8 aprile 1300, Dante si perde nella “Selva Oscura” …e inizia la “Divina Commedia”
Martedì 8 aprile 2025✍️ – Nave Vespucci sta navigando in Adriatico
ACCADDE OGGI… ….I’ 8 Aprile 1300
Secondo molti studiosi, la data di inizio della Divina Commedia scritta dal Sommo Poeta sarebbe da collocare all’ 8 aprile 1300. In quel giorno Dante Alighieri si sarebbe perso nella “selva oscura” iniziando il suo viaggio nell’aldilà di cui parlerà nella Divina Commedia*.
COME È POSSIBILE DETERMINARLO?
Nella Divina Commedia, nonostante le numerose informazioni storiche ed astronomiche contenute, non è mai esplicitamente citato quando ha inizio la narrazione ma è possibile risalire esattamente a quel giorno.
Anno 1300 Possiamo dire con certezza che l’anno in cui si svolge la Divina Commedia sia il 1300. Cosa ci fa credere che si svolga proprio nell’anno del primo Giubileo indetto da Bonifacio VIII, è la celebre terzina di apertura del I Canto dell’Inferno. Dante dichiara di essersi perso nella “selva oscura” a metà del “cammin…”. La metà della vita, corrisponde al 35° anno di età visto che la vita media degli uomini, secondo i canoni della Bibbia ai quali si riferiva Dante, era di 70 anni. (Dante nacque nel 1265)
Mese APRILE Un altro indizio. Nel Purgatorio, (II Canto) Dante fa riferimento al Giubileo che è iniziato da tre mesi, il che significa che la storia si svolge tra la fine di marzo e inizio aprile.
Giorno 8 Tornando indietro, nell’Inferno, (Canto XXI), il diavolo Malacoda spiega che il ponte che unisce due bolge è crollato il giorno della morte di Gesù a causa del terremoto che sconvolse la Terra. Il diavolo dichiara inoltre che, nel giro di 5 ore dal suo incontro con il poeta, si sarebbero compiuti 1266 anni dal momento del crollo. (Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta) Dato che la morte di Cristo risalirebbe, (Vangelo secondo Luca), al mezzogiorno del venerdì, quando Malacoda parla ci troviamo alle sette del mattino del giorno seguente, cioè del sabato. Si deduce pertanto che Dante trascorse sette giorni nell’aldilà dopo essersi ‘perso nella selva oscura’ nella notte tra giovedì 7 e venerdì 8 aprile del 1300: una notte di “PLENILUNIO”! (Inf., XX, 127 e Purg., XXIII, 118-120).
( Bitta scripsit VII IV MMXXI )
Cieli Sereni PG
La Cometa C/2024 G3 ATLAS
Martedì 14 gennaio 2025✍️
Nave Vespucci, nel 563° giorno del suo Tour Mondiale, sta navigando nel Mare Arabico.
In questi giorni di metà gennaio la cometa denominata C/2024 G3 ATLAS, scoperta il 5 aprile 2024, sarà nel punto più vicino al Sole e, da oggi fino al 18 gennaio, potrebbe diventare visibile a occhio nudo brillando con una magnitudine di -4 (luminosa come Venere) o addirittura -7 (visibile di giorno). È bene ricordare che la magnitudine si basa su una scala inversa (più è basso il valore, anche negativo, maggiore è la luminosità dell’oggetto) e che + 6 è il limite di osservabilità per l’occhio umano.
L’ osservazione potrebbe risultare difficoltosa per il fatto che la cometa si trova estremamente vicino al Sole e sarà visibile solamente per una manciata di minuti dopo il tramonto. La giornata migliore potrebbe essere oggi, Martedì 14 gennaio, verso sud-ovest e quindi in Italia saranno favorite le coste tirreniche che avranno orizzonte marino ‘sgombro’ in quella direzione.
Cieli sereni PG
Nansen, Joshu e la meditazione del sacco di riso
Illustrazione AI
The Story
One day, Nansen found Joshu sitting in meditation and asked, “What are you doing?” Joshu replied, “I am meditating to become a Buddha.” Nansen then picked up a brick and started polishing it. Joshu, curious, asked, “Master, what are you doing?” Nansen replied, “I am polishing this brick to make it into a mirror.” Joshu said, “But Master, you can’t make a mirror by polishing a brick!” Nansen responded, “And you can’t become a Buddha by sitting in meditation like a sack of rice!”
Sources
This story is a well-known Zen koan and can be found in various collections of Zen teachings. You can read more about it on sites like:
Wikipedia: Provides background on Nansen (Nanquan Puyuan) and his teachings³.
Patheos: Offers interpretations and discussions of Zen koans, including those involving Nansen and Joshu².
(1) Nanquan Puyuan – Wikipedia. https://en.wikipedia.org/wiki/Nanquan_Puyuan. (2) Nansen’s Troublesome Cat: A Zen Koan and Two Poems – Patheos. https://www.patheos.com/blogs/monkeymind/2022/02/nansens-troublesome-cat-a-zen-koan-and-two-poems.html. (3) Nansen Cuts the Cat in Two – The Public’s Library and Digital Archive. https://www.ibiblio.org/zen/gateless-gate/14.html.
Aquawareness in few words
Aquawareness, developed by Giancarlo De Leo, integrates swimming with mindfulness to enhance physical and mental well-being. This approach emphasizes the importance of connecting with water through techniques like breathing, fluid movements, and floating meditation, fostering a deeper awareness of both oneself and the aquatic environment[2][4]. It critiques traditional swimming training’s focus on technique and equipment, advocating instead for a natural exploration of one’s aquatic abilities[4][6].
Citazioni: [1] aquawareness: Home https://www.aquawareness.net [2] Aquawareness in sintesi – Fuori https://www.fuorimag.it/aquawareness-in-sintesi/ [4] Aquawareness https://www.aquawareness.net/aquawareness/ [6] Aquawareness – Fuori https://www.fuorimag.it/aquawareness/ [7] Aquawareness: il Nuoto come strumento di consapevolezza https://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/69927 [8] Aquawareness: la ricerca della consapevolezza nel nuoto https://www.ocean4future.org/savetheocean/archives/69929
Aquawareness concept
Aquawareness! This concept revo
lves around enhancing awareness through water experiences43dcd9a7-70db-4a1f-b0ae-981daa162054. It’s about reconnecting with our primal sensations and perceptions, much like the feeling of being immersed in amniotic fluid before birth43dcd9a7-70db-4a1f-b0ae-981daa162054. The idea is to use water as a medium to explore and rediscover our physical and sensory boundaries, promoting a deeper connection with our bodies and the world around us43dcd9a7-70db-4a1f-b0ae-981daa162054.
L’unico modo per volare responsabilmente è non volare.
Lo studio legale attivista ClientEarth ha citato in giudizio a maggio la compagnia aerea olandese KLM per una campagna pubblicitaria che, a suo dire, dà una falsa impressione della sostenibilità dei suoi voli e dei suoi piani per ridurre l’impatto sul clima.
La campagna “Vola responsabilmente” di KLM sostiene che la compagnia aerea raggiungerà l’obiettivo delle emissioni nette zero entro il 2050 e che intende utilizzare carburante sostenibile e aerei elettrici a partire dal 2035. Ma ClientEarth afferma che KLM sta violando la legge europea sui consumatori ingannandoli, poiché l’industria dell’aviazione non può raggiungere la decarbonizzazione senza ridurre la frequenza dei viaggi aerei.
«Il marketing di KLM induce i consumatori a credere che i suoi voli non peggioreranno l’emergenza climatica. Ma questo è un mito», ha dichiarato Hiske Arts, attivista di Fossielvrij NL, l’organizzazione no-profit olandese rappresentata da ClientEarth.
L’uomo, inteso come essere umano, ha la capacità di adattarsi al mondo circostante. Ciò gli ha permesso, come specie, di sopravvivere e di arrivare a governare il pianeta.
Questa prerogativa – di fronte a fenomeni straordinari, siano essi eventi naturali, catastrofi, o crisi sanitarie come quella recente – rischia però di ritorcerglisi contro.
La sovraesposizione mediatica di questi eventi, e in questo assume una importanza fondamentale il modo in cui questi vengono presentati, potrebbe comportare una forma di assuefazione e di confusione tra la realtà e la finzione.
Mi è capitato di ascoltare, mentre vedevo in tv le scene degli afghani che camminavano nella neve con le ciabatte o addirittura scalzi, dei commenti divertiti di alcune persone che erano vicine a me.
La scena, indubbiamente, non aveva nulla di divertente, e credo che nessuna persona dotata di un minimo di capacità intellettiva, non avrebbe dubbi a definirla “terribilmente drammatica”.
Ho recentemente letto un articolo nel quale un noto psicologo si interrogava sulla ineluttabile perdita di empatia che molte persone hanno verso le tragedie di altri esseri umani.
“Assuefazione”, è la risposta che si è dato.
L’esposizione senza filtri, sia da parte dei media che dei social, di eventi drammatici che diventano ogni giorno più frequenti e la sensazione errata che questi colpiscano solo altrove, rende le persone incapaci di provare quella empatia che si dovrebbe sempre avere quando si vede qualcun altro soffrire.
Se ci fate caso, quando passano nel feed del vostro smartphone le pubblicità umanitarie che mostrano scene oggettivamente devastanti – ad esempio bambini affamati o con ferite di guerra – immagini sapientemente usate per stimolare il coinvolgimento emotivo al fine di ricevere donazioni – inizialmente, di fronte a questi video si assume una presa di distanza che è dovuta a sensi di colpa; ma poi con il tempo subentra una forma di indifferenza, direi una forma di generico cinismo, e si passa velocemente oltre.
Affaticamento emotivo di fronte alla sofferenza altrui?
«Le persone vanno semplicemente in una sorta di burn-out» affermava lo psicologo nell’articolo.
Una forma di superamento del limite oltre il quale una persona è andata oltre le sue possibilità di “empatizzare” con altri esseri umani.
Come ogni altra forma di eccesso, che causa una sorta di rifiuto del prodotto di cui si è abusato, l’esposizione alla sofferenza altrui può superare un limite oltre il quale ci si rifiuta di andare, di guardare o di sentire, e quindi si diventa totalmente indifferenti.
E se questa capacità di andare oltre si radicalizza nell’essere umano, ormai sovraesposto da troppe informazioni, l’empatia verrà sovrastata da una forma di apatia emotiva che renderà le persone non più coinvolte ed interessate ad essere solidali ed aiutare chi viene travolto da tragedie e disastri o , ancora peggio , verso persone o popolazioni che si trovano in condizioni di cronica sofferenza e che sono esposte a fenomeni di lunga durata, come il ripetersi di eventi naturali catastrofici o una lunga pandemia.
Se l’essere umano giunge al punto di accettare acriticamente e apaticamente tutte le tragedie che colpiscono i suoi simili, ritenendo erroneamente che queste capitino solamente agli altri, mostrandosi dunque indifferente ed ignorando così tutte le contraddizioni della sua morale, allora la sua debolezza intellettuale non sarà più una eccezione, bensì una misera e condannabile normalità.
E’ in corso in questi giorni, fino al 30 settembre a Noto [SR] , “D’AMORE DIMORE” , la Personale di Silvia Berton.
E’ una mostra di una Artista poliedrica che arriva dalla fotografia, passa quindi alla Pittura, e inserisce, come in questa occasione, una esperienza sensoriale e tattile con gli spettatori.
Lo scopo è quello di ampliare ed integrare l’orizzonte di esplorazione della mostra tramite il coinvolgimento dello spettatore a livello personale.
“Spero sia una occasione per ‘guardarci negli occhi’ vedere davvero l’altro…portare i miei lavori dal muro, alla terra, corpo“.
Silvia è veneta di nascita ma, dopo esperienze professionali a Milano e a Tel Aviv, si trasferisce a Noto, in Sicilia.
Il suo stile, minimalista, è ricolmo di significati narrativi profondi e dal carattere molto forte.
Le sue immagini sono state esposte a Milano, Mantova, Brescia, Genova, Copenaghen, Nizza e Rotterdam.
La incontriamo all’ombra delle arcate di Palazzo Ducezio, location della sua Mostra, seduti sui gradini della splendida facciata.
Nella fotografia esistono, come in tutte le cose, delle persone che sanno vedere e altre che non sanno nemmeno guardare.
“Imparare a vedere, è il tirocinio più lungo in tutte le arti.La fotografia per me è stata prima una opportunità professionale quando posavo, e poi un mezzo di espressione potente che mi ha permesso di imparare ad osservare, e che ho usato ed uso tutt’ora. E’ il mio personale diario emotivo. lo sguardo se si guarda veramente, ti porta al di fuori del pregiudizio, ti distanzia dal conformismo che portano inevitabilmente all’ omologazione dell’individuo, cosa che itutti i modi vorrei evitare.“
Se usata per comprendere e migliorarsi, è uno strumento anche terapeutico e di grande utilità.
“Sono d’accordo, anche se spesso è usata in maniera inadeguata e sicuramente è abusata. Il fotografo ha la responsabilità del suo lavoro e degli effetti che ne derivano”
La fotografia, dunque non è stata semplicemente un’occupazione.
“Non l’ho mai considerata solo come tale. Sia quando posavo, e poi successivamente usando la macchina fotografica, io ho sempre portato un megafono con il quale ho cercato di parlare senza usare le parole.
Quanto è importante cercare dentro sé stessi le motivazioni che poi ti ispirano per le tue opere?
“Non direi che è importante, forse la vera parola e’ urgente, necessario. Un dipinto mentre lo si fa travolge di rovinosa bellezza e incurante distruzione…ci lascia vuoti attorno , ma pienissimi nello sguardo e nell’anima.Riappacificati e pronti per la bataglia di un nuovo vuoto“.
La tua pittura è caratterizzata da un processo di riduzione della realtà, dell’anti espressività, da una apparente impersonalità e freddezza emozionale. Una sorta di riduzione minimale delle immagini che diventa una pittura estremamente raffinata, simbolica, sospesa tra sogno e realtà. Ti riconosci in questa descrizione?
“Io cerco di trovare la sintesi della forma, e questo vale sia per la fotografia che per la pittura. L’incongruenza naturale di un gesto, scarna di ricerca, virtuosismi , velleità artistiche . La discrepanza , un graffio , un taglio che apre finestre laddove prima c’erano muri compatti di colore e certezze, questa per me è bellezza“.
Possiamo aggiungere che una lucida irresponsabilità, una forma di anarchia e una latente disobbedienza intellettuale sono il “fil rouge” della tua produzione artistica?
“Posso dire con convinzione che il principale nemico della creatività è il buonsenso“.
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Che il valore dell’arte dipenda solo o prevalentemente dal suo valore estetico è sostanzialmente una idea che ci piace pensare che sia vera. Ma, partendo da questo presupposto, come può avere successo un’artista che non tiene in considerazione primaria il valore estetico e magari si esprime attraverso corpi smembrati (è un esempio).
“L’arte forse dice di un futuro…e non sempre piace.L’arte pone domande…e non sempre piacciono“.
Il mercato dell’Arte è un mercato che viene spesso considerato sporco ed inquinato da interessi che nulla hanno a che fare con le emozioni che muovono un artista. Il rapporto tra i mercanti d’arte e l’Artista è davvero così?
“E’ mercato appunto…merx “merce”….merce sentimentale …forse non è propriamente il giusto binomio…Non so se ti ho risposto…“
Quindi a parità di talento è indubitabile che essere notati dal critico influente faccia la differenza, esporre nelle gallerie più importanti faccia la differenza, essere apprezzati dai collezionisti più capaci faccia la differenza e così via….
“Cogliere queste opportunità, accettare il compromesso, può condizionare le libertà espressiva sottoponendo l’artista ad una sorta di “prostituzione” al successo.
Personalmente,in cuor mio io la penso e la vivo così. Per altri, con altre priorità, il pensiero può essere diverso e va rispettato“.
Il compromesso è una strategia che inevitabilmente è presente in ogni tipo di contrattazione, e dunque la vera domanda è, “sono disposto a scendere a ricatti”?
“Ognuno ha il diritto ed il dovere di guardarsi davanti allo specchio e darsi una risposta. Fatto ciò può prendere una strada o l ‘altra in assoluta libertà, pace e coscienza“.
In qualsiasi mercato la manipolazione dei prezzi da parte degli operatori causa distorsioni, carenze ed inefficienza. Ma nelle sue caratteristiche peculiari , il mercato dell’arte primaria funziona e l’arte contemporanea genera decine di miliardi di dollari di entrate ogni anno. La domanda è : la manipolazione dei prezzi, paradossalmente, non sembra garantire una carriera stabile per le élite e per gli artisti.
“La stabilità è importante perché molti artisti impiegano decenni per maturare e produrre i loro lavori migliori.Se non avessimo tempo di fronte a noi per maturare, alla fine forse non potremmo produrre opere di livello….o semplicemente non potremmo mangiare“.
I commercianti e i collezionisti d’arte credono tutti di avere un ruolo decisivi nell’arte e per la vostra attività e, interessi finanziari a parte, sono preparati per questo ruolo perchè molti di loro sono veri esperti d’arte che vivono non solo di, ma anche e sinceramente, per l’arte. Praticamente trascorrono tutta la vita nel settore, si aggiornano, studiano la storia dell’arte e collocano l’arte contemporanea nel suo contesto storico. Questo gli va riconosciuto: sanno cogliere ciò che la maggior parte di noi “non addetti ai lavori”, non sapremmo cogliere.
“E’ innegabile e giusto che sia così. Questo è un settore nel quale le masse non sono decisive. Facciamo un paragone con un altro mezzo culturale, diciamo la tv per esempio, dove i gusti della maggior parte della popolazione determina la programmazione e la produzione futura. Se ciò accadesse anche nell’Arte, la richiesta del mercato si attesterebbe ad un livello omogeneamente basso. La pittura, ma ogni forma d’arte e di cultura, è una cosa privata; si lavora solo per pochi. Può non piacere questo concetto, ma è un dato di fatto”.
A parità di talento e di qualità di contenuti, è corretto dire che sarà l’artista che più e più spesso si esprimerà, che si proporrà al pubblico, che si collocherà nelle “grazie” dei collezionisti che contano , ad avere un maggior e più duraturo successo?
” Il principio è lo stesso che vale per altre professioni. Se uno scrittore non scrive e non pubblica, non è uno scrittore, anche se ha talento. Inutile nasconderlo: creare arte è una libertà, ma come tutte le libertà per essere tale ha la necessità di dargli forma e sostanza, altrimenti resta una sacrosanta libertà ma individuale e basta, praticata per essere tale, e come tale, essendo alta, ben poco si interesserà ad essere riconosciuta e gli basterà essere vissuta solo da chi la crea”.
Da quello che abbiamo potuto comprendere osservando le tue opere, è che tu hai un profondo rispetto per te stessa ed un concetto di dignità molto radicato. A volte può sembrare una forma di ego, una considerazione molto alta del tuo lavoro e della tua vita.
“In realtà forse ho grande rispetto di quello che amore e lacrime sanno fare e credo che vadano maneggiate con cura,sempre“.
Silvia Berton si avvicina al mondo della fotografia inizialmente come modella; presto però si interessa più al processo creativo che sta dietro l’obbiettivo, che non a farne da soggetto. Il suo stile, anche se di natura minimalista, rimane denso di carattere, forza e narrazione. Le sue sono immagini che chiedono di fermarsi, riflettere e lasciarsi assorbire. L’immaginario compositivo sembra provenire quasi da un’altra dimensione e lascia un’impressione duratura. Le composizioni di Silvia creano un’atmosfera seducente e ci portano con lo sguardo in una storia che dobbiamo ancora capire. Quando osserviamo il suo lavoro ci sembra di scivolare nel sogno di qualcun altro: è reale, senza essere vero. E’ misterioso, passionale e quasi sempre ci lascia con un respiro in sospeso, senza raccontarci mai il finale della storia.
Ci siamo conosciuti su Linkedin. Complice la nostra comune passione per Boris (se non lo conoscete, peggio per voi. Noi addicted stiamo aspettando la reunion).
Poi ci siamo messi a chiacchierare di cose più serie. E ho scoperto che “Rob”, Roberto Paolo Pirani, è un Fighter della sostenibilità. Un drago delle soluzioni tagliate su misura per le smart cities. Un super eroe dell’anti-spreco più ancora che del riciclo. Un portatore sano di economia circolare.
Così ho deciso di intervistarlo (previa telefonata di un’ora e tre quarti).
Primo perché dice cose buone e giuste. Poi perché le fa e, infine, perché così, magari, vi evito qualche “post matrioska”, di quelli che scrive lui: un post nel post nel post. Personalmente non sono mai arrivata all’ultima bambolina.
Cominciamo in leggerezza… che mi dici di Boris? Perché ti piace tanto?
Boris è l’Italia. Quella vera. Chi ha scritto Boris ha previsto praticamente tutto. Il monologo della Locura ci ricorda da più di 10 anni che “serve qualche cazzo di futuro…” e che gli equilibri politici possono dipendere (per dire) da un Senatore.
Il monologo della locura (Boris, la serie)
Al Regista René Ferretti viene fatto notare dal delegato di rete: “sai anche girare… ma ti manca la protezione politica”.
“E dai dai dai (pure a cazzo di cane se occorre), che si porta a casa la giornata!”. Risponde Ferretti. Anche se molte scene che gira sono povere e mono espressive, perché gli sceneggiatori non hanno voglia di lavorare e gli attori sono dei cani.
Boris è una critica mirata ai compromessi che impediscono di fare le cose come andrebbero fatte in Italia, ma facendo sorridere e, di conseguenza, pensare.
Nel 2009-2010 abitavo in una specie di residence, e un mio vicino che di mestiere sonorizzava cartoni animati è arrivato con una pen drive con le prime due serie complete. “Le DEVI vedere” mi fa. “Fidati”. (Nota: Ciao Sean, e grazie ancora!).
Credo che a molti della piccola massoneria di seguaci di Boris sia accaduto questo strano passaparola. Con ogni probabilità è la cosa migliore mai passata in televisione in Italia, insieme ai Mondiali di Spagna 1982. Ho rottamato il televisore nel 2009 e con queste affermazioni (intendiamoci) non voglio offendere nessuno, ma solo ribadire che chi ha scritto Boris è un Genio. Come Corrado Guzzanti che, non a caso, è parte della banda.
Veniamo a noi/te/. Quand’è nato il Rob paladino della sostenibilità?
Non so di preciso da cosa dipenda, ma da che ho memoria sono sempre stato così. Si può parlare di inclinazione, credo. A 9 anni mi guardavo attorno e mi chiedevo perché Natale dovesse essere così consumista. Detesto gli sprechi. Il me bambino novenne non capiva perché gli altri non notassero una così palese mancanza di razionalità. Poi negli ultimi 30 anni “ambientalista” è stata considerata una parolaccia. Meglio che essere un esponente del Petrolitico, secondo me.
Nel mio piccolo, poche idee in compenso fisse, sono di parte. Parte minoritaria quanto si vuole, almeno in Italia. In altri Paesi UE pare proprio che non sia così.
L’unica volta in vita mia che mi sono sentito in maggioranza è stato quando abbiamo vinto i referendum 2011; è durata pochi giorni, poi abbiamo subito realizzato che al Parlamento (regolarmente eletto, per carità), della volontà popolare, non importa una beata mazza.
In ogni caso, dal momento che in Italia il Club di Roma non è stato preso sul serio per tempo, è troppo tardi per lamentarsi. Ognuno si impegni in qualcosa, o siamo fritti (cit Boris: “non è ironico”).
Mi dicevi che sei stato un attivista di Greenpeace. Raccontaci la “mission impossible” più spettacolare/eclatante a cui hai partecipato, dai!…Quella di cui vai più fiero.
Credo che nascere a Ravenna abbia contribuito alla mia formazione, anche per reazione ad uno status quo molto “business as usual”.
Ho deciso di aderire spontaneamente a qualche azione: legname insanguinato dalla Liberia, soia OGM… tutta roba che non doveva arrivare in Italia perché illegale, ma che arrivava lo stesso al Porto di Ravenna. Ho dato un piccolo contributo “attivo” tra il 2000 e il 2008. Poi c’è una età per tutte le cose…
Comunque colgo l’occasione per precisare che da quelle vicende sono stato assolto! Secondo gli Inquirenti fu (solo) “Esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.
Durante l’azione più eclatante non sono servito (perché non facevo il climber). Il blocco della centrale di Porto Tolle, nel 2006, non fece notizia sui giornali italiani, ma all’estero sì. Per chi volesse…
In “discussione” era il “carbone pulito” della centrale (c’è un mucchio di gente che dovrebbe chiedere scusa, e magari, ritirarsi a vita privata. E invece fa come se niente fosse accaduto).
L’azione diretta non violenta è sempre stata meglio del pessimismo del pensiero. E conservo un bel ricordo di chi, al Porto di Ravenna, ci definiva “prepotenti gentili”. Di fatto ammettendo che avevamo ragione su diritti umani, commercio illegale, taglio a raso di foreste primarie, eccetera. Cosette su cui oggila EU intera, con un ritardo di decenni, è costretta ad interrogarsi per salvare il salvabile.
Come mai ti sei trasferito da Ravenna a Bassano Romano? Una scelta green anche questa o altro?
Ci sono diversi motivi. Anche per fare quello che volevo fare, a Ravenna sarei stato limitato. Dopo un anno su e giù dal Lazio quasi tutti i fine settimana, o si trasferiva la mia compagna o mi trasferivo io. Ecco, tutto qui. Sta di fatto che il mio socio, Paolo Garelli (che è siciliano di origine), l’ho conosciuto a Roma grazie ad amici comuni. È uno di quei non-casi che, col senno di poi, ti fa capire che hai fatto la scelta giusta.
Dopo aver cambiato alcuni Comuni sempre a nord di Roma, oggi risiedo al confine fra Roma e Viterbo. A Bassano Romano, appunto. Non essendo un albero, ho potuto scegliere (luoghi magnifici, sia detto per inciso). A circa un km da casa mia, hanno girato la scena della festa de La Dolce Vita di Fellini, i 15 minuti centrali del film. E anche una scena di Boris (il film), in cui si straparla del “microclima dell’Argentario…”
Parlaci di quando il lavoro “ti ha scelto”. È una frase che mi ha colpita, perché anche a me è successa più o meno la stessa cosa.
Quando per anni fai un lavoro tecnico specifico, ma una parte del tuo cervello pensa altro, nel tempo libero studi altro, vedi troppe cose che non ti convincono… poi o ti dedichi alla tua inclinazione o, credo, vivi molto male. Io mi ritengo fortunato perché amo il mio lavoro. Non c’è un corso di Laurea che insegni a dimensionare i servizi applicando l’intera normativa vigente. S’impara un po’ dai Maestri (ne ho avuti) e un po’ ci si mette del proprio. In ogni caso un diploma da Geometra mi ha dato le basi della disciplina necessaria per.
Ci spieghi qual è la tua visione e il significato dell’espressione?
In realtà sono concetti già codificati in ambito EU, anche se in Italia non se ne parla. Più o meno come quando, 15 anni fa, l’economia circolare era sottovalutata. Per chi ha voglia di entrare nel merito, ci sono due articoli sull’economia collaborativa nel mio feed.
In sintesi, mettere a sistema diverse competenze, significa lavorare nel miglior modo possibile. Se ci pensiamo, per costruire un edificio in classe A (o superiore) non servono solo le competenze per realizzarlo, ma prima serve un Geologo che impedisca di buttare soldi su un terreno inadatto ad ospitare quell’edificio.
Cosa pensi sarà necessario fare nei prossimi dieci/vent’anni per assicurare un futuro al pianeta?
Ci sono talmente tante cose da fare che personalmente consiglio di ascoltare gli Scienziati. IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), l’agenzia Onu per il cambiamento climatico, ha vinto un Nobel per la pace nel 2007, e non per sbaglio.
O perlomeno, come illustra in modo brillante una recente trasmissione di Sky “Impact”, il 97% degli Scienziati del mondo spiega che il cambiamento climatico è di origine antropica.
Cioè: colpa nostra e a noi umani riparare i danni.
Rob, parlaci della tua rivoluzione culturale a misura di smart city. Cos’è “WormApp” e a chi è diretta?
È una piattaforma operativa sia fisica che tecnologica in cui vengono “messe a sistema” molte competenze e diverse professionalità. È stata pensata per soddisfare qualsiasi esigenza (anche di orari) nei luoghi più complessi a livello urbanistico: centri storici e adiacenze, luoghi turistici, quartieri con ridotta o ridottissima viabilità di accesso. Dove gli spazi non ci sono e non si possono inventare.
Con l’utilizzo della piattaforma si riducono i costi (calcolati un terzo in meno rispetto ai più noti e non sempre applicabili servizi domiciliari) e si favorisce il passaggio alla mobilità elettrica, pedonale e a due ruote. La città diviene a misura di bambino, non a misura di auto. Un luogo piacevole e ordinato dove incontrarsi, nonché l’occasione per erogare molti servizi di interesse pubblico o di business per il cosiddetto “ultimo miglio” (il percorso della merce da un centro logistico alla sua destinazione finale, n.d.r).
In sintesi WormApp vuole far uscire le città dalla paralisi dovuta ad un approccio caotico rimasto al 1999. Le leggi della fisica (leggasi “impenetrabilità dei corpi”) non sono aggirabili. O si razionalizzano e ottimizzano i servizi e i passaggi dei mezzi, o le città NON saranno mai “intelligenti”. Nel video illustriamo come si gestiscono molteplici servizi grazie all’interazione tra pubblico e privato. Un nuovo approccio in cui i diritti sono bilanciati dai doveri, e viceversa. Guardatelo: è più facile.
In pratica…?
In pratica con WormApp, a 1/2 minuti a piedi da casa, si trovano moltissimi servizi che normalmente non sarebbero garantiti, se non paralizzando la circolazione. Pensiamo ad un corriere che parcheggia sul marciapiede perché non ha alternative (a rischio multa…).
Si ottimizzano gli spazi nelle città tramite postazioni identificate sia in modo digitale che fisico, dove i servizi vengono erogati nelle 24 ore.
Insomma: molto di quanto è necessario compiere per aumentare la qualità della vita nelle città. Luoghi turistici compresi.
Dietro c’è moltissimo lavoro utile e diverse tecnologie su cui non sto a dilungarmi qui.
So che l’Italia è piena di estimatori delle cabine telefoniche, dei tecnigrafi, o (per citare il grande Lucio Dalla) dei Linotipisti. Lavori e attrezzature anacronistiche che non tornano perché non possono tornare: il mondo è cambiato con la rivoluzione digitale. I dati possono essere gestiti dal pubblico per interesse pubblico, o essere ammonticchiati in piramidi con in cima Zuckerberg e pochissimi altri. Tocca scegliere.
Dov’è utilizzata, WormApp, per ora?
Oggi WormApp (direttamente o indirettamente) è applicata in 7 Regioni italiane. Ma, per ora, ne è compresa e utilizzata solo la punta dell’iceberg: i servizi di igiene ambientale.
La sfida in cui siamo impegnati dal 6 ottobre 2020 (da quando WormApp è un brevetto europeo) è applicare l’intero iceberg.
Molte cose si muovono, siamo abituati a parlare solo di risultati, non di auspici.
Vorrà dire che ci risentiremo per scoprire come è andato il primo vero anno.
La nuova società è stata costituita 3 giorni prima del lockdown nazionale: il 5 marzo 2020.
Voglio ricordare che WormApp è disponibile e applicabile anche in “emergenza”. Ad esempio, durante un lockdown, per ricevere la spesa o conferire materiali differenziati: attività che la Legge considera incomprimibili (e cioè da garantire a tutti) all’interno delle città.
Capito tutto, Rob. Ti ringrazio del tuo tempo. E Boris ringrazia per lo spottone. Ora che fai?
Vado a scartoffiare parecchio. Ma incombenze positive, per fortuna…
Si irradia, da sotto la pianta e sale, sale sino alla gamba.
Ragiono, non devo irrigidirmi, devo lasciare andare, rilassarmi, proprio con il dolore pungente.
Interessante: una metafora da riutilizzare, questa.
Devo ricordarmela.
Corro, corro ogni mattina, non mi importa se piove, se ho il vento contro, non mi interessa, ho le ali ai piedi; più è difficile e più mi impegno, mi hanno insegnato così.
La bimba è seduta con il capo chino. Si guarda le gambe, sotto il tavolo.
Non sa cosa fare.
Non si permette di parlare, la situazione è tesa, tesissima, ma lei non capisce.
I bambini non capiscono i grandi, soprattutto quando urlano e buttano i piatti in terra, o ti guardano con l’espressione da pazzi furiosi, gli occhi fissi, la pupilla dilatata.
La bimba è ferma, immobile, quasi non riesce a mangiare dalla tensione che percepisce, e non sa darsi ragioni.
Così rimane ferma, immobile, impaurita.
A breve arriverà lo scoppio, la rabbia.
A breve tutto sarà sottosopra. Meglio, perché poi … sarà finita.
53 anni, una cena tra amici, ed eccola: la stessa bambina a testa bassa che si guarda le gambe e non proferisce parola.
Accanto ha Luca: bellissimo, altissimo e pericoloso.
Borbotta tra sé, Luca, borbotta qualcosa, mentre gli altri parlano allegramente, e lei, la bimba, ha paura. Ha paura perché in ogni momento può succedere ciò che lei sa bene.
Lo scoppio.
L’ira.
Lo sguardo assente.
La bimba è a testa bassa.
La bimba è terrorizzata.
Dalla pianta del piede il dolore sale, e arriva al ginocchio.
Chissenefrega.
Passerà…
Non irrigidisco, anzi mollo, è proprio ora di mollare.
Penso…
Lacrime scendono sul volto della bambina, chiusa nella sua camera, nessuno deve vederla. Lei piange sempre da sola, si concede questo lusso, e nessuno la consola.
“È meglio così, sono debole, non sono forte, piango, ho bisogno di aiuto, ed in fondo è colpa mia.
Magari ho fatto qualcosa di male, magari non sono brava… magari… boh…meglio così… non mi vede nessuno… passerà…”
Ho le ali ai piedi, ed i sassi nel cuore.
53 anni, ed ancora irrimediabilmente irrisolta, debole, piagnona, proprio come quella bimba.
Nessuno a consolarmi.
Piango da sola, in camera.
Magari è solo colpa mia, magari dovrei essere più forte…
Cazzo.
Chi se ne frega di tutto…
A testa bassa, vicino a Luca che borbotta, “Bellissimo – dicono tutti – è l’uomo per te…” dicono loro. Io lo odio.
Mi fa soffrire.
Borbotta e mi guarda con astio.
È assolutamente imprevedibile.
Per fortuna il coprifuoco, guardo tutti, saluto:
“Mi spiace ragazzi, è tardi”…. li mollo, attorno ad un tavolo rotondo, a parlare di me, che non si sa cosa abbia, che sono stata troppo muta.
Si fottessero.
Ho solo bisogno di coccole, e, se non le avrò, mi tufferò nel mio letto, mi metterò la mia fantastica crema, e guarderò un film bellissimo.
Pensando di sfuggita a quella bimba, che, in fondo, aveva solo bisogno di un abbraccio.