Veneziola/Venezziola/Venezuola…Venezuela!

Il Vespucci sta navigando verso Trinidad e Tobago, al largo delle coste del Venezuela..

Ad Amerigo Vespucci non si deve soltanto il nome “America”, ma anche il nome “Venezuela”. Nel 1499, in uno dei suoi viaggi nel nuovo continente, il navigatore fiorentino scoprì un insediamento lagunare con tipiche costruzioni sull’acqua. Queste palafitte, e più in generale l’intera Laguna di Maracaibo, ad Amerigo Vespucci ricordarono Venezia e la definì Veneziola/Venezziola/Venezuola (cioè“piccola Venezia”). Successivamente tutta la regione dove sorgeva questo villaggio assunse, per estensione, tale denominazione che fu poi trasformata in lingua spagnola in “Venezuela”.🇻🇪

Cieli sereni
PG




L’acqua del lago non è mai dolce – Giulia Caminito

Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa. 

Persino da te stesso”

Credits_Sophie Jodoin
di Sara Balzotti_

Data di pubblicazione: 13 gennaio 2021

Casa editrice: Bompiani

Genere: narrativa 

“L’acqua del lago non è mai dolce” ti assorbe e ti immerge nella storia… il romanzo richiama sensazioni ed episodi della propria infanzia e adolescenza, addolciti da una sottile malinconia e nostalgia per il tempo passato; anche se gli episodi personali non hanno niente a che vedere con quelli raccontati, l’intimità che si crea con il lettore richiama alla memoria tali emozioni.

È inevitabile tifare per i più fragili, commuoversi per le ingiustizie che colpiscono i protagonisti della storia e soffrire per l’anaffettività della famiglia della protagonista.

Si tifa per i più fragili, ci si commuove per le ingiustizie subite dai protagonisti e si soffre per la mancata accoglienza familiare verso i familiari della protagonista.

Gaia racconta in prima persona la sua storia: l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta. La sua famiglia è sorretta dalla madre, Adriana. Adriana è una donna di umili origini ma di grande carattere, volitiva e battagliera per la sua famiglia; la donna non transige sul rispetto delle cose comuni e la sua lealtà nei confronti degli altri rappresenta uno dei pochi pilastri educativi offerti ai figli.

Nella famiglia di Gaia o si accettano le regole e le condizioni dettate da Adriana o si deve andare via di casa. Le condizioni economiche sono precarie e la priorità è sopravvivere, sotto tutti i punti di vista.

Nonostante le varie difficoltà, economiche e sociali, Gaia riesce a condurre una vita piuttosto tranquilla: vive al riparo della protezione della madre, seguendone i dettami e uniformandosi al suo volere senza, all’apparenza, venirne schiacciata.

Il fratello maggiore, Mariano, è il suo riferimento.

Quando il fratello però andrà via di casa, la sua mancanza sarà forte e Gaia deciderà di crescere e di affrontare da sola gli eventi che le capiteranno.

La donna che diventerà sarà decisamente diversa dalle aspettative della madre.

In una società che corre e che si evolve in fretta le mancanze, economiche e morali, della famiglia di Gaia si faranno sentire e la ragazza farà sempre più fatica a gestire le proprie emozioni, con ripercussioni a volte importanti sui rapporti sociali.

La storia è ambientata nel paese di Anguillara Sabazia e sul Lago di Bracciano. Le dinamiche popolari ricordano equilibri che forse non torneranno più; equilibri sociali che nella frenesia odierna ci siamo dimenticati e tradizioni tramandate che affascinano e commuovono sempre.

“L’acqua del lago non è mai dolce” racconta una storia cruda e coinvolgente. La scrittura di Giulia Caminito non annoia mai e durante la lettura la curiosità per come si evolveranno gli eventi cresce pagina dopo pagina!



Ciao a tutti! Sono Sara Balzotti. Adoro leggere e credo che oggi, più che mai, sia fondamentale divulgare cultura e sensibilizzare le nuove generazioni sull’importanza della lettura. Ognuno di noi deve essere in grado di creare una propria autonomia di pensiero, coltivata da una ricerca continua di informazioni, da una libertà intellettuale e dallo scambio di opinioni con le persone che ci stanno intorno. Lo scopo di questa nuova rubrica qui su FUORIMAG è quello di condividere con voi i miei consigli di lettura! Troverete soltanto i commenti ai libri che ho apprezzato e che mi hanno emozionato, ognuno per qualche ragione in particolare. Non troverete commenti negativi ai libri perché ho profondamente rispetto degli scrittori, che ammiro per la loro capacità narrativa, e i giudizi sulle loro opere sono strettamente personali pertanto in questa pagine troverete soltanto positività ed emozioni! Grazie per esserci e per il prezioso lavoro di condivisione della cultura che stai portando avanti con le tue letture! Benvenuto!

A questo link qui sotto puoi trovare altre mie recensioni.

https://www.francesia.it/freetime/consigli-di-lettura/




Greenwashing, il lato oscuro della sostenibilità.

di Francesca Bux

“Investire nel Pianeta” è il tema scelto per la Giornata Internazionale della Terra del 2022 appena trascorsa.

Ogni anno, dal 1970, un mese e un giorno dopo l’equinozio di primavera, si celebra quella che è considerata la più grande iniziativa al mondo dedicata all’ambiente.

Obiettivo principale: sensibilizzare l’opinione pubblica sulla salvaguardia del pianeta, della biodiversità, promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e invertire il degrado dei terreni.

Le Nazioni Unite, nel 2016, hanno scelto il 22 Aprile per adottare ufficialmente l’Accordo di Parigi, che rappresenta l’impegno più importante mai firmato contro la crisi climatica globale.

L’obiettivo del trattato è molto chiaro e prevede l’incremento comunitario di azioni mondiali e il suo raggiungimento può essere riassunto in 3 punti fondamentali:

– contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto dei 2 °C oltre i livelli preindustriali e di limitare l’aumento a 1,5 °C

– aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza climatica e lo sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra, con modalità che non minaccino la produzione alimentare;

– rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e resiliente al clima.

Tutto molto bello e soprattutto estremamente necessario.

Ma cosa significa esattamente la tematica scelta e quali demoni si possono celare dietro una così nobile causa?

“Investire nel Pianeta” è un chiaro riferimento a come la finanza privata – influenzata e guidata spesso anche dalle nostre scelte individuali – è probabilmente uno dei più grandi acceleratori dei capovolgimenti di cui abbiamo bisogno per dare una svolta e mettere un freno ai disastri naturali causati solo dalla nostra noncuranza e senso di onnipotenza.

E’ quindi abbastanza semplice dedurre come, prendendoci cura della nostra Madre Terra, arrivino anche i vantaggi economici.

E qui entra in scena un termine che si è fatto conoscere molto negli ultimi tempi.

Stiamo parlando del Greenwashing.

Origine del nome:

Si tratta di un neologismo nato dalla sincrasi tra le parole “green” (il colore associato da sempre all’ambiente e al movimento ambientalista) e “whitewashing” (imbiancare e – in senso figurato – nascondere qualcosa).

La sua origine viene fatta risalire all’ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere, che facevano leva sull’impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà l’invito era mosso quasi esclusivamente da motivazioni economiche (nello specifico, era relativo a un taglio nei costi di gestione).

Ora noi lo utilizziamo per indicare una strategia di comunicazione adoperata da certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, con l’unico scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti.

Esempio: avete sentito parlare della “JoinLife Collection” di Zara?

E’ una campagna sostenibile intrapresa dall’azienda, per mostrarsi sensibile alle conseguenze dei propri prodotti sull’ambiente.

Peccato che, come spiega a Will uno dei più agguerriti nemici di questa pratica, nonchè esperto in sostenibilità ambientale e sociale nella moda, Matteo Ward, analizzando le componenti di un capo presentato sul sito, è possibile notare come un tessuto composto da più di due diversi tipi di fibre non possa essere riciclabile. 

Inoltre, le stesse fibre derivano da combustibili fossili: questo significa che,lavaggio dopo lavaggio, viene rilasciata della microplastica.

E tutto ciò non è assolutamente né green, né Eco-friendly, né tantomeno etico.

I danni che conseguono un’attività di Greenwashing spaziano dalla perdita di credibilità a quello più serio che consiste nella mancanza di un’azione concreta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.

Per questo motivo, è fondamentale l’identificazione delle aziende che realmente hanno incorporato la sostenibilità all’interno della propria organizzazione, soprattutto per gli investitori ESG (Environmental, Social, Governance. Viene utilizzato nel settore economico/finanziario per indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile (IR), che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance). 

Il rischio, altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio per l’ambiente e le persone, vanificando così tutti i princìpi e le buone intenzioni della tematica di questa giornata.


Francesca Bux

Classe 1984.

Veneta dal sangue pugliese, intraprendente, riservata e creativa.

Attenta nei confronti delle nuove tendenze della comunicazione, con un occhio di riguardo per le campagne pubblicitarie di impatto sociale, innovative e fuori dagli schemi.

Lettrice eclettica, viaggiatrice anche solitaria, dipendente dalla musica e dalle espressioni d’arte come la fotografia, la pittura e la moda.

Amante delle rappresentazioni teatrali, tradizionali e indipendenti.

Non ho un mio blog, ma amo scrivere in quello degli altri.




La felicità

di Cristiana Caserta_

È forse un dono?

O un demone?

O è qualcosa che si costruisce? O si cerca?

Viene dall’interno? O dall’esterno? 

Dalla famiglia, come nella tragedia greca e nei romanzi russi? 

Qualsiasi risposta è già stata data.

“È un momento” mi disse una volta un amico, nelle acque limpide di Lampedusa, forse per vanto erudito citando un qualche autore di quelli che fanno colpo su una fanciulla che nuota da sola. Tipo Sartre, o qualcosa di simile. Me lo ricordo bene. Fra i ricordi sfocati di un viaggio di maturità, quelli che si facevano un tempo, a luglio inoltrato, con poche lire in tasca.

Arrivavi in un’isola, bianca bianca e con in testa ancora i versi a memoria di qualche tragedia – eit ofel’ Argùs me diaptastai skafos – e subito era scottatura e ubriacatura e amori di una sera.

Un momento, vorrei dirgli decenni dopo, è quello in cui cerchi di afferrarla per fissarla da qualche parte, per ricordartene, per dire agli amici: “ecco, ero felice”, per rispondere alla domanda che crediamo sempre ci venga fatta: “sei felice?”.

Sì: ho le prove! La luce era perfetta, l’acqua era limpida, ci sentivamo fatti l’uno per l’altra, toccarsi era bello e difficile – troppo ustionati! – ma quindi sì: felice!

Ma il fatto è che la luce poi cambia, e insomma non era poi così perfetto, e infatti ognuno ha nuotato per conto suo. 

Non devi cercare di afferrarla: è fragile la felicità! Si accorge se vuoi stringerla e si squaglia prima che tu possa dire: “eccoti!

L’ansia della felicità è infelicità pura. 

L’infelicità invece si lascia fermare volentieri. Gli infelici sono a loro modo felici: perché la loro infelicità è ben solida, personale, intima. È una compagna che non tradisce, che non si allontana, che si fa afferrare, richiede attenzione esclusiva, è gelosa! L’infelice fugge con cura ogni possibilità di felicità: evita di ricevere regali, di portare a termine progetti, di mostrare il lato migliore di sé, evita l’affetto degli altri e il loro aiuto. Tutto ciò lo (la) priverebbe del piacere di essere infelici, dell’autoerotismo dell’infelicità, della ruminazione ansiosa in cui gli altri sono nemici perché felici. 

Vivere accanto a un infelice cronico è l’inferno in terra. 

Sebbene l’infelice sembri amare la solitudine, in realtà odia la solitudine altrui, odia chi non cerca la sua compagnia anzi, chi non ha bisogno della sua compagnia. Il bisogno è nemico della felicità. È quindi illusoria e falsa l’autosufficienza dell’infelice: egli (ella) ha bisogno dell’attenzione altrui, delle energie psichiche, della gioia, dell’entusiasmo che pure critica.

Molto di più dell’esibizione di falsa felicità – quella dei social, delle celebrazioni chiassose, dei selfie sorridenti, del successo esibito – io temo la retorica della non esibizione, l’ostentazione del privato, dell’autosufficienza rancorosa, del compiacimento di gusti elitari e raffinati che ammantano di fascino lo squallido e il disadorno. 

La tragedia greca è – ovviamente – piena di personaggi infelici. Soprattutto donne. Fra le più infelici c’è Antigone. Sappiamo bene che Antigone è un’eroina: vuole a tutti costi seppellire il fratello Polinice e per farlo non esita a scontrarsi con le leggi e con il perfido tiranno Creonte. È inflessibile e rigida, ma lo spettatore è dalla sua parte perché la sua inflessibilità è migliore di quella – opposta – di Creonte. Ne ammiriamo il coraggio e la determinazione: faccia a faccia col tiranno afferma che il morire non le causa nessun dolore e anzi vuole affrettare la Morte. Ma, quando appare per l’ultima volta sulla scena, già condannata, si esprime in modo ben diverso: chiede di essere guardata mentre va a morire, si dispera per non avere conosciuto l’amore coniugale e perché non sarà pianta da nessuno, lamenta l’infelicità sua e della sua famiglia tutta, si autocommisera, non è più sicura che gli dei siano dalla sua parte. Il Coro si dissocia da lei: l’infelicità necrofila che ha coltivato per tutta la tragedia appare ora in tutta la sua inutilità. Nessun riscatto è possibile.  Neanche quello eroico. La sua vita le si rivela arida, povera, solitaria, senza eros, ora che è venuta a cadere la spinta antagonista e ribelle. Coerenza e assenza di conflitto – Antigone è stata incredibilmente sicura di fare bene e che nient’altro esistesse, non l’amore per la sorella né per il fidanzato, oltre al suo dovere di pietà – si rivelano scelte pietrificanti e raggelanti. La morte di Antigone non è ‘bella’ né eroica, ma solitaria e patetica. 

Questa tragedia, così amata, ci mostra che le opposte richieste dei due personaggi, così rigide, non possono essere armonizzate in modo da rendere giustizia ad entrambe: ogni scelta implica il rifiuto di qualcosa, ogni valore si afferma in modo totalizzante e senza appello; per evitare il conflitto e il dolore conseguente, per vivere in modo coerente, Antigone si condanna all’infelicità totale, all’insensibilità, alla solitudine vera.

Felice è il coraggio del vuoto, della non aspettativa, del conflitto, dello spazio aperto a ciò che accade, a ciò che non è nostro e non possiamo possedere, che ci può solo essere regalato e non potremo usare per rispondere “” alla domanda se siamo felici. 

[Perché viene prima il sì e poi la felicità]


Cristiana Caserta_

LinkedIn Top Voice 2020; 

Scrivo, studio, insegno materie con le tecnologie, sono pratica di formazione, giornalista free lance, multipotenziale.




Il Leone di San Marco

Nel quarto superiore del simbolo della Marina Militare compare il Leone di San Marco, secolare simbolo della città di Venezia e della sua antica Repubblica.
Detto anche “Leone Marciano” o “Leone Alato”, è la rappresentazione simbolica dell’evangelista san Marco, raffigurato in forma di leone alato.
Altri elementi osservabili sono l’aureola, il libro e una spada tra le zampe in varie combinazioni

La simbologia del Leone di San Marco deriva dalla leggenda secondo la quale un angelo sotto forma di leone alato si presentò al Santo, naufragato in laguna, proferendo le parole: «Pax tibi Marce, evangelista meus. Hic requiescet corpus tuum» (Pace a te, Marco, mio evangelista. Qui riposerà il tuo corpo) preannunciandogli che in quel luogo, un giorno, il suo corpo avrebbe trovato riposo e venerazione. Il libro, associato al Vangelo, ripropone spesso le parole del leone: «PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEVS».

Numerose le interpretazioni simboliche riguardo alla combinazione tra spada e libro:

il solo libro aperto è ritenuto simbolo della sovranità dello Stato;

il solo libro chiuso è invece ritenuto simbolo della sovranità delegata alle pubbliche magistrature;

il libro aperto e la spada non visibile a terra è ritenuto simbolo della condizione di pace;

il libro aperto con la spada impugnata sarebbe invece simbolo della pubblica giustizia.

il libro chiuso con spada impugnata, è infine ritenuto simbolo di stato di guerra;

Altri elementi significativi, infine, il leone poggia le zampe anteriori sulla terra e quelle posteriori sull’acqua: particolare riferimento al saldo potere di Venezia sulla terra e sul mare.

Cieli sereni
🇮🇹
PG




Che ne sarà della Z-Generation? [e della nostra].

di Mario Barbieri

Già che ne sarà della Z-Generation e della nostra, che ne sarà dopo che la Z sembra sia divenuta suo malgrado una sorta di “marchio d’infamia”, come fu la “lettera scarlatta” o altri pittogrammi/simboli che neppure credo sia il caso di nominare.

Pare infatti allungarsi l’elenco della Aziende che rimuovono/rivedono il proprio logo dove la Z è più o meno dominante.

– Qualche settimana fa  Zurich Assicurazione comunica di voler rimuovere (pare temporaneamente) il logo con la lettera Z per dissociarsi dall’invasione russa in Ucraina.

– Qualche giorno prima l’azienda britannica Ocado aveva deciso di modificare il logo del servizio di spesa veloce online Zoom.

– Un altro caso è quello di Zetland, società di media danese fondata nel 2012, con sede a Copenaghen, un sito d’informazione che pubblica articoli d’approfondimento e podcast per abbonati.

Sinceramente sono perplesso… si va diffondendo la “sindrome dell’inconsciamente colpevole” o “dell’incolpevole fiancheggiatore”, ma tutto questo ha un senso?
Ha senso stravolgere il proprio logo e chissà cos’altro dell’immagine di un Brand, con i costi annessi connessi e derivati? E fino a quando?

Grazie ai commenti al mio post in tema su Linkedin, trovo specificato da @Stefano Vatti, che «sono 168 i marchi registrati a livello comunitario che recano la sola lettera “Z”…»
Che dire? Almeno avvisiamoli tutti dei rischi che corrono.

Altri commenti perplessi come quello di @Katia Bovani: «Dismettere un logo identificativo di un’impresa consolidata e di un brand il cui valore economico-finanziario è composto anche da segmenti immateriali (come il logo) che fanno parte della pura azienda, non è decisione che l’organo amministrativo può assumere sull’onda emotiva. Men che meno per il timore di essere assimilati a un corpo militare invasore.»

O di @Mariangela Ottaviani: «…proprio per prendere le distanze da queste “sindromi”, è più che mai importante mantenere la propria identità.
Se poi si tratta di un brand come quello al quale ti riferisci (Zurich), fondato nella seconda metà del 1800, allora non mi preoccuperei di cambiare logo. Dopo un secolo e mezzo quell’azienda è ancora presente… abbiamo forse chiesto scusa a Bartolomeo Cristofori e variato il numero dei tasti del pianoforte*, quando l’88 è stato associato a “certi ambienti” politici dopo la seconda guerra mondiale?».

Commenti che aiutano a riflettere, perché viviamo un periodo storico dove la forte pressione “social-moral-puritana”, vorrebbe tutti indistintamente equidistanti da ogni “male” (dove il concetto di male è tra l’altro molto “liquido”), obbligatoriamente schierati, perennemente tesi a cospargerci il capo di cenere per gli errori altrui e il non-farlo diviene automaticamente connivenza.
Se poi il pensiero social-sociologico individua un suo simbolo pro o contro, che sia un colore o la pressione di un ginocchio, il perverso gioco e fatto!

Altra cosa è ovviamente non solo prendere le distanze con dichiarazioni pubbliche, ma anche intervenire con azioni concrete, finanziarie dirette o meno a sostegno della “causa” che si intende appoggiare.

Nel frattempo difronte a questo dilagare di Z-Remove Potemmo consolarci ipotizzando un lato positivo sul fronte delle “nuove occupazioni” (se non cambiano le cose) l’ SMBC (social-moral-brand-consultant) e per i gruppi più grandi, compartimenti dedicati con professionisti laureati in Storia, Storia delle Religioni, Sociologia, Psicologia (delle masse possibilmente) con forte propensione al settore “social-comunication”.

Oggi c’è chi viene costretto a prendere posizioni con gesti tanto visibili quanto talvolta effimeri oppure si “mette avanti” a scanso di equivoci.

Penso finiremo per vestirci tutti dello stesso colore (o colori), studiando una Storia “rivista e corretta” (come non lo fosse già abbastanza), consolandoci che colori e Storia, potranno cambiare di volta in volta a seconda del “male” di turno. 

*(Oggi poi dividere i tasti di un pianoforte tra “bianchi e neri” potrebbe diventare un problema)


Mario Barbieri, classe 1959, sposato, tre figli ormai adulti.
Appassionato di Design e Fotografia.

Inizia la sua carriera lavorativa come illustratore, passando per la progettazione di attrazioni per Parchi Divertimento, negli ultimi anni si occupa di arredamento, lavorando in particolare con una delle principali Aziende Italiane nel settore Cucina, Living e Bagno.

Blog:
https://ceuntempoperognicosa.wordpress.com/
https://immaginieparoleblog.wordpress.com/




Allineamenti celesti

In questi giorni, chi si troverà sveglio poco prima del sorgere del Sole (intorno alle 5..🤪), potrà scorgere, allineati nel cielo sud-orientale, ben 4 dei 5 pianeti visibili a occhio nudo.
Si tratta di GIOVE, VENERE, MARTE e SATURNO: la loro disposizione offrirà la possibilità di immaginare nel cielo la linea chiamata ECLITTICA, ovvero la proiezione in cielo del piano dell’orbita della Terra intorno al Sole.

Il 23 aprile lo spettacolo sarà ancora più raro: anche la Luna si disporrà sulla ‘retta’ e sarà visibile sulla destra, facendo salire a 5 i corpi celesti allineati, (vedi immagine per le ore 5 circa).

L’allineamento sarà visibile fino al 29 aprile, mentre la stessa configurazione si ripresenterà il 21 maggio prossimo.

Ma non è finita! Intorno al 17 giugno ai 4 pianeti si aggiungerà anche MERCURIO!

CURIOSITÀ
Lo spettacolo subirà qualche cambiamento: alla fine di aprile sull’ “ideale retta congiungente”, la posizione di Giove si scambierà con quella di Venere e alla fine di maggio sempre Giove si invertirà anche con Marte.😵‍💫

Cieli sereni
PG




Greco e Latino, in Architettura. Episodio I – Gli ordini classici. Abecedario.

(Interno interattivo a 360 gradi del Pantheon a Roma. Cliccando sul quadratino si ottiene lo schermo intero; trascinado il cursore del mouse ci si muove in ogni direzione )

Quadro assiomatico: l’Architettura è un linguaggio.

Postulato: L’Architettura Classica, l’arte del costruire che nel campo linguistico corrisponde all’antico Greco e al Latino, è esclusivamente quella che utilizza gli ordini architettonici Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito.

Definizione: un ordine architettonico è costituito da un insieme di sostegni e sovrastrutture, tra loro correlati, distinto da proporzioni, profili e dettagli caratteristici che lo rendono facilmente riconoscibile. I Cinque Ordini costituiscono l’equivalente delle cinque declinazioni della lingua latina e rappresentano le vere e proprie “uniformi” degli edifici classici.

In questa splendida incisione su rame di Claude Perrault (1613-1688, autore della “colonnade”, come viene chiamata la facciata est del Louvre) sono illustrati quelli che, all’epoca, venivano considerati indiscutibilmente gli ordini classici dell’Architettura: da sinistra Tuscanico, Dorico, Ionico, Corinzio, Composito.

L’utilizzo concreto di questa gamma lo ritroviamo, peraltro, nel corso di millenni della Storia dell’Architettura e senza limitazioni geografiche di sorta: partendo in Grecia dal VI secolo a.C., proseguendo per l’intera estensione dell’Impero Romano, nelle Americhe e financo in Australia, Africa ed Asia, nell’architettura coloniale del XX secolo.

Nelle illustrazioni che seguono, abbiamo volutamente messo a confronto tre diversi esempi dell’ordine “dorico greco/arcaico” ( tutti realizzati in Italia)

Le prime due immagini a sinistra raffigurano il Tempio di Era II (o di Poseidone) a Paestum (V sec. a.C.) mentre le altre due risalgono all’inzio del XIX secolo e sono opere romane di Giuseppe Valadier: rispettivamente Villa Torlonia e la Casina del Pincio, che appunto prende il suo nome. Colonne e capitelli del Tempio sono separati da quelli delle altre costruzioni da oltre 2300 anni….epperò lo stile rimane molto simile, oltre che assolutamente riconoscibile.

Ma perché gli ordini sono proprio (e solo) cinque? All’età di Augusto, per Vitruvio (che conosceremo meglio tra qualche riga) erano limitati a tre: Dorico, Ionico e Corinzio. La gamma ampliata è stata di fatto “certificata” solo quindici secoli dopo, nel Rinascimento, da un architetto bolognese, Sebastiano Serlio (1475-1554), collaboratore di Baldassarre Peruzzi (1481-1536), che a sua volta lo era di Raffaello Sanzio (1483-1520). Raffaello, ricordiamo, oltre che “divin pittore” era stato nominato dal papa Leone X “praefectus marmorum et lapidum omnium“, diventando, di fatto, il primo soprintendente archeologico e ai monumenti della storia.

In questa veste, probabilmente anche seguendo i consigli del concittadino Donato Bramante (1444-1514), il primo progettista della “nuova” Basilica di San Pietro, voluta da Giulio II e fondata nel 1506, Raffaello era stato incaricato di catalogare e ridisegnare le più importanti rovine romane al fine di ricavarne quelle “regole universali” che avevano generato “l’unica buona e vera Architettura, quella degli antichi”, che lo stesso Pontefice voleva riportare in vita per celebrare la rinascita dei fasti dell’Impero Romano, stavolta sotto la guida della Chiesa.

Oltre ai Maestri citati, ricordiamo che intorno al 1500 a Roma si trovavano anche Leonardo da Vinci e Giuliano da Sangallo; poco prima c’erano stati anche Pinturicchio e i decoratori quattrocenteschi della Cappella Sistina: Perugino, Botticelli, Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Signorelli: tutti i grandi artisti umbri e toscani che, a loro volta, nel campo dell’Architettura avevano come punti di riferimento Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti, le vere stelle polari dell’Umanesimo fiorentino e primi, veri promotori della riscoperta del classicismo nelle arti e nell’architettura dopo il Medioevo.

Cosa ha fatto il buon Serlio allora? Come Architetto, non era dotato di particolare talento; ma potendo disporre degli studi dei contemporanei o di chi lo aveva di poco preceduto, ha avuto l’enorme merito di collezionare, riordinare, sistemare e pubblicare un insieme di conoscenze preziose, frutto delle ricerche appassionate, ma dispersive, di un irripetibile gruppo di geni assoluti. Il risultato dei suoi sforzi è l’opera “I sette libri dell’Architettura”, pubblicati a partire dal 1537 in ordine irregolare ed in tempi e luoghi diversi. Improntato più ad uno spirito pratico che teorico, il suo trattato è in assoluto il primo a codificare in dettaglio i “cinque ordini”, attribuendo grande importanza alle immagini, e costituisce una pietra miliare non solo nella storia della trattatistica di architettura, ma anche nella storia della stampa.

Il frontespizio del Libro IV (il primo ad essere pubblicato nel 1537) ci dice tutto sulle convinzioni dell’autore: le regole sono “generali” e le “maniere” cinque: appunto Toscano, Dorico, Ionico, Corinzio e Composito; cita gli esempi dell’Antichità “che per la maggior parte concordano con la dottrina di Vitruvio”.

Serlio, per qualificare la sua opera, non solo si richiama alle nobili vestigia romane, ma si appella anche all’autorità dottrinale di Vitruvio… e allora, chi era costui, e in cosa consisteva la sua dottrina?

La risposta è semplice: Vitruvio (in latinoMarcus Vitruvius Pollio) era “il Serlio” dell’età di Augusto. Architetto, ma soprattutto trattatista, viene tuttora considerato il più famoso teorico dell’architettura di tutti i tempi.

Attivo nella seconda metà del I secolo a.C. è autore della Basilica di Fano e soprattutto del trattato De architectura (Sull’architettura), in 10 libri, dedicato ad Augusto che gli aveva concesso una pensione.

Scritto probabilmente tra il 29 e il 23 a.C. (periodo nel quale Augusto aveva in mente un rinnovamento generale dell’edilizia pubblica) mirava certamente a ingraziarsi l’imperatore; a cui, non a caso, Vitruvio si rivolge direttamente in ciascuna delle introduzioni preposte ad ogni libro.

Il De architectura è l’unico integro testo latino di architettura giunto fino a noi e per questo il più importante,

Testimonia gli usi e costumi dell’epoca ed è stato studiato da ogni architetto dopo la riscoperta del manoscritto, avvenuta nel XV secolo.

«Tutte queste costruzioni devono avere requisiti di solidità, utilità e bellezza. Avranno solidità quando le fondamenta, costruite con materiali scelti con cura e senza avarizia, poggeranno profondamente e saldamente sul terreno sottostante; utilità, quando la distribuzione dello spazio interno di ciascun edificio di qualsiasi genere sarà corretta e pratica all’uso; bellezza, infine quando l’aspetto dell’opera sarà piacevole per l’armoniosa proporzione delle parti che si ottiene con l’avveduto calcolo delle simmetrie.»

Claude Perrault, “distillò” da questo passo del trattato la leggendaria formula della triade vitruviana, secondo la quale cui ogni buona architettura deve soddisfare tre requisiti:

  • firmitas (solidità);
  • utilitas (funzione, destinazione d’uso);
  • venustas (bellezza).

Che onestamente rimangono difficilmente contestabili, anche dopo duemila anni.

(Fine episodio I. Continua…prossimo episodio: l’ordine tuscanico.)




La “Luna Rosa” della Pasqua 2022

Oggi 16 aprile 2022 è il giorno della Luna Piena di aprile, tradizionalmente chiamata LUNA ROSA.
Il nome però non deve trarre in inganno: il nostro satellite, infatti, non appare affatto di quel colore, ma questa sera sorgerà con il suo solito colore dorato per poi prendere, più in alto, il suo aspetto argenteo. Il fenomeno astronomico è battezzato così perché legato alla fioritura di questa stagione di un muschio rosa, una pianta sempreverde i cui fiori rosa-magenta, in alcune regioni degli USA, formano vere e proprie praterie.
Questo, come tutti i nomi della Luna Piena che usiamo ancora oggi, derivano dalla tradizione dei nativi americani.

RELAZIONE CON LA PASQUA

La Pasqua è una festa “mobile”, poiché, secondo quanto stabilito dal Concilio di Nicea, si celebra la prima domenica dopo la prima luna piena di primavera.
Questo di oggi (alle 20:57 ora italiana) è il primo plenilunio dopo l’equinozio del 20 marzo scorso e quindi domani, domenica 17 aprile, sarà PASQUA.

UN DILEMMA!

Oggi, sabato, nel momento esatto del plenilunio, in molti Paesi del mondo in cui vige un fuso orario con ore ‘avanzate’ .. sarà già passata la mezzanotte e quindi sarà già domenica!;
La Pasqua, dunque, in quei Paesi, (stando alla definizione!), dovrebbe essere celebrata la …domenica successiva!! 🤔

NOTA
Nella Chiesa occidentale NON viene utilizzata la data ‘reale’ (quella astronomicamente esatta) dell’Equinozio di Primavera (quest’anno, ad esempio, è stato il 20 marzo), bensì una DATA FISSA, sempre il 21 Marzo (detto ‘Equinozio FISSO’) .
Inoltre la Chiesa NON considera la ‘vera’ luna piena astronomica ma la LUNA ECCLESIASTICA (fittizia), basata su apposite TABELLE compilate e stabilite dalla Chiesa stessa. Questo criterio adottato dai cattolici permette di calcolare in anticipo la data della Pasqua e svincolarla dalle reali osservazioni dei moti astronomici che, per loro natura, sono irregolari e meno prevedibili.
Grazie a questa ‘semplificazione’ si è calcolato la periodicità della sequenza delle date di Pasqua almeno per i prossimi 5 milioni e settecentomila anni !

Cieli sereni e.. Buona Pasqua
PG




Nauru: La Repubblica più piccola del Mondo

L’isola di Nauru

NAURU è il nome di un’isoletta dell’Oceano Pacifico situata a metà strada tra l’Australia e le Hawaii, grande come un quartiere di una città (21 kmq) e abitata da circa diecimila persone.

https://goo.gl/maps/MNsDsFWUDAVqzjtUA

E’ LA REPUBBLICA PIÙ PICCOLA DEL MONDO.
Ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1968 e divenne improvvisamente ricchissima grazie all’esportazione dei fosfati, abbondantissimi nel sottosuolo e dei quali il mondo ha bisogno come fertilizzanti.
Nel corso di circa 30 anni, i minerali che hanno reso ricco il paese si sono però esauriti facendo piombare la nazione in una gravissima crisi economica.
Così l’isola che fu definita dagli scopritori inglesi (1798) the Pleasant Island (l’Isola Piacevole) oggi è, per l’80%, un’ arida miniera a cielo aperto e con il 40% delle risorse marine compromesse dallo scarico dei detriti. Non ci sono quasi più gli alberi, l’acqua scarseggia, il cambiamento climatico e il conseguente innalzamento del livello dell’oceano la sta minacciando (l’altitudine massima dell’isola è di 60 metri s.l.m.). Il 90% della popolazione è disoccupato e il reddito pro capite è tra i cinque più bassi del mondo.

CURIOSITÀ
Secondo uno studio condotto dall’OMS, l’importazione di cibo occidentale durante la crescita economica ha intaccato l’originaria cultura, anche gastronomica, essenzialmente basata sulla pesca e l’ agricoltura.
La dieta non salutare e lo stile di vita sedentario sempre più diffuso tra i nauruani a partire dagli anni 1980, hanno portato la popolazione autoctona ad avere le peggiori condizioni di salute nella regione del Pacifico.
Gli abitanti di Nauru detengono dei tristi primati: soffrono di obesità (70%), tabagismo (50%), diabete (40%) e alcolismo e hanno un’aspettativa di vita di 50 anni.

La bandiera di Nauru, in alto a sinistra nell’immagine, si compone di un campo blu (che simboleggia l’Oceano Pacifico), separato in due parti uguali da una striscia gialla orizzontale (l’Equatore).
Sotto la striscia gialla, sul lato del pennone, è presente una stella bianca a 12 punte (tante quante erano le tribù originarie dell’isola) che rappresenta la posizione geografica di Nauru, appena un grado a Sud dell’Equatore. 🇳🇷

Cieli sereni
PG