.

La manipolazione di sentimenti e ragioni, che rende possibile l’aggregazione tra persone che normalmente si detesterebbero: dall’estrema destra all’estrema sinistra, dai sovranisti ai liberalisti, dai fanatici religiosi ai cultori di chissà quale altra disciplina.

Chi è disposto a credere alle fantasie di complotto, passa con disinvoltura da una teoria all’altra: basta convincersi di avere capito tutto, di essere più furbi della massa e assurgere a “paladini del pensiero libero”.

Il passo è breve.

Ma in realtà, convincersi che tutti mentano, siano ciechi o sottomessi al potere non significa essere pensatori liberi, è solo un’altra forma di ingenuità.

Esiste una soluzione? Il percorso è di tipo culturale, di educazione, di mentalità, un processo lungo che richiede l’impegno di istituzioni e singoli cittadini.

Respingere disinformazione e falsità richiede innanzitutto la capacità di mettersi in discussione, di saper ascoltare il disagio di chi si sente lasciato indietro.

Ricordiamoci che siamo tutti esseri umani, che ognuno di noi è fallace, e ha pregi e difetti; possiamo e anzi dobbiamo avere opinioni diverse, ma contestualmente abbiamo il dovere di impegnarci con costanza a saperle sostenere con civiltà ed educazione, con l’obiettivo di trovare un punto comune, di armonia, di contatto.

E’, forse, l’unico modo che ci rimane per evitare di sentirci soli.


Valentina Serafin collabora con PIUATHENA ed ha una esperienza pluriennale come Presentatrice, Conduttrice TV e Speaker radiofonica, acquisita collaborando con le più importanti realtà del settore.




Finestra sui social – Zum Zug | Flickr

AutoBio: “giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose” (cit. “Ecce Bombo”, Nanni Moretti, 1978)

Postilla redazionale: …e tra una cosa e l’altra fotografa per FUORI!!! 😉

(e scorretela, ‘sta galleria fotografica qui sotto! Le freccette avanti e indietro appaiono appena passate il mouse sulle chiappe della statua..;-))

.pending-1712303081-20230831_162018~3

Vetrina su Flickr:

Info Zum Zug | Flickr

Fotogallery pubblica su Flickr:

https://www.flickr.com/photos/40585446@N00/with/50279568088/




Finestra sui social – twitter: Aucharbon (@alcarbon68)

Et voilà un chasseur d’images, figeur d’instants, attrapeur de lumière, collectionneur de graphismes, voleur d’ombres, chercheur de beauté… (inutile tradurre, si capisce benissimo lo stesso e il francese fa sempre figo)

Non lo conosciamo se non attraverso il suo profilo twitter e le magnifiche fotografie in bianco e nero che carica quasi quotidianamente sul social dell’uccellino.

Ma siamo certi che assomigli a Jean Gabin o a Lino Ventura; e senz’altro lo si potrà riconoscere nei bistrot di Boulevard Magenta mentre sorseggia il suo Pernod.

https://twitter.com/alcarbon68



Finestra sui social – twitter: Gregory Acs (@AcsGregory)

Signore e signori, con questo profilo twitter abbiamo il piacere di inaugurare una rubrica con la quale, ad insindacabile giudizio della redazione, in ogni articolo vi presenteremo un profilo social, scelto adducendo motivazioni e ragioni, di volta i volta, tra le più disparate.

Nel caso di @AcsGregory, però, non abbiamo bisogno di arrampicarci troppo sugli specchi: la TL è piena zeppa di fotografie straordinarie. Le sue.




Designer for the Planet, Stella McCartney, H&M: stile e sostenibilità a braccetto nell’epoca moderna.


di Francesca Bux

In pochi ci avrebbero mai scommesso, ma il colosso della moda (ai primi posti da sempre delle industrie più inquinanti al mondo) è tra i più attenti all’impatto ambientale delle sue produzioni, diventando così uno dei punti di riferimento alla lotta contro la devastazione dell’ecosistema, con l’entusiasmo degli amanti del fashion con uno stile di vita eco-friendly. 

La concezione di shopping etico si allarga e, in aggiunta alla cosmetica vegan, prodotti alimentari equosolidali, detergenti solidi e plastic-free, i migliori acquisti ecologici riguardano capi in cotone organico, ecopelle in fibra di mais, poliestere riciclato.

Tutto ciò è apparso ben chiaro sotto i riflettori appena spenti della Milano Fashion Week, dove la maggior parte dei brand ha presentato collezioni che vogliono smarcarsi dall’equazione “moda = frivolezza”, dando spazio a una ventata di aria giovane, innovativa ma soprattutto green.

Ecco quindi andare in scena la 5°edizione del progetto “Designer for the Planet”: brand emergenti rigorosamente Made in Italy, che hanno fatto della sostenibilità la componente fondamentale per la realizzazione delle loro collezioni. 

Un intero spazio all’interno del Fashion Hub ha ospitato quest’anno gli stilisti Acidalatte, BENNU, DassùYAmoroso, Raree Show e Vernisse, giovani talenti che vogliono influenzare positivamente le nuove generazioni, proponendo vestiti alla moda e unici nella loro realizzazione.

Handmade, vecchi abiti second hand, recupero di capi e tessuti provenienti da deadstock e armadi vintage, sono stati il filo conduttore che ha rappresentato i lavori proposti, il tutto unito ad un’elevata sensibilità nei confronti delle tematiche sociali, quali l’accettazione di se stess*, la libertà di osare e la fluidità di genere.

Tra gli innumerevoli vantaggi del riutilizzo dei materiali, spicca la capacità di ridurre la produzione di nuovi capi e il conseguente inquinamento che ne deriva.

Lo sa bene anche Stella McCartney, pioniera del movimento di moda di lusso sostenibile (“Pioneering a sustainable luxury fashion movement”), che da oltre vent’anni si impegna in una produzione etica e cruelty-free.

La celeberrima Falabella bag, borsa lanciata nel 2010, incarna senza ombra di dubbio l’anima del suo marchio: la pelle molto morbida è stata realizzata con olii vegetali, mentre le fodere vedono l’utilizzo dibottiglie in plastica riciclate, senza tuttavia togliere lusso ed eleganza al prodotto.

Una sensibilità moderna e responsabile, che ha portato la stilista a fare scelte sempre più ambientalista, implementando ad esempio l’uso della viscosa sostenibile e del cashmere rigenerato al posto del cashmere vergine.

Non sono da meno i grandi colossi quali l’azienda di abbigliamento svedese “H&M”. Da tempo, infatti, il brand si dimostra attento alle tematiche di sostenibilità, tanto da dichiarare che:”Il nostro obiettivo è che tutti i nostri articoli siano prodotti con materiali riciclati o provenienti da fonti sostenibili entro il 2030. Il 65% dei materiali che usiamo lo è già.”

Una volontà così tanto forte da portare perfino alla realizzazione della collezione Conscious choice: capi creati con almeno il 50% di materiali sostenibili, come appunto il cotone biologico o il poliestere riciclato.

Spazio quindi anche a foglie di ananas, rifiuti di canapa, vecchie reti da pesca e vetro riciclato.

L’importante è iniziare ad aprire lo sguardo verso un futuro dalle scelte più consapevoli, compiendo azioni concrete che rispettino l’ambiente e smettano di danneggiare la natura.

Prima che sia troppo tardi.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




Rosa stacca la spina – Igor Nogarotto

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Effedi edizioni

Data di pubblicazione: 15 gennaio 2022

Genere: narrativa


“Rosa stacca la spina” ripercorre la storia di una grande storia d’amore fra due persone molto diverse fra loro, le cui differenze non rappresentano un limite ma una risorsa.

Questa potente storia viene bruscamente interrotta da Rosa, che lascia Igor senza spiegazioni e solo nella sua disperazione.

Igor narra in prima persona gli episodi e le emozioni nati in questo legame così intenso quando, dopo undici anni, Rosa lo contatterà di nuovo perché ricoverata in una clinica in fin di vita. Sarà arrivato il momento delle risposte così tanto desiderato dal compagno?

La storia viene ripercorsa dal narratore con delicatezza e nel profondo rispetto dei sentimenti provati reciprocamente e dell’attuale condizione dell’ex compagna. Nel romanzo non viene mai forzata la narrazione, nemmeno riguardo ai momenti di intimità della coppia, dove l’affiatamento trova pieno compimento. Del resto forzare la mano risulterebbe inopportuno perché la spontaneità e la genuinità di questo legame parlano da sole.

In un periodo della nostra vita probabilmente un amore così travolgente è stato vissuto da molti di noi e, nel caso sia finito, i motivi e le conseguenze di tale interruzione sono molto personali ma sicuramente la grandezza del dolore e l’impegno necessario per superare il “lutto” del distacco sono stati immensi. La coppia aveva provato a costruire una famiglia e sarebbe stato bello vedere se, e come, il suo legame sarebbe cambiato.

Igor Nogarotto è molto delicato nel dar voce al narratore, Igor, e la simpatia e ironia sono le seconde caratteristiche di questo romanzo così struggente.

Il punto di vista maschile è molto tenero ed è veramente dolce la lettura del rapporto fornita dall’anima perduta d’amore del narratore (Igor stesso).

È vero che l’amore, quello vero, riesce a superare ogni barriera?

P.s. l’espressione “Napoleone!” dovremo imparare un pò tutti ad usarla…!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




Urbanismo Tattico.


di Francesca Bux

Sempre più spesso capita di vedere in giro per le città (piccole o grandi che siano) degli spazi pubblici riqualificati con nuovi elementi di arredo urbano che incentivano a socializzare e rilassarsi, piste ciclabili colorate, panchine e fioriere in posti normalmente usati come parcheggi o carreggiate.

E’una “tendenza” che piace sia ai cittadini, sia alle Pubbliche Amministrazione e che, sebbene forse in Italia stia prendendo piede solo ora, viene utilizzate nelle grandi metropoli mondiali già da diversi anni.

Stiamo parlando dell’Urbanismo Tattico, ovvero un processo di rigenerazione urbana a basso costo economico, ma elevato impatto sociale.

Tre sono le caratteristiche principali: 

– coinvolgimento delle realtà locali, quali residenti e non delle zone interessate, associazioni, gruppi di volontariato

– basso costo delle opere

– velocità di realizzazione e reversibilità

I lavori ottenuti, che ridisegnano quindi alcune locations specifiche della città come piazze, incroci, zone di passaggio, hanno il compito di ridefinire il concetto di “mobilità” nell’epoca post Covid, elemento da non sottovalutare data anche la necessità di limitare le auto private e potenziare “Car Sharing” e “Micromobilità”(scooter, monopattini elettrici, biciclette a pedalata assistita).

Ma il loro vantaggio è soprattutto quello di far aumentare il benessere della comunità, sia per quando riguarda il senso di appartenenza, sia per promuovere una socialità “sana”, lontano per qualche ora dagli effetti del mondo digital.

Tanto entusiasmo per queste tecniche non convenzionali di riqualificazione urbana si è visto a Milano, ad esempio con il progetto “Piazze Aperte” – realizzato in collaborazione con Bloomberg Associates e con il supporto della National Association of City Transportation Officials (NACTO) e della Global Designing Cities Initiative – ha consentito ai milanesi di riappropriarsi di spazi altamente trafficati, facendo in modo che i cittadini potessero così vivere in prima persona il loro quartiere.

Talvolta, per compiere le opere, vengono anche chiamati artisti di fama internazionale del calibro di Camilla Falsini (delle più famose illustratrici italiane), che ha messo a disposizione la sua arte proprio per ridisegnare uno dei luoghi simbolo del quartiere Isola, Piazza Tito Minniti.

L’urbanismo tattico rappresenta davvero una soluzione che piace a tutti e che serve per creare empatia, collaborazione e dare origine a nuovi spazi.

Può fornire supporto ed affiancare la fase di progettazione iniziale di nuovi interventi, ma può anche essere un mezzo efficace per “sanare” e quindi riqualificare davvero alcuni spazi che, per svariati motivi, hanno via via perso la loro identità e funzione.

Questo tripudio di colori e vivacità comporta però anche delle problematiche importanti da risolvere.

Le auto non spariscono, anzi potrebbero ingorgare vie limitrofe e rendere così un incubo svolgere i normali spostamenti quotidiani, i commercianti potrebbero avere delle difficoltà nelle operazioni di carico – scarico delle merci e atti vandalici potrebbero vanificare il lavoro svolto.

Sicuramente ci vuole l‘impegno e la volontà di tutti, ma come dice Jaime Lerner – architetto, urbanista, ex sindaco di Curitiba (Brasile) “La mancanza di risorse non è più una scusa per non agire. L’idea che l’azione debba essere intrapresa solo dopo aver trovato tutte le risposte e le risorse è la ricetta per la paralisi assicurata. La pianificazione di una città è un processo che consente correzioni”.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




Edenya – Laura Rizzoglio

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Rubrica a cura di Sara Balzotti_

Casa editrice: Youcanprint

Data di pubblicazione: 01 ottobre 2020

Genere: fantasy


Ogni tanto è proprio bello fare un viaggio nella fantasia ed “Edenya” non delude le aspettative!

La storia, fantasy, si adatta bene a tutti i tipi di lettori: adolescenti e adulti che hanno voglia di sognare un pò.

Qual è la differenza fra Arcangeli, Cherubini, Serafini, Troni? Quali sono le loro origini e come si rapportano con il mondo terrestre?

Edenya è un mondo extraterrestre che invoglia il lettore ad esplorarlo; colori stupefacenti e forme di vita sconosciute lo popolano, alimentandone il fascino. Questo straordinario mondo potrebbe davvero avvicinarsi all’idea che abbiamo del Paradiso.

Angelica, un Arcangelo, ha deciso di amare Christian, un umano, e di infrangere le leggi del suo popolo.

A quali conseguenze andranno incontro la coppia?

La storia è ben articolata e i protagonisti sono svariati ma le giovani adolescenti Clara e Anna saranno coloro che porteranno avanti gli eventi del romanzo.

Clara è sola al mondo e ha la possibilità di studiare in un prestigioso college grazie ai sussidi offerti da un protettore sconosciuto; la ragazza non riesce ad integrarsi nella scuola e a trovare l’accoglienza e la comprensione dei compagni e degli adulti. L’unica sua ancora di salvezza è rappresentata dal misterioso prof. Profsky.

Anna è una ragazza solare che da un momento all’altro irrompe nella vita di Clara; anch’essa nuova studentessa del prestigioso collegio. Anna sarà una vera scoperta per Clara!

Quali segreti nasconde Profsky? Le stranezze di Clara a che cosa si riconducono? Come si svilupperà il rapporto fra le due nuove amiche?

Ci saranno delle missioni da compiere e dei pericoli da evitare: quali sorprese dovranno affrontare le due ragazze?

Laura Rizzoglio ha dedicato questa storia fantasy a sua figlia e ai suoi fantastici quattordici anni e l’amore con la quale ha creato ed elaborato “Edenya” è tangibile e profondo.

Il ritmo della storia è sempre molto alto e il coinvolgimento è inevitabile e assicurato!

Misteri, intrighi e intrecci, suspense si alternano senza essere mai banali cosicché il lettore riesce ad immergersi nel racconto e a rimanerne legato.

Sono sempre stata affascinata dalla figura dell’angelo (ovvero dell’arcangelo) e come me credo anche tante altre persone. La loro identità è avvolta nel mistero e ancora oggi non si sa se siano realmente presenti fra noi.

Edenya saprà dare le giuste risposte?

Buon viaggio nella fantasia a tutti!


Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/